Quella sega in Gallura
Flavia dal 2005 pubblica con l’editore Enstooghard del dr.Hans Stortoghårdt in Borgergade 9, 1300 København
[©Flavia Marchetti 2019]
Sembra quasi vero che le caratteristiche ambientali della Gallura stimolino quei bioritmi che esasperano la libido di noi continentali. Quantomeno della nostra piccola colonia: Sìmone, è sfrombolata in Paese a caccia di una qualche bella femmina accondiscendente alla di lei lussuria. Oscar, che da quando Sìmone è uscita mi gira attorno più nudo che mai sventolando la sua virgulta erezione da bel diciasettenne. – Un previlegio che io e Sìmone ci teniamo caro esaudendo ogni suo desiderio e appagando ogni sua piccola pulsione. – E ci sono io che – chi l’avrebbe mai pensato! – risulto la più ponderata e contenuta nell’esternazione della propria libidine. Forse perché essendomi fissata come obbiettivo quello di portare a casa un certo numero di racconti e sceneggiature di video, il mio erotismo tendo a sfogarlo sui tasti del note-book. Che non è la stessa cosa ma ne assorbe una certa quantità.
Oggi, per esempio, che ho ricevuto una selvaggia montata già di primo mattino da Oscar, sono arrivata fino all’una senza sentire quei certi languori. Ne ho sentiti di altro tipo ma il dentice all’acqua pazza che mi sono cucinata e che sto assaporando con la solitaria compagnia di una gelida bottiglia di vermentino, li sta placando.
È il momento in cui torna Oscar. Trionfante con il frutto della fortunata pesca alla cernia.
«Mi aiuti a finire la bestia» e gli indico la pirofila. Non mi piace per niente mangiare in solitudine.
«Vermentino subito. Una sana doccia, poi golosamente sul tuo pesciotto.» Un bacio in fronte, una strizzatina a una tetta. Pur col costume si nota che ce l’ha duro. E’ sempre così quando la pesca gli va bene.
Non ci pensa neppure il baldo giovane di rivestirsi dopo la doccia e riappare in tutto il suo più genuino splendore. D’altronde siamo ugualmente abbigliati.
Mi diventa sempre difficile distogliere gli occhi da quell’elegante protuberanza anche se in questo momento lo vedo a riposo. Comunque ben conoscendone sia la bellezza che gli effetti che sa scatenare, si è messo in moto qualche sommovimento fra le cosce. Incomincio a bagnarmi.
«Oltre che bella-figa sei anche brava cuoca, Flà! – ha appena assaggiato un boccone del mio dentice – Roba da sposarti subito.» Si alza per regalarmi un sostanzioso lingua-in-bocca. Gli branco e stringo l’uccello. Ma tutto si esaurisce lì. Tutto resta come un affettuoso gesto. In me, invece… Eppure, dal mio sguardo languido… dal respiro un po’ sostenuto… si dovrebbero intuire dove parano i miei propositi. Mi prefiguro i colpi di lingua alla clito… lo sfregamento della cappella fra le grandi labbra… la dolce penetrazione. Arrivo ad idealizzare di offrirgli quanto di ancora illibato nel mio corpo: mi sto convincendo, dopo averlo difeso strenuamente per qualche lustro che sarebbe romanticamente travolgente darglielo, lì, aggrappata alla ringhiera della terrazza guardando la costa corsa con navi, barche e barchette che transitano nello stretto.
Non ci parliamo… gustiamo un boccone dopo l’altro, l’annaffiamo sempre con il buon vino… ci sorridiamo ma non ci diciamo nulla. Vedo che anche lui sta elaborando qualcosa. Di tanto in tanto noto una sua mano che s’abbassa e va oltre la mia visuale. Sotto il piano del tavolo. Forse se lo mantiene calmo per finire il manicaretto che tanto gli è piaciuto. “Stai calma… – mi dico – Adesso si alza… Vedrai… Ti prende e ti sbatte un po’ qua, un po’ là in uno di quegli improvvisati amplessi che tanto ti piacciono.”
