Nonna Elena, erotismi e amori
Enstooghard Ltd DK-1300 København 2020
Dal 2005 Flavia Marchetti pubblica i suoi testi con l’editore Enstooghard.
Dal 15 novembre 2020 , uscirà a puntate nella nostra lingua, Bedstemor Elena, kærlighed og erotik (Nonna Elena, amori ed erotismi), su Meget intime ting quotidiano che distribuiamo ogni giorno in tutti gli angoli della Nostra Terra.
In Italia e nella lingua di Dante Alighieri, contiamo di essere con questa storia, nelle librerie dal 14 febbraio 2021.
Hans Stortoghårdt
Enstooghard Ltd
DK-1300 København, Borgergade 9
☎+45 3234 3500
ANTENATI E DISCENDENTI DI NONNA ELENA
I
Nonna Elena
La fine del II conflitto mondiale
Liberazione
Il signor Poldo Salsini, detto anche “CiRimetto”, proprietario della locanda Ai Tre Scalini, rifugiatosi con la famiglia nella cantina fortificata, è ormai un paio d’ore che non sente più sibili e scoppi delle cannonate passare sulle loro teste e, con tanta prudenza risale l’angusta scaletta che lo riporta nel suo locale. Locale che: “Maledetto me e quella volta che…“, ha ereditato alla morte del padre e trasformato in una trattoria con camere. Molto apprezzata. Soprattutto frequentata da benestanti non del luogo. Molti dei quali appartenenti alla nomenclatura fascista bolognese. Meta prediletta di costoro, quando con una bèla ragazòla |N.d.A.: in bolognese, bella ragazza| si poteva andare oltre al galletto in fricassea e far venire mattino a cavalcioni sulla ragazòla, in una delle stanze sopra il locale.
Per il signor Poldo il mondo era diviso in due categorie: i clienti solvibili e i nemici. Ogni individuo che non avesse mai pagato uno dei suoi conti – sempre abbastanza sostenuti – era potenzialmente un suo nemico. Mentre, chi di tanto in tanto si sedeva ai tavoli della sua locanda per onorare la cucina con parole e vile denaro, diveniva subito un benefattore dell’umanità. Per cui, in quel periodo, non era stato difficile che i benefattori dell’umanità fossero quasi tutti gerarchi del PNF (Partito Nazionale Fascista). Purtroppo, con questa logica affaristica a volte si incappa in qualche disavventura. E questo era successo un mese dopo l’8 settembre del ’43.
A lui si era presentato il nuovo Podestà, quello podestato dalla nuova Repubblica |N.d.A.:Repubblica Sociale Italiana|, con due ufficiali tedeschi. Avevano cenato sontuosamente. Invitati dal primo cittadino del paese ed erano rimasti a pensione nella locanda: «Staranno più o meno un paio di mesi. Il tempo di vincere questa maledetta guerra e ripulire il paese da invasori, froci, ebrei e comunisti. Tu tieni il conto che vedrai ti verrà pagato con grassi interessi. Dovesse capitare qualche intoppo provvederà sicuramente il Partito.»
“Sto càzz!” | [N.d.A.: espressione della lingua bolognese che sta per: niente di tutto questo| Era passato più di un anno e mezzo e non si era ancora visto un ghello. Il conto cominciava ad avere parecchi zeri e gli Alleati erano lì a tre chilometri. Oltretutto i teutonici condottieri della Wermacht, nella notte, avevano tagliato l’angolo.
Nella ristretta mente di CiRimetto, erano stati spostati nella partizione nemici del suo cervello. Compreso il Podestà e i suoi accoliti del PNF.
Sempre per la sua scarsa apertura mentale sperava nell’occasione di poterli sostituire con qualche altro personaggio che con un’assidua frequentazione contribuisse a ripianare nel breve, il buco dei camerati tedeschi.
Questo si sta dicendo, sbirciando dalla finestra. È così che si accorge che la strada, la sta perlustrando, in avanscoperta, una pattuglia di fucilieri Gurka.
Bussano alla saracinesca semi-abbassata: “Maledetto me. Avessi dato retta a ‘cla dòna (In bolognese: quella donna = la moglie) che aveva proposto di sfollare da sua sorella a Ponte Rizzoli… Adesso questi mi requisiranno il locale. Salteranno fuori i partigiani che per il fatto che sono iscritto al Partito Fascista se ne appropriano e io ci rimetto tutto.” Comunque, rassegnato, con il martinetto tira su la pesante serranda. È un giovane ed elegante tenente inglese. Parla abbastanza bene l’italiano e, in maniera molto garbata, gli chiede quanto può costare soggiornare nella sua locanda per un paio di giorni. CiRimetto gli dice la cifra e questo estrae un rotolo di banconote in corso e ne anticipa il conto. CiRimetto ha già annoverato il tenente Màtt Ferguson tra i benefattori dell’umanità. Non solo… offre al militare britannico un bicchiere di vino rosso.
Assieme brindano alla vittoria degli alleati e alla sconfitta dell’Asse.
Pare proprio che la presa del paese da parte dell’8ª divisione britannica sia consolidata. Nazisti e fascisti se la sono squagliata. Avevano anche pensato di dar fuoco al paese ma non hanno il tempo di portare a termine il loro intento.
Adesso Medicina (antico borgo a 25 km da Bologna sulla direttrice per Ravenna) può dirsi liberata. Da diverse direzioni spuntano gruppi di persone con fazzoletti rossi al collo e bandiere tricolori. Molti di questi sono partigiani.
Il prof. Alberti e la sua famiglia
Il paese è ancora deserto. Ancora terrorizzato dai nefasti rumori delle cannonate.
C’è però qualcuno che sta rimettendosi in movimento.
Ha appena messo fuori la testa dal suo rifugio blindato che si è costruito nei pressi della casa e sta aggiustandosi la cravatta ed infilandosi la giacca. Molto probabilmente ha qualche impegno importante. Occhiali, portafogli, la penna stilografica.
È il professor Ubaldo Alberti, medico chirurgo in un ospedale della Svizzera, assunto quale ragioniere con il nome di Marco Balducci in un’azienda conserviera di proprietà della Curia Arcivescovile di Bologna.
L’Alberti/Balducci è sfollato da Bologna. Con la famiglia ha trovato riparo in una casa colonica di proprietà della parrocchia del Santo Suffragio. Al limite del centro storico del paese. Qui non c’è nessuno che lo conosca e questo è importante. Perché il professor Alberti è un militante dell’antifascismo e qualcuno l’ha avvertito che l’OVRA (Opera Vigilanza Repressione Antifascismo: il servizio di informazione dello Stato fascista) è da lui incuriosita. Oltre a ciò, di malefatte il Professore ne ha ben un’altra, molto più grave: ha sposato una nata ebrea. Nessuno lo sa, né deve sapere ma è così. Frutto di quel matrimonio è Elena[AJN1] , una bella puledrina di 17 anni che non solo condivide le idee liberali di papà ma senza che la famiglia sappia, si è inserita in una catena che fa giungere ai partigiani rifugiati nella campagna, messaggi in codice e informazioni sull’avanzamento del fronte e come si muovono tedeschi e fascisti. Il suo compito è quello di trascrivere i messaggi cifrati che trasmette RadioLondra e passarli a un’altra persona che provvederà a farli giungere, in maniera concatenata, a destinazione. È un’iniziativa di alcune donne del paese che hanno i loro uomini alla macchia nella campagna.
Quel 16 aprile del ’45, Elena sente finalmente il profumo della libertà e va in paese dove ormai sono arrivati anche i mezzi pesanti degli alleati. La popolazione arrischia a mettere la testa fuori dalla casa, dopo aver superato i timori generati da alcune false novelle messe in giro dai fascisti: “Fra le truppe alleate ce ne sono che provano gusto a saccheggiare e a stuprare. Non risparmiano neppure le vecchie”.
Elena e il tenente Ferguson
Elena vuole inebriarsi di quella libertà che ha tanto sentito citare da papà suo, ma di cui ancora non ne ha avuto percezione. È questo desiderio che la fa muovere, camminare, svolazzando. Saltellando gioiosamente, senza curarsi molto di quello che le sta attorno. Ed è che, all’imboccatura della piazza, va a scontrarsi con il tenente Ferguson che, chinato, sta fotografando alcuni cittadini che addobbano tutto quello che possono con le bandiere degli eserciti liberatori.
«Oh, my God! – La ragazza cade e lui l’aiuta a risollevarsi – Excuse me Miss… » Elena che non ha subito neppure un graffio nella caduta, gli risponde allegramente in un buon inglese.
Màtt Ferguson, abbandonato il sacco con i suoi effetti nella stanza della locanda è uscito per trovare qualcosa che non abbia nulla a che fare con la guerra, con cui riempire il tempo del riposo. E cosa c’è di meglio che quattro chiacchiere con una bella ragazza, che oltretutto parla la sua lingua.
Il tenente Ferguson non ha che vent’anni ed è da sei mesi in zona operativa. Nasce un dialogo che finisce con l’invito per una bibita a casa Alberti. «Mamma e papà si saranno felicissimi di offrirti una buona bibita.>
In quei difficili e grami momenti l’unica bibita a disposizione nella casa è quella dello sciroppo di tamarindo con l’acqua fresca. Quasi un medicinale.
Il professor Alberti si blocca sulla porta vedendo arrivare la propria figlia con un ufficiale britannico. È un’emozione per lui. Accoglie l’ospite con entusiasmo Lo fa accomodare. Mamma Sarah è ancora più espansiva, soprattutto quando apprende dal ragazzo che pur dichiarandosi non praticante, anche lui ha una mamma ebrea. È cresciuto nel rispetto del Talmud.
Viene servita la bibita: acqua con estratto di tamarindo. Lui racconta di sé. Può tranquillamente parlare nella sua lingua che tutta la famiglia comprende. Studia ingegneria. Non ha la fidanzata. E sicuramente non l’avrà fintanto che non si sarà laureato. Quando l’armata raggiungerà Bologna avrà diritto a un mese di licenza e tornerà a riabbracciare i suoi.
Il professore non manca di metterla in politica e racconta un po’ di quello che hanno subito gli antifascisti in Italia. Màtt, che poi si chiama Matthew, condivide le idee e le speranze dell’Alberti. Tutti e due iniziano a sognare, ad alta voce, un futuro in cui le forze della guerra saranno zittite e i popoli potranno, anziché combattersi, cooperare fra di loro.
Fuori, in strada, un gruppo di persone sta cantando l’Internazionale.
Al Professore viene in mente che deve partecipare alla riunione del CLN (Comitato di liberazione Nazionale) che si sta convocando in municipio. Si accomiata in fretta e furia e suggerisce alla moglie Sarah di invitare il tenente per la cena serale.
Elena che per tutta la discussione è rimasta ad osservare i bei lineamenti di Màtt, esulta vistosamente quando lui accetta. Nel suo ancora acerbo corpo le si irrigidiscono i capezzoli. Il biondino tenente le sta entrando nel sangue.
Màtt, però, deve assentarsi. Ligio alla disciplina militare deve comunicare dove trascorrerà la serata. Elena, figliuola sempre obbediente, ottiene da mamma Sarah il permesso di accompagnare l’amico liberatore.
I due, come libellule, svolazzano per tutto il paese. Màtt fa tappa anche alla locanda dove alloggia. Acquista tre bottiglie di vino rosso da portare alla cena e sale un momento in stanza per recuperare qualcosa che ha in valigia. Elena lo attende da basso. Il gretto CiRimetto gli si avvicina e gli fa capire che se deve portare in stanza la fanciulla, per lui non ci sono problemi. Màtt va su tutte le furie e minaccia il locandiere con la pistola. Concludendo la sfuriata gridando: «Testa di cazzo… se osi un’altra volta mancarle di rispetto ti scarico tutti i colpi dell’Enfield nel cranio.» Elena che un po’ in disparte ha assistito e intuito l’oggetto della scenata ha un sussulto: “Dove mai avrà imparato quella frase, ‘testa di cazzo’.” Ma ha anche la conferma di non essere indifferente a quel bel ragazzo.
Il rientro a casa sarà tutto mano nella mano.
Si cena con RadioLondra
Mamma Sarah ha apparecchiato la tavola appena fuori dalla casa, nel cortile. Con il ritorno di Màtt, adesso sulla tavola ci sono le tre bottiglie di Sangiovese e ci sono anche le scodelle in attesa delle tagliatelle che mamma Sarah ha appena tirato col mattarello sul tagliere. Papà Uberto, nel rientro è riuscito a recuperare un salame, un coniglio, un melone e una ciambella che da quelle parti si chiama brazadèla. Per quei duri mesi in cui il mercato nero detta legge, è una tavola da nababbi.
La cena inizia in un clima di allegria, come si addice alla cena della Liberazione. E perché no al sorgere del primo flirt di Elena che sente sul suo corpo gli sfrigolii di una passione che sta covando in lei.
Papà Uberto è loquace: racconta tutto quello che è stato detto alla riunione del CLN: le speranze… Le strategie… Le prospettive.
Màtt sa che il giorno dopo sarà ancora in combattimento al fronte ma non lo dice. Si gode la serenità della serata e se tutto andrà bene pone le basi per un ritorno da lì a poche ore. Elena è seduta di fianco a lui.
Mamma Sarah e papà Uberto si assentano. Una mano di Matt vola su quella di lei, l’altra in basso, sotto la tavola sul suo grembo. I due si guardano con un sorriso consapevole.
Sono le nove e fra un po’ RadioLondra farà sentire la sua voce. Finalmente potranno ascoltarla a tutto volume, così anche i vicini potranno sentirla, senza preoccuparsi del fascistone che abitava di fianco, dal momento che sono già venuti i partigiani a prelevarlo. Papà Uberto cerca di sintonizzare l’apparecchio radio per captare la trasmissione. Mamma sta cercando di guarnire il melone in modo che non sembri un semplice melone. I ragazzi hanno così tempo di prolungare il loro momento estatico che andrebbe sicuramente oltre ma che si interrompe quando echeggia la sigla della captata RadioLondra. E si leva un brindisi alla vittoria. Tutti si abbracciano, mamma Sarah bacia sia la figlia che l’ospite. Tutti si riabbracciano vicendevolmente. Elena ha le labbra che tremano mentre le appoggia, indugiando, sulla guancia ben rasata del tenente Ferguson. Mamma Sarah osserva la scena con benevolo sorriso.
Sono quasi le 11 quando il professor Alberti si accomiata: «Scusate ma se tutto va bene domani dovrebbe venir liberata Bologna e io devo preparare un po’ di materiali da far stampare. Ci ritroviamo tutti a Bologna.» e dà al tenente l’indirizzo di casa sua: via Ugo Bassi 9. Se ne va anche mamma Sarah, che lascia i due ragazzi sotto quel plenilunio tentatore.
Plenilunio tentatore
Altro che tentatore! Rimasti soli, lui spinge Elena contro al muro e le è subito sulle labbra con le sue. Lei gli si stringe fortemente contro e più sente premere, qualcosa di consistente contro il suo ventre, più lei va dietro a quella pressione. Le lingue si incontrano, si conoscono, dialogano.
Di stelle ce ne sono a bizzeffe, se qualcuno mai volesse romanticheggiare.
Mamma Sarah si è ritirata ma non è sparita: da una finestrina a lato della porta, osserva la mielosa scena con una certa soddisfazione. Vede la sua ragazza mettere in pratica tutte le anticipazioni che lei stessa le aveva fatto, su quello che le sarebbe capitato quando sarebbe stato il momento di vivere una passione amorosa. E sa anche che di lì a poco i due si sarebbero accomiatati e questo in cuore suo, ripensando a suoi trascorsi, sa quanto sarà doloroso.
Le viene un’idea.
Dopo un ultimo abbraccio e bacio, e dopo averle detto l’immancabile «Ritornerò!», lui sta voltando le spalle alla lacrimante Elena. È allora che mamma, esce gridando a Màtt di fermarsi: «Ho avuto il cupo presentimento che rientrando un cecchino ti avrebbe colpito alle spalle. Non andare. Resta qui a dormire. Abbiamo la stanza nel lucernaio dove abbiamo tenuto per ben due mesi l’aviatore americano abbattuto. Potresti dormire lì.»
È una proposta così repentina che sorprende il bell’inglese: guarda allibito le due donne. Non riesce a pronunciare quel “Sì” che vorrebbe dire. Quel “Sì” come ne sta dicendo tanti, Elena, in una sorta di giaculatoria propiziatoria: «Sì…Sì…Sì. Dai Matt, resta qui con noi» e nonostante la presenza di mamma sua, gli salta al collo baciandolo ripetutamente, qua e là. A questo punto, a lui non resta che seguire le due donne che gli fanno strada su per anguste scalette di legno fino a quello che è stato il nascondiglio del pilota americano.
Il nascondiglio del pilota americano
È una stanzetta in cima all’edificio. Ha una piccola finestra, non visibile da sotto, con cui si ha un’ampia visuale dei dintorni, tanto da poter controllare chi va e chi viene. Pulita, ben tenuta, ha un essenziale arredamento e addirittura un minuscolo servizio con wc e doccia. Il letto è una robusta rete appoggiata a terra, già pronta all’uso con materasso, lenzuola e coperte.
Mamma Sarah gli chiede se può essere di suo gradimento. Màtt non ha dubbi e la bacia per ringraziarla.
«Mamma posso stare ancora qui un po’ a chiacchierare con Màtt?»
È quello che mamma Sarah si aspetta. Non ha ancora deciso se accondiscendere ma lo fa, vedendo la gioia sul volto della sua ragazza. Una gioia che ben poche volte ha potuto riscontrare da quando sono sfollati. Sa che Elena è una ragazza sensata che sa dominare le naturali pulsioni della sua gioventù. Fra loro c’è tanta intima confidenza. Da tempo si sono parlate in maniera franca di quel che avverrà quando incontrerà l’amore: la passione, il desiderio, il piacere. Da un po’ la ragazza si sta predisponendo a qualcosa del genere. Già da tempo le ha confessato di sentire fremiti nel basso ventre e il desiderio di accarezzarsi proprio lì. E lei, donna di cultura con ampie aperture mentali, le ha detto che a quell’età può essere lei stessa a placare quelle pulsioni con proprie carezze. E che poi sarebbe stato l’amore a provvedere.
Mamma Sarah se ne va senza neppure rammentare alla figlia comportamenti e prudenza.
Il risultato: un lungo abbraccio e un grande bacio tra i due – possiamo dire – innamorati.
Quando riprendono fiato il più turbato fra i due è sicuramente Màtt. Ha fra le gambe un pezzo di marmo che oltretutto pulsa. Vorrebbe confidarsi con la nuova amica ma non ha la confidenza che ci vorrebbe per parlare di certe cose. Ha caldo. Si toglie scarpe e calze. Appaiono i suoi piedi. Per giunta la ragazza gli fa: «Che bei piedi hai! Piacciono da matti a me, i tuoi piedi. Posso accarezzarteli. Lo faccio sempre con mamma.» Màtt sorpreso e confuso si sdraia e lei prende ad accarezzarglieli? Il marmoreo fallo non sa più cosa fare per indurirsi ancora di più. Elena, procede con le sue carezze. Si leva di scatto Màtt, slaccia ogni bottone della camicia e se la toglie restando a torso nudo. Elena rimane incantata innanzi a quella esposizione di muscoli. Lui ha un guizzo satanico nelle pupille. Le prende i polsi e fa per trarla a sé. Lei si libera. Le mani le servono per fare altro: si toglie la veste e restando solo con la corta sottoveste, si va a sdraiare già sotto alle coperte. È lui, adesso, a rimanere incantato da quella visione. Quel corpo è molto meno da ragazzina di quel che sembri. Ha gambe diritte e cosce piene. Esile nel tronco si allarga nel bacino, dimostrando tutta la sua femminilità. Si scompiglia la bionda chioma, il tenente, poi… Perché mai indugiare? Via, anche lui sotto le coperte ad allacciarsi a quel corpo che ora è ben consapevole di essere già di donna. Sei mesi di campagna militare con diversi combattimenti sono una dura prova per un ragazzo di 21 anni abituato agli agi della buona società londinese. C’erano sì state le notti brave nei bordelli delle città conquistate ma lì non aveva certo trovato quel calore che sente ora sotto quelle coperte. Le carezze delle mani di lui si fanno più intense e anche le labbra vanno ben oltre la bocca… Giù per il collo, sulle minute spalle. Elena è tutta un fremito con folate di brividi soprattutto a fior di pelle dei piccoli seni. L’infoiato britannico cala le bretelle della sottoveste e la sua bocca impazza su quelle acerbe tettine, mandandola in visibilio…
Gli tiene stretto a sé il capo e intanto gli confessa di volergli già bene. La sottoveste è già finita sui ginocchi, quando lei se ne libera. Così come lui, i calzoni.
Ormai il programma della serata è stabilito.
Riabbracciati, si fanno qualche reciproco complimento. Qualche risatina. Le bocche si schiudono e la ricerca del piacere ricomincia. Per Màtt deve ripartire dai seni che tanto lo affascinano. La lingua stuzzica i minuscoli capezzoli per poi disegnare ghirigori sotto di essi e giù fino all’ombelico.
Sempre con una certa violenza il piacere, ancora, conquista la bella Elena. Che in quella seconda ondata non essendoci più di mezzo i calzoni, impatta contro il duro arnese che gli si erge tra le gambe.
Dal vivo, in un uomo adulto non lo ha mai visto. Mamma le ha spiegato il bene che può fare ma anche tutti i lati negativi. E soprattutto che senza la consolidata presenza dell’amore crea solo drammi e tragedie. Ma lì, secondo lei, di amore ce n’è tanto. Così nel calore di quegli abbracci, nella dolcezza di quell’incontro, non le pare vero di allungare la mano per andare a farne conoscenza:
«È bollente! – esclama stringendoglielo – non è che hai la febbre?» E intanto glielo accarezza. Màtt stringe i denti. Quella spontanea attività manuale rischia di farlo venire, subito, fra le sue mani.
La lingua di lui sta già leccando l’ombelico. L’elastico delle mutandine di lei è lì a qualche centimetro… Via l’orologio che è rimasto al polso e la sua mano viola quell’ultimo baluardo. Accarezza il ventre e prende conoscenza con il sottile vello che gli indica la strada per la figa (in inglese: pussy). “Vuol dire che le piace.” pensa il tenente Màtt William Henry Ferguson rilevando, da già conoscitore dell’argomento, che è ben umida. “E allora… perché non farglielo piacere ancora di più?” E dopo qualche delicata carezza, un dito si dedica a trovare il punto giusto in cui entrare in lei. Elena lo agevola allargando le gambe e il britannico dito medio entra con grande garbo in lei. Ne prova un piacere immane. Sussulta. Si stringe tutta su quella mano e addirittura molla l’esplorazione del cazzo d’oltre Manica per concentrarsi e assaporare fino in fondo il godimento che le sta dando proprio quella mano. È la prima volta che qualcuno glielo procura. Màttew William Henry Ferguson, indipendentemente dai traumi che un giovane, tolto dall’agiatezza della propria famiglia, possa venire sconvolto dalle dure vicissitudini della guerra, è comunque un godurioso. Costantemente alla ricerca di un decente orgasmo in cui stemperare le dure immagini che in quella guerra è costretto ad assistere. Elena, oramai, è avvinta a lui e sta marciando a grandi passi verso il proprio orgasmo. Lo brama con impazienza e spinge con tutti i muscoli pelvici per andarvi incontro. Màtt intuisce che la prugna è cotta, riesce a mantenere la mano nella crepa e ad inserirsi con l’uccello fra le cosce di lei sfregandolo con libidine.
Se siete dei provetti trombatori, anche dotati atleticamente, comprenderete la difficoltà di quella figura erotica. Considerate però che il baldo tenente non aveva più di 21 anni e non solo l’operazione gli era riuscita ma era anche stato capace di eiaculare in sincronia con l’orgasmo di Elena.
Un bel po’ di coccole e i due, uno di fronte all’altra si ammirano nudi facendo gli elogi a questa o quella parte del corpo dell’altro:
«Quando iniziano a dardeggiare, i tuoi occhi sono irresistibili», lui.
«Quando le muovi su di me, le tue dita emettono un fluido che mi stordisce con diverse sensazioni di piacere. » Gli prende la mano che l’ha fatta godere e gli bacia il dito profanatore. Il che gli suscita un suggerimento:
«Vieni che ti faccio provare qualcosa a cui forse non hai mai pensato.»
La fa adagiare sul letto… Un cuscino sotto al bacino per tenerlo un po’ sollevato. Le cosce ben aperte. Qualche carezza proprio lì…, le labbra sopra alla crepa e la lingua che cerca di entrare. Elena si riaccende tutta e accarezzandogli la bionda chioma lo benedice usando un versetto del Talmud che le ha insegnato mamma. È il dovuto ringraziamento a Javè per un inconfessabile beneficio ricevuto. Sentendo quella citazione che ben conosce anche lui, Màtt solleva il capo, le sorride e si rituffa, ancora con più passione, fra le roride carni della sua pussy. La dolce Elena viene ancora… Eccome che viene! Questa volta anche gridando tutto il suo piacere. E, appena ridiscende dall’ultimo sussulto… via, a brancare il cazzo (in inglese, dick) di lui per dargli altrettanto piacere. Lo bacia. Se lo gingilla un po’ fra le labbra. Ma non sa da dove cominciare e non vorrebbe neppure rischiare di fargli male. Le scappa da ridere. Lui comprende che i tempi non sono ancora maturi e…: «Se vuoi darmi piacere puoi fare con le mani. Sei stata molto brava, prima.» Così è Lei che sfregandoselo anche contro le tette, inizia a snocciolargli il glande, aumentando la velocità. Non passa molto e si ritrova la mano che gocciola della stessa sostanza che prima, lui, le ha lasciato fra le gambe.
Mamma di questo le aveva detto qualcosa ma non specificato bene. Màtt nel rilassarsi le sta spiegando tutto.
Da non molto lontano cominciano a riecheggiare scoppi e spari. Dalla finestra, tramite i bagliori, Màtt ipotizza che siano a 7 – 8 chilometri di distanza. E si rabbuia nell’espressione.
«Ci sono tuoi compagni là che combattono. Vero?»