Un attimo che ho distolto lo sguardo da lui si è alzato. Ora sta appoggiato alla balaustra e si è acceso una sigaretta: «Flavia» Mi chiama. Sono accanto a lui che mi mette le mani sulle spalle. Nulla di più. Non mi abbraccia: «Non so se te lo posso chiedere, Flà…» Sono un fuoco di desiderio. E se mi chiede anche il culo glielo do. «Non esiste qualcosa che tu non possa chiedermi.»
«Bèh, va bè… Volevo chiederti se ti va di farmi una sega?… Sai, me ne faccio tante che forse è diventato un gesto automatico. Tu puoi sicuramente metterci un po’ di sentimento. – forse è la mia espressione allibita che gli fa aggiungere, sorridendo – Tanto per cominciare.»
Reagisco con disinvoltura: «Non vedo l’ora» e intanto metto a punto una piccola vendetta.
«Dove?»
«Che ne dici lì, sul divano a dondolo. Con quella bella visione delle Bocche di Bonifacio innanzi agli occhi?»
«Grande! Mi sdraio e mi ambiento. Ti aspetto con l’oca dura.»
«Mi metto qualcosa addosso e arrivo.»
«Come? Non stai così come sei?»
«Mi hai chiesto una sega che sia una sega e io ci metto solo l’arte della mia mano. Non chiedermi qualcosa di più.»
«Mi sa che l’aria del mare ti faccia male».
Non riesco ad essere indisponente fino in fondo e gli do un bacio: «Benvenuto nella premiata pugnetteria delle Bocche di Bonifacio» e subito glielo scappuccio.
Mentre glielo meno lui fa il gesto di stringermi il seno ma lo blocco con: «No. Così non sarebbe più una sega.»
«Sì, ma è più bello.»
«Lo so. Lo sarebbe anche per me. Tu però mi hai chiesto una sega e io voglio farti una sega: un cazzo e una mano.»
«Va bé!… Contenta tu!» e… su la pelle… giù la pelle! Con ritmo leggero.
La calda mano accarezza il prepuzio di questo amante un po’ pazzerello. Gli snocciola il glande e gli trastulla a lungo la corona che lo congiunge al resto del membro. E’ la mia passione quella porzione d’uccello. Gliela leccherei volentieri con la punta della lingua. Che tentazione! Ma non sarebbe più una sega. Ci rinuncio. Anche perché sento che Oscar dimostra di gradire le arti della mia mano. D’ora in poi sarò intenta solo a segare.
Per lui è troppo bella questa sega. Sì ! Tanto curata nel suo insieme. Così, non se ne era mai goduta una: prolungata e sempre in bilico sulla dirittura dell’orgasmo che a fasi alterne glielo richiamo o glielo blocco.
Anche lui collabora a volerla tenere alla lunga e per un paio di volte respira profondamente per arrestare l’orgasmo che sta conquistandolo. Il mio spugnettamento avviene in un silenzio quasi religioso. A lui invio grandi sorrisi. Unici delicati rumori i nostri respiri e gli sfrigolii delle carni in movimento:
«Non ce la faccio più, Amo, vengo!» Si lascia andare consegnandosi ai fremiti che stanno invadendolo. Accelero il ritmo, aggiungo la seconda mano sotto i coglioni, stringendoglieli con appassionata delicatezza e lascio alle dita il compito di assecondare la cappella. Fiotti di sborra si liberano verso il cielo per precipitare qua e là. Avrebbe avuto più senso se glielo avessi preso in bocca per finirla così. Ma quella sega doveva essere proprio una sega.
Come comanda la deontologia delle più affermate pugnettare, ho con me i ferri del mestiere: i Kleenex con cui glielo asciugo delicatamente, e sentendolo ancora vibrare mi domando se non sia un inutile sacrificio quello di negargli l’onore del mio palato. Ma quando si dice SEGA, questa non può che restar tale!
Oscar si gratta la testa. Mi abbraccia e nel farlo mi penetra con la lingua un orecchio. E’ carico come una molla «Sei stata grande! Non riuscirò mai più a farmene una da solo.» Sento le sue mani che scorrono disordinatamente per il mio corpo cercando di liberarlo da quei pochi stracci che per fargli dispetto ho voluto indossare: “Cretina !”. E ritrovo quell’Oscar che mi piace! Le sue forti mani sotto le mie ascelle mi sollevano per gettarmi come un sacco di patate sul divano a dondolo, che non può che mettersi a dondolare.
Mi è subito addosso per sistemarmi secondo le sue esigenze… mi solleva…. Aggiusta il bacino… un cuscino sotto il capo. Sono inerte. Potrebbe anche volermi annodare che lo lascerei fare pur di sentirmi addosso le sue mani.
Ho negli occhi l’intenso azzurro del cielo e nelle orecchie lo sciacquio di un mare che sta ingrossando
L’ideale per… «Tutto quello che vuoi Amo…»
Una leggera brezza accarezza il mio corpo nudo… Fra le labbra della figa la sua lingua infuocata… spavalda. E questo con un lampo mi fa tornare ai primi momenti della nostra conoscenza…
…….
Fra noi tutto era cominciato in un uggioso mattino di marzo. Qualche mese fa. Non è più freddo ma è grigio. Avevo scritto per tutta la notte la sceneggiatura di un video hard-core che mi ha commissionato una trasgressiva babbiona dell’alta società bolognese – fior di quattrini! – Dice che ne realizzerà un porno ricordo fra lei e il suo amante. C’è un buon guadagno, perché non farlo?
Erano le 8:30 quando mi ero tirata su dal pc e avevo fatto un po’ di stretching. Il caffè era bello caldo nella moka. Sono ancora una delle poche che rifiuta quegli aggeggi per il caffè espresso domestico. A parte tutto questo, avevano suonato alla porta.
Ohibò… era quel meraviglioso adolescente che abita nell’altra scala, Oscar: più o meno 16–17 anni, alto – da sua madre avevo saputo che gioca in una squadra amatoriale di basket – ben piantato. Ricciuto e moro nei capelli, con il volto quasi sempre sorridente. Educato e gentile nell’approccio. Gli avevo sorriso mentre mi ero aggiustato la vestaglia che avevo indossata frettolosamente. Non volevo che lo scorcio di una mia rigogliosa tetta gli sconvolgesse la giornata. Si, ho due belle tette!
«Mi scusi signorina Flavia. Quel coglione del portinaio ha messo della sua posta nella nostra cassetta» e mi aveva porto una busta a me indirizzata:
«Cazzo! l’editore Kubrick, proprio quella che aspettavo. Grazie. Sei un tesoro. Posso offrirti un caffè… L’ho appena fatto.»
«Sarei ben contento di prenderlo ma sto andando al lavoro… – Ci aveva pensato un attimo, poi… – Magari in un altro momento, volentieri.»
«I momenti per un caffè non sono molti in una giornata. Facciamo che potrebbe essere anche un aperitivo. Che ne so, stasera quando esci dal lavoro?»
«O sì, stasera va benissimo. Anziché farmelo con i ragazzacci della balla, vengo a prenderlo con lei. – e aveva aggiunto… – Che sicuramente è molto meglio.»
Un’affermazione che, ahimè, mi aveva fatto crescere di un chilo. Tanto che anziché salutarlo dandogli la mano, lo avevo abbracciato e baciato come un vecchio amico.
Per tutti i momenti che seguirono, l’immagine di quel ragazzetto, gentile e spigliato restarono nei miei occhi: “Sarà un futuro bel maschio!”
Avevo sorbito il mio caffè pensierosa per poi buttarmi sotto la doccia.