«Forse anche. Noi dovremmo entrare in azione domattina attorno alle sette… Grazie alla tua famiglia stasera siete riusciti a farmelo dimenticare. Tu, adesso, con il tuo amore mi hai dato la certezza che anche se andrò in combattimento, tornerò sicuramente per amarti. Te lo posso giurare perché sono sicuro di tornare.»
Quello di lei è uno scroscio di lacrime:
«Inventati qualcosa. Fai in modo che tu non debba essere là. Io… dopo stanotte non potrei più stare senza di te… Ti prego… – Poi – Facciamo una cosa… Adesso tu mi prendi completamente e cerchi anche di darmi un figlio, così domattina sarai sicuramente al massimo della prudenza e io sarò più sicura di tornare a fare l’amore con te.» Abbracciati piangono tutti e due.
[N.d.A.: Forse oggi non sarebbe andata così ma allora eravamo nel ’45 e i valori erano completamente diversi.]
«Sarò sicuramente molto prudente anche senza avere un figlio mio nel tuo ventre. Sono figlio di un militare che nella Prima guerra mondiale ha combattuto ed è stato ferito in Francia. Il padre di mio bisnonno è morto sul campo di Waterloo combattendo i francesi. Non potrei mai sottrarmi al mio dovere e consegnarmi al disonore dei vigliacchi. E proprio perché ti amo non voglio approfittare di una situazione difficile per un momento di piacere. Tanto so per certo che potremo farlo anche solo fra poche ore in una situazione di grande gioia, sotto i buoni auspici della vittoria.»
Rimangono ancora circa tre ore ad amoreggiare, aspettando assieme l’alba.
Il sergente O’Connor
Quando mamma Sarah rincontra la sua bambina, è sicura di non aver più a che fare con la stessa ragazza, anche se lei tiene subito a rassicurarla «Mamma, sono sempre quella di ieri sera. Non ti preoccupare. Ho solo qualcosa in più: sono innamorata.» E lo dimostra.
Non mangia e rimane tutta la giornata nella stanzetta in cui ha vissuto la notte con il suo innamorato. Sempre al davanzale del piccolo finestrino. Guarda verso dove si sente ancora infuriare la battaglia. Mamma le porta su qualche frutto, qualche fetta di ciambella e prova a farla ridiscendere. Niente da fare. Scenderà solo quando mamma le griderà che si è fermata nel cortile una Jeep militare.
Il sergente O’Connor era un’istituzione nella 8ª divisione britannica. Aveva l’ingrato compito di comunicare le notizie sgradevoli alle famiglie dei militari.
Il sergente O’Connor era uno specialista di questa funzione e la svolgeva con grande umanità. Molto attento agli aspetti psicologici dei suoi messaggi.
Il sergente O’Connor, inoltre, aveva la capacità di sciorinare la lingua italiana in maniera imprecisa e grottesca e la prima cosa che normalmente suscitava era un atteggiamento ironico da parte di chi l’ascoltava.
«Avrei un messaggio del tenente Ferguson per la sua fidanzata – mamma Sarah e il professor Uberto si guardano un po’ sbalorditi. Intanto arriva Elena– Lei è la fidanzata di Màtt?»
«Sì, sono io – senza esitazione e in inglese. Così che, il solerte sergente, aveva continuato nella propria lingua – Màtt dove è?»
«L’ho appena consegnato alle suore dell’ospedale civile. Ha una ferita non importante ad una coscia ed è un po’ bruciacchiato qua e là. Dovrebbe cavarsela in pochi giorni. Tutto sta quando lo operano. – sbatte i tacchi – Ecco, in concreto è questo il messaggio che dovevo portarvi: è ferito ma tutto sommato sta bene.» Se ne va.
Il professor Alberti si è già infilato la giacca. Anche se sono due anni che non ha toccato più il bisturi, è pur sempre un chirurgo… e che chirurgo! «Vado all’ospedale a vedere come lo vogliono conciare.» Elena e mamma gli sono subito dietro. L’ospedale è a poche centinaia di metri.
Il tenente Ferguson è sdraiato su di una barella. Gli hanno tolto i calzoni e ricoperto con un lenzuolo. In attesa che qualche medico si occupi di lui. Da un taschino della divisa, lui ha estratto una piccola borraccia e sta svuotandola dal contenuto: whisky. È già la terza che secca. Le altre gliele hanno date i ragazzi del suo reggimento quando l’hanno tirato fuori da quella trappola di granate incendiarie. Quindi è completamente sbronzo. Non una bella figura di fronte alla famiglia di colei che lui va in giro indicando come sua fidanzata. E così quando il professor Alberti, a cui hanno fatto indossare anche un camice, si china su di lui, lui lo abbraccia, chiamandolo familiarmente, «Papy ». E papà va subito a vedere la ferita, scostando il lenzuolo. In quel momento arrivano anche le donne di famiglia. Elena di fronte a quella semi nudità tutta intrisa di sangue, ha un pensiero per quella povera cosa che vede fra le gambe del suo eroe: “Speriamo bene che non abbia, lì, ripercussioni”.
«Ma professore, ci sono donne qui attorno al ferito!» Una suora fa sloggiare Sarah ed Elena, che però riesce a scambiare un bacio con il proprio innamorato.
«In che mondo mai andremo a finire… Almeno fino a ieri l’altro…» sempre la suora.
In sala operatoria, visto che feriti ben più seri continuano ad arrivare uno dopo l’altro, va a dare una mano anche il professor Alberti che, a notte fonda, può staccare, dopo una dozzina di interventi. Ottiene anche di portarsi a casa il ferito da lui operato. Due commilitoni del tenente glielo barellano fin dentro casa. Elena piange di gioia. Lo bacia subito e le sembra di baciare un’altra cosa. L’eroico tenente Ferguson è sbronzo duro e non si rende conto né dove sia, né di cosa gli sia capitato. Di tanto in tanto pronuncia in una specie di rantolo «Figa» eil nome di Elena. Poi cade in un profondo sonno. L’alloggiano nella stanza di Elena. Lei, torna alla prima infanzia: fra mamma e babbo nel lettone.
Tutti in via Ugo B assi 9
Sul torrente Gaiana, 7 km verso Bologna, i tedeschi si sono riorganizzati e fermano gli Alleati. Saranno due giorni di duri combattimenti finché il comando alleato non fa intervenire i mezzi corazzati che rendono sicuro il percorso fino alle porte di Bologna. In cui entreranno solo il sabato 21 aprile.
In quei pochi giorni il professor Alberti e la sua famiglia accudiscono con grande cura il tenente ferito. Utilizzando mezzi di fortuna e quei medicinali che possono trovarsi nell’infermeria della divisione britannica. Molto fa mamma Sarah, bollendo lembi di tela per renderli sterili per le medicazioni. Due ogni giorno, a cui lo sottopone il vigile professor Alberti. Anche Elena è attiva in quell’improvvisata infermeria. E quando i genitori per una ragione o per l’altra si allontanano dal capezzale del ferito, lei provvede a sostenerlo con un po’ di respirazione forzata bocca a bocca. Ma non manca di andare a controllare che non troppo lontano dalla ferita sia ancora in buona salute il suo uccello. Màtt, che non deve assolutamente muoversi se lo ritrova bello e duro, senza poterci far nulla. Addirittura, un paio di volte la ragazza non resiste al ricordo di quell’unica notte d’amore con lui e glielo bacia.
Il professor Alberti ha estratto dalla coscia del giovane la corposa scheggia di granata. Non avendo a disposizione apparecchi radiologici non ha potuto controllare se ne fosse rimasto qualche residuo e che non avesse lesionato nervi o ossa. Non vede quindi l’ora di poter portare il ferito a Bologna per sottoporlo ad una radiografia. Ma per questo deve attendere che la città sia liberata e le comunicazioni ripristinate. Si dà comunque da fare e trova come portare il ferito, con il minimo di sobbalzi e sofferenze, nella sua casa di città. Cosa che avviene solo il 23, ovvero due giorni dopo la liberazione.
Fortunatamente il loro appartamento nel centro della Città non ha subito né danni, né occupazioni di profughi. È ancora così come lo hanno lasciato due anni prima. Un po’ polveroso ma sempre comodo e spazioso. Oltretutto quel giorno, la corrente elettrica funziona e possono far salire il ferito comodamente con l’ascensore. Viene alloggiato in una luminosa camera di fianco a quella di Elena. Sempre il Professore è premurosamente vigile al capezzale del suo paziente e nel frattempo non gli pare vero di illustrargli le complesse prospettive politiche che lui ipotizza per l’Italia.
Anche Elena è quasi tutto il giorno al suo capezzale. Anche se gli argomenti sono di ben altro tema. Quasi ogni giorno, i due colombi si giurano eterno amore. In Lei non manca il fuoco del desiderio che la divora. Al che, lui non deve far altro che scostare il lenzuolo per metterle innanzi agli occhi che il suo non è da meno. Un veloce sguardo per controllare che i genitori siano nelle loro faccende, molto affaccendati e lei infila la mano sotto la coperta. Ha imparato alla perfezione come menare il bigolo con la massima discrezione.
«Dio che manina che hai!» Sospira lui. Socchiude gli occhi e si rilassa estatico, in attesa che il vortice invada il suo prepuzio e lo sperma risalga per schizzare nel fazzoletto che Elena ha già pronto nell’altra mano. A lei piace osservarlo mentre si irrigidisce, trema e si crogiola nel godimento. È eccitatissima. Sente che anche la sua passera partecipa a quella fornicazione e già si sente bagnata sotto. Tutto previsto. Ha chiesto lumi a mamma che, un po’ arrossendo, le ha dato, senza ipocrisie, i giusti consigli. Tant’è che ha lasciato le mutandine nella propria stanza. Basta solo che slacci un paio di bottoni della gonna e la mano di lui è già, lì, fra le sue cosce. Accarezza e penetra anche con un secondo dito. È delicato e deciso. Ci vuol poco per stordirla, portarla all’orgasmo e sentirla balbettare incitamenti e lai d’amore.
Il desiderio non si cheta per niente, in loro. Lui, se lo sente ancora duro, lei, palpitante. Si guardano quasi con disperazione. Nei loro sguardi si legge lo sforzo che ognuno sta sostenendo per non commettere azioni improvvisate. «Aiutami anche tu ad essere forte. Sento che saranno solo poche ore dalla totale ripresa. Domani tuo padre mi accompagnerà in un ambulatorio radiologico dove potrà vedere se tutto è proceduto come doveva. Se sarà così, poi ci daremo alla pazza gioia. Vedrai che un giaciglio per sdraiarci assieme lo troveremo.»
«E tu tornerai a farmi impazzire con la lingua?… Dio quanto mi è piaciuto!»
Un ospedale a cui si deve trovare un nome
Appena arrivato a Bologna liberata, il professor Uberto Alberti si mette a disposizione della nuova Autorità Sanitaria che non vede l’ora di poter utilizzare questo importante chirurgo di fama internazionale. Andrà a dirigere un reparto in quell’ospedale moderno che solo pochi giorni prima portava il nome di “Ospedale Benito Mussolini”. Qui, funziona un’apparecchiatura radiologica e il professore gli invia subito il ferito di casa sua.
Un’ambulanza e due infermieri prelevano il tenente Màtt Ferguson e lo depositano nel laboratorio radiologico dell’Ospedale “A-cui-si-deve-trovare-un-nome”.
«Caro Màtt, debbo compiacermi con me stesso perché le radiografie mi dicono che sei sulla via di guarigione e debbo anche dirti che la maledetta scheggia krucca non ha lesionato: ne ossa, ne muscoli, né nervi – e con un sorrisino malizioso – né tanto meno quello che c’è lì attorno. Vedo tutto in ottima salute.»
Elena e mamma Sarah che sono presenti si abbracciano. Ad Elena, però, sfugge un quesito interessato:
«Quindi potrà avere tutti i figli che vuole.»
«Credo proprio di sì. Comunque, credo siano affari suoi. Adesso la prima cosa da fare è quella di rimetterlo in piedi.» Preme un pulsante, suona un campanello. Un attimo dopo si presenta un omone:
«Lui è Cesare. Un ex atleta ginnico che qui ha il compito di far alzare tutti i Lazzari che trova sul suo cammino. Glielo diamo in consegna per un’oretta e vedrete che ce lo riconsegnerà in posizione verticale.»
A lui, mamma Sarah consegna gli abiti del paziente che scaramanticamente si è portata dietro.
Alla notizia di tornare a vivere come aveva sempre vissuto, il bel tenente Ferguson, non gli pare vero di scostare il lenzuolo che ricopre le parti pudende per mettere giù i piedi dalla lettiga. Gli riesce solo per una manciata di secondi. Un’azione fulminea dell’infermiere Cesare, lo riporta sdraiato e ricoperto dal lenzuolo.
«Ma Tenente… Ci sono delle signore…» A Màtt Ferguson, avvezzo alla vita militare, soprattutto quella delle zone operative, aver messo in mostra pubblicamente le sue parti più intime, non produce alcun gesto di pudore se non un: «Sorry!» Per poi lasciarsi andare ad una risata.
Elena si limita a un pensiero orgoglioso: “Però, ha un bell’uccello, anche quando è moscio, il mio Màtt!”
Mamma Sarah, invece, fa un ragionamento un po’ più complesso che la fa arrossire: “Bimba mia, dovrai essere molto disponibile con un fusto così, attaccato alle chiappe. Non ti mancherà certo la concorrenza. Avrai gonnelle a destra e a manca, che cercheranno di succhiarglielo e portartelo via. Sinceramente se non fossi tua madre, e non fossi così innamorata di tuo padre, un giro di turismo sotto di lui lo farei volentieri… Sì… proprio un bel uccello!”
Dopo essersi permessa questo pensiero, Mamma Sarah…
[N.d.:… che è poi la bisnonna di chi vi sta raccontando questa storia]
…si rende subito conto che avrebbe dovuto vergognarsi di aver anche solo ipotizzato un siffatto adulterio.
[N.d.A.: A quel tempo la morale colpevolizzava il tradimento muliebre anche se avveniva all’interno della scatola cranica.]
Quindi non c’è da meravigliarsi se la bella donna si avvicina al marito, gli sfiora le guance con le labbra e gli sussurra qualcosa all’orecchio. Lui le sorride. Annuisce, si alza e prende la giacca dall’attaccapanni. Poi rivolto ad Elena:
«Non credo vi sentirete troppo soli se oggi non pranziamo con voi. Visto che il grande condottiero ferito sul campo, non ha più bisogno di interventi specialistici ma solo di amorevole riposo. Tanto che non avendo più pazienti diretti di cui preoccuparmi, io e tua madre abbiamo pensato di prenderci una boccata d’aria e di andare a trovare amici che abbiamo saputo, rientrati in Città dal loro esilio svizzero.»
Elena che a quelle parole ha già fatto un suo preciso piano per la giornata, stenta a nascondere un’espressione di gioia. «Credo proprio che sopravviveremo, papà.»
Mamma Sarah, fà di più… traffica nella borsa e mette in mano alla ragazza alcune banconote: «Se poi non vuoi che chi ha appena ritrovato la salute, debba rischiare di perderla con un tuo manicaretto, questi vi dovrebbero bastare per un paio di pranzetti alla Trattoria della Pera, che dovrebbe aver riaperto oggi.»
«Voi, verso che ora pensate di rientrare?»
«Sicuramente prima del coprifuoco, ma non troppo… Se ne sono andati subito dopo le leggi razziali… Di roba ne è passata! Per noi e per loro. Ce ne vuole per raccontarcele.»
«Salutami Hana – che è il nome dell’amica che andrebbero a visitare… Mamma le sorride ma le strizza anche un occhio in maniera complice. Elena ha capito tutto e glielo conferma con – Shalom mamy!»
Sarah sorride serena alla figlia. Sa di averle fatto intuire che mamma-sua corre ancora dietro all’amore e, intercettato il desiderio che arde in lei, crea un’occasione alla propria figlia per completare la propria iniziazione all’amore. Sì, perché lei e Uberto, quando erano fidanzati e si frequentavano, erano sempre sotto gli occhi vigili dei reciproci genitori o di qualche fidato parente che si prestava. La bella Sarah e l’aitante Uberto non avevano alcuna voglia di assecondare il falso moralismo delle proprie famiglie e avevano messo a punto una catena di complici che riuscivano a trovare sempre per i due innamorati un luogo discreto e gradevole dove stemperare la loro passione. Così, 20 anni dopo, mamma Sarah si prodiga a riattivare quella solidarietà, ripartendo proprio dalla cameretta sui tetti della casa di Hana, la sua amica del cuore.
A 40 anni, Sarah è una gran bella donna ed è già qualche giorno che Uberto le sta sempre più dappresso reclamando, con piccoli gesti d’affetto, una bella trombata con tutti i crismi della passione, grida di godimento comprese. Cose che con un baronetto e una figlia per casa, il pudore glielo impedisce.
«Ti piacerebbe sentirmi gridare come quando guardavo i tetti sotto, dalla soffitta di Hana va a sussurrare all’orecchio del marito, dopo che la fugace esposizione del cazzo di Màtt l’ha eccitata. Lui rammenta l’episodio e annuisce – E allora se mi vuoi seguire, si ripete. È già tutto organizzato.» Lui si alza e sale per comunicare in Direzione che quel pomeriggio non ci sarà. Lei ne rende partecipe la figlia con l’allusione che in fondo lo fà per lei.
Matt Ferguson ha seguito pedissequamente i consigli del terapista Cesare. Ha fatto alcuni esercizi da questo consigliati e adesso è di nuovo lì, innanzi alla sua amata per affrontare il tedio del giorno e nota le banconote che, arrotolate, stringe in una mano: «Money?»
«Oh, sì. Me li ha dati mamma perché ti seduca.»
«Seduca…?»
«Proprio così. Mamma ci offre il pranzo in una buona trattoria, dove troveremo dell’ottimo vino. Io te ne farò bere la giusta quantità e tu, inebriato, mi porterai in un talamo e mi prenderai. E io, finalmente, sarò tua.» Intanto lo stringe a sé. Lo bacia appassionatamente. In quel corridoio c’è una monaca che in grande velocità si fà tre segni della croce.
La Pera
La Trattoria La Pera è nel cuore della Città. Era stata un punto di ristoro per le milizie fasciste e la soldataglia tedesca.
Il giorno successivo alla Liberazione, la trattoria aveva chiuso e si era rinnovata. Qualche mano di vernice sulle pareti, da bianche ad azzurrine. Le tovaglie da un colore in tinta unita a una fantasia, una diversa dall’altra. Giusto quello che si era trovato purché diverso da quello che c’era prima.
Il menu, soprattutto tagliatelle. Il vino, non certo ottimo, come auspicato da mamma, ma comunque molto apprezzato dall’ufficiale inglese.
[N.d.A.:D’altronde cosa si può pretendere, in fatto di vini, da un britannico nel 1945?]
Nonna Elena, allora nei suoi 17 anni, è al massimo dell’euforia. Si compiace al braccio del suo ufficiale alleato, che leggermente claudicante, denota la sua attiva partecipazione alla Liberazione del Paese. Sul suo bel volto di ragazzina, nel lungo tragitto che li porta dall’ Ospedale “A-cui-si-deve-trovare-un-nome” al Centro-Città, non smette mai di aleggiare il sorriso. È raggiante: vorrebbe gridare a tutti che è innamorata. Che quel giorno è il suo giorno: è il giorno in cui gliela darà.
Il tenente Ferguson è stupito dalla bellezza di Bologna. E quando attraversano punti dove edifici diroccati testimoniano la crudeltà dei bombardamenti e della guerra, non manca di commentare: «Che porcata! In una Città così bella!» e bacia Elena fra la gente. E la gente? Sicuramente, molti nel popolo avranno pensato: “Guarda mò i Liberatori, finisce sempre che ti guzzano le femmine di casa”. Ed è proprio quello che non smette di frullare per la testa di Màtt, sentendoselo sempre duro tra le gambe.
Le buone tagliatelle, lerce di ragù, offrono una tregua all’erotismo crescente nel ragazzo. Ne è conquistato e chiede il replay. Ma con il successivo bicchiere di vino rosso torna la prospettiva di quel pomeriggio: «Ma ci hai fatto mettere un filtro d’amore, in questo vino?»
«Se c’è, ce l’ha fatto mettere mamma. Io non ne ho bisogno.» Si guarda attorno e di soppiatto, con la mano sotto al tavolo va ad esplorare fra le gambe di Màtt: «Mamma mia, se t’è venuto grosso! Non ce la faccio più ad aspettare…»
«Sarà tutto tuo, bambina!»
I due non st anno più… lei, nella pelle… lui, nelle palle. Un ultimo bicchiere di vino. Rifiutano le successive portate. Pagano, poi, via… Mano nella mano, quasi di corsa. Fortuna che la casa non è lontana.
«Mmmhh Màtt! Nudo e ferito me la fai tirare di più.» Elena è uscita, così come mamma l’ha fatta, dal bagno dove ha preso una doccia. Màtt la sta aspettando, accarezzandoselo di tanto in tanto mentre dalla finestra guarda il via vai sottostante.
Si abbracciano. Si sfregano l’un l’altra in un crescendo di sospiri e sensazioni. L’abbraccia e da dietro le prende le tette. Lo infila fra le cosce, partendo dalle natiche. È bello duro e in tutta la sua lunghezza si affaccia proprio sotto la figa e il culo. Lei mugola qualcosa di non ben comprensibile. Gli snocciola il glande mentre, appoggiata completamente a lui, gli dà l’ordine d’attacco: «Adesso Màtt… Prendimi!»
Màtt si stacca da lei che si lascia andare sul letto. L’unica cosa che sa è che deve tenere le gambe ben aperte. La figa è ben irrorata. Lui è in ginocchio innanzi a quel eccitante proscenio e, con la punta del cazzo stuzzica le labbra della vagina. La sente calda, la vede invitante. Ci si affaccia col glande. Lei freme, ed è percorsa da brividi. Lui spinge un altro po’. Lei si irrigidisce e si aggrappa ai suoi fianchi. Lo sollecita. Il bacino di lei va verso di lui. Sente un po’ di dolore. È previsto. Si solleva leggermente per attaccarsi al suo collo e trarlo verso di lei. La sua bocca. Lui entra completamente. Un gemito. È ben caldo. Lui per un po’ resta in lei immobile. In lei comincia a farsi sentire il piacere. Si avvinghia completamente a lui. Le parole sono solo di amore e descrivono le sensazioni che stanno provando.
Lui inizia a muoversi. Si spinge fin in fondo… Si ritrae… Torna… E così via… Dando una cadenza pacata a quel ritmo. Poi lo scroto gli riempie il prepuzio di sensazioni. Il glande pulsa e richiama materia. Sente crescere a dismisura il godimento. Intanto Elena sta guadagnando tutti i livelli dell’orgasmo. È tenacemente aggrappata al suo uomo. Si stringe con tutto quello che può attorno a quella propaggine bollente che le sta dando godimento. Vorrebbe dire tante cose. Deve rimandare: la lingua di lui in bocca glielo impedisce. Lui si ritrae. Ora, lo sente appoggiato sul proprio ventre mentre è in piena eruzione. Non c’è che dire! “Sono momenti meravigliosi!”
La spalla di lui si apre. Il braccio si allunga. Il capo di lei vi si appoggia. Una comoda posizione per le labbra che si vogliono reciprocamente titillare.
Gliel’ho data
Mamma e figlia si abbracciano: «Stai bene, bambina?»
«Mai stata così bene.»
«Gliel’hai data?»
«Non potevo fare altrimenti. Era già in me da troppi giorni.»
«Come ti capisco. Sii accorta e felice. E dì anche a lui di esserlo.»
«Oggi è stato molto bravo… E a te come è andata?» Mamma e figlia hanno una grande confidenza. Come due amiche.
«Anche papà è stato molto bravo. Era un bel po’ che non lo si faceva così bene. Ma forse è stato solo colpa della guerra. Avevo anche pensato male. Pensa che appena siamo rientrati, adesso, mi ha detto: “Mi faccio una doccia, poi vado a sdraiarmi”. Che fra di noi vuol dire, “raggiungimi che ne facciamo un’altra”. Sempre il solito porco! Vado a vedere a che punto è.»
«Vado anch’io. L’ho lasciato che dormiva. Vorrei svegliarlo in modo carino. Bisogna che ci pensi.»
«Prova a baciarglielo. Tienilo un po’ fra le labbra. Accarezzaglielo sulla punta con la lingua. Fai uscire la cappella dal suo rifugio e agisci soprattutto sulla parte inferiore di questa. Fallo entrare in bocca più che puoi. E succhia. Lo sentirai tremare tutto e ti dirà cose meravigliose. Le tue mani dovranno accarezzargli delicatamente i testicoli e la parte inferiore. Le tue labbra dovranno andare su e giù lungo il corpo dell’uccello. Tieni sempre la lingua in movimento e succhia anche quando comincerà a zampillare nella tua bocca. Non interromperti. È tutta roba santa. Manda giù. Vedrai con che passione poi ti bacerà.»
«Secondo te, lui, mi leccherà la figa? Mi piace tanto.»
«È probabile. Tuo padre lo fa. Ma tu provaci: se son rose fioriranno.»
Sarah, orgogliosa della figlia raggiunge il professor Alberti già profumato e disteso sul letto.
Quando Elena apre la porta della stanza di Màtt non lo trova dormiente. Suppone che sia nel bagno e si siede sul letto. Due mani le prendono le spalle, la ribaltano e le aprono la vestaglia. La sua prugna e lì in bella vista. È un attimo. La bocca di Màtt è tosto sulla crepa. Il tempo di sussurrare il nome di lui e di allargare bene le cosce e già sente il piacere che le dà la lingua. A lungo gli accarezzerà la bionda chioma. A lungo sentirà la lingua vagare per ogni anfratto della sua figa e scoppierà di godimento. Deve aggiornare gli insegnamenti di mamma perché non sarà più un dolce risveglio. Tutto si dipana dal bacio che lei dà alla bocca che le ha procurato l’orgasmo…. Si stacca da questa e scende lungo il corpo di lui. La lingua si esercita in ghirigori sul torace e l’ombelico. Subito sotto c’è l’incontro con il cazzo, bello e irrigidito. Lo assaggia, lo solleva lo prende fra le labbra, poi dentro nella bocca e ripete la sequenza di attività che le ha anticipato mamma e che sono rimaste scolpite nella sua memoria. Tutto si svolge proprio come mamma Sarah ha ipotizzato: brividi, parole d’amore e diversi getti della più intima essenza di lui. Se ne appropria vorace e continua a succhiare, tanto che se ce ne fosse ancora, non andrebbe sprecata. Tutto finisce proprio come illustrato da mamma: il bacio di lui è imponente e interminabile.