Le lubriche righe che avevo sfornato nella notte e quel buongiorno insolito da parte del giovane coinquilino, non potevano che portarmi alla masturbazione. L’acqua calda mi saltellava sull’epidermide e la mano era andata dietro certi languori che davano segnali al mio basso ventre: l’ombelico, una leggera striscia di sottili peli che conducono l’eventuale visitatore al boschetto. Proprio quello che cela la figa. Sì, lei! Quella in cui due dita avevano penetrato. La mano sapeva benissimo cosa fare…. Io, che mi dovevo sedere. Mi ero accovacciata sulla pedana antisdrucciolo. Cosce ben larghe.
Non poteva certo venir male, con tutte le oscene fantasie che mi erano venute sull’inaspettato vicino di casa.
Pure se frutto di erotica solitudine, l’orgasmo era stato coinvolgente.
La giornata poteva cominciare.
Avevo pranzato da mamma. Fra me e lei c’è una grande condivisione dell’intimità e così le avevo raccontato l’eccitazione che era seguita a quella visita.
«Mo è un cinno, Flavia! Lo conosco anch’io, Cocca. È sempre molto gentile anche con me. È bello, robusto, forse dimostra anche qualche anno più. Ha già anche un po’ di barba, ma quando lo ascolti ti accorgi che è un cinno. E ai cinni le imbarcate durano sì e no un mese e mezzo. E tu sei già una donna fatta. E forse anche un po’ zitella.»
Avevo finto di accondiscendere ai suoi consigli ma appena ero rientrata a casa mia, avevo fatto tutto quello che si deve fare per fare una gran bella figura con l’ospite: mi ero tirata nel fisico come non mai, e accentuato quelle caratteristiche della casa che ne aumentassero la sensualità. Avevo passato molto tempo innanzi allo specchio controllando che con determinati movimenti l’abbigliamento scoprisse qualche particolare del mio corpo.
Ero intenta a queste manovre che il campanello aveva suonato. Era già lui.
Portava con sé una rosa gialla e un libro: «Questa per il grande onore che mi ha fatto ad invitarmi ad un aperitivo in questa bella casa – La rosa– Il libro, invece, glielo lascio volentieri perché ci tengo a farmi conoscere come fotografo. È il catalogo della prima mostra di miei lavori»
«Grazie, sono due ottimi pensieri però è meglio se mi dai del tu.» L’avevo abbracciato testando con le labbra la sua guancia. Quel fugace contatto aveva provocato una vampa in tutto il mio corpo. Avevo subito ricoverato il fiore in un elegante vaso e mi ero avvicinata al lavello avendo cura di prendere il mio ospite per mano: «Vieni, così mentre preparo un paio di Negroni, mi racconti qualcosa di Oscar fotografo.… Va bene il Negroni?»
«Come no, fuori si è fatta una serata un po’ fredda, niente di meglio che un alcool forte» e aveva cominciato a raccontarmi le sue giornate allo studio di uno dei più importanti fotoreporter della città e il suo sogno di diventare anch’egli un artista della fotografia. Lui sapeva della mia attività di comunicazione, assieme a mamma mia e qualcuno gli aveva anche parlato dei racconti peccaminosi che avevo pubblicato. Non ne aveva mai avuto uno fra le mani:
«Mi piacerebbe, sai, leggerne qualcuno. Ai miei non ne lo potrei dire. Sono un po’ bacchettoni.»
«Aspetta un attimo» ed ero andata nello studio a prendere una coppia di una recente pubblicazione che ne conteneva ben dodici e gliel’avevo data. Sul divano avevamo brindato mentre lui non mancava di sfogliarla.
«Mi piacerebbe un giorno illustrarne le pagine con miei scatti.»
«Perché pensi di fare anche foto osé.» Gli avevo domandato.
«Perché no. L’arte non è mai osé. Oppure, lo è sempre… Anche quello che è scritto qui diventa osé, solo se vuoi o come lo impacchetti. Qui è impacchettato come una storia di vita vissuta e la si deve prendere come tale. Io qualche scatto ho già fatto e mi sembra che siano venuti bene. Guarda… ce n’è una anche nel catalogo che t’ho portato.» E me lo aveva aperto ad una pagina in cui c’è un bianco e nero con uno specchio che riflette un’adolescente discinta, abbracciata da dietro da un giovane che inequivocabilmente sta spogliandola. Avevo guardato attentamente l’immagine e: «Dico bene che l’autore è anche interprete? – arrossisce e io, da troia, l’avevo incalzato – E’ la tua ragazza?»
«No, no… non ho ragazze fisse. Sono un po’ un fringuello… Svolazzo qua e là.» Aveva detto con un sorriso da trionfatore. Gli avevo guardato la patta dei calzoni e lì la stoffa era tesa. Avevo accavallato le gambe e la gonna era andata su, oltre la metà della coscia. Lui guardava e la patta si er’ancora gonfiata: “Bisogna accelerare!”
Lui era attratto dalla lettura dei miei testi: «Prima di andar via però una dedica me la fai?»
«Come no… Guarda…- gli avevo sì preso la pubblicazione dalle mani e nella prima di copertina vi avevo stampato l’impronta del rossetto delle mie labbra – Le parole ce le scrivo dopo.»
«Dopo cosa?» aveva detto e già mi aveva infilato la lingua in bocca.
Mi ero stretta a lui per gustare la pressione del suo rigonfiamento. Quando le bocche avrebbero potuto parlare non avevo detto nulla. Gli avevo preso il volto fra le mani e mi ero riattaccata alla sua bocca. Erano state le sue mani a salire per le cosce fino a stringermi con vigore la figa. Un suo imperioso cenno e la lingua in un orecchio mi aveva suggerito di calarmi gonna e perizoma, mentre lui si era tolto scarpe e jeans. Restavano un paio di boxer ad impedirmi la vista di quella massa che avevo sentito rigogliosa contro il ventre. E togliendomi la maglia gli avevo messo a disposizione anche le tette. La sua lingua si era scatenata su queste. Le sue dita oltre le grandi labbra: «Sei fradicia» aveva detto.
«Ti fa schifo?»
«Mo no, vè… Te la leccherei fino a domattina.»
«E fallo!» e gli avevo aperto le cosce più che potevo.
Avevo sentito la lingua esplorare timidamente i contorni delle grandi labbra. Poi si era sollevato e mi aveva guardato. L’avevo condotto alla mia bocca e baciato con passione. Questo lo aveva affrancato da ogni remora e si era rituffato con il volto fra i peli del boschetto. La lingua era penetrata e aveva pure scovato l’irrequieta clitoride, nume del piacere.
Gli avevo accarezzato la ricciuta testa mentre il suo frenetico leccare mi colmava di brividi. In quel periodo non avevo compagnie fisse maschili. Niente fidanzati, niente amanti. Ogni tanto qualche bordelleria con un’amica dedita ad intingoli saffici.
Leccata dopo leccata la lingua di Oscar acquistava determinazione mantenendo tutta la sua giovanile spontaneità… ed era cominciato il balletto dell’orgasmo a cui il bel giovane era andato incontro con due affusolate dita.
«E’ stata la prima leccata, vero?»
«O sì, ma è stata un’esperienza stupenda. Potrei ricominciare subito… Prima però avrei bisogno quantomeno di una sega. Altrimenti mi esplodono i coglioni» e aveva avvicinato la cappella alle mie labbra.
«Non penserai di ricevere un bocchino già la prima volta. – Comunque un vigoroso succhione al glande con leccata alla sua attaccatura me la concessi – Il resto se mi fai urlare di godimento.» e mi ero sdraiata sul Buchara della sala porgendogliela.