Unica improvvisazione… la figa era già stata venerata.
La loro cena serale è quanto di più sacro possa celebrarsi in una famiglia. Il professor Alberti prima recita una preghiera per i commensali di fede cristiana e una per quelli di fede ebraica. Elena si fa prendere da un suo interiore stato di gioia e aggiunge un suo ringraziamento a Gesù, la Madonna e Javè, per aver fatto terminare l’odiosa guerra e dato tanta gioia a lei nei giorni successivi.
Questo è solo l’inizio della vita sentimentale di mia nonna Elena. Nata da famiglia ebrea nel 1928. Una bella femmina che ha spezzato tanti cuori e che, chi l’ha conosciuta trova che tanto assomigli a chi sta scrivendo. Scrittrice anch’essa. Non di porcheriole come la nipotina. Ha visto germogliare attorno a sé amori delle più disparate specie. Non ha mai ceduto al fascino di un matrimonio ma nel 1958 mette al mondo Ines, mamma mia, che poi nel 1988 produrrà la sottoscritta. Nonna Elena ci lascia nel 2010 ma tre anni prima non vede l’ora di raccontarmi fatti e misfatti dei suoi amori:
«Tu le storie sai cucirle come si deve e sai far rivivere i loro personaggi. Chissà che mentre tu le scrivi non trasmettano a me, ovunque io sia, quelle stesse sensazioni e piaceri che ho provato a suo tempo vivendole.… Dai, proviamoci.»
E io ci sto provando. Questa è la prima…
II
Nonna Elena e le ipotesi dell’amore
Il giorno iniziava molto presto in via Ugo Bassi 9
La famiglia Alberti, per la presenza in casa del biondo tenente britannico, conduceva una vita un po’ in disparte e molto ritirata. Questo, per impedire che malelingue mettessero in giro il pettegolezzo che la loro figlia viveva more uxorio con un soldato alleato. Non che non fosse vero ma nell’Italietta di allora, che doveva affrancarsi dal moralismo e bigottismo fascista, era meglio che non si sapesse e non se ne parlasse. Così, in pubblico i due piccioncini evitavano di scambiarsi gesti di affetto, ed essendo che quando erano in famiglia questo era un tutt’uno, evitavano di avere gente per casa. Comprese le persone che potevano aiutare Sarah a mantenerla in ordine. Così che, pulizie e gestione domestica erano tutte sulle spalle di mamma Sarah ed Elena.
Il giorno iniziava molto presto in via Ugo Bassi 9, con Elena che: un bacio al dormiente biondino e scivolava via da quel letto dove aveva goduto una notte di piacere, per infilarsi nella sua stanza e ipocritamente, a simulare, lì, il proprio risveglio.
Il tenente Ferguson veniva invece svegliato dal professor Alberti che, prima di andare in ospedale, gli cambiava le bende e gli rinnovava la medicazione: «Vedo che tutto sta cicatrizzandosi come si deve. Ancora una settimana e potremo togliere i punti.» Il bel Màtt si infilava nel bagno per tutte le mattutine faccende. Poi si ritrovavano tutti in cucina per la colazione.
Il professor Uberto, ecumenicamente, ringraziava Dio sia per i cristiani che per gli ebrei. Un assaggio alla colazione e via verso l’ambulatorio. Sarah ed Elena uscivano a cercare provviste ed Elena non mancava mai di tornare con un giornale in lingua inglese. In tutto il centro della Città era in funzione un’unica edicola che poteva averlo.
Era sempre una scena passionale quando, con una punta di malizia, lo consegnava al proprio innamorato. Un lungo bacio era la prassi di ogni giorno. Spesso capitava anche che Màtt le calasse le mutandine per dare alcune vigorose leccate fra i sottili peli del pube. Di seguito due dita non mancavano di farla venire. Non riuscivano mai ad andare oltre. Mamma Sarah era sempre in movimento per le stanze della casa. Era comunque il primo atto d’amore della giornata fra i due.
Elena parzialmente appagata si ritirava nella sua stanza. Aveva ripreso a studiare. Alla riapertura delle scuole si sarebbe iscritta all’ultimo anno di liceo per l’esame di maturità.
Matt Ferguson, invece, guardava con piacere la cicatrizzazione della propria ferita. La guarigione gli avrebbe fatto scattare la licenza premio e il ritorno nella sua Londra. Un traguardo molto ambito al quale dedicava molto tempo, facendo esercizi ginnici per ridare tono ai propri muscoli che avrebbero dovuto rilanciare la sua fama di promessa del cricket. Sport molto in voga nella sua Inghilterra.
Come è ovvio supporre, la preparazione atletica domestica si interrompeva quando nell’appartamento, rimanevano soli lui ed Elena. La ragazza, liberatasi dall’imene, aveva acquisito un appetito sessuale, forsennato. Non vedeva l’ora di mettere mani, bocca e figa in palio per una tenzone erotica. Appena mamma Sarah usciva dalla porta, si precipitava nella stanza del suo bene, sicura di venirne gratificata. L’età e le scarse attrazioni che il periodo postbellico proponeva, portava inequivocabilmente a quell’esuberanza.
Ruth e il dott. Baer
Lo stare molto tempo lontana dal sole e dall’aria aperta avevano conferito al volto di Elena un pallore riscontrabile nelle persone di cagionevole salute. Cosa che preoccupava il professor Alberti, tanto che aveva aggiunto alla dieta giornaliera della ragazza un bel cucchiaio di olio di fegato di merluzzo da prendere prima del pasto. Mamma Sarah, invece, aveva perfettamente intuito quale era la vera ragione e si limitava a raccomandare prudenza e accortezza. Anche perché, in cuor suo, pur se il tenente Ferguson le piaceva molto – tanto anche da desiderarlo fisicamente – aveva qualche remora che fosse l’uomo giusto per la vita di sua figlia. Non solo, ma Le frullava il sospetto che non avrebbe dato seguito a tutto quello che raccontava ad Elena nelle notti che passavano assieme – ovvero tutte – e che Elena, figliuola integerrima, raccontava, ogni mattina a mamma, mentre lavavano i piatti, assieme a tutti i dettagli della loro passione. Il timore era che tornato in patria si sarebbe dato perso. Un dubbio che tormentava il sonno di mamma Sarah ogni notte. Non ne aveva parlato con il marito che: «Tu pensi sempre al lato negativo di ogni persona.» Le avrebbe detto il buon Uberto. Lei, al contrario, aveva il presentimento che questa fosse la realtà e aveva trovato una tortuosa strada che verosimilmente le avrebbe dato le giuste informazioni su l’ipotetico pretendente.
Ruth Kaplan, stiracchiandosi, guardava il bel cielo di maggio innanzi alla propria tenda, nell’ospedaletto da campo allestito ai Giardini Margherita dalla Brigata Ebraica, agli ordini dell’8° armata britannica.
Non aveva l’espressione serena, in quel far del giorno. La bella Ruth. 25 anni, mora, rotondetta. Quando non portava la divisa da sottufficiale, si mostrava volentieri ed era tutta roba a cui guardavano con cupidigia i maschietti. Genere non molto apprezzato da lei: sì, perché Ruth sognava amplessi con belle e dolci lei. Possibilmente non bionde.
Ruth aveva vissuto la sua infanzia in Germania, da dove la sua famiglia se n’era andata al primo insorgere del nazismo. Trasferiti in Palestina, Ruth, appena in età, aveva sentito il dovere di partecipare al sogno di uno Stato tutto ebraico entrando nell’Haganah, organizzazione paramilitare ebraica. Con la costituzione della Brigata Ebraica e della sua entrata in combattimento sul fronte italiano (1944), era stata arruolata in questa come ausiliaria di sanità. Ruth aveva fatto studi di medicina. Il suo compito segreto era quello di aiutare gli ebrei italiani che volevano trasferirsi in Palestina, cosa per niente gradita agli inglesi che di quel territorio ne avevano l’amministrazione. Il suo piacere invece era quello di contribuire alla distruzione della Germania e all’annientamento di tutti i tedeschi biondi di capelli. Ruth, ancora fanciulla, aveva subito atti di violenza da coetanei tedeschi, biondi nei capelli.
Quella mattina, la bella ausiliaria ebrea aveva appena concluso un’azione, per lei non troppo piacevole, ordinatagli dai vertici dell’Organizzazione: nella notte, aveva giaciuto nell’intimità della propria tenda, con il maggiore Henry Stevens. Biondo ufficiale dei servizi britannici. L’obiettivo, quello di conoscere la sede del nucleo inglese che aveva il compito di impedire la migrazione di ebrei dall’Europa alla Palestina.
Obiettivo raggiunto: con la seconda sega, il Maggiore aveva iniziato a cantare e a descrivere quando e dove lui andava a prendere ordini. Come è ovvio pensare il Maggiore voleva andare ben oltre alla semplice masturbazione manuale ma, se c’è una cosa che proprio Ruth non voleva dare, era la figa a un biondo ufficiale inglese. Pur schifandosene aveva messo in atto un pompino quale arma letale. Rendendo il bigolo britannico moscio e inoffensivo.
Sputacchiando qua e là, aveva raggiunto la tenda dove era la mensa delle ausiliarie e finalmente aveva potuto sciacquarsi il palato con un abbondante razione di caffè. Adesso avrebbe dovuto far giungere a destinazione le informazioni che per il momento erano solo custodite nella propria mente.
In ghingheri, nella sua divisa di sottufficiale, dove era ben visibile la stella di David della Brigata Ebraica, si era diretta verso il centro della Città a quell’indirizzo che le era stato comunicato.
Il dottorUgo Baer aveva ripreso possesso della sua abitazione tre giorni prima. Per ben cinque anni era rimasto con la famiglia in un convento dei Servi di Maria sui colli bolognesi. Aveva sussultato al trillo del campanello. Ci aveva poi ripensato: “No, quelle robe lì non potranno mai più succedere. “ E si era ritrovato innanzi quella bella ausiliaria con la stella di David nelle mostrine. Si erano diligentemente riconosciuti vicendevolmente e l’aveva fatta entrare. Carta e penna alla mano Ruth aveva relazionato quanto cantato dal Maggiore Stevens. Avrebbe provveduto poi, lo scaltro Ugo, a farla giungere a chi di dovere.
Perché sto raccontandovi scenari che nulla hanno a che vedere con le pulsioni amorose di nonna Elena?
Perché…
Ugo Baer aveva un’antica amicizia con la famiglia di mamma Sarah.
Sarah era passata da lui quella stessa mattina per chiedergli: «Chi può trovarmi informazioni su un tenente londinese, di mamma ebrea, a cui mia figlia ha consegnato completamente il cuore?» Sarah era stata l’unico trait d’union con la società normale – quella che bene o male viveva e subiva lo Stato fascista – dal 1940, quando lui, moglie e figli avevano ritenuto di dover sparire e non farsi più trovare e vedere in giro.
Sarah aveva saputo in anticipo del suo rientro e sapeva anche della sua posizione e ruolo nel mondo ebraico.
Ugo Bauer sapeva che sarebbe passata da lui Ruth, abile conoscitrice di ogni canale ebraico di informazione sparso nel mondo. A lei avrebbe parlato di quello che interessava conoscere a Sarah e… «Vedrai che nel giro di pochi giorni qualcuno dei nostri si metterà in contatto con te.» Ruth non aveva avuto problemi a segnarsi l’indirizzo di Sarah per andare da lei al più presto.
8 maggio. Fine della guerra in Europa
Era proprio una giornata splendida, quella dell’8 maggio: il clima a Bologna era quasi quello di una giornata estiva. La gente girava in maniche di camicia e i muratori, nei tanti cantieri che riparavano la città dagli scempi della guerra, erano addirittura in canottiera.
Verso mezzogiorno la radio aveva annunciato la resa senza condizioni di quanto restava del Terzo Reich. In Europa la guerra era superata. Tutti quelli che, italiani o stranieri, avevano una funzione militare avevano tratto un sospiro di sollievo.
La radio l’aveva ascoltata anche mamma Sarah e aveva voluto darne notizia al loro ospite. Quello più coinvolto nel conflitto. Si era precipitata nella sua stanza dove la stessa notizia gliela stava dando, bocca a bocca, la sua Elena. Comunque, la propria gioia gliela aveva voluta trasmettere con un abbraccio colmo di baci, assieme alla figlia.
Mamma Sarah, aveva poi deciso di raggiungere in ambulatorio il suo Uberto con cui celebrare la pace, magari con uno spuntino in trattoria.
Elena e Màtt erano rimasti, Lì, nella stanza di lui, allacciati.
Quando si era udita la porta richiudersi dietro a mamma, Elena, con mossa teatrale, aveva calato le mutande: «Adesso c’è la pace, celebriamo?».
Il resto tutto nella norma. Lei aveva singhiozzato in un prolungato orgasmo. Lui, abilmente, le aveva sparso il seme fra le tette. E aveva cominciato ad ipotizzare un futuro per loro. Un sogno, fatto di una tranquilla e agiata vita borghese nella Londra di lui. Con figli, cani, amici e tanta serenità… «Questo è tutto quello che posso darti… Amore mio!».
Lacrime di gioia erano scese dagli occhi della ragazza che entusiasta di quanto le aveva prospettato il suo innamorato, si era sciolta dall’abbraccio per prendergli l’uccello nella bocca. Nell’accorgersi che ce l’aveva ancora ben duro, aveva voluto andare oltre e offrirgli quanto aveva ancora di immacolato:
«Come dici sempre tu che quando ci si ama veramente, non deve rimanere nel corpo di chi ami alcuna zona dove l’amore non può entrare… In me ce n’è ancora una… Se vuoi… Oggi è il giorno ideale. Questa data che verrà ricordata sui libri di storia, noi la ricorderemo come il giorno in cui io sarò divenuta completamente tua…» E tanto perché non avesse dubbi sulle sue intenzioni, aveva spinto le esili natiche contro la bocca di lui.
La mossa le veniva suggerita da un libercolo di storie osé che le aveva passato mamma.
«Mi sembra così un’ocarrotta e adesso che ha sempre il moroso attaccato alla gonna, forse non è male che legga qualche esperienza di chi ha il coraggio di descrivere l’amore con il realismo delle tinte forti. Cosa ne dici, Uberto, faccio male a farle leggere quel libercolo che prendemmo a Parigi nel nostro viaggio di nozze e su cui ci siamo fatti le ossa?»
Il professor Alberti si era tolto gli occhiali, aveva appoggiato il giornale che stava leggendo. Le aveva sorriso, annuendo. Poi, come preso da un raptus le era montato sopra, baciandola con grande trasporto. Qualche minuto dopo la bella Sarah stava sobbalzando sotto i colpi dell’eccitato marito, mugolando tutto il suo godimento.
Matt Ferguson con la valle del culo dell’amata innanzi alla bocca, non gli veniva in mente altra idea che dare di lingua lì. E intanto pensava se avrebbe fatto bene ad esaudire il desiderio di lei. Anche perché sapeva quanto dolore provocasse la prima penetrazione. Per cui aveva preso a leccarglielo, Come volerle chiedere scusa in anticipo per quello che stava per farle assaporare.
Lui, quella penetrazione, aveva dovuto subirla quale iniziazione all’Imperial College, quando aveva solo 15 anni… Si era rifatto poi su quelli che erano venuti dopo di lui… “Non è male metterlo di tanto in tanto in un culo. Cambiare registro dà nuove sensazioni.” Averva rimuginato fra sé.
Un flebile sospiro di Elena lo aveva riportato al momento attuale: «Io sono pronta… Dai, vieni!» E si era messa a dondolare il bacino sensualmente.
“Chi se ne frega se sentirà dolore. La guerra è finita. Fra qualche giorno sarò al di là della Manica. Inculiamola senza ripensamenti: è lei che lo chiede” E senza alcun riguardo in un colpo solo glielo aveva sgnaccato dentro fino in fondo. Più pensando di aver innanzi il culo di una matricola, anziché quello di colei a cui diceva più volte al giorno di amare.
Elena aveva subito senza dare alcun segnale di sofferenza. Aveva stretto i denti aspettando inutilmente le follate di nuovo e diverso piacere che aveva letto nella descrizione di quella tal Emanuelle Starzan. I colpi di Màtt si erano esauriti con il suo sbrodolamento. Lei però era dovuta correre in bagno con una certa urgenza.
Alla tavola della sera il professor Alberti, stranamente, non aveva preceduto la cena con il solito rito ecumenico delle due preghiere. Forse adesso che era stata firmata la pace, di protezione dall’alto non c’era più bisogno. Mamma Sarah, si era stupita che la propria figlia avesse messo un morbido cuscino sulla sua seggiola. L’aveva fissata attentamente, valutando da eloquenti segnali sul suo volto che erano sufficienti i due cucchiai al giorno di olio di merluzzo. E aveva spinto verso di lei il cucchiaio e il flacone con la puzzolente sostanza.
Il giorno di Ruth
Il giorno dopo Ruth aveva suonato alla porta e quando il battente si era socchiuso era rimasta affascinata dalla bellezza del volto di chi le aveva aperto: Sarah. Mora di capelli. Occhi verdi su un volto longilineo, dallo sguardo acuto e penetrante: «Ugo Baer mi ha detto che mi avrebbe parlato volentieri.»
Si erano ritirate in un salottino che aveva visto gente, la volta precedente, solo nel giugno del 1943. Nonostante ogni mattina venisse arieggiato manteneva ancora l’odore di chiuso. Sarah se ne era scusata con la visitatrice.
Dopo qualche chiacchiera di circostanza, mamma Sarah era venuta al nocciolo e le aveva detto, chiaro e tondo, che desiderava sapere chi era il tenente Màtt Ferguson nella sua Inghilterra, prima di venire arruolato. Era solo per tutelare la giovanissima figlia che a costui aveva dato il cuore e forse anche qualcos’altro.
«Ho un’amicizia a Londra con un rabbino che conosce milioni di londinesi e riesce ad accedere a tutti i dati degli archivi cittadini. Prima sentirò da lui.» Sarah aveva scritto su di un foglietto il nome sia del ragazzo che di sua madre, ebrea.
A quel punto le due donne si erano dette tutto. Ma a Ruth era sorto un desiderio: “Lei è una donna bellissima. Chissà se la figlia ha mantenuto le stesse caratteristiche?”
«Non mi dispiacerebbe conoscere la tua ragazza.»
Elena era nella sua stanza ad approfondire aspetti del greco antico. Sarah era andata a chiamarla.
Ruth: “Giuro che se ha la bellezza di sua madre, me la intorto e nel giro di due giorni me la faccio.“
Per svolgere il suo compito informativo, Ruth, aveva bisogno di sciacquarsi la bocca dalla notte che aveva dovuto passare con il biondo Maggiore Stevens. Assecondando le proprie esigenze aveva la necessità di rifarsi la bocca con qualche bella moretta, possibilmente di queste parti. Sarah sarebbe già un’idea. Se poi la figlia di 17 anni era su quella lunghezza d’onda ci si sarebbe tuffata con entusiasmo.
Elena aveva passato una notte d’inferno. Il culo dolorante non le aveva dato pace. “Quel porco“, era stata la prima volta che aveva accomunato quel disprezzante attributo al suo innamorato, che aveva proprio voluto sfondarla. Quando era poi tornata da lui, non aveva trovato coccole ma solo il fastidioso rumore del suo triviale russare. E soprattutto, nessuno che gli avesse spalmato sulla parte dolorante un po’ di crema rinfrescante. Insomma, era incazzata nera. Tant’è che non aveva voluto condividere la notte con lui. E quella mattina aveva fatto colazione per conto suo. In parole povere, da quando lui le aveva rotto il culo non lo aveva voluto più vedere.
Le rigogliose poppe premevano contro la camicia
Il ritorno al salotto di Sarah e figlia, aveva sorpreso sia Ruth che Elena. Ambedue si erano reciprocamente trovate affascinanti.
Elena non aveva mai avuto trasporti verso altre femmine. Non aveva mai condiviso le sue ricerche di piacere solitario con amiche. Chissà per quale ragione, davanti a quella rotondetta ebrea, si era sentita di gettarglisi fra le braccia e da lei farsi spupazzare.
La stessa cosa era capitata a Ruth che aveva sentito il desiderio di mostrarsi alla nuova venuta:
«Vi dispiace se mi tolgo la giacca di pelle?» Mettendo in vetrina le rigogliose poppe che premevano contro la camicia di ordinanza. Gratificata da un: «Così dai meno soggezione a chi ti sta davanti… Scusa, ma adesso che è finita la guerra comincio a non sopportare più di vedermi attorno divise.» In effetti, al suo Màtt, appena poteva, la divisa gliela faceva togliere.
«Come ti capisco. Quasi, quasi, ti darei un bacio.»
«Questo te lo concederò solo se ti incontrerò senza divisa.»
Sarah: «Visto che avete già fatto amicizia senza neppure presentarvi, vado a preparare qualche bibita da prendere assieme. Voi intanto potete chiacchierare di quello che vi pare» e se ne era andata.
Elena le si era avvicinata e così Ruth le aveva appoggiato le labbra a una guancia. Era stato reciproco.
«Sei simpatica, Elena e parli discretamente l’inglese.»
«In questi giorni mi sono allenata un po’ con il mio moroso che anche lui porta la tua stessa divisa. Ma ieri ho litigato e gli ho detto di tenersi alla larga da me. Almeno per due giorni non avrò molta voglia di vederlo… Se resti ancora qualche giorno potremmo trovarci. Così parlando con te…»
Intanto era tornata Sarah con tre bicchieri di orzata e tre fette di ciambella che aveva fatto lei.
«Mamma, Ruth sarebbe disponibile a passare qualche ora con me, così mi posso allenare con lei con l’inglese. Perché non la inviti a pranzare con noi. Anche oggi? Visto che Màtt sta tutto il giorno al battaglione.»
E mamma, con entusiasmo, aveva dato seguito all’idea della figlia. Le due ragazze si erano poi ritirate nella stanza di Elena per conversare nella britannica lingua.
Ruth guardava Elena sempre con una certa bramosia. In lei vedeva la preda che prima o poi avrebbe dovuto soccombere ai suoi baci e carezze. Si sarebbe crogiolata in lei dandole diversi orgasmi, uno più intenso dell’altro. Lei, formosa e rotondetta vedeva nella nuova amica, longilinea e non appariscente, quell’eleganza efebica che aveva sempre desiderato sul proprio corpo. Quello che l’intrigava di più era il desiderio di vedere il piccolo seno che intuiva sotto la casacca da casa che indossava.
Elena non aveva mai né pensato, né avuto iniziative erotiche con femmine. Aveva sempre solo fantasticato, nel masturbarsi, di essere fra le braccia di un uomo, giovane, bello e robusto. E questo l’aveva trovato in Màtt, che però il giorno prima l’aveva fatta arrabbiare assai. Questo però non le aveva spento il desiderio di sentire in lei le scosse del godimento sessuale che da quando l’aveva provato per la prima volta, non l’abbandonava mai. Da qui, bamboleggianti espressioni del viso che invitavano a intraprendere nei suoi confronti approcci amoreggianti.
Ruth era sedotta da questi messaggi che vagavano fra di loro. Elena era indubbiamente attratta dalla bella sergente ebrea, ma non se ne rendeva conto.
È solo un gioco, vero?
Ruth, da tempo navigata nel mondo della trasgressione, le riservava gesti e moine all’apparenza molto casuali ma che a lungo andare costruivano un’atmosfera alquanto sensuale: le aveva aggiustato l’orlo della casacca che si era leggermente sollevato, le aveva messo a posto una ciocca di capelli che si era permessa di uscire dall’ordine generale, le aveva tolto una briciola che chissà come, era rimasta all’angolo destro della bocca, dalla colazione del mattino. Insomma, piccole mosse che la tenevano sempre più con le mani su di lei. Intanto le parlava a voce bassa con un tono molto intimo e aveva cominciato a toccare argomenti tutti incentrati sull’amore. L’amore con i lui. Quello con le lei. E qui Ruth aveva constatato che la ragazza non sapeva potesse esistere anche quell’amore. Ruth aveva abbandonato quell’argomento per esplorarne uno, dove lei fosse più coinvolta: il moroso. Ed Elena le aveva raccontato con che passione si era data al tenente Ferguson. Non nascondendo particolari molto intimi dei loro amplessi, fra cui l’esaltazione che provava quando lui le leccava fra le cosce e le sborrava sulle tette:
«Non ci crederai ma anche ora il solo parlartene ha generato un brivido e mi ha indurito i capezzoli – e con tutta l’entusiastica ingenuità dell’adolescenza – Senti… Senti… Sono divenuti due sassolini.» E aveva tirato su la casacca. Mettendo sotto gli occhi libidinosi di Ruth il suo paio di tette, non esagerato ma già ben formato. Su cui pulsavano le minuscole nocciole. Aveva fatto un grande sforzo, Ruth, a trattenersi e non aggredirgliele con le labbra. Le aveva accarezzate con le mani e sentito il fremito che quel contatto aveva provocato nella ragazza, vi aveva indugiato sopra. Poi chissà?
Una sorta di incantesimo si stava diffondendo in quella stanza.
Qualcuno aveva suonato alla porta: «Questo è papà… È cronometrico con l’ora di pranzo.» Ogni cosa si era ricomposta e le ragazze si erano dirette alla sala da pranzo.
Le buone tagliatelle avevano generato un pranzo tutto in allegria. C’era anche una buona bottiglia di vino rosso da cui Ruth si era fatta conquistare.
Dopo un forte caffè, Sarah aveva dichiarato le proprie intenzioni: «Adesso noi ci ritiriamo per un riposino. Che non vi venga in mente di sgomberare e lavare i piatti. Ci penso io quando mi alzo.» Aveva preso il suo Uberto per mano e si erano avviati verso la stanza matrimoniale.
Elena, ostentando confidenza con la sua nuova amica: «È così ogni giorno. A volte è perché a mamma è venuta voglia di fare l’amore.»
Agile nel pensiero, Ruth: «A te non capita all’improvviso di provare un irresistibile desiderio di fare all’amore?»
«Oh, sì. Spesso. Anche adesso. Solo che non sempre ho intorno chi vorrei.»
«E chi vorresti fosse qui, ora?»
«Anche se ci fosse non servirebbe. Ancora per oggi e domani non gliela darei. È stato troppo prepotente.»
«E come usciresti da questa situazione?» Ruth con astuzia la stava portando a quel che voleva lei.
Elena aveva risposto ridendo e strizzando un occhio: «Uscirei da qui nel vero senso della parola. Andrei in bagno… A lavarmi le mani… Tu invece? Hai delle altre idee?» E le si era avvicinata al volto.
Ruth l’aveva guardata con gli occhi stretti e il tono della voce sussurrato «… Lo farei con te.»
Elena le aveva stretto i polsi fra le mani e a pochi centimetri dal suo volto aveva sbottato: «Ma io non so neppure da dove e come cominciare con una femmina…»
«Si comincia sempre così…» Le aveva preso il viso e l’aveva tirata verso la sua bocca. Era stato un bacio interminabile.
Ruth era appoggiata al tavolo. A lei, Elena, chiuso con il bocca a bocca, si era accoccolata con il viso sul seno di lei. Sussurrandole: «È solo un gioco, vero?» Per poi prenderla per mano e assieme andare nella propria stanza.
Come si addice ad una coppia ben affiatata
Era stato un riposino tirato per le lunghe che, forse, non l’aveva riposato affatto ma nulla aveva da recriminare sulla bella idea tirata fuori dalla sua Sarah.
L’aveva lasciato sdraiare, e accanto a lui gli aveva chiesto se avesse lavorato molto quella mattina e se pensasse di tornare in ambulatorio con premura: «No. Una mattina molto tranquilla e forse potrei anche non andare in ambulatorio nel pomeriggio. Ma ci andrò con tutta calma… Perché hai delle idee per il pomeriggio?»
«Volevo solo raccontarti perché hai trovato qui quel sottufficiale della Brigata Ebraica.» E aveva incominciato a dirle le sue paure per l’appassionato amore di Elena per il tenente Ferguson: «Lo so che a te è molto simpatico. Saranno paturnie… Vedrò mostri e pericoli ovunque… Ma forse tutte le mamme sono così.»
Sarah era seduta sul letto di fianco a lui che da sdraiato ascoltava attentamente accarezzandole il ventre. Il punto debole di Sarah. Quello che le faceva maturare selvaggi desideri. Alla fine di quanto aveva voluto partecipargli, il professor Alberti: «Come al solito stai agendo da quella madre attenta e scrupolosa che sei sempre stata. Hai fatto meravigliosamente bene il tuo mestiere di mamma… Se hai voglia di fare anche quello di moglie io sono qui.» Le aveva preso la mano e gliel’aveva portata sulla patta dei calzoni. Sarah, già turbata da quel suo accarezzarle il ventre, si era alzata di scatto e innanzi a lui con mosse da odalisca si era tolta ogni abito. Apparendo in tutta la sua conturbante nudità. Un attimo e anche il professor Uberto si era messo alla pari. I due coniugi che già da lustri esploravano ogni anfratto dei reciproci corpi per trarne faville di piacere, non si negavano nulla. Sarah si era seduta a gambe aperte innanzi a lui. Fra i folti riccioli castano chiaro, le rosee labbra della figa occhieggiavano, golose, il rigoglioso membro. Il sorriso che Sarah dedicava al suo uomo era quello solare di una donna innamorata.
Uberto le aveva accarezzato una tetta. Lei gli aveva impugnato il cazzo e dato luce al glande. Benedetta da un profondo sospiro di Uberto. Dopo lo scapellamento la mano di lei aveva preso il giusto ritmo per una sega introduttiva. Come si addice ad una coppia ben affiatata.
Intanto la figa lasciava cadere sulle coltri una dopo l’altra gocce della sua impazienza. Sarah se l’era accarezzata e aveva indirizzato ad essa il cazzo di famiglia e la figa si era schiusa per farsi assaggiare. Uberto si era tirato su e, sopra di lei teneva in pugno la situazione. Sarah si era passata la lingua sulle labbra sorridenti e lui era entrato in lei. Era poi riuscita ad appoggiargli le caviglie sulle spalle. Le piaceva tanto così! E come non perdeva occasione di dirgli ogni volta: «Sii bravo Dado. Ricordati che ho 40 anni.» Dado/Uberto non aveva deluso le sue aspettative e con riguardo ai suoi timori, lo aveva estratto non appena lei aveva manifestato il suo godimento, anche se lui doveva ancora venire.
Con mesta rassegnazione si era messo a menarselo per dar pace ai testicoli che lo richiedevano.
“Non sia mai!” aveva detto fra sé, a quella vista Sarah. Stiracchiandosi nel suo dolce appagamento… Una piroetta su sé stessa ed eccola lì col viso in allegria e un po’ beffardo, a una spanna dalla mano mastubatrice: «Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore…» gli aveva detto citando la Genesi e la vicenda di Onan. E s’era intromessa nel suo godimento con la bocca… Uberto aveva infine zampillato nella bocca della sua sposa, aggiungendovi intense espressioni d’amore.
Oh, mia dolce Ruth!
Oltre alcune pareti della stessa casa, anche se in tutt’altro contesto, si era svolta un’analoga rappresentazione.
Ruth era sdraiata con la bocca sul morbido pube di Elena e la teneva ben aperta con le mani sotto le natiche. La vagina della ragazza era spalancata. E pur se in preda a sussulti e contrazioni, non smetteva di accarezzare il capo di chi la stava facendo impazzire con la lingua. «Ancora… Ancora… Non smettere… Chiavami ancora… Oh, mia dolce Ruth!…» Era questo l’argomento che continuamente esternava la ragazza. Poi aveva sollevato il bacino, inarcando tutto il corpo e, contraendo ogni muscolo, era andata a toccare il cielo.
L’aveva tirata sopra di sé e baciata a lungo come non aveva mai fatto con colui che nel suo corpo era già entrato diverse volte e in punti diversi.
La bocca e il volto di Ruth avevano tutto l’odore della figa di Elena. Lei gliela aveva leccata con grande libidine. Le aveva passata la lingua attorno alla bocca, sul mento, nel sottogola, ovunque sentisse traccia di quell’afrore. Il suo più intimo odore.
Abbiam fatto all’amore… o abbiam solo giocato?
Intanto nell’euforia dell’eccitazione si meravigliava di essere divenuta così porca. Il fatto è che voleva esserlo di più.
E glielo aveva detto: «Voglio leccartela anch’io.»
Ruth gliel’aveva fatta scendere dall’alto: tutta aperta e gocciolante e l’aveva lasciata sbizzarrire a lungo prima di concedersi all’orgasmo che quella ragazzina le voleva assolutamente dare.
«Ruth – le aveva poi chiesto Elena – posso pensare che con te ho fatto all’amore… o abbiam solo giocato?»
Ruth, stava rivestendosi «Se ti senti bene è perché abbiam fatto all’amore… Se hai senso di vomito vuol dire che abbiamo giocato ma abbiam sbagliato gioco.»
«Io sono felice… Ruth… Come non mai… Tu?»
«Purtroppo… abbiam fatto all’amore in un gioco molto impegnativo… che forse neppure volevo.»
«E allora?»
«Allora… È che domani debbo rivederti.»
«E rifaremo all’amore?»
«Se non sorgeranno impedimenti lo faremo sicuramente.»
«Oh Ruth… come sono felice di averti incontrata! Chissà com’è che sei capitata nella mia vita?»
«Sì, può darsi che anch’io un giorno lo scoprirò… Se succederà lo racconterò anche a te.» Ovviamente non le aveva detto cosa l’aveva portata lì e quello che le aveva chiesto mamma Sarah.
Ancora una volta Ruth aveva capito che stava per infilarsi un nuovo casino. Che, con quella frase era riuscita solo a rimandare. Adesso doveva sganciarsi da quel dialogo, uscire da quella casa, trovare un posto dove avrebbe potuto bere un goccio e soffermarsi a meditare se avesse potuto reggere una storia con un’adolescente senza turbare quella che intratteneva da quando era entrata in Italia, con la sua capitano. Capitano medico della brigata. Gelosissima al punto da controllare ogni suo movimento e farla anche seguire da qualcuno, quando lei scendeva in città. D’altronde era lei che le garantiva la copertura verso gli altri ufficiali inglesi e così lei poteva svolgere in tutta sicurezza la sua missione in favore dell’Hagana. Nel fare questi ragionamenti si era accorta di non aver reindossato le mutande che giacevano ancora fra le lenzuola di quel letto d’amore. Non le aveva trovate subito. Erano fra le mani di Elena che in posa estatica sulla sponda del letto si beava sfregandosele sul volto: «Lasciamele come pegno. Così sono sicura che verrai a prenderteli, domattina.» Aveva faticato non poco per riaverle. Non poteva certo dirle che rientrando al campo, se avesse incontrato la capitano avrebbe subìto, sicuramente, qualche sua avances. E conoscendola sapeva bene dove avrebbero parato i suoi gesti maneschi. Non ci sarebbe voluto molto ad accorgersi cosa mancava sotto all’uniforme: «Dai, lasciami andare che sono già in ritardo… Accompagnami alla porta.»
Ruth ed Elena si erano lasciate con tanto malincuore. Non avrebbero mai voluto interrompere quel loro stato di beatitudine che le aveva attanagliate per più di un’ora. Ma Ruth aveva un impegno a cui non poteva sottrarsi. Così, anche Elena aveva dovuto interrompere quello stato di grazia in cui si era calata trascinando la sua nuova amica.
Ne avevano fatte di tutti i colori. In tutte le posizioni. Si erano dette le cose più appassionate, le ipotesi più assurde, le verità più illusorie.
Adesso percorrevano quei trenta passi che separavano la stanza di Elena dalla gigantesca porta di quell’antica casa, molto lentamente. Fermandosi di tanto in tanto per riguardarsi negli occhi, per scambiarsi un bacio. Si sarebbero tornate a rivedere? Questo non se l’erano ancora detto.
La porta aveva scricchiolato nell’aprirsi, Elena si era appoggiata al battente e aveva tirato a sé l’amica. Quella che adesso era divenuta la sua amante. Le aveva accarezzato a lungo i capelli, baciata sul collo e aveva trovato la forza di porre il quesito: «Quando ti rivedo?».
Non voleva credere alle proprie orecchie nel sentirsi dire: «Anche domani mattina. Io mi alzo all’alba. Alle nove potrei già essere qui da te.»
«Domattina?… Ma è già qui che arriva!… Vado subito a farmi bella.»
E aveva trovato la forza di scoccarle l’ultimo bacio, più affettuoso che passionale e staccarsi da lei.
Chiusa la porta, aveva dovuto appoggiarsi al battente e aveva iniziato a piangere. Poi via, nel bagno a rimettersi in sesto prima che mamma la intercettasse. Di quello che era successo con la bella sergente ebrea non avrebbe potuto raccontarle.
Non aveva fatto in tempo a rimettersi in sesto e ad uscire dal bagno che ne aveva preso possesso il professor Alberti, il suo papà. Prima di tornare al suo ambulatorio anche lui aveva bisogno di un qualche restauro.
Se avessi voluto solo descrivere l’iniziazione di nonna Elena all’amore, potrei chiudere il capitolo qui. Invece è proprio in quelle ore che successero fatti che formeranno la propensione all’erotismo di nonna e la sua meravigliosa capacità di districarsi fra un rilevante numero di spasimanti, fidanzati, amanti. Senza distinzione di genere.
Nonna Elena nel giro di una settimana aveva imparato l’amore in tutte le sue variegate espressioni. Quel giorno del lontano 2005, davanti a un ottimo bicchierino di pregiato cognac, aveva continuato il racconto di quell’ancor più lontano giorno del 1945…
La capitano Deborah Luria
La capitano Deborah Luria era incazzata come una pantera. Da metà mattina cercava la sergente Ruth senza trovarla. Non aveva particolari necessità di servizio. Voleva solo avere la conferma che avrebbe avuto la sua compagnia per la notte. La capitano Deborah impazziva di gelosia al solo pensiero che la bella Ruth desse il proprio corpo ad un’altra femmina. La capitano Deborah era anche lei di origine ebrea, però nata e cresciuta all’ombra del Big Ben. 35 anni, in carriera militare appena laureata in medicina. Belloccia anche se un po’ in carne. Si vantava di non averla mai data ad alcun maschio. Si presupponeva avesse ancora l’imene integro anche se la sua patonza era aperta a un notevole traffico di dita e lingue di ogni tipo di femmina. Era arrivata al punto di provare l’emozione di farsela leccare da un’ausiliaria nemica: crucca della Baviera.
Come Ruth prevedeva, appena rientrata al campo, era stata convocata nella tenda della Capitano. E sempre come previsto aveva ricevuto la lingua in bocca, in un orecchio e virili palpeggiamenti. A cui lei, ancora turbata per quanto era successo con Elena, non aveva risposto adeguatamente. Alcune domande inquisitorie da lei rigettate con decisione. Poi la sua superiore aveva fatto venire una giovane collega italo-americana a cui aveva aperto il camice e offerto la propria villosa prugna.
La ragazza, senza preoccuparsi se lì era presente anche Ruth, si era inginocchiata ed era andata incontro ai desideri della capitano: «Vedi che posso anche fare a meno di te. E allora perché sprecare denaro del nostro esercito? Meglio rimandarti in Palestina.»
Ruth aveva fatto velocemente tutti i suoi calcoli proprio perché timorosa che l’amore che era scoppiato in lei per Elena le portasse tutte due verso una brutta china, le aveva risposto in maniera adeguata: «Spupazzati chi ti pare, figa slabbrata! Io me ne frego di te e se vuoi rimandarmi al centro di addestramento sono solo contenta. Soprattutto per aver fatto un dispetto a te.»
«Troietta, insolente, faccio subito l’ordine perché tu dal prossimo mese non sia più assegnata al mio reparto. Aggiungerò quale ragione la tua inaffidabilità sia tecnica che morale. Togliti dai coglioni e lasciami godere la mia Susanna.» E si era concentrata sul plucca-plucca accarezzando i capelli di chi la stava leccando.
Nella sua tenda Ruth si era gettata sulla branda per piangere con il volto fra i cuscini. Adesso sapeva quanto poco sarebbe durato il suo amore con l’esile ragazzina dalle tette appena formate. Si era poi messa a scrivere al rabbino londinese la richiesta di informazioni che interessavano a mamma Sarah. All’improvviso gli stessi occhi fino a quel momento avevano versato lacrime si erano asciugati. Un ghigno cattivo aveva trasformato la malinconica espressione della ragazza: “John… Ecco chi ci vuole… John Goldwater – e si era messa affannosamente a cercare qualcosa in una sua cartella di scartoffie – Eccolo qua” – aveva esclamato tenendo in pugno un brandello di carta con scritto sopra qualcosa. Aveva messo la testa fuori dalla tenda e, ad alta voce, tanto che anche nelle tende vicine sentissero: «Capitano Deborah…» E ci aveva attaccato una sonora pernacchia. Un modo di esprimersi imparato con la guerra in Italia.
Mamma… Cosa abbiamo fatto… Mamma!
Quando madre e figlia si incrociano nella sala da pranzo Sarah è raggiante. Elena no. Un’aura di malinconia rabbuia il suo volto. Tutte e due sono uscite dal proprio letto in cui hanno hanano consumato l’amore. Quello coniugale, Sarah. Quello maledetto e trasgressivo, Elena.
«Ruth?» Domanda Sarah.
«Se ne è andata.» Risponde Elena per poi mettersi a piangere fra le braccia della madre. La madre ha un’espressione preoccupata. Si abbracciano.
«Vedrai che tornerà presto. Mi deve portare delle risposte.»
«Anche a me ha detto che domattina alle nove sarà qui ma non ci credo. Sento che non può essere vero.»
«Cosa vi siete dette che ti mette tanto in angoscia?»
«Mamma… Cosa abbiamo fatto… Mamma!» Sarah ha già capito. Un’esperienza che aveva fatto anche lei ma che non l’aveva fatta disperare così. E allora perché non dirglielo? Perché non dirle come l’aveva vissuta lei 25 anni prima? E appoggiandosi al tavolo, così come si era appoggiata Ruth, qualche ora prima dando così inizio alla loro tenzone passionale, Sarah racconta alla figlia come Ester, giovane amica di sua madre l’aveva concupita e presa sul divano del salotto, senza che lei avesse detto o fatto qualcosa per impedirglielo.
«Ho fatto la stessa cosa anch’io… Mamma – singhiozza la ragazza tra le sue braccia – Come potrò ancora fare all’amore con Màtt? Guardarlo negli occhi mentre mi fa godere? Perché mi verrà in mente come mi ha fatto godere Ruth.»
«Ce la farai anche tu, bambina. Diventerà il tuo grande segreto perché sono quelle cose che non si possono condividere con nessuno… È già tanto che ne stai parlando con me.»
«Papà?»
«Che non ti venga mai in mente di confidarti con un tuo innamorato. Gli uomini non capiscono. Non vogliono capire.»
«Ma io potrò ancora provare piacere con un uomo? Avere figli?»
«Quanto sei ancora bambina… Bambina mia! – Mamma Sarah si versa un bicchiere d’acqua e beve – mi costringi a metterti a parte di un segreto ancora più grande di quello che ti ho appena svelato. Il giorno successivo a quello in cui siamo rientrati a Bologna mi sono recata a salutare la mia amica Efrem. Erano quasi due anni che non ci si vedeva. Anche lei aveva dovuto trovarsi un rifugio e starci per tutto questo tempo. La gioia di ritrovarci e di constatare che eravamo sempre belle come quando ci eravamo viste l’ultima volta, ha scatenato il desiderio di possederci l’un l’altra e così siamo finite a letto. Devo dirti che abbiamo faticato a smettere dopo un paio di orgasmi. Non sono passati molti giorni e oggi tuo padre mi ha fatto gridare di piacere. Come vedi un godimento non esclude l’altro. Per i figli… Sai tu quante volte ho fatto l’amore al femminile, poi ho messo al mondo te.»
Elena si rasserena, guarda mamma sua con orgoglio e si abbracciano forte: «Mamma, allora tu dici che domattina Ruth verrà?»
In cuor suo, mamma, spera che le cose vadano proprio così. Pur se in contrasto con quanto ama leggere sul Talmud. Non sopporta vedere quel delicato essere, carne della sua carne, soffrire tanto.
Mamma e figlia decidono di fare una passeggiata assieme.
Contro questa colonna, ti darei due colpi
Bologna, adesso che non vive più nell’angoscia degli attacchi aerei, sta rimettendosi in sesto e la sua bella Piazza è piena di gente che mostra un po’ più di serenità. La Piazza è divenuta il punto d’incontro dei soldati Alleati rimasti in Città. Vuoi mai che non ci sia Màtt. Ora che non alloggia più a casa Alberti ma al battaglione è venuto in Città con amici e colleghi. Sicuramente sarebbe passato a casa Alberti per vedere se l’amata Elena avesse voluto riaccoglierlo.
Visto che l’amata Elena è in arrivo le va incontro con un bel sorriso. “È proprio strafico!” Pensiamo noi oggi che lei allora avesse pensato, nell’ammirarlo nella sua bella divisa da ufficiale.
Senza ammorbidire troppo l’espressione, Elena: «Ti hanno dato una nuova divisa…. Bella!» Constata con tono distaccato.
Elena che con il rodeo sessuale con cui l’ha intrattenuta Ruth, avrebbe dovuto essere appagata nei sensi, si accorge che Màtt Ferguson è ancora ben vivo in lei. Sente una sorta di sfrigolio tra le cosce. Mamma ha proprio ragione: sia Ruth che Màtt avrebbero potuto farla godere tutti e due in modi diversi ma pur sempre godimento sarebbe stato. E tutti e due avrebbero finito per portarla all’orgasmo. Cosa di cui ormai in ogni momento percepisce la necessità.
Nel fare questi ragionamenti aveva addolcisce l’espressione e già Màtt, la prende sottobraccio. Mamma Sarah trova la scusa per togliersi di torno.
«Già qui, contro questa colonna, ti darei due colpi. Me l’hai subito drizzato – Le bisbiglia appena soli. Sono sotto la torre dell’orologio. Poi, con un tono meno drammatico – Hai visto sulla spalla cosa c’è?… Da questa mattina sono un Capitano.»
Addolcita del tutto, Elena: «Bisogna proprio che stasera festeggiamo… Resti con me stanotte?»
Il professor Alberti, quella sera, ritrovando la tavolata al completo riprende la consuetudine ecumenica delle due brevi preghiere prima del pasto. In quella comunità il capitano Ferguson ancora una volta proclama il suo affetto per Elena e allo stesso tempo comunica che il giorno dopo su un Dakota da trasporto, sarebbe rimpatriato. Su quel tavolo cala una cappa di mestizia. A cui Màtt prova di mitigare l’effetto con: «Non staremo distanti per molto. Appena mi sarò riambientato vi chiederò di raggiungermi e se vi va di programmare la vita assieme.»
Il professor Alberti dalla dispensa aveva tira fuori una bottiglia di brandy italiano per un brindisi al capitano Ferguson e all’Inghilterra tutta. «Malgrado sia una nazione ancora retta da una monarchia.»
Quel rito un po’ goliardico
Nella cameretta di Elena, Màtt vuole che lei indossi la sua divisa da capitano. Una tortuosa scusa per far sì che tutti e due si ritrovino con pochi abiti addosso.
È una serata d’addio ma è anche una serata in cui lui, innanzi a tutti ribadisce l’intenzione per una vita assieme. C’è futuro e speranza, assieme alla loro giovane età. Per cui ci sta anche quel rito un po’ goliardico.
Elena che da quando ha lui, si è inventata un suo lezioso modo di togliersi gli abiti, lo fa in maniera ancora più sensuale e non si ferma alla biancheria intima: via la sottoveste, via le mutandine.
Nuda, vuole lei, bottone dopo bottone, togliere la divisa al Capitano per sentire nella propria mano ingrossare il suo uccello.
La divisa indossata da Elena è limitata alla sola giacca. I calzoni avrebbero solo intralciato. Questa però è molto ampia e dentro ad essa, l’esile figura di lei ci sguazza e ne fa un’immagine che straborda di sensualità. Màtt le è subito sopra brandendo il membro come fosse un’arma.
La bella Elena da segni di impazienza. Tende la mano verso il prepuzio che il Capitano, bontà sua! gli aveva concede di agguantarlo. La mano di lei lo stringe. Con un gioco di dita ne fa uscire il glande, portandosi il tutto alla bocca.
La delicatezza con cui le labbra l’accolgonoà e la festosità della lingua liberano in lui un godimento che dai testicoli si propaga a tutto il corpo. A quel punto, non può che entrare in lei e spingersi sempre più in fondo al suo ventre. La stessa cosa diventa pure un’esigenza per lei. La mano accompagna in basso la deliziante propaggine. L’anelante rosa si dischiude. Indugia un po’ la mano a liberare il fallo. Vuole saggiarlo tra le pieghe della sua apertura. Aumentando in lei il desiderio e la voglia di averlo dentro…dentro… Fino in fondo. A questo ci pensa il bel Capitano.
Conscio dei malumori che aveva provocato l’entusiastica spinta con cui aveva guadagnato il fondo dello stesso culo, Màtt si avventura nella figa con grande delicatezza: centimetro dopo centimetro. Mentre lei glielo stringe con tutte le energie che riesce a convogliare in quella posizione.
Quando non ne ha più da introdurre si lascia andare, e, cotto anche lui dal godimento, deve estrarlo in fretta e furia per non rischiare complicate situazioni. Fra i piccoli seni di lei lasciato il sugo del suo orgasmo, con lei che lo bacia in maniera forsennata.
Elena, quando attorno alla mezzanotte il capitano Màtt Ferguson la lascia, ha i sensi appagati nel vero senso della parola. Artefice di quel appagamento sono stati ben due colpi. Che vanno a colmare il vuoto lasciato dalla bella Ruth. E Ruth avrebbe dovuto raggiungerla allo scoccare della nona ora del nuovo giorno: «Sono sempre puntuale, io, quando prometto.» Aveva promesso.
La complicità di mamma Sarah
Quanto nonna Elena avesse già percepito allora, le accortezze di come si maschera un’avventura o un tradimento adultero, è dimostrata dall’accurata ispezione che aveva fatto perché non fosse rimasta traccia alcuna del passaggio di un uomo da quella stanza. Il motivo? Elena si era assicurata la complicità di mamma Sarah che avrebbe condotto la visitatrice alla stanza della ragazza. Mettendo in scena un sensuale risveglio con successivo caffè anche con Mamma che le avrebbe poi lasciate con la scusa di dover raggiungere il marito in fretta e furia. Libere così di consumare in tutta serenità la loro inconfessabile passione.
Elena ha ben programmato tutto. Si è alzata un’ora prima… in bagno ha pisciato, preso una doccia. Si è pure ben aggiustata l’adolescente pelo del pube a cui abbina qualche goccia di un discreto profumo. Un consiglio di mamma Sarah.
Torna sotto le lenzuola dove rimane in attesa, senza resistere a non toccarsi.
Ruth, non è puntuale, era stata cronometrica!
Segnale che la ragazzina le sta molto a cuore. Palazzo batte i nove rintocchi e Ruth, accompagnata da mamma Sarah aveva mette piede nella stanza di Elena. Con la finta pantomima di mamma Sarah che redarguisce la figlia per essere ancora sotto le coperte:
«Vi porto il caffè, ragazze. Lo prendo anch’io con voi… poi vi dovrò lasciare per il mio Uberto: ha incombenze in cui debbo esserci anch’io.» Ed era andata a preparare il caffè.
Elena non perde tempo. Giù dal letto e subito sulla bocca della visitatrice:
«Voglio sperare che tu abbia riposato bene stanotte… Io poco. Ho trovato da dire con la mia superiora e non sono più riuscita a prendere sonno… È una vera cretina: Non abbiamo né feriti né ammalati. Potremmo fare vita da turisti. Per colpa di questa deficiente siamo sempre dietro a smontare e rimontare il campo. Ma stamattina l’ho conciata per le feste. Sono scesa in centro e dal posto telefonico pubblico ho chiamato un amico ben piazzato al Foreign Office che mi ha promesso che con un cablogramma la trasferirà oggi stesso. – Era John… John Goldwater – Sto guardando il tuo letto con bramosia… Tu invece?»
«Mmmh, fino a mezzanotte ho cercato di distrarmi un po’ con questo o quello. – Senza dire che era di 18 centimetri – Mi sono addormentata per farmi svegliare da te. Non male per un inizio di giornata». E le aveva piazzato un altro bacio. Un attimo dopo c’è mamma Sarah con caffè e ciambella.
Sorseggiano la bollente bevanda poi, Sarah: «Ragazze mie, vi lascio alle vostre chiacchiere britanniche e vado dal mio Uberto. Ci vediamo attorno alle 11. Tu resti a pranzo con noi, Ruth?»
«Se mi prendete, volentieri. Così obbligo anche voi a parlare la mia lingua. Vedrete che non vi farà male con quello che ci aspetta dopo questa guerra.»
«Per fortuna che non ci è toccato di obbligarci al tedesco e per questo dobbiamo ringraziare voi… Che Yahvè vi protegga sempre.» Un bacio a tutte e due e se ne va.
Sextynine
Un attimo dopo le due ragazze sono sotto le coperte.
«Potevi anche toglierti quella brutta camicia da notte. Sei più brutta con quella orrenda palandrana. Vuoi mettere poter affondare le dita nel tuo corpo acerbo!» Sta partendo la giostra!
«Anche tu non sei nella miglior forma. La notte insonne ha lasciato il segno sul tuo volto.»
«Vuoi dire che questa mattina siamo due bruttone?»
«Proprio così. Proviamo a vedere se due bruttone riescono a godere assieme?»
Ruth sfila il reggiseno. Le rigogliose poppe balenano sotto gli occhi della dolce Elena. La giostra è partita.
«Senti, bruttona, io avrò addosso l’orrenda camiciona ma sotto non ho nulla» e subito una mano va a constatare che ce l’ha già bagnata. Elena si mette a succhiarle le tette.
«Sembrano di seta i tuoi peli. Non riesco più a smettere di accarezzarli.»
«Se ti togliesti quelle inutili mutande, riuscirei ad accarezzartela anch’io.»
«Sai che è una buona idea.» Si toglie le mutande. L’altra, la camicia da notte. La conversazione nella lingua inglese avrebbe avuto qualche interruzione per alcune richieste che si stanno concretizzando:
«Senza l’orrido camicione ti verrà più facile leccarmela.»
«Bambina golosa, oggi ti farò provare l’emozione del sextynine. Sai cos’è?»
«Se è qualcosa che hai inventato tu la voglio provare subito.» E Ruth si posiziona sopra di lei.
È un mugolare continuo… un godimento incantevole! Elena ne esce stordita.
«Mamma mia, che forza che hai nella lingua! – e si azzarda a farle una domanda molto personale – Ma tu, questo, lo faresti anche con un uomo?» Il conversare riprende.
«Io lo faccio spesso con mio marito.»
«E tu hai anche un marito?»
«Oh sì. Gioele. E ci vogliamo, anche, molto bene – Per Elena è un colpo che le secca la figa. Ma non mostra turbamento. – Quando torno vorrebbe che gli facessi un figlio.»
«E tu?»
«Non lo so… – e accorgendosi che quell’argomento raffredda il loro incontro – Adesso, ho te…»
«Io cosa sono per te?»
«Tu sei tutto quello che vuoi essere… Cosa vorresti essere, ora che sai che ho anche un uomo da amare?»
«A questo punto non mi resta che esserti amante. Un po’ ninfomane che pensa solo al godimento… Quante altre amanti hai?» Ruth non aveva risposto. Così l’implume Elena:
«Dai, trojacciona, fai godere ancora un po’ la tua amante.» Le aveva preso una mano e se l’era portata fra le cosce. Era stato un appagante reciproco ditalino a riportare il buonumore nella coppia.
Dalle stanze attigue era poi giunta la voce di una radio che trasmetteva musica swing. Stava a dire che mamma Sarah era rientrata e che era dietro a preparare il pranzo. A malincuore le ragazze si rivestono: «Ci eravamo affiatate così bene!»
«Volevo però dirti che pur avendo uno sposo di cui sono innamorata, una delle ragioni per cui stanotte non ho chiuso occhio è stata che non riuscivo a toglierti dalla mente. Forse non potrà chiamarsi amore ma qualcosa di importante è.» Visto che Elena non ha ancora allacciata la camicetta, ripassa la lingua su quell’efebico seno che la fa impazzire: «Vieni che andiamo ad aiutare mamma a preparare il pranzo… – poi tornando ai precedenti argomenti – Però è affascinante essere amante di qualcuno!»
Il professor Alberti ha dimenticato l’austera serietà professionale. Si è slacciato la cravatta, versato già il secondo bicchiere di vino rosso e partecipa alla scherzosa allegria delle ragazze che si sbeffeggiano con mamma Sarah. Il professore, attento scrutatore di ogni riflesso che potesse spiare lo stato di salute della propria figliuola, l’ha trovata talmente in forma che proclama la sospensione della terapia a base di olio di merluzzo. Cosa che invece Sarah, che, della ragazza sa più cose, non aveva condivide e prima di iniziare il pasto, spinge cucchiaio e flacone innanzi a lei che subito si immola.
In quel pranzo si seccano ben due bottiglie di vino, in gran parte consumato dai genitori che dopo il caffè, per mano si avviano alla camera da letto.
Quel dolce momento
«Cosa dici Sarah… La nostra bambina che penserà di questi inusuali abbandoni del tavolo per il riposino pomeridiano?»
«Pensa che ci ritiriamo per scopare.»
«Ma dai…»
«È così… Gliel’ho detto io.»
«Tu, hai…» Intanto gli si era avvicinata e gli faceva carezze sulla patta dei pantaloni.
«Sì, e le ho anche raccontato mossa per mossa come lo facciamo… Come te lo gingillo fra le labbra. Mmmh… Come te lo ravvivo con la lingua e come te lo succhio…»
Il professor Alberti era già al punto giusto. Sarah, però, non credeva che il punto giusto fosse così avanzato e si era piacevolmente meravigliata che lui, di prepotenza, l’avesse sdraiata sulla sponda del letto… le avesse stracciato le mutande e si fosse tuffato con la bocca sulla patonza. Risollevando il volto solo quando l’aveva sentita vibrare per l’orgasmo: «Questo glielo hai raccontato?»
«Ma no vè… Perché è un po’ che non lo facevi. Ma adesso…» e aveva percepito il proprio odore più intimo sulle labbra di lui: il Professore la stava baciando dopo averle scoperto il seno. Anche quel dopopranzo era divenuto “quel dolce momento” da tener sempre presente.
Anche le due ragazze avevano percorso quei 30 passi che le separavano dalla stanzetta di Elena dove lei, per pudore, non avendo il coraggio di chiederlo, con un rossetto, si era messa a scrivere quel numero sullo specchio del comò.
«T’è piaciuto, vero?» Un attimo dopo erano allacciate una all’inverso dell’altra.
«Da come mi tratta la tua lingua comincio a pensare che tu mi ami davvero… Ci vediamo anche domani?» Con questa impegnativa frase Elena l’aveva salutata per il secondo giorno consecutivo. Ma questo non è importante
È invece importante, al fine della comprensione della vita di nonna Elena, sapere che appena si erano trovate, mamma e figlia si erano raccontate i reciproci sollazzi carnali del pomeriggio. «Mamma, credimi, è di una intensità che non potrei descriverti…»
«Oggi, è stato meraviglioso anche papà. A un certo punto non capivo più niente. Ho avuto l’impressione che fosse entrato in me anche con la testa. Mi ha fatto piangere di gioia.»
«…Il bello è che non stai lì, inerte, ad aspettare che il piacere ti inondi. Lo senti che aleggia attorno a te perché è la tua partner stessa che lo propaga. È infettivo. Quasi subito si attacca a te e ti trascina con sé. Così chiunque arrivi all’acme per prima, si porta dietro l’altra… Devi provarlo con papà. Vedrai quanto ti lascerà nella bocca… a te che piace tanto!» Mamma l’aveva abbracciata. Ringraziata per il buon consiglio.
«Adesso per tre giorni non ci possiamo vedere. Ha un addestramento sulle rive del Po. Quando torna avrà due giorni completi di licenza. Dovresti permettermi di tenerla qui a dormire. Magari a papà diciamo che dormirà nella stanza dove dormiva Màtt… Per favore mamma… Ne ho tanto bisogno! Da quando l’ho provato con Màtt non riesco più a farne a meno. Il godimento mi dà la carica e le mie dita sono diventate un palliativo che vale ben poco. Di sostituire lui, adesso non me la sento. Anche perché, quando ha promesso mi è sembrato molto sincero e prima di portare un altro cazzo in casa, voglio essere sicura che lui si sia comportato da mascalzone. Ruth mi sembra la cosa giusta: mi è entrata nel sangue e io credo di essere nel suo. In attesa di situazioni più sensate può essere la soluzione per un breve periodo.» Non le aveva voluto parlare del marito che in Palestina aspettava Ruth.
La situazione così descritta aveva la parvenza di essere molto più limpida. Sarah, aveva annuito favorevolmente alla richiesta della figlia, meravigliandosi di tanta saggezza a soli 17 anni.
Il consiglio era stato seguito
Il rito di farsi svegliare da Ruth era divenuto per Elena una piacevole abitudine. Mamma Sarah non l’accompagnava più e il risveglio era divenuto il primo atto erotico della loro giornata.
Questa volta però sarebbe stata una parentesi molto più intensa: due giornate tutte per loro… Per il loro sentimento… Per il loro godimento.
Una situazione che aveva modificato anche lo svolgimento del pranzo: non c’erano più le preghiere propiziatorie che lo anticipavano. Il consumo del vino era sicuramente raddoppiato. L’allegria si faceva sentire come non mai. La sua durata era veramente diminuita. Appena avevano potuto, i due genitori si erano presi per mano per avviarsi al loro talamo matrimoniale. Le due ragazze, di conseguenza, non potevano rimanere inattive e già innanzi al tavolo erano iniziate le prime effusioni e carezze che nella stanza, poi, si erano completate in un vibrato 69… il secondo della giornata.
Elena era veramente stata conquistata da questa pratica erotica e aveva manifestato il suo entusiasmo riempendo lo specchio del comò della camera, scrivendo con un vecchio rossetto quel numero per le volte che lo aveva praticato. Scemato il godimento di quel coinvolgente amplesso si era levata dal letto, ogni volta, per aggiungere ancora quelle due cifre allo specchio.
Le ragazze poi erano uscite per distrarsi fra la folla che verso sera, finito il lavoro, si concentra nelle strade del centro della Città. Al loro rientro, avevano trovato sul famoso specchio l’aggiunta di un ulteriore copia dello stesso numero. Chiaramente un messaggio di mamma Sarah: il consiglio era stato seguito.
Il primo mattino era ancora fresco. Quella giornata di fine maggio si prospettava calda. Ruth con il sacco dei suoi effetti personali sulle spalle, era madida di sudore. Era tornata alla sua tenda nel campo dalla breve licenza. Tanto breve che aveva generato un arrivederci colmo di malinconici baci. Decisamente la giovane Elena l’aveva cotta e stracotta. Così cotta che uscendo da quella casa aveva voluto fermarsi al posto telefonico pubblico per chiamare in Palestina, Gioele, suo marito. A lui non era riuscita a non parlargli di Elena, tanto che questo aveva concluso la telefonata con «Non vedo l’ora che tu torni, così potrò io farti la cura necessaria a superare l’infatuazione che si è impossessata di te.» E Ruth aveva fatto tutto il tragitto fino al campo versando lacrime. Impotente innanzi alla scelta che, prima o poi, avrebbe dovuto fare.
La sola cosa che si era convinta a mettere in pratica era stata quella di diradare il sensuale rito del risveglio mattutino alla bella Elena.
È noto che allora le comunicazioni erano complicate, lente e farraginose. Certo non avevano la tempestività di quelle del giorno d’oggi.
Notizie erano arrivate alla fine di giugno. Le aveva ricevute Ruth. Ed erano le informazioni che lei aveva richiesto al potente rabbino londinese su Màtt Ferguson.
“My dear Ruth, (traduciamo) Màtt Ferguson, è il più giovane dei tre figli di una stimata famiglia di assicuratori londinesi. Finché non si è arruolato nell’esercito il ragazzo è stato un eccellente studente. Quando riprenderà la vita civile potrà dare l’ultimo esame ed entrerà nel novero degli ingegneri meccanici. Tanto utili ad un paese che deve risollevarsi. Dal punto di vista morale non ci sono pregiudizi su di lui. Non è mai stato segnalato per aver frequentato ambienti equivoci e solo un mese prima di partire per il fronte, ha voluto sposare Margaret Cromwel, pulzella di un’altra stimata famiglia di assicuratori. Se non avesse già contratto il matrimonio e la moglie non si fosse poi rivelata gravida, ti consiglierei di fargli la corte. Per dimostrarti come ho svolto il compito che mi hai affidato, unisco una foto, recuperata, del loro matrimonio.”
Ruth non sapeva se quelle notizie dovessero farle piacere o preoccuparla perché, pur avendo avuto tante confidenze da parte di Elena, la forza del loro sentimento aveva attenuato il trasporto che questa dimostrava verso colui che le si era proposto quale fidanzato. Non capiva quale sarebbe stata la reazione della ragazza ingannata e cosa avrebbe influito sulla loro trasgressiva relazione.
Aveva richiuso la busta con lettera e foto che avrebbe consegnato a mamma Sarah.
Se c’era una materia scolastica con cui Elena aveva difficoltà a rapportarsi era la matematica. Visto però che doveva superare lo scoglio dell’esame di maturità, in cui era materia prevista, la famiglia aveva pensato di darle un supporto. Così ogni mercoledì si recava dalla professoressa Mengarelli, titolare di una qualche cattedra all’università, per prepararsi all’esame in quella materia. Era il momento giusto per Ruth di incontrare mamma Sarah e darle la lettera del rabbino con annessa l’eloquente fotografia.
«Accidenti! – Aveva esclamato quella bella donna, leggendo la mascalzonata che aveva subito la propria ragazza – E le ha preso anche il bene più prezioso per una ragazza. Meno male che abbiamo incontrato te. Così può reinventarsi la vita. Ora il difficile sarà farglielo sapere senza che ne abbia un trauma. È così fragile in queste cose… Forse tu, che già la conosci bene, puoi darmi una mano.» E l’aveva abbracciata.
Da quell’abbraccio Ruth, aveva tratto un intenso brivido e tanta tentazione. Era la sobria bellezza di Sarah a scatenare i suoi desideri più reconditi, quelli che aveva poi indirizzati su Elena che di sua madre era il simulacro giovane, la copia perfetta. Ogni volta, però, che la incontrava, si rinnovava in lei quell’emozione. Quel colpo di fulmine che l’aveva aggredita al primo incontro. Fortunatamente quell’abbraccio era durato un lampo, altrimenti Ruth non avrebbe resistito ad astenersi da avances. Ed era sicura che Sarah l’avrebbe incoraggiata. Glielo si leggeva nello sguardo. E questo sarebbe sicuramente stato un fatto del tutto indistricabile. Era riuscita a rilassarsi con un cinico ragionamento: “Dovessi rompere con la figlia, potrei allora dedicarmi a lei.”
«Contaci Sarah proprio stasera che rimarrò con lei le racconterò tutto. Compreso la tua intuizione.»
«Grazie, Cara. Sono sicura che saprai prenderla per il verso giusto e limitarne la sofferenza. Magari anche ricorrendo a un buon 69.»
Pronta e perspicace, con un bel sorriso sulla bocca aveva reagito alla provocatoria battuta con:
«Quando ci saranno le condizioni lo insegnerò anche a te.»
«Promesso?»
«Promesso!»
|N.d.A.: Una bella lenza anche la mia bis-nonna!|
Mamma Sarah aveva chiesto a Ruth di fermarsi che Elena sarebbe rientrata di lì a poco. E la fece accomodare nella stanza della ragazza: «Qui oramai ti senti come a casa tua e puoi metterti in libertà.» Aveva voluto salutarla con una carezza sulla guancia con il viso a pochi centimetri da lei. Le labbra si erano quasi sfiorate. Un lampo era scoccato innanzi agli occhi di Ruth che subito aveva afferrato polsi di quella bella signora, madre della sua amante: “Che casino!” Si era detta tra sé. Proprio per questo fulmineo pensiero, tutto era rimasto a un prolungato e intenso sguardo.
«Mi sa che sarà difficile mantenerci in questi termini.» Una piroetta su sé stessa e se n’era andata con passo svelto lungo quel vasto corridoio. Quasi di corsa. Come fuggendo.
Pochi minuti dopo era arrivata Elena. Che si era gioiosamente stupita di trovarla lì. Bacio, questa volta prolungato e con le lingue in effervescenza. Nell’abbraccio il calore di un corpo aveva sovrastato quello che emetteva l’altro. Staccatasi dalla bocca Elena aveva preso a succhiare il collo dell’amica e sicuramente non si sarebbe fermata lì. Sennonché Ruth, pur palpandole l’intrigante seno si era scostata da lei. La ragazzina era ben determinata: «Ci spogliamo, Ruth?»
«Volevo prima raccontarti una storia.»
«Puoi farlo anche sotto le lenzuola mentre ci accarezziamo.»
«Preferisco farlo senza un corpicciolo accanto che mi stuzzica ben altri pensieri.»
«E allora parti. Io intanto mi spoglio e ti aspetto sotto… Mi tira che non ne hai un’idea. Stasera, ti brutalizzo…»
Nel raccontare, Ruth era partita dall’incarico che le aveva trasmesso il dottor Ugo Baer rendendo così esplicita la sua appartenenza all’Hagana. Poi era passata la richiesta di mamma sua, per poi leggerle la lettera del rabbino inglese.
Alla fine: «Non sei, allora, un’infermiera. Sei un agente segreto.» Ruth aveva previsto una reazione completamente diversa da quella pacata frase. Adesso prevedeva un improvviso scoppio con lacrime e maledizioni. Si era spogliata e infilata accanto alla ragazzina che la guardava in assoluto silenzio. Quando l’aveva toccata per una carezza aveva espresso quello che si aspettava da lei:
«Guzzami, Ruth. Ne sento il bisogno e credo anche di meritarmelo.»
Ruth aveva ubbidito ed era partita con quei preliminari che tanto piacevano ad Elena. «Con la lingua, Ruth… Con la lingua. Che dopo vengo io su di te.» Aveva allargato le cosce. Appena la lingua di Ruth le aveva lambito la clitoride le aveva preso la nuca, tenendole la bocca ben allineata alle grandi labbra. Ruth non l’aveva delusa e l’aveva portata a godere quasi subito, freneticamente.
«Cosa ve ne fate voi donne di un uomo? – Aveva commentato il suo piacere, Elena, mentre riceveva sui capezzoli la scatenata lingua dell’amica. Poi era partito il pianto. Quello della rabbia che non trova spiegazione perché tutto è già scritto. – Che sarebbe andata così me l’ero immaginata. L’avevo capito dalla sera in cui mi ha sfondato il culo – questo a Ruth non l’aveva ancora confessato – Avevo sentito nel suo comportamento quanta prepotenza c’era in lui e quanto poco rispetto per chi gli stava dando parte di sé. Appena appagato si era girato e addormentato senza preoccuparsi se la pratica che aveva messo in opera aveva procurato piacere oppure ferite che ancor oggi si fanno sentire… Non posso neppure lamentarmi perché il culo gliel’ho offerto io e qualche giorno dopo quando è venuto a dirmi che lo avevano promosso a capitano e che sarebbe tornato in patria, gliel’ho tornata a dare, dicendogli che sarei rimasta in attesa di un suo cenno per raggiungerlo per tutta la vita. Evidentemente l’incapace sono io.» E aveva ripreso a singhiozzare.
«Tu mi hai già etichettata come un agente di una potenza straniera. Non è così. Sono un medico che ha organizzato una rete di informazioni che tiene collegato un popolo di dispersi nel mondo che vogliono ricostruirsi un proprio Paese. E proprio dato che sono un medico e le lacerazioni come hai subito tu, ci mettono parecchio a rimarginarsi, se mi le fai vedere, trovo qualcosa per lenirti il dolore.» Si era girata e Ruth aveva potuto constatare due piccole ferite ancora aperte a lato dell’apertura.
«Se vuoi, con qualche impacco di acqua ossigenata si dovrebbe risolvere il problema.» La delicatezza con cui Ruth aveva manovrato quella parte, aveva prodotto qualche stimolo di piacere in Elena che:
«Qualche bacio, darebbe sollievo?» Per dire che in casa acqua ossigenata al momento non ce n’era.
«Ingorda! Potrebbe dare eccitazione ma dubito benefici duraturi. Magari solo per il breve periodo in cui viene praticato. Comunque, si può sempre provare.»
«Sì, dai… Così forse mi passa l’incazzatura… Wow, ma è molto bello! – e si era lasciata andare alle fantasie della lingua di Ruth. – Se tu avessi l’uccello, ti chiederei di mettermelo dentro.»
«Stasera non sarebbe proprio il caso. Le ferite sono sì e no chiuse. Le ho sentite con la lingua. Ci vorrà ancora un po’ di giorni.»
«Sei proprio un dottore. Scusa se ho detto che sei un agente segreto.»
«Un po’ lo sono. Ma non sarà per sempre.»
«A me non frega niente se poi lo sei davvero. Importante è averti qui e che tu mi faccia godere. Mi piacerebbe che tu avesti anche il cazzo. Stasera mi piacerebbe fare all’amore col cazzo» il suo parlare si era fatto sussurro. In lei l’eccitazione stava montando. Forse non ricordava più che il fidanzato che aveva avuto non era che un mascalzone. Ricordava solo di aver avuto uno che la chiavava con un bel uccello circonciso e che a lei piaceva tanto.
«Ti va un 69?»
«Volevo chiedertelo io. Stasera vorrei essere io la porca.»
«Mi metterai anche un paio di dita nel culo così ti sentirai veramente porca.»
«Hai il culo rotto anche tu?»
«Oh, sì. Ce l’ho rotto da che ero più giovane di te. Eravamo arrivati a Gerusalemme da poco…. Figa e culo, tutto in un sabato mentre i miei erano andati a presentarsi al rabbino. Dalle mie parti i maschietti non scherzano.»
«Tuo marito?»
«No, Gioele c’è passato solo qualche anno dopo. Fu un bel giorno anche se non fu Gioele ad iniziarmi all’amore. Daniel era uno dei miei nuovi amichetti. Aveva un paio d’anni più di me. Era tanto simpatico e fu molto delicato. Io, tanto contenta. Lo avevo raccontato, poi, con orgoglio a tutte le mie nuove amiche.»
«Chissà come saresti con il cazzo? Secondo me sotto quelle belle poppe che hai, non ci starebbe male… Dai… Facciamo una finta. Giusto per vedere come stai.» Sopra il comò c’era un candeliere con una bianca candela, giusto per le emergenze belliche. Elena era andata a prenderla per posizionarla fra le cosce di Ruth, proprio dove poteva immaginarsi il cazzo. E si erano divertite a quell’ipotesi mimando un pompino e una sega.
«Se vuoi provarlo proprio come cazzo. Puoi infilartelo. Io lo tengo dritto verso l’alto.»
«Oh, no! Il cazzo è una cosa seria.»
«Perché, la figa no?» Con un balzo, la bocca di Ruth si era reimpossessata della figa della ragazzina. Tornata alla sua genuina vivacità. In fondo ad Elena di non rivedere più il suo sverginatore non le importava più tanto. Aveva la sua Ruth che aveva anche un marito. Peccato che non avesse anche il cazzo.
“Non si può avere tutto nella vita!”
Con questo banale battuta concluderei questo capitolo della vita di nonna Elena. Fa parte di tante storie che lei mi ha raccontato qualche anno prima di ritirarsi a vita eterna.
Era molto simpatica nonna Elena. Definiva la propria vita su questa terra: «…“Molto porca”. Nell’aldilà diventerò sicuramente, “Molto Santa”.»
Se non ve ne siete ancora accorti, sto santificandola.
Nonna Elena, Ruth in nonna e bisnonna
Il baronetto londinese
Per Elena, Ruth, è un’esigenza.
Per lei, la bella sergente si è congedata dall’esercito britannico per non seguire la Compagnia che lascia Bologna per operare in Austria.
Ruth, ha fatto questo per Elena. La ragazzina che, alle prime armi con l’amore, si è bruciata le ali, nell’illusione di un futuro con un baronetto londinese. Il sogno di un’invidiabile situazione coniugale.
N.d.A.: Bruciarsi le ali, a quel tempo, si diceva quando una ragazza la dava senza essere sicura di un conseguente matrimonio.
Quindi, riempirla di affetto, per Ruth, è un dovere: starle accanto il più possibile e ricoprirla di piccole attenzioni. Il piacere che ne trae è quello di spupazzarla a suo piacimento.
In fondo, l’esercito che Ruth non ha più voluto servire, è solo una copertura per la sua missione. Che ha ben altro fine.
Elena che tutto questo ha capito, chiede e ottiene dai suoi che Ruth resti ospite da loro, finché avesse avuto bisogno di rimanere a Bologna.
Molto impegno all’assenso del professor Alberti – uomo di grandi virtù e intelligenza, che nulla sospetta dei sentimenti che si incrociano all’interno della propria famiglia – è dovuto agli interventi, non solo notturni, della moglie Sarah, che subisce un’attrazione incontrollabile verso la bella ex sergente. Pur se, suo malgrado, è ben consapevole del rapporto che si è instaurato fra costei e la propria figliuola.
Ricapitolando.
A fine maggio del ’45 la situazione in via Ugo Bassi 9, è:
Elena, dopo aver pianto per un giorno intero, fra le braccia di Ruth, il fallimento del suo sogno d’amore con il capitano Ferguson: «Adesso hai me. Se vuoi… Naturalmente.» E sfrontatamente le allarga le cosce e si era mette ad arzigogolare con le dita sotto le grandi labbra. Sul perineo.
Elena, invasa da una scarica che la quasi tramortisce. In balia della propria figa, lascia che le lacrime si secchino sotto gli occhi e sulle gote. Ancora una volta si lascia conquistare dai tentacoli del piacere con cui sa avvolgerla Ruth.
Sarah, sa benissimo quel che succede fra le due ragazze. La figlia, ingenuamente, si confida con mamma raccontandole per filo e per segno quel che combinano ogni notte su quello stretto letto da una piazza e mezzo.
Sarah manda giù il rospo. Avrebbe voluto essere lei al posto della figlia.
Dal primo momento che ha conosciuto Ruth è scattata in lei una forte attrazione verso quel tronco di sergente tutta al femminile. Da subito, avrebbe voluto che quella bella ragazza che sta dentro all’elegante divisa della Royal Army, l’avesse presa, sbattuta contro la parete e palpata in ogni dove. Lei non avrebbe neppure finto di difendersi o di indignarsi. Si sarebbe lasciata andare completamente alla libidine di lei. Invece questo è capitato a sua figlia, Elena. Che, proprio lei, ha voluto farle conoscere con l’intento di instaurare un’amicizia ben più duratura di quello sporadico approccio.
Le tappe di tutto questo sono fulminee. Fulmineo, il flirt che ha avvicinato la bocca dell’ingenua ragazzina a quella di Ruth. Fulminei, i sentimenti che si sono scambiate le ragazze. Veloce, la conferma a Sarah che per il momento è fuori gioco. E questo viene inequivocabilmente dall’intima confidenza di sua figlia che ha l’abitudine di dire a mamma tutto quello che prova o, quantomeno, che avrebbe voluto provare:
Elena, ha provato l’amore con una femmina!
Mamma Sarah è una bella donna decisa che difficilmente prende persa una competizione. Figuriamoci se ciò può accadere con sua figlia, che oltretutto considera fragile ed esposta al volere degli altri.
La gita al mare
Una fervida occasione, per incubare una tempesta passionale in famiglia si viene a creare la prima domenica di giugno, quando il professor Alberti decide di far trascorrere a moglie e figlia, finalmente, una giornata un po’ diversa dalle altre: una gita al mare.
Come usava prima della guerra, per chi se lo poteva permettere, Lui, si reca all’autorimessa dei fratelli Stagni e prende a noleggio una possente automobile: una Lancia Augusta!
Due colpi di clacson sotto casa e tutto via Ugo Bassi 9 è alla finestra, a guardare la famiglia Alberti e quella ragazza che da un po’ di tempo è ospite a casa loro che si imbarcano – se si può dire – per avventurarsi verso una delle mete marinare dell’Adriatico. Dopo aver avuto informazioni e assicurazioni che è una di quelle spiagge già bonificata dalla guerra e dai suoi micidiali residui.
Le tre femmine che si accompagnano al prof. Alberti, sembrano sorelle, tanto assomigliano nell’abbigliamento primaverile: sottana larga a pieghe con fantasia floreale, camicetta bianca a mezze maniche, per tutte e tre. Quello che le differenzia sono le calze di seta di Sarah. Elena e Ruth sono a gambe nude. Un leggero scialle sulle spalle e un po’ di tacco ai piedi di Sarah e Ruth. La camicia molto attillata di Ruth, fa intuire che non porti il reggiseno.
Il viaggio sarebbe durato più o meno due ore. Compreso una golosa colazione in una pasticceria, strada facendo.
Sarah e Ruth si alloggiano nel sedile posteriore. Elena, di fianco al papà suo.
Il professor Uberto, con gesto solenne, infila la chiave e avvia il motore. L’elegante berlina si muove senza troppo rumore. Dalla Porta Maggiore in poi, Elena si lascia cullare dai movimenti dell’automobile e si addormenta. Le due donne, dietro, chiacchierano allegramente. Il professor Alberti è molto attento a controllare le intenzioni della macchina che al momento, risponde perfettamente ai suoi comandi.
La schiavitù delle calze?
«Come mai che, anche oggi che la giornata sembra si faccia calda, non ti sei liberata dalla schiavitù delle calze?»
«Oramai le calze fanno parte del mio corpo. Mi piace molto adornarlo con queste e con tutti i loro accessori. Ho messo assieme quasi una collezione di reggicalze e giarrettiere. Una più bella dell’altra. Oggi ne ho messi in opera uno che richiama i colori della primavera.»
«Eh?… Fa vedere.» Sarah solleva la gonna fino a mostrare il gancio della giarrettiera. Un accessorio che emana una notevole carica di sensualità. Ruth la assorbe tutta: Tocca il gancetto. Ci indugia sopra con la mano. Palpa quella striscia di carne libera da indumenti. Sarah è immobile. Sorbisce quel leggero toccamento che le sta provocando piacere. Mantiene scoperta la bella coscia lasciando che l’intrusa mano possa assaporarla qua e là.
Così va avanti per un po’. Ruth non frena la propria eccitazione. Spinge le dita verso l’interno della coscia. Salgono verso il pizzo dell’elegante mutanda ed entrano in contatto con il bozzolo di pelo che vi è sotto. Sarah rilascia un profondo sospiro. Non fa che sottolineare il fremito che sta provando e che ringalluzzisce la libidine di Ruth.
L’altra mano della ex sergente, al riparo delle ombre degli ampi sedili, si sta già avventurandosi sulla tetta destra, intanto che Sarah non riesce a trattenersi dall’accarezzare quella sinistra.
Il pilota inganna il tempo con un ritornello in voga in quei giorni: “Voglio vivere così…”. Le dita di Ruth, varcato il pizzo della biancheria di Sarah, violano le sue grandi labbra. Un impercettibile: «No…» e le si allargano le gambe. E’ il momento che due dita entrano in lei.
«Siamo già a Forlì» comunica a voce alta il Professore. Molto impegnato a districarsi in un ingorgo per lavori stradali nel centro della città. Un rallentamento che assorbe tutta l’attenzione del pilota, consentendo a Ruth di portare serenamente Sarah al massimo piacere… Ci sarebbero voluti baci… Tanti baci e… quelle belle bugie d’amore.…
Con il rallentamento anche Elena si sveglia. Si stiracchia lamentandosi di aver sete.
«Se possiamo superare questo intoppo ci fermiamo alla prima piola.» E così è.
Uberto si disseta con un bicchiere di albana fresca e frizzante. Le ragazze con un fresco Sinalco [N.d.A.: immonda bibita analcolica inventata da tedeschi all’inizio di quel secolo]. Sarah, è frastornata. Non vuole rifocillarsi e si guarda attorno smarrita: «Ruth… mi aiuti a trovare una ‘ritirata’? [N.d.A.: come si chiamavano allora le toilette]»
«Guarda, è quell’uscio là.» le aveva indicato Elena.
«Tu, se non ne hai bisogno resta con tuo padre, che c’è Ruth ad accompagnarmi. [N.d.A.: in quegli anni se una femmina in un locale pubblico, doveva usufruire della toilette, cerca di farsi accompagnare.]»
Chiusa la porta dietro di loro, è un gettarsi una nelle braccia dell’altra per completare l’approccio di pocanzi con un giro di lingua-in-bocca: «Adesso sì che ci siamo dette tutto.» Chiude l’argomento, Sarah e torna dai suoi, con un aspetto rigenerato.
«È stato il viaggio, vero? – Premuroso il suo Uberto – succede spesso, viaggiando nei sedili posteriori. Sarà meglio che il resto del viaggio tu lo faccia davanti.»
Elena esulta: il solo pensare di stare al fianco di Ruth la eccita.
Sono le 10:30 quando si siedono ad un improvvisato bar sulla spiaggia di Riccione. I segni della guerra sono evidenti, anche se qualcuno ha già trovato la forza di riallestire un’ipotesi di stabilimento balneare. In maniera molto spartana. Sono già in essere alcune attrezzature: per proteggersi dal sole e per sostituire gli abiti da città con quelli da spiaggia.
Mentre le tre femmine si cambiano d’abito, il professor Uberto Alberti si assicura che in quel luogo si cucini qualche prelibatezza marinara pescata quella notte stessa.
L’acqua è tiepida, le piccole onde, invitanti. Fra nuotate e scherzi, la combriccola trascorre parte della mattinata a mollo. Il sole poi l’avrebbe asciugata. Il pranzo, rifocillata e una abbondante quantità di buon vino delle colline adiacenti, dissetata.
L’approccio saffico di Ruth ha risvegliato in Sarah il desiderio coniugale. Svolazza attorno al suo Uberto e lo riempie di affettuosità ed attenzioni. Lui si guarda attorno per vedere se ci fosse mai qualche struttura che assomigli a quanto ricorda in quel luogo, prima della guerra. Utilissima, per qualche sveltina se ne viene il bisogno. In effetti, basterebbe volgere lo sguardo ai suoi calzoncini da bagno, per accorgersi che è così anche in quel momento. Sarah, che l’ha notato, gli si avvicina e gli sfiora il volto con le labbra. Quei begli anni delle vacanze da studente sono ben vivi anche in lei.
La medesima ricognizione sta facendo pure Elena che sente la carne pulsare mentre sente scarso, quel giorno, l’interesse di Ruth verso di lei.
Preso atto che lì nei paraggi, pare non sia disponibile alcun rifugio costruito dall’uomo, non le resta che mettersi nelle mani del caso o della natura: «Che ne dici Ruth, se io e te andassimo a fare una passeggiata con i piedi a bagno?» Cose che si son sempre fatte sul bagnasciuga della Riviera Romagnola.
«Eccomi!»… e si avviano in direzione Porto. Zona abbandonata, ancora molto disastrata: edifici semi bombardati e la più squallida desolazione. Ma dove non è difficile trovare un angolo al di fuori di ogni curiosità.
Il desiderio ha reso Elena determinata e prepotente. È lei a scovare il discreto riparo in cui calarsi le mutandine e dire con tono perentorio all’amica: «Leccamela!» Un imperio, senza alternative.
Ruth, pare frastornata. Non ha quell’entusiasmo con cui ha sempre affrontato analoghe scorribande trasgressive, semiclandestine. Si inginocchia e va con la bocca verso quel batuffolo di peli da lei sempre bramato. Elena glielo porge. Fra quei peli le sorride e sbava, la giovane figa dell’amica.
È quel buon afrore che Ruth ben riconosce, a ridare slancio alla propria libidine: le mani fra le chiappe della fanciulla e via… Ancora una volta la sua lingua si fa dare del lei. Elena, finalmente, può lasciarsi andare alla danza del piacere. Le labbra del suo sesso sono spalancate. Recuperano anche il piacere che le viene da due dita che l’amica le fa entrare in culo. Le stringe con forza, allargando più che può la figa. Con la stessa determinazione mantiene ferma e contro sé stessa quel volto che la sta deliziando. L’orgasmo è un urlo che echeggia in quello scenario surreale, segnato dalla distruzione ed è anche un getto del suo più intimo humus che dilaga nella bocca di Ruth, sempre impegnata nel farla godere. E Ruth asciuga quegli schizzi che ha ricevuto sul volto, direttamente sull’epidermide del ventre di Elena.
Si baciano poi con grande dolcezza, le due ragazze. Elena, appagata da tanta frenesia erotica, rinuncia ai dubbi sulla propria attrazione verso Ruth. Questa, ha bleffato con sé stessa, saziando la figlia, pensando che la lingua stesse appagando la madre. Per lei, in quel momento, il suo più prossimo obiettivo.
Così rasserenate, ognuna per la propria ragione, Elena e Ruth tornano in grande allegria da Sarah e Uberto che anch’essi, in pace ed armonia, stanno chiacchierando, una di fronte all’altro.
Sarah ha squadrato la figlia e ha capito tante cose. Approfittando che le si avvicina, le bisbiglia con tono severo: «Avete trovato dove fare le cosacce?»
Elena, candidamente, le risponde con quell’entusiasmo tipico degli adolescenti nel raccontare proprie prodezze: «Oh, mamma. Una casa diroccata ancora su per miracolo. Brividi già solo per quello… Per il resto… Un fuoco d’artificio dietro l’altro… Con Ruth non si può mai sbagliare!»
Mamma Sarah incassa di buon grado. Raggiunge Uberto che sta confabulando con il gestore della baracca. Questo si mette in tasca alcune banconote che gli allunga il Professore in cambio di una chiave: «Dopo può lasciarla attaccata alla porta.»
«Vieni. Per due ore è nostra.» e prende per mano Sarah.
Elena e Ruth, non troppo distanti, seguono la trattativa e non si meravigliano se Sarah e Uberto stanno varcando la porta di una casamatta militare a ridosso del cosiddetto Bagno Romeo
«Vanno sicuramente a chiavare.» sentenzia Elena, anche se non ci sarebbe bisogno di conferme.
Le due amiche si mettono a ridere. Nei paraggi non c’è anima viva. Si scambiano un bacio. Un vero bacio.
Quella gita al mare, per Elena, segna un punto fermo nel suo rapporto con Ruth. Ha percepito in lei una sorta di ritrosia ad accogliere con entusiasmo le sue profferte di affettuosità.
Così, durante il ritorno, nel lussuoso abitacolo della Lancia Augusta, un affettuoso gesto di Elena verso di lei viene stoppato con la mano, nel senso di: “Ognuno tenga le mani a posto.“
Per Sarah, l’aria salmastra l’ha sospinta verso la depressione. Sul raffinato volto le si legge che un cruccio grosso le ha fatto scomparire ogni traccia di sorriso. Scacciato a viva forza da espressioni di turbamento.
Nulla sono dunque valsi i due colpi ricevuti dal coniuge nella casamatta militare del bagnino. Il pensiero fisso di Sarah resta il procace corpo di Ruth. Chissà quando avrebbe potuto completare l’approccio provato durante il viaggio.
Non è così per Elena che in quella notte stessa, fregandosene della svogliatezza di Ruth, le estorce due orgasmi in forma di 69 e altrettanti con ditalini. Al grido di «Ancora… Ancora… Sii più porca… Fammi impazzire.»
Salva la stabilità della famiglia, il senso del dovere coniugale del Professor Uberto che, inconsapevole delle procelle che turbinano nelle femmine di casa, cerca di dare sfogo a un crescendo della propria libidine. Non manca, in ogni momento, di dimostrarlo alla propria consorte. Quando non c’è alcuna delle ragazze in giro, le fa prendere atto del turgore sempre ben vivo tra le sue gambe, appoggiandoglielo contro, mentre questa è intenta alle domestiche faccende. Sarah, ottemperando alla sua virtù di moglie che non ha mai mal di testa, si lascia prendere per mano per seguire, con tutto il rito del caso, il marito. Abbandonandosi, poi, ad ogni suo desiderio. Anche se mentre naviga in quel godimento, cerca ogni volta di autoconvincersi che sia Ruth a procurarglielo.
Il mal di testa
Questa l’intimità dei nostri protagonisti. Nella quotidianità le giornate scorrono molto normalmente.
Il professor Uberto trascorre dieci… dodici ore all’ospedale che dirige.
Ruth si reca, già alla mattina presto, allo studio del dottor Ugo Baer. Da dove, sotto la sua guida, cura i contatti della sezione dell’Haganà che le è affidata.
Un’attività che la impegna ogni giorno fino a sera.
Elena corre tra cinque insegnanti diversi per mettere a punto il suo programma di studi da presentare alla Maturità. Un impegno che l’ha resa scontrosa e anche un po’ dispettosa. Per cui, avendo ancora la sensazione che il pensiero di Ruth non sia totalmente rivolto a lei, spesso le pratica qualche sgarbo o dispettuccio. Il primo, più appariscente di altri, proprio perché è la prima volta che succede da quando è iniziata la loro storia. – Ed anche perché, secondo il dire popolare, è un refrain fra i lui e le lei, dopo sei mesi di matrimonio, “No… stasera no… Ho tanto mal di testa”. – accade proprio la sera del ritorno dalla gita al mare:
Dopo il pranzo e la rituale partita a carte, allietata dagli sfrigolii della trasmissione radio…babbo Uberto e mamma Sarah si prendono per mano indirizzandosi verso la loro alcova. Elena e Ruth avrebbero dovuto, come al solito, decidere come trascorrere la notte. Ovvero in quale stanza appagare i propri desideri: «Vengo io da te o tu da me?» E’ il leitmotiv che si scambiano ogni volta. Sempre motivo di allegre effusioni. Quella sera, invece, le cose vanno in maniera diversa. Alla solita domanda di Ruth, Elena risponde stizzosa: «Io stasera ho un gran mal di testa.» E dal momento che sono innanzi alla stanza sua, si infila bruscamente in essa, lasciando di sasso, al centro del corridoio, l’amica.
Una notte inquieta
Per le tre femmine di casa Alberti, quella è una notte inquieta.
Decisamente Sarah è quella che più patisce il turbamento di tutti quegli intrighi. Soprattutto in quella notte stessa in cui ha assaporato gli attimi deliziosi che le hanno regalato le dita di Ruth. Se ne sta lì, raggomitolata su sé stessa volgendo la schiena a Uberto, tutto intento a leggere.
Lui spegne la luce e lei rimane con i suoi pensieri che, con il buio, si trasformano in fantasie. Le pare di essere in un grande letto con Ruth, dove questa le suggerisce di allargare le cosce, così sarebbe stato più semplice, per lei, stanarle la clitoride: «Perché è lì che si gode ed è lì che voglio andare con la lingua. Ti farò impazzire.» Questa la fantasia. Allunga la mano, sicura di trovare tra le cosce qualcosa di Ruth. Trova solo la sua mutandina umida.
È anche piacevole toccarsela. Indugia accarezzandosela. Non ci sono le agili dita di Ruth ma le riesce bene anche da sola a darsi piacere.
Accanto a lei il coniuge che sta meditando se abbandonarsi al sonno o stuzzicare la moglie tanto da eccitarla fino al punto che….
Sarah è già in eccitazione… il suo discreto toccarsi sprona la propria fantasia a darle oniriche immagini di Ruth intenta a farla godere. Questo fa che non si accorga che un’altra fonte di piacere si sta muovendo verso di lei. Uberto avendo percepito il suo respirare profondo e avendo intuito che la sposa potesse avere bisogno di lui, sta avvicinandosi al suo corpo con il cazzo stretto in mano.
Uberto Alberti, in quanto a cazzo bisognava inquadrarlo nella schiera dei normodotati con abbondanza, potendo esibire un uccello ben costruito, proporzionato e superiore ai 18 centimetri. Molto apprezzato sia dalla moglie che dalla precedente fidanzata, che aveva tentato il suicidio, quando lui l’aveva lasciata per sposare Sarah.
[N.d.A.: Di alcune infermiere della Clinica Klaus di Zurigo, volutamente, non ne teniamo conto.]
Si diceva che? Ahh…:
Il ben-dotato marito, fallo in mano, glielo appoggia tra le natiche, che la smania della fornicazione ha scoperto. «Oh, Ruth…» E’ il gemito di Sarah nel sentirselo lì. Accolto simpaticamente da Uberto con «Non credo possa esibirne uno analogo anche lei.» E con un leggero colpo di reni lo spinge proprio contro l’ingresso del deretano. La dolce Sarah, arrossendo per la gaffe, cerca di scusarsi dando la colpa a un bislacco sogno. Sicura di un inequivocabile perdono, aggiunge: «Dai, Dado, vienimi dentro da lì… Che è tanto che non lo facciamo così.» Dado/Uberto si muove con perizia e subito la cappella varca la soglia di quel bel culo. Sarah, prima stringe i denti poi sentito il godimento crescere in lei, si abbandona ad esso, partecipando alla piena soddisfazione del cazzo di famiglia. Autoconvinta che tutte quelle meravigliose sensazioni le vengano da parte di Ruth. Elevata al rango di irraggiungibile chimera. Tutto questo anche se, allo sfilare del cazzo dal suo pertugio posteriore e al conseguente sgocciolamento di quanto versatovi, non sa resistere e si fionda sull’uccello con la bocca per ringraziarlo del godimento ricevuto.
[N.d.A: E questa – tengo a precisare – era la mia bisnonna!]
Ruth, rifiutata da Elena [N.d.A. Questa invece sarà mia nonna!] non trova pace.
Tra le sue cosce c’è un vulcano che non vede l’ora di entrare in attività. Ma il suo desiderio non è la ragazzina che l’ha respinta ma la mamma sua che sicuramente in quel momento sta dando il meglio della sua pippa a quel noioso bell’uomo di suo marito. La dolce Elena, da lei concupita e avviata all’amore saffico, solo perché simulacro della propria madre, resta solo un divertissement. La sua massima libidine rimane mamma Sarah, con i suoi meravigliosi quarant’anni.
Per un po’ sta alla finestra a guardare il passaggio notturno nella via sottostante. Si infila poi sotto il leggero lenzuolo. Fa caldo. Decide di stare completamente nuda. Avrebbe ripreso a leggere L’amante di Lady Chatterly e considerando le aspettative del romanzo, meglio non avere intralci ai toccamenti suscitati dagli argomenti descritti. Si tocca per una ventina di pagine per poi nervosamente: “Al diavolo Connie, Oliver e Sir Clifford e le loro pompe inglesi” e spegne la luce. Rimane così con il suo fantasmino, ovvero, la raffinata ed elegante Sarah. Quella, che all’apice del ditalino, fatto in auto, si era limitata a socchiudere gli occhi riaprendoli pieni di lacrime… Mimandole un bacio. Tutto questo, che al momento l’aveva fatta bagnare sotto, è ora immagine ben viva nella sua mente. È proprio questa visione a renderle inquieta la figa. Per un po’ si stropiccia le tette provandone lampi di piacere. Le mani poi non possono far altro che scendere e accarezzare il corpo. Il ventre le da altri stimoli piacevoli e pelo dopo pelo le sue dita si avventurano tra quelli del pube. Sente la sua gemma aprirsi… e perché poi non deliziarne le labbra che si propongono già belle gonfie? Il ditalino va avanti furiosamente. Non sono più carezze ma stimolazioni decise per portarsi velocemente all’orgasmo. Questo arriva facendola accartocciare su sé stessa nel godimento. Deve addentare il cuscino per soffocare le esternazioni che le sfuggono. Tra cui, quella che sarebbe stata un altisonante «Sarah, ti voglio!»
Esausta, si addormenta.
Elena, nella sua cameretta, si mette al tavolo, apre il testo di greco e prova a mettere qualche nozione nella propria testa, impegnata a pensare a tutt’altre vicende. “Devo essere proprio cretina, trattare così Ruth proprio quando ho la pippa che tira spasmodicamente. Chi se ne frega se ha la testa altrove. Importante sarebbe che me la leccasse!”. E giù con la mano a titillarsi la clitoride. Si lecca quelle dita e chiude il libro. Replica le stesse mosse che, praticamente, ha fatto Ruth nella stanza accanto. Alla finestra, però, va completamente nuda: “Voglio dare scandalo alla luna e alle stelle.” Si stuzzica per un po’ i capezzoli per poi masturbarsi. Platealmente. Un passo indietro dal davanzale, gambe divaricate, in piedi. Quel tanto che se ci fosse qualcuno sulla terrazza di fronte si sarebbe goduto lo spettacolo. Ma non c’è nessuno.
Sempre con quella follia nell’animo si sdraia per continuare a farlo più comodamente. Lo fa con rabbia, imprecando contro “quella troia di Ruth” che sicuramente la sta tradendo pensando a un’altra. Lei, però, non riesce a capire chi potrebbe essere. Forse dormendo, nel viaggio verso il mare, può aver percepito qualcosa di cui però non ne è consapevole. È arrabbiatissima con sé stessa ma anche con l’amica a cui ha dato quel suo cuore – e non solo quello – già tanto maltrattato dall’ipotetico fidanzato. Tanto che la mattina dopo si alza molto presto. Fa colazione da sola. Ancor prima che mamma Sarah si alzi. Esce: “Mi faccio un bel giro nella Bologna appena sveglia, poi vado a lezione“.
Ruth, invece, quella mattina non deve andare da nessuna parte. Si è arrovellata tutta la notte fra sogni e pensieri. Poltrisce nel letto.
La sua testardaggine
Nei suoi progetti c’è anche quello di uscire, nella tarda mattinata e dal posto di telefono pubblico, cercare di parlare con Gioele, suo marito, a Gerusalemme. Deve decidere il che fare: se insistere nella sua testardaggine di volersi fare Sarah – quale trofeo della campagna d’Italia – o tornare fra le braccia robuste e rassicuranti di Gioele, tenendo rigorosamente per sé questa ultima fase del fine guerra in Italia.
Ruth fa a sé stessa queste domande guardandosi nuda al grande specchio nella stanza con una certa soddisfazione. Si ripete quanto in realtà si sente dire: “Sei proprio una gran figa, Ruth…” E con la mano spolvera il folto pelo del pube. Si mette di taglio e sorride compiaciuta alle armoniche forme delle natiche. Sempre con l’occhio allo specchio, effettua alcune piroette su sé stessa. Un retaggio della scuola di danza che ha frequentato tanti anni indietro. Ha ancora tutta l’agilità dei suoi 25 anni…
Bussano alla porta della stanza.
Sbircia chi potrebbe essere, aprendo uno spiraglio di un paio di centimetri.
È Sarah che viene ad offrirgli un «buon caffè. L’ho appena fatto». Per Ruth è troppo.
È come aver gettato una sigaretta accesa in una latta di benzina. Spalanca il battente della porta mostrandosi così come è. L’incendio si propaga.
Sarah, comincia a mollare il suo pianto gioioso, versando lacrime già mentre si slaccia la veste. Ruth la bacia voracemente sul collo fin dietro alle orecchie. Si sfila la sottoveste e mette a nudo le poppe, Ruth le abbassa le dozzinali mutande, mettendo mano al boschetto.
Un profondo respiro liberatorio di Sarah e un impercettibile gemito.
Ruth, la stringe a sé. Sarah non piange più e cerca di carpire con la bocca la lingua di Ruth che lecca, sulle gote, l’allumacatura delle lacrime versate.
Il letto è lì. Le coltri tornano a scompigliarsi.
A lungo le lingue si interrogano, le dita esplorano.
È Sarah a voler condurre il gioco: «Io però voglio stare sopra.» E spinge Ruth contro letto: il 69 si forma a regola d’arte.
Ne viene fuori un amplesso molto partecipato. Litanie, vissute e urlate al mondo intero che, stando alle protagoniste: deve conoscere la loro felicità nel perpetrarlo.
Quando l’ebbrezza del piacere si dissolve, le due belle fighe sono sudate ed esauste.
Sarah con grande eleganza si riveste: «Se mi raggiungi nel salotto ci prendiamo il caffè.»
Nelle tazze di un prezioso servizio di porcellana cinese, Sarah versa il nero liquido della caffettiera napoletana: «Quando lo rifacciamo? Sei una vera specialista della materia. Ti voglio bene, Tesoro.»
«Quando potremo, meravigliosa Femmina. Tu non sei digiuna, però.» Sarah, arrossisce. Abbassa lo sguardo e avvicina la tazzina alle labbra: «Se rimani da queste parti giuro che di femmine, nel mio orizzonte ci sarai solo tu. Mi puoi promettere la stessa cosa?» E questo lo dice pensando ad Elena.
Ruth ha lo sguardo serio e voglioso. Sarah la stuzzica:
«Oggi, non mi hai fatto sentire l’estro delle tue dita.»
«Sono ancora qui… Vè!» e si sposta sul piccolo divano in angolo. Il volto di Ruth ha ripreso un’espressione serena.
Sarah risale con le mani sotto la propria veste e cala la mutanda. Si sdraia, anch’essa sul divanetto, con la testa sul grembo dell’amica, che sa benissimo come procedere.
Si succhia un paio delle proprie dita per poi passarle fra le labbra di Sarah che si aprono per succhiarle a loro volta. Quelle dita volano fra le sue gambe e risalgono le cosce verso la meta.
«Ma perché mi piaci tanto… Impazzisco solo a guardarti.» Le confessa. Le dita stanno già violando le grandi labbra.
Che Ruth sia preda di un’intensa eccitazione lo si capisce da una certa cattiveria che mette nei movimenti e in quello che dice. Adesso nella figa di Sarah ha fatto entrare anche il terzo dito. E sono dita lunghe e affusolate. Le dita di una violoncellista. Perché questo era l’hobby di Ruth quando serenamente stava nella sua casa di Gerusalemme. Ora che lo strumento le manca, si rifà usando quell’energia sulla clitoride di Sarah. E lei non può che godersi quel concerto privato fatto di piccoli movimenti all’interno della propria figa: «Ci sono… Ci sono… Dai, accelera… Ecco. Così… Così…» Viene. Subito si asciuga e ricompone.
Tutto si conclude un attimo prima che il marito, Uberto, giri la chiave nella porta.
«Ci è andata bene. Un’altra volta dovremo calcolare meglio i tempi.» Reagisce Sarah.
«Già!»
Ancora pochi minuti e arriva anche Elena. Si stupisce di trovare tutta la famiglia nel salotto: «Ecco, una arriva a casa con una gran fame e trova tutta la famiglia ancora al caffè!»
«Vado subito a preparare per mettervi a tavola.» Sarah non vede l’ora di infilarsi nel bagno per controllare che tutto sia a posto e non ci siano su di lei, tracce di quel che è stato.
«Io, proprio attorno all’una, devo vedere una persona. Mi spiace di non poter stare con voi.» E Ruth sguscia via.
«Meno male. Questa piattola!» commenta con astio, Elena.
Gerusalemme alla cabina 3
Al punto telefonico pubblico della TIMO [N.d.A.: Telefoni Italia Medio Orientale: società che in quei giorni provava di gestire le precarie comunicazioni telefoniche], Ruth arriva con una gran confusione nella testa. Per realizzare il collegamento con Gerusalemme si deve prevedere un’attesa, più o meno, di tre ore. Sarebbe andata a mangiare qualcosa in una trattoria. Così, tutta sola, avrebbe avuto modo di riordinare le proprie idee anche se, dopo il fugace incrocio con Elena, una decisione la sta maturando.
«Ho Gerusalemme alla cabina 3.» Annuncia l’impiegata. Mentre afferra la cornetta del telefono, Ruth sente le gambe cederle e si appoggia alla parete della cabina.
È emozionata. Non è la prima volta che le succede, in quel lungo distacco da Gioele. Questa volta però il turbamento è più pregnante. Forse quella telefonata sarebbe risolutiva di un’avventura che l’ha spinta per mesi lontana dai suoi affetti… dalla sua gente.
«Come stai, vecchia troia…» Ruth, ha uno paio d’anni più del marito.
«Malissimo. Lo sai che lontana dal mio uccello preferito, sbatto le ali anch’io.»
«Non dirlo a me che ogni notte mi sveglio con te innanzi agli occhi che ti tocchi e mi inviti a trombarti. Cosa posso fare se non spararmi una sega. Ormai sono a due seghe per notte. Ogni volta che entro a casa nostra, così deserta, mi viene subito duro. Qui ancora, tutto, ha il tuo profumo.»
Come sua intenzione, non aveva neppure iniziato a chiedergli cosa si aspettasse da lei, adesso che la guerra era finita. Era andata direttamente al finale. Così praticamente la conversazione si era estinta nei soliti lamenti:
«Mi manchi tanto!»
«Oh, Gioele, ti prego… Vienimi a prendere.»
Resta nella cabina per un buon po’ dopo aver abbassato il ricevitore. Il tempo per riprendersi da un pianto che pare inarrestabile. Quando si ferma le pare di essere in un pianeta diverso, con colori diversi, profumi diversi, gente diversa. Gente che le sorride, gente che ha voglia di divertirsi. Presa da questa euforia le torna fame e così rimette piede in quella trattoria dove un’ora prima ha consumato una mezza porzione di pasta asciutta: «Ne avete ancora di quelle buone tagliatelle che mi avete portato prima?» E si avventa su un abbondante piatto di questa specialità locale: “A Gioele piaccio rotondetta…”. Si fa portare anche un quartino di quello buono, rosso. Sgocciolando l’ultimo bicchiere si rende conto di essere leggermente brilla e allora perché non ordinarne un altro. Forse sarebbe diventata brilla del tutto. Forse avrebbe dato in escandescenze. Avrebbe coinvolto tutti quelli che erano lì, vicini a lei. Invece no. Non succede niente di tutto questo. Si è solo immalinconita. Le è rimasto nelle orecchie il desiderio che covava in Gioele e che ha travalicato terre e mare e che, lui, glielo ha voluto raccontare senza mezzi termini, in maniera forte, forse anche triviale: «… Ti metterei subito la lingua fra la figa e il buco del culo.» Non era un programma da sottovalutare!
“Gioele è un ragazzo deciso che non usa mezzi termini.”
Si erano conosciuti al Tennis Club di Gerusalemme. Lui aveva sostituito uno dei quattro in un doppio e tutti avevano poi fatto una sosta per bere una birra. Erano tutti e tre, dei bei ragazzi, lei l’unica femmina. Poi, gli altri due erano dovuti andar via. Era rimasta lei con questo giovane che era la prima volta che vedeva. Che non era neppure molto loquace. La guardava solo molto intensamente, ma anche Ruth non era indifferente al suo bel portamento e, diciamo pure, anche al suo bel sorriso. Si era fatta sera e lui le aveva detto che l’avrebbe accompagnata a casa: «Mi cambio. Faccio in un attimo» e si era infilata nello spogliatoio. Non aveva fatto in tempo a chiudere la porta dietro di sé che Gioele si era infilato anche lui in quella celletta. Il bacio che ne era seguito era sostanzioso. Ruth aveva sentito contro il ventre lo spessore di quanto era fra le gambe del suo assalitore. Si erano guardati intensamente quando si erano mollati. Con molta meno irruenza, Ruth era tornata Lei all’attacco. Suo obiettivo, capire la consistenza di quell’attributo che quel bel pivello, oltretutto scarso nel tennis, andava a strusciando contro le gonne delle signorine per bene. La lingua di Ruth aveva ripreso il dialogo con quella del Gioele che convinto da alcuni sbadati gesti della ragazza a metterglielo in mano.
Non era certo il primo cazzo che Ruth vedeva o toccava ma di sì tracotante possenza e bellezza non aveva ancora avuto il piacere di averne uno in mano. Era un gioiello… Leggermente rivolto verso il ventre, sulla cui cima troneggiava un rigoglioso glande di vivido colore e ben proporzionato. Senza considerare la lunghezza e l’intera volumetria: un vero super-cazzo! «Ma è una meraviglia!» si era lasciata sfuggire, stringendolo in pugno. Se già avesse avuto più confidenza, glielo avrebbe pure baciato.
Gioele era riuscito a riprendere la gestione dell’uccello. Aveva sollevato il gonnellino sportivo e infilato l’erto fallo fra le cosce. Proprio sotto la mutanda dove questa si era inumidita. Ruth aveva stretto le gambe assaporando il calore di quell’intrusione. Poi, rotto per rotto, aveva abbassato la guardia perché il gradito ospite potesse godere anche il contatto diretto con la carne viva. Gioele si era subito industriato nel cercare di entrare in lei ma avendo solo a disposizione una posizione verticale le sembrava disagevole per lei. Se non, mettere in atto una pecorina? [N.d.A. Non so, da quelle parti, a quei tempi, come venisse chiamata]. L’idea era venuta a Ruth che si era girata e appoggiata alla parete, offrendosi. Gioele era stato veramente un gentleman: centimetro dopo centimetro aveva fatto entrare in quella figa la sua volumetrica e calda appendice. Lei si era impegnata a riceverla, provandone, momento dopo momento, sempre, un crescente godimento.
«Vado dentro fino in fondo?» Aveva chiesto cortesemente il ragazzo, preoccupato di non farle male.
«Vai… Vai… Che ci sono! Spingi, di più… Di più!» E nell’agitazione dell’orgasmo si era messa a dare capocciate contro la parete, fortunatamente in legno. Gioele, prudentemente, aveva estratto in tempo, il suo signor cazzo e si era messo a masturbarsi fin che non le aveva sborrato sulla schiena. L’abbraccio che ne era seguito pareva non dover finire mai.
Quella sera stessa, Ruth l’aveva presentato ai suoi: «… è figlio di un rabbino.» Sei mesi dopo si erano sposati. Erano seguiti altri sei mesi di idillio coniugale in cui si era ripetuta tutta la loro passione in ogni forma immaginabile. Poi la guerra si era portata Ruth in Italia.
[N.d.A.: Tutto quello che vi sto raccontato di Ruth è quanto lei aveva narrato ad Elena nelle notti in cui avevano gioito una tra le braccia dell’altra e che sessant’anni dopo, nonna Elena ricordava con precisione e una certa emozione.]
L’ultimo sorso di quel buon rosso e si alza per andarsene. Le gambe vacillano e si accascia nuovamente sulla sedia.
Hotel Roma
Luranz [N.d.A: che sta per Lorenzo] che pranza nel tavolo a fianco, prontamente si alza a soccorrerla. Lui è infermiere al Sant’Orsola.
Quel giorno, che è di riposo, sta divertendosi a fare il turista nella sua città. Ruth, accetta quella gentilezza e si appoggia a lui per riprendersi da quel brutto scherzo alcolico: «Se mi dice dove deve andare posso esserle d’aiuto.»
«Il dramma è che non so dove andare – Ruth ha già deciso di non ritornare dagli Alberti quella sera – Avrei bisogno di fermarmi per un buon po’, in un posto tranquillo, per organizzare il mio futuro.»
«Se vuole, qui a due passi c’è un albergo. Posso accompagnarla.»
«Sì. Forse è una buona idea.» Ruth, con un sorriso si mette al suo braccio.
Luranz si illude che la bella straniera lo faccia salire con lei in stanza. Ruth in quel momento, avendo a lungo meditato sul suo rapporto affettivo con Gioele, l’unica cosa di cui ha bisogno è di rimanere sola e decidere come liberarsi dagli affetti che si è creata qui in Italia, senza rovinare l’esistenza a chi li ha accettati.
La stanza del centralissimo Hotel Roma è confortevole e luminosa. Dall’arredo fatto con mobili raccattati un po’ qua e là, prorompe una vampa di sensualità che però l’inquilina di quella notte, respinge decisamente: “Come faccio? Sarebbe come imbrogliare me stessa, proprio oggi che debbo risolvere come liberarmi contemporaneamente da ben due storie d’amore?” È il ragionamento che fa accorgendosi delle aspettative del suo accompagnatore. Oltretutto un bel giovane. Poi ci ripensa ma il giovane se ne è già andato.
In effetti Ruth, da quando si era arruolata nella Brigata Ebraica, non aveva più avuto momenti erotici con maschi, a parte quell’incontro, per servizio, con il maggiore Stevens e il suo inoffensivo cazzo. Il tutto limitatosi ad una svogliata sega.
Certo che, in attesa che Gioele si metta in viaggio e la raggiunga… “La Palestina mica è qui a due passi… e in mezzo ci sono pure quegli stronzi degl’inglesi.” … Non le avrebbe nuociuto riprendere vecchie abitudini.
Subito un brivido la trafigge nel ricordare le sensazioni profonde che aveva provato con lui: dai cinque orgasmi consecutivi che le aveva donato il suo pisello extra large, la stessa notte delle nozze. Nonché l’emozione, quando, sfinita dal godimento, si era lasciata andare, a pancia in giù sul letto. Aveva sentito mani che dolcemente le allargavano le natiche: “Niente di impensabile – si era detta – me l’ha insidiato dal nostro terzo appuntamento. Si vede che con le nozze lo ritiene un dono dovuto.” Aveva sentito il caldo bocciolo del cazzo aggirarsi nei pressi del buco del culo. Lei aveva tratto un profondo sospiro. Forse aveva anche sussurrato «Vieni!» Ma non ricordava bene. Ricordava invece un paio di dita che l’avevano penetrata con dolcezza. Tanta dolcezza! E qui… con quel nuovo piacere che stava invadendola, l’aveva incoraggiato con un prolungato «Sìii!». Questo lo ricordava molto bene. Subito era successo di tutto da parte della lingua di lui che aveva preso a far scorribanda tra figa e culo, fin che lei non aveva pronunciato: «Inculami, Gioy. Sono tua!».
Bello, sodo il suo mega priapo, si era fatto strada tra le sue eccitate carni, attivando con le dovute mosse, il reciproco piacere. Di seguito, con un ruggito da vero leone, aveva sbrodolato in lei.
Mentre ripensa a quanto ha avuto dal suo Gioy sente le gambe venirle meno. Deve tenere il cervello lontano da tutte le tematiche legate all’erotismo, se vuole mai trovare qualche idea per chiudere le storie che ha acceso con mamma e figlia. E poter così andarsene da Bologna con l’animo in pace. Di tempo ha solo quella notte. Il giorno dopo dovrebbe andare a casa Alberti, recuperare i suoi effetti personali e salutare le protagoniste dei suoi più recenti affetti. Attorno al mezzogiorno, poi, un nuovo collegamento con Gerusalemme e Gioele le avrebbe comunicato quando e dove riabbracciarsi.
Dove si ferma l’ascensore
In via Ugo Bassi 9, al quinto piano, l’ascensore si ferma proprio di fronte alla porta degli Alberti. Ruth avrebbe sperato che quell’ascensore non si fosse fermato mai. Purtroppo per lei, quando lo fa è il momento in cui Elena si è appena lasciata alle spalle la porta di casa per andare a una delle tante lezioni.
«Hai anche il coraggio di farti vedere da me. Vecchia troia…» l’aggredisce subito, la ragazzina.
«Dietro la porta c’è il sacco con la tua roba. Anche se non ti vedrò mai più sarò felice.»
“Cosa sa, per avere tanto astio? Che Sarah le abbia detto?…” si domanda Ruth. A quel punto, prima di incontrare Sarah vuole capirci qualcosa e si mette a provocarla.
«Cosa ti salta in mente di insolentirmi in questa maniera. Cosa ti ho fatto di male?…» Non le lascia finire la frase, la fanciulla:
«Hai distrutto il mio sogno d’amore e hai rovinato l’affetto che avevo per mamma.»
«Cosa c’entra mamma? »
Elena scoppia in lacrime «Mamma c’entra eccome. Voi che non mi sia accorta di quello che era scritto sui vostri volti ieri davanti alle due tazzine di caffè nel salotto. C’era tutta la passione che avevate consumato. Proprio dove vi eravate viste la prima volta. Non ho bisogno, io, che mi si racconti, per capire le cose: io… Le intuisco al volo… Non riuscirete mai a nascondermene.»
“Quindi, sono tutte supposizioni… Sarah non dovrebbe averle detto nulla.” Tira un sospiro di sollievo. Si addolcisce nei confronti della ragazzina: «E tu dai credito alle fantasie che sorgono in te durante la notte?»
«Fantasie? Lo dici tu che lo sono. Mi è bastato guardarvi da domenica in poi. E sentirti mentre facevamo l’amore. Siete due troie e vorrei non vedervi più. Solo che non voglio perdere mamma. Lo capisci?… Tu puoi anche andare nel canale… Troia!» E scappa piangendo, giù, per le scale.
“Certo che è perspicace la ragazza! E adesso andiamo ad affrontare Sarah.”
Sarah sta preparandosi un robusto caffè, come piace a lei. E’ stato un risveglio movimentato. Uberto, chissà cosa avesse sognato? Si è destato con l’uccello più duro che mai e subito ha voluto metterlo alla prova. La sveglia con baci e carezze mettendole le mani dal di dietro fra le gentili natiche e da lì è cominciato il risveglio del suo corpo. Le carezze si sono propagate al seno, poi giù, al ventre. Qui Sarah non ha più scampo. Si offre alla sua brama mattutina, fingendo di essere semi addormentata e ottenendo un risultato strepitoso di coccole, carezze e un impetuoso orgasmo. Non male come buongiorno!
Ne segue la colazione fra cinguettii e dolcitudini. Fin qui tutto fila come l’olio. Poi arriva Elena. Saluta con affetto papà che sta andandosene e inizia con mamma Sarah un dialogo imbarazzante e provocatorio. «Vedo che ti chiava ancora papà.»
«Cos’è che dici?»
«Ce l’hai scritto sul volto che hai appena fatto all’amore.»
«E allora? È mio marito… No? Mica l’ho fatto con un amante.»
«Era per dirti che a me non sfugge nulla di quello che uno è, e che fa. Tutto viene scritto fra le pieghe del volto. E io lo so leggere.»
«Che fosti un po’ strega l’ho sempre pensato ma non che fosti una strega stronza. E adesso mi sa che ti va di fare la stronza strega.»
Le sorride, tanto per far decantare la tensione che si sta accumulando in quella stanza.
«Ma io non sono né stronza, ne strega. È solo per dirti che a me non sfugge nulla. Basta un’occhiata per capire che… – Sarah sta arrabbiandosi. Appoggia la caffettiera sul fornello e sta per ribattere all’impertinente figlia che tra le lacrime conclude la sua sfuriata – …mi hai distrutto il primo vero amore della mia vita. Voglio che tu sappia che io, quella troia, non me la voglio più vedere intorno… Adesso le metto anche il sacco con le sue robe accanto alla porta così se viene a riprendersele ho meno probabilità di incrociarla. La troia!» E fugge sbattendo tutte le porte che incontra sul suo cammino.
Sarah si lascia andare sulla seggiola a rimuginare odiosi pensieri contro sé stessa.
Amanti per tutta la vita
Non è così che la trova Ruth.
Sarah va a lavarsi il viso e riprende la sua inossidabile grinta.
Sovrappensiero sta finalmente sorbendo quella tazza di robusto caffè che gli ha interrotto la figlia con le sue perfide illazioni, … e sobbalza per l’inattesa presenza di Ruth.
«Hai incontrato Elena?»
«Oh, sì. Mi ha detto un mare di insolenze. E più volte ‘troia’.»
«Questo anche a me.» Ruth le si avvicina e già percepisce il buon odore del suo corpo. Che dall’adolescenza tratta con tre gocce, ogni giorno, dello stesso profumo.
Ruth quello che più teme è di non sapersi sottrarre al fascino di questa stupenda donna: intrigante come persona, sensuale come femmina. Vorrebbe avere la forza di dirle solo che deve tornare in patria, voltarle le spalle e andarsene. Ma di fronte a quanto le sta domandando Sarah… «Sei venuta per fare all’amore? – Ruth inizialmente riesce a non rispondere – Potrebbe essere l’ultima volta che riusciamo a farlo.»
«Già. Ero venuta per dirti che sarei mancata per qualche giorno. Incrociando Elena, credo di non avere più chances per tornare.»
«E allora, cosa aspettiamo? Tanto ormai si è convinta che siamo due troie. Cosa guadagneremmo a rinunciarci?»
«Sei spietata, Sarah!» Intanto le loro bocche si uniscono.
«Dove vuoi prendermi, Tesoro?»
«Sei tu che conosci l’ambiente.»
«Per un addio ci vuole il meglio. Vieni… il letto matrimoniale è il posto giusto… o ti intimorisce?»
«Se è dove normalmente godi… Mi emoziona ed eccita.»
«Qui ho goduto anche lunedì e stamattina presto. Ma con te sarà un’altra cosa. Sarà più semplice per me, in futuro. Illudermi che lo sto facendo con te.» e le aveva slacciata la camicia. Denudate le poppe, stava perdendosi tra di esse con la bocca.
Ruth non porta calze e le dita di Sarah arrivano subito a stringerle la prugna della figa.
«Sei irruente… ma è tanto bello!» In un momento si erano tutte due denudate e si guardavano con un sorriso magnetico.
«Sopra tu?» Aveva ricordato Ruth. Un attimo dopo ogni bocca combacia con la figa dell’altra. Le lingue iniziano la caccia alle clitoridi.
Si stringono, agitano, mordicchiano cosce e chiappe. Tra quelle calde cosce sempre in fibrillazione si lanciano incitamenti, insulti, frasi d’amore fin che non esplodono all’unisono. Stringendosi una all’altra spasmodicamente.
Non le dà tregua Sarah. Le monta sopra e si mette a premere con forza il proprio pube sull’umida figa che Ruth prontamente spalanca. E’ il momento in cui le loro bocche tornano congiungersi in perfetta armonia.
Ruth inizia un movimento circolare del bacino. Sarah la imita sfregando la propria crepa contro le gonfie labbra dell’amica. Il gioco le coinvolge in una danza forsennata che il successivo orgasmo lascia stremate.
«Tu dici che potremo non rivederci mai più?»
«Non uccidiamo la speranza. Quando mi sarò sistemata con mio marito, ti scriverò il mio indirizzo. E proverò a convincere Gioele ad accompagnarmi a visitare i luoghi in cui ho fatto la guerra. Vedrai che un luogo e un momento per darci due colpi riusciremo a trovarlo.»
«Amanti per sempre.»
«Amanti per la vita!»
Palazzo ha battuto il mezzogiorno da qualche minuto. Sono innanzi all’ascensore da cui è uscito Uberto.
Sarah rabbrividisce: le viene in mente lo stato in cui hanno lasciato il letto dopo la loro giostra.
«Oh Caro, Ruth se ne va. Raggiunge suo marito in Svizzera. Pensavo di salutarla con un pranzetto. Noi tre, nella trattoria qui dietro. Elena verrà a casa sulle quattro. Ha detto che mangerà allora.»
«Ottima idea, ho proprio un appuntamento attorno alle due. Così non rischio di far tardi per colpa di certe abitudini che abbiamo preso negli ultimi tempi.» e strizza l’occhio verso Ruth. L’ascensore li porta tutti a basso.
Sarah trae un profondo sospiro di sollievo.
È un po’ sbronza, Ruth, quando le passano Gioele da Gerusalemme. Il pranzo di commiato con Uberto e Sarah è stato un susseguirsi di brindisi. Così attraverso i cavi telefonici Ruth vuole far sentire al proprio marito tutta la gioia che la pervade ora che il loro ricongiungimento è solo questione di giorni. Scimmiotta lo stile di lui: sintetico, spiccio, anche un po’ triviale: «Il tuo pisello mi manca. È quasi un anno che non ne vedo uno. Non so come reagirò quando lo sentirò dentro di me. Dio come vorrei averlo qui adesso…»
«Sono il figlio di un rabbino, Ruth, non dimenticarlo: non nominare il nome di Dio invano.»
«Hai ragione Gioele, la guerra e la lontananza mi hanno reso un po’ bestia. Dovrai rieducarmi con il tuo amore.»
Con questa frase straccia lacrime chiudo la parentesi su Ruth.
Dopo quindici giorni, si sarebbe ricongiunta con Gioele a Ginevra. Assieme sarebbero rientrati a Gerusalemme dove come in ogni favola che si rispetti, sarebbero vissuti felici e contenti.
Sette anni dopo, Ruth aveva onorato la promessa fatta all’amica. Aveva convinto Gioele a fare una vacanza in Italia, nei luoghi in cui era passata lei, assieme alla guerra. Sarah era elegantemente bella come quando l’aveva lasciata. Elena stava per laurearsi. Era diventata uno splendore e Ruth era amareggiata di non essere più nel suo cuore. Gioele però …
Turisti per Bologna
In quel breve soggiorno a Bologna Ruth e Sarah hanno messo a punto una complicata tresca per poter rimanere sole e ripetere il loro antico rito del 69.
Per aver campo libero chiedono ad Elena di proporsi, come Cicerone, al marito di Ruth, che manifesta la curiosità di visitare la Città e conoscerne la storia. Così, mentre le due amiche rinnovano i languori della loro libidine saffica, Elena e Gioele scorrazzano per vicoli e portici alla scoperta di Bologna.
È un’afosa giornata di luglio. Le strade porticate riparano dal calore, ciò, però, non toglie che i due giovani siano in un bagno di sudore. Provati per la marcia sostenuta visitando qua e là… questo e quello e con un gran bisogno di sedersi a ber qualcosa di fresco e dissetante.
Pranzo più che bolognese alla ‘Cervetta’
L’orologio di Palazzo batte l’una e loro sono nei pressi della grande piazza, visibilmente provati.
«Che ne dici Elena, se ti invitassi a pranzo in un buon ristorante che mi indichi tu. Così ci riposiamo… Un po’ ci conosciamo meglio e tu mi consigli i buoni piatti della vostra famosa cucina.»
Elena, che è certa che la loro assenza sarebbe stata provvidenziale ad altrui iniziative accoglie l’invito di quel gentile ragazzo: «Oh sì, siamo proprio a due passi da una tipica trattoria bolognese, La Cervetta.»
Qualche momento dopo sono a un tavolo, sotto le pale di un gigantesco ventilatore non troppo rumoroso.
La succulenza dei piatti e una caraffa di fresco vino scioglie la lingua ai due occasionali commensali, portandoli anche su argomenti personali e per niente attinenti alle vicissitudini storiche della Città. Gioele, che sprizza affetto per Ruth ad ogni occasione, ricorda la gioia di quando si è ricongiunto alla moglie, a Ginevra, dopo un anno di distacco. È preso talmente dalla narrazione che scende a raccontare momenti intimi del loro approccio e anche di come, lui, aveva sopperito al temporaneo distacco coniugale con alcune sostituzioni del corpo femminile. Agevolato dalla nomea che il suo fosse uno dei più bei cazzi di Gerusalemme, conteso dal fior fiore femminile, in età da marito, di quella comunità. Tutto questo, Gioele, glielo racconta senza pavoneggiarsi. Come una normale esigenza di coppia. Così come Ruth lo aveva messo a parte della sua attrazione per il corpo femminile «… e sono sicuro che anche tu sei stata nel suo desiderio. O, almeno così ha cercato di farmi capire in qualcuna delle sue lunghe lettere che mi inviava. Ma Ruth scrive in maniera contorta, quasi criptica. Senza mai nascondermi nulla ma non di istantanea comprensione. Gioca con le espressioni e finisce che spesso le cose riesco a capirle il giorno dopo. È un vero enigma per me… Anche a letto, ci metto sempre un po’ a capire a che gioco voglia giocare – e per meglio spiegarsi… visto che conversavano in inglese – … dove vuole che glielo metta.» Ridono di gusto tutti e due. Ad Elena intriga l’argomento e lo stimola a continuare con aneddoti e dettagli. Tanto che con l’ultimo sorso dell’espresso – che lui, tanto apprezza! – conclude il racconto di un episodio consumato con:
«… le ho sborrato fra le natiche, che a lei piace tanto.»
Elena, mentre lui racconta, lo guarda affascinata. Il pensiero le vola a quel solido attributo che lui custodisce tra le gambe e di cui, a suo tempo, Ruth, le ha magnificato forme, colori e prestazioni. Questo le provoca alcuni sfrigolii sotto il basso ventre. Si ritrova con lo sguardo concupiscente di lui sui propri occhi e una mano tra le sue che gliela accarezzano. Si sente in dovere di raccontare qualcosa di intimo di lei: «Avevi capito benissimo. Anch’io, per Ruth, ho avuto turbamenti saffici. E non sono rimasti solo turbamenti… Io, gliel’ho data… A lungo… Per tante notti… Tutte meravigliose!» Abbassa lo sguardo nel dirlo.
Il cameriere, con grande discrezione, appoggia il conto sul tavolo.
Gioele le fa una dolce carezza sul viso. Si prendono per mano avviandosi alla porta.
Stanza 28
Fuori, la canicola estiva. Proprio di fronte l’antica insegna dell’Albergo del Cappello Rosso. Si soffermano a guardarla, sempre mano nella mano, finché è Elena a prendere l’iniziativa: «E se facessimo sosta qui?»
Non si dicono più nulla se non nella stanza 28. Spiegazioni se le danno bocca sulla bocca, subito contro la porta della stanza appena richiusa. Elena così assapora l’emozione del contatto con quel vigore che è in agitazione sotto i di lui calzoni. “Mamma mia, che splendore! Saprò tenergli botta?” E si abbandona a gustare le evoluzioni della lingua di lui contro il proprio palato. I suoi sapori. I suoi turgori, contro cui preme il pube.
L’ultimo cazzo che ha sentito in lei era stato quello di Màtt. Un ricordo lontano di sette anni. Che oltretutto aveva fatto di tutto – e c’era riuscita – a cancellarlo dalla memoria. Poi c’era stata la pimpante passera di Ruth. Finita male tra sospetti ed equivoci.
Dopo, lo studio… Solo quello. Disgustata dagli approcci con l’amore, sia quello al maschile che al femminile, si era isolata con i suoi libri, le biblioteche, le lezioni. Ora, che la laurea era trionfalmente arrivata con 110 e lode – in Lettere Moderne – sente di essere a rischio con la depressione [N.d.A.: Allora si diceva esaurimento nervoso]. Quell’inatteso slancio verso la sessualità di quel ragazzo, già uomo maritato, di cui ha sentito parlare solo in modo boccaccesco, sette anni prima, avrebbe dovuto inquietarla. Invece no. Quel comportamento avventato è indotto dagli sfrigolii della figa. Quella che lei ha inascoltato, zittito. Abbandonato, senza più una carezza. E che in quella mattina insolita e un po’ improvvisata, ha trovato la forza di lanciarle un s.o.s. sotto forma di leggeri fremiti e qualche gocciolina. Elena, si rende conto della crudeltà verso sé stessa, e ora sta accorgendosi dell’occasione per rimediare subito sette anni negati al proprio appagamento sessuale.
Comincia a godersi i giochi di lingua. Le evoluzioni delle labbra sul proprio collo e dietro le orecchie. Le mani di lui risvegliano il piacere sui seni. È talmente presa in questo turbine di pensieri, ricordi e sensazioni che non si accorge che lui è già completamente nudo.
Trova la forza di staccarsi un momento da lui e inizia, uno dopo l’altro, a far cadere, un po’ teatralmente, sul pavimento i vestiti: la gonna, la camicetta, la sottoveste, il reggiseno, le mutandine. Quelle un po’ dozzinali fatte in casa da mamma con la Singer. Via le scarpe ginniche…
Ecco… adesso sono alla pari: col suo bell’uccello circonciso, lui. Esibendo tutta l’eleganza del villoso triangolino del pube, lei.
«Sei di una femminilità travolgente – le sussurra lui prendendole fra le labbra un capezzolo e rovistando con le dita tra il pelo – Già sapevo della sensualità delle donne di questa terra e mai avrei sperato di averne una fra le braccia»
Si è fatta ardita Elena e non resiste a cogliere con la mano il frutto che Gioele le mette a disposizione: un cazzo al massimo del turgore e della magnificenza.
«Non l’avevo immaginato così neppure dall’entusiastica descrizione di tua moglie.» Gli dice, in tutta sincerità, facendoselo subito suo. Sfregandone la cuspide contro le labbra della figa. Emettendo già bisbigli di piacere.
Il letto, quindi, è così avvertito che sta per accogliere tutta la successiva danza.
Lei, non molla l’uccello neppure nello sdraiarsi, portandoselo alla bocca per il bacio con cui rinnova in lei il gusto del cazzo. “Questo sì che è un Signor Cazzo!”
Gioele, intanto, sta facendo crescere la propria libidine leccando e succhiando i seni. In quel groviglio di corpi eccitati, riesce pure a canticchiare una canzone della propria terra che, così bisbigliata come lui la propone, aggiunge sensualità a quella situazione già tanto erotica.
È ragazzo gentile ed educato, Gioele. E quando si decide a fare sul serio lo fa domandando se a lei è gradito.
«Ti va se te la lecco?»
«Oh Gioele! Fai quello che vuoi. È passato ormai tanto tempo che non me lo ricordo più…»
Pare sorpreso «Tanto tempo…?»
«Oh sì. L’ultima volta è stata con la tua Ruth…» e allarga le gambe.
Si capisce benissimo con che tronco di figa sia solito cimentarsi, il giovane. Ha un’agilità di lingua che in Elena subito ricorda i folli 69 con Ruth. Se poi ci si mette quello che riescono a combinare le sue agili dita: fuori e dentro la figa e attorno al buco del culo, il risultato è detonante.
Dopo cinque minuti di quel trattamento Elena non sa più chi è, dove e con chi sia. A ritmo cadenzato le arrivano scariche di godimento che la allontanano dalla realtà. Vede girare attorno a sé girandole di luci al neon colorate. Insegne tridimensionali come si racconta che illuminino le strade di New York, Londra e Parigi. Fra tutti questi colori arriva l’orgasmo. Talmente profondo che il giorno dopo, volendo descrivere con parole quello che ha provato lei “con l’anima e con il corpo” (sic), non riuscirà a contenerne la descrizione in un intero bloc notes. Nonostante una fitta e minuta scrittura. [N.d.A: Un documento fondamentale per chi vuol conoscere le abitudini sessuali di quegli anni.]
«Ci sono… ci sono, ci sono, amore… Ecco… Così, così… – aveva inarcato il corpo e con la figa protesa al cielo… – Co-sì!» È così che conclude l’ode al proprio godimento. Rendendo il membro del tenace Gioele, sempre più duro e impaziente.
«Adesso però, bambina mia, debbo scoparti.» [N.d.A: But now, my child, I must fuck you.]
«E io non ho nessuna intenzione di andarmene… Come vuoi prendermi?»
«Se posso, te lo metterei dal di dietro… Da lì riesco ad andare più a fondo… – e arrossendo quel po’ che deve arrossire un gentiluomo – Ruth dice che è la prestazione in cui riesco meglio.»
Chi non sarebbe mai più arrossita, è Elena. Quell’orgasmo di lingua e dita l’ha riconciliata con il piacere sessuale e da quella stanza dove c’è Lui e solo arredi essenziali, non sarebbe più voluta uscire. Almeno, finché sarebbe rimasto Lui, con la voglia di usare il suo corpo.
«Questo è solo un bacio di incoraggiamento.» Dice appoggiando le labbra alla di Lui cappella. Con la lingua Prosegue lungo tutto il prepuzio fino ai testicoli che mordicchia con affetto. Una piroetta su sé stessa e gli presenta, tra le natiche, la bella prugna della figa, già con le labbra impazienti e rigonfie.
Gioele per un po’ giostra il cazzo fra quelle natiche innervosite per l’attesa. Lo mette poi dentro con somma delicatezza e date le dimensioni, ce ne vuole veramente tanta. Cosa che scatena in Elena una sorta di golosità sessuale. Dopo aver commentato la penetrazione con «Mamma mia! Quanto è bello grosso! – È passata a una cantilena stimolante e piena di incitamenti – … vieni… vieni fino in fondo e dammi il paradiso». Il piacere dilaga in lei.
Non è da meno per Gioele che sente i testicoli invasi da un godimento che cresce ad ogni istante. Stimolato dalle pulsioni della figa che gli coccola il cazzo in un carosello di sinceri abbracci. Soprattutto quando raggiunge il massimo della profondità. Elena inizia ad involarsi verso l’orgasmo.
È tutta un tremito e preme con tenacia il bacino contro di lui che, al contrario cerca di uscire dal corpo di lei per non rischiare inopportune gravidanze. [N.dA.: Era il 1952 e solo l’anno prima George Rosenkranz (1916-2019) aveva annunciato al mondo la nascita della pillola anticoncezionale.]
Elena, sta rilassandosi dalla giostra di emozioni che le ha donato quel cazzo venuto da lontano… Ancora a cul busoni, gira il capo e intuisce la ragione della tristezza manifesta sul volto del partner e del malinconico sguardo che dedica al poderoso uccello che tiene fra le mani.
Il genuino bocchino alla bolognese
«Per lui ho io quel di cui ha bisogno.» Gioele, fiducioso, glielo mette tra le mani.
Negli occhi di Elena si accendono luci che Gioele non ha prima notato…
Quel bell’uccello ha attraccato alle labbra di lei, accolto dalla punta della lingua. Socchiude gli occhi dedicandosi anche con il pensiero al godimento del partner.
In quell’esercizio Elena si era cimentata solo un paio di volte e solo con Màtt. Allora non era stata sicura di aver eseguito un servizio indimenticabile. Se ben ricordava non era andata oltre a seghe con improvvisati passaggi del cazzo all’interno del cavo orale. Tant’è che l’arrapato ufficiale britannico aveva dovuto finirsi lui stesso con la propria mano. Insuccessi che aveva sentito come un’onta e così si era consigliata con mamma che le aveva chiesto dettagliatamente ogni mossa della fellazione. Era inorridita la santa donna! Le aveva fatto notare dove e come aveva sbagliato e, tanto perché non ripetesse ancora gli stessi errori, le aveva fatto ripetere quell’atto in maniera corretta, sotto la sua supervisione, su di una zucchina.
Peccato che i successivi eventi avessero escluso Màtt da un successivo replay. Il successivo periodo, tra le cosce di Ruth, aveva tenuto lontano la leziosa bocca di Elena dal mettere in pratica il materno sapere. Fino a quel giorno le era mancato di poter dimostrare quanto ancora fosse sentita nelle ragazze di Città, l’antica tradizione del bocchino alla bolognese, arte, fin lì tramandata dalle loro nonne e bisnonne.
Così, sette anni dopo, grazie alla sua eccellente memoria, può esibire con il bel Gioele, un’esecuzione affine agl’insegnamenti materni, ben rispettosi della tradizione.
Gioéle partecipa rumorosamente con mugugni e apprezzamenti, accarezzando il capo della sua dolce torturatrice:
«Era come volare – dice ad Elena in uno di quei meravigliosi momenti che seguono l’acme del godimento – e se non fosse stato per la tua calda mano sotto ai testicoli, avrei creduto fosse successo davvero.»
Il genuino bocchino alla bolognese è un festival tra azioni di lingua, ganasce e labbra. Le mani non debbono entrare in gioco. Tuttalpiù possono limitarsi ad accarezzarne lo scroto. Il cazzo in questione va leccato, succhiato e stimolato con la punta della lingua. Il massimo dell’attenzione va dedicata alla corona del glande. Elena, grazie alla sua buona memoria esegue ogni mossa seguendo pedissequamente le indicazioni date da mamma a suo tempo: «Vedrai che se lo lavorerai come si deve terrà botta non oltre i cinque minuti.» Ed è così anche per Gioéle.
«Ohh!!» Mugugna tenendole fermo con le mani il capo sul pezzo. Lui è pervaso da un brivido per tutta la colonna vertebrale. Il glande sussulta. La bocca di Elena si è colmata del suo succo. Senza indugio lo manda giù come tanto aveva raccomandato mamma. Ma non riesce ad ingoiare la seconda bordata che segue a ridosso. Sicché, data la quantità… A lato dell’ingombrante pene ancora in eruzione contro il palato, cola un rivolo della densa sostanza biancastra.
«Sei la quintessenza del godimento – le sussurra lui infilando la propria lingua in quella bocca ancora in parte piena del proprio humus. – Farò molta fatica a stare senza questi sublimi artifizi…. Non avrei mai immaginato…»
«Peccato che domani siate in partenza. Avrei potuto insegnare a te alcuni segreti usando una zucchina. Mamma me lo ha insegnato così. Tu potresti poi insegnarlo a Ruth.»
«Stasera voglio sentire da Ruth se è possibile rimandare di un giorno la partenza.»
«E le dirai anche il perché rinviare…?» Chiede divertita Elena.
«Bien sûr mon amour. In queste cose fra me e Ruth non ci sono segreti.»
«Quindi, tu le dirai di noi, oggi?» È un po’ perplessa.
«Oh sì. Fra noi l’amore è molto sincero, anche perché non abbiamo impedimenti. Non ci sono cose che uno deve fare di nascosto all’altro.»
«Capisco. Io stasera nel bel mezzo della cena di famiglia potrei tranquillamente dire a Ruth: “Sai che hai un marito che chiava come un Dio?”»
«Oh no. Questo non lo puoi dire. Io sono figlio di un rabbino: “Non nominare il nome di Dio invano!”» E si baciano.
Il culo. Bambina mia!
«Tu, stanotte farai all’amore con Ruth?»
«Se me ne lascerai le forze tu, sicuramente sì.» e tanto perché capisca a cosa allude, prende in mano la verga, ancora ben eretta e in vigore.
«Oh Gioéle, sei un maschio straordinario! Perché non approfittarne?» Allarga le gambe per accoglierlo ancora.
«Visto che non c’è più molto tempo per noi, vorrei conoscerti del tutto.»
«Cioè?»
«Il culo. Bambina mia!»
«Ma… Io vorrei fare qualcosa e… perdermi nei tuoi occhi godendo.» Elena tergiversa. Non sottovaluta le dimensioni dell’uccello in rapporto con il suo buchetto che è stato violato una sola volta e, da un cazzo normodotato.
Gioéle intanto ha dato seguito alle proprie intenzioni con profonde carezze ai glutei e attorno al buco del culo «Ma io posso benissimo farti godere qui, baciandoti e guardando i tuoi fantastici verdi occhi.»
Gioéle coglie nel segno citando il fascino degli occhi verdi. Questo la fa andare in solluchero e abbassa le difese. Rilassata la muscolatura dei glutei per le dita di lui è un invito a violare il deretano: «Racconterai anche questo, più tardi, alla ‘tua Ruth’?»
«Se non ti fa piacere lo terrò solo per noi… Sarà il nostro segreto… Dimmi tu…»
Quale pensate potesse essere la risposta a una bordata di sviolinate del genere?…
«Sì, Amore, inculami. A Ruth non raccontare nulla di noi… di questo albergo… Mi fa paura il tuo uccello… Sii delicato… Non sfondarmi!»
Lui premurosamente le sistema due cuscini sotto il fondo schiena e fatto sollevare e piegare le gambe… glielo impunta contro il foro. Così la bacia a lungo… anche sui verdi occhi.
«E’ bollente la tua cappella!» Sospira profondamente. Lui entra. Con il terzo fiocco è già tutto dentro e lei già magnifica le forti sensazioni che sta provando… Parte il godimento ritmato dal movimento di lui che si interrompe con la sborrata in fondo alle viscere. Lei lo incita sino alla fine, annullandosi con lui nel reciproco godimento.
Dulcis in fundo
«Sono le 6 e mezza, Helen – la chiama nella lingua che hanno usato fra di loro – Dobbiamo cominciare a pensare di rientrare.»
È talmente rilassata, Elena, che non avrebbe lasciato quel letto per tutto l’oro del mondo. Purché, naturalmente, nella stanza fosse rimasto pure Gioele. Si mette a fare le bizze come una ragazzina viziata: «Non voglio venir via da qui. Qui sto bene. C’è della gente per bene. Non ho bisogno di niente.» Gioele, la coccola. Le liscia la schiena. La sbaciucchia sul collo. Anche per lui è una tristezza dover abbandonare quel luogo di beatitudine. Lei si solleva e si siede a lui di fianco. Lui ha l’uccello a riposo. Ugualmente glielo prende in bocca: «Mi piace proprio! Mi ha fatto tanto bene conoscerti. Un po’ mi brucia il culo… Ma per il resto è bello che sia così grosso.»
Premuroso Gioele: «Vuoi che lo massaggi?»
«E se me ne torna voglia?»
«Non sarebbe un problema…. Faccio subito un test.» Le allarga le chiappe e immerge il volto fra di esse, lecca con foga laddove il suo uccello ha infierito.
Un intenso calore invade Elena mentre sente la lingua di Lui, provocare il suo buco del culo: «Ti do già io il responso, Amore… Inculami… Chiavami… Fai qualcosa!»
Gioele agisce di conseguenza.
Convengono per una rilassante trombata nella posa del missionario. Che, dopo il fervore della penetrazione, si trasforma in un momento di riflessione alla ricerca di un qualche cosa che li tenga in contatto. Quel tanto per poter sperare di ripetere quanto sta per concludersi in quella afosa giornata di luglio:
«Senza di te. Farò fatica a dare un senso alla vita.» Piagnucola Elena. Gioele, molto discretamente riprende a zomparla.
«Vedi, un altro motivo che ci ha portato qui, in Europa, è che io e Ruth potremmo lavorare per un’agenzia del nostro Paese che sta a Ginevra… Qui a due passi.» E questo glielo dice mentre sgocciola l’uccello sulla pancia di Lei.
Questo rasserena Elena, che, pimpante come poche, si riveste e al braccio di quel simpatico turista israeliano conclude la sua improvvisata esperienza di Cicerone.
Alla cena serale, con tutta la famiglia riunita al desco del professor Alberti, Gioele fa gli elogi ad Elena per la sua capacità di divulgare le eccellenze cittadine. Elena ringrazia levando il bicchiere in un brindisi in onore degli ospiti venuti da tanto lontano. A Ruth invia un sorriso pacificatore, tramutato poi in un’affettuosa carezza sulle gote e un partecipato abbraccio a fine cena, mentre questa le sussurra un accorato:
«Posso ancora avere posto nel tuo cuore?»
Elena, la prende per mano e la conduce in disparte nel corridoio. Qui al riparo di occhi indiscreti aggiorna il rito della lingua in bocca
«Ti sei almeno fatta leccare la figa dal mio marito?… – Presa così alla sprovvista Elena farfuglia qualcosa che in ultima analisi si capisce che è un sì – …Hai sentito che roba?!»
«Non mi ricordavo più… Un vero campione!»
«Cos’è rimasto in te della nostra storia?»
«La rabbia degli ultimi momenti e le tue dita nella figa.»
«Hai bisogno di rinfrescare la memoria?»
«Magari!»
«Potremmo ritardare la partenza di un giorno e domani tenercela tutta per noi tre.» E ripete: «… Noi tre.»
Tra di loro si rinnova abbraccio e bacio.
«A domani… Vi raggiungo io in albergo verso le undici.»
E’ il giorno in cui Elena decide di vivere la propria vita come le detta quella porca che è in lei. Come vi racconterò nei prossimi episodi.
V
Nonna Elena, chissà quando ci rivedremo
Salon de beauté
Ben conscio dell’impegno che l’attende, Elena si alza alla buon’ora. Un caffè al bar di fronte a casa e subito dal parrucchiere. Seduta lunga. Per una passata in rassegna non solo ai capelli ma a tutto il corpo. Compreso il riordino del ciuffo fra le cosce.
Gloria, la visagista che la sta impreziosendo: «Ben, mo Elena… O vai a sposarti o a trovar marito.»
«Niente di tutto questo… Vado solo a darla a un paio di amanti.» Ridono sonoramente. Gloria, però si sente in dovere di metterla in guardia dal gettarsi fra le braccia di due maschi contemporaneamente. «I maschi, quando sono in compagnia, oltre che porci, diventano brutali… Lo sai?»
«Non l’ho mai provato ma mamma mi ha già messo in guardia. Detto fra noi, oggi ho un appuntamento con un lui e una lei, marito e moglie, tanto carini e belli… Saranno fuochi d ‘artificio!»
Gloria la guarda divertita e, mentre si ricompone per uscire e… «Detto fra me e te… se qualche volta, poi, ti va di passare da via Fusari 11, io e Michele – mio marito è piuttosto belloccio – potremmo provare di accendere qualche miccia assieme. È tanto che glielo prometto…»
Sembra non avere capito, Elena. Davanti allo specchio continua a mettersi a posto colletto, giacca e camicia. Quando si sente a puntino, si gira di scatto e le ficca la lingua in bocca con prepotenza: «Adesso l’hai promesso anche a me.» e per giunta le stringe una tetta che fa capolino fra i bottoni del leggero camice.
Erano solo le dieci e aveva ancora un’ora per rifinire i sapienti interventi dell’equipe del Coiffeur Marzio. Rapida immersione nella vasca da bagno e la scelta molto ponderata dell’abbigliamento. Cose molto semplici, al tempo stesso di raffinata eleganza. La prova che si è allestita come si deve ce l’ha in strada, dove due ragazzi le fanno un sonoro tirino con l’aggiunta di un appropriato «Bella figa!»
Sì. Proprio così si presentava Elena Alberti, 24 anni, in quella calda estate del 1952. Nel giorno in cui avrebbe sperimentato l’approccio alla completezza dell’amore. Almeno secondo lei.
Hotel Roma
L’Hotel Roma, dove hanno preso alloggio Ruth e Gioele è nella strada più frequentata di Bologna e mentre entra nella hall dell’albergo, le capita di incrociare la moglie del portinaio del caseggiato in cui abita: una bella donna sui Trenta, ben allestita anche se un po’ scarmigliata nella chioma. Elena entra, questa sta uscendo. Nella mente delle due donne lo stesso ragionamento: “Guarda te? Chi l’avrebbe detto? Anche lei, qui a far marchetta.”
Anche Ruth e Gioele non hanno poltrito sotto le coperte. Desti alla buon’ora, hanno subito consumato un amplesso molto coniugale. Atto propiziatorio per iniziare la giornata. Si sono fatti portare in stanza la colazione e anche loro hanno accuratamente rigenerato i loro corpi sotto la doccia. Ben consci che si sarebbero dovuti confrontare con quello più giovane di Elena che sicuramente avrebbe fatto di tutto per essere “la più bella del reame”.
Il gioco è cominciato
Ruth ha appena finito di aggiungere un po’ di Rimmel alle sopracciglia che percepisce un discreto bussare alla porta. Gioele, ancora in bagno, sta massaggiando il viso con una crema dopobarba che dovrebbe rendere la pelle, morbida come quella di un bambino.
Elena entra nella stanza con spigliatezza. Leggero bacio a Ruth. Si guarda intorno e: «Gioele?»
«Si sta facendo bello per te…. Sei meravigliosa, bambina – Elena compie una piroetta su sé stessa tanto perché l’amica possa apprezzare ogni lato del suo corpo. – Strada facendo quante toccate di culo hai subito?»
In effetti, l’elegante tailleur che indossa, stampa le forme dei glutei tanto verosimilmente che anche un’occhiata distratta potrebbe restituire la falsa immagine di un culo nudo, vagante per le strade di Bologna
«Nessuna. Qui non sono mica maneschi come gli inglesi a cui siete abituati voi. Se vuoi cominciare tu lo prendo come una forma di benvenuto.»
Non se lo fa certo ripetere Ruth. Le si avvicina, l’abbraccia, mani sulle natiche e si stringe a quel corpo che la inonda di tutti gli aromi che si è fatta aggiungere dall’estetista sulla pelle. La lingua corre veloce tra le loro labbra. È un bacio sostanzioso quello che si scambiano. Anche prolungato. È anche la riconciliazione dell’antico screzio che le aveva separate, sette anni prima, con assurdo rancore.
Nella piacevolezza dei sapori che si rinnovano tra le labbra di Elena, lei non si accorge che Gioele, uscito dal bagno completamente nudo è, col cazzo, a un palmo dal suo sfizioso culetto.
Ruth si stacca dall’amica e ride divertita. Le prende il capo e glielo tiene fermo contro di sé.
Le mani di Gioele sono arrivate sulle sue tette e l’uccello preme bramoso contro il tessuto del tailleur.
Elena adesso sa che il gioco è cominciato.
Con agilità le dita di Ruth slacciano i quattro bottoni della camicetta. Spuntano le sue leziose poppe.
Preveggente non ha indossato il reggiseno.
Con la stessa perizia, le dita di Gioele lavorano sul gancio e lo zip della gonna che cala sul pavimento. Spuntano le altrettante leziose natiche.
Sempre per la preveggenza, non ha indossato slip.
La rigida verga viene accolta nell’interstizio tra le chiappe.
E’ il massimo delle figure erotiche a tre: il toast. Con Elena nel ruolo della fettina di prosciutto.
Le dita