«Flavia, debbo dirti che… – con l’uccello in pugno, innanzi alla gocciolante figa, tergiversava – è la prima volta anche per la scopata. La Milly, che lavora con me, me la fa toccare, pistolare … mi fa qualche sega, ma non me lo lascia mettere dentro… E‘ fidanzata.»
“Che cretine certe ragazze!” Oscar ha un uccello che ogni femmina, solo che lo veda capisce quante emozioni può darle. E questo stava dimostrandomelo conducendo con grinta maschia anche quella sua prima volta:
Quando il cazzo aveva toccato il fondo non aveva retto ai sottili artifizi che sapeva mettere in campo la mia golosa figa ed era venuto con alcuni potenti schizzi. Niente di drammatico. Il cazzo non aveva perso prestanza. E lui pur con entusiastica magniloquenza non aveva interrotto un attimo il ritmo della trombata portandomi ad eccelse vette di piacere.
«E’ bollente e sugosa…» aveva voluto baciarmela ricevendo nella bocca anche parte di quanto lui stesso vi aveva lasciato.
«Sei un cinno meraviglioso» Mi aveva guardato con aria di sfida:
«Vuoi farne un’altra?»
«Perché no» e l’avevo avviato alla pecorina, che è sempre un bel chiavare. Non aveva sbagliato una mossa.
Ancora un Negroni. E lui era stato d’accordo anche per un abbondante piatto di spaghetti che avevamo divorato in un sensuale silenzio ricco di tanti gesti d’affetto.
Eh, sì, trombare mette appetito!
Ripulito i piatti avevo notato nel mio stallone, un membro ancora in ebollizione. Era una questione di orgoglio. Mi ero inginocchiata innanzi la sua sedia e: «Ogni promessa è debito.»
«Allora me lo sono meritato?»
«Proprio così» e gliel’avevo scappellato. Non avevo mai messo tanto impegno in un bocchino. Ma quello a tutt’oggi è stato il bocchino più importante della mia vita.
Il fiotto mi era arrivato direttamente in gola con tutti i suoi sapori genuini mentre lui non smetteva di dichiarare e giurarmi eterno amore.
Come adesso, qui, in faccia alle Bocche di Bonifacio, glielo avevo asciugato.
Ero sfinita e l’avevo portato in camera da letto: «Dormi con me?»
«Stanotte no. Devo sempre preparare i miei se non rientro. Mi organizzo per domani sera. Contaci.»
Un bacio dolcissimo.
«Flavia, un marito, anche divorziato ce l’hai? Un fidanzato? Un amante fisso?»
«No. Non ho niente di tutto questo.»
«Bene, allora da questo momento io sono il tuo amante.» Se ne era andato e mi ero addormentata.
…….
Ecco, questo era stato il primo approccio fra me e il giovane Óscar. Un approccio che come s’è visto aveva passato in rassegna i capisaldi dell’erotismo di coppia, tranne la sega e il culo.
«Mamma ho un amante!» avevo gridato al telefono appena sveglia raccontandole l’iniziazione di Oscar.
Da quel tardo pomeriggio quel canovaccio si è ripetuto e abbondantemente ampliato. Tanto che qui in Gallura siamo arrivati in tre. E sotto questo cielo terso con negli occhi l’azzurro del suo mare non potevo che corredare l’iniziale canovaccio con uno degli elementi mancanti: la sega.
Ad Oscar, dopo avermela leccata – diciamo, di prepotenza – è tornato duro. E se lo sta accarezzando, rimirando il mare. Più che mai, io, adesso, ho bisogno di lui.
Gli orgasmi di lingua sono meravigliosi ma spesso portano a un irrefrenabile desiderio di cazzo.
Lo prendo proprio per l’uccello per condurlo al letto: «Due ti vengono, Mandrillo?»
«Con te è una passeggiata, la mia troiona!»
E chissà che non le apra anche le chiappe. Così da completare il canovaccio iniziale e smentire il mese e mezzo pronosticato da mamma.
Qui Gallura 2019, a voi Studio
©Flavia Marchetti 2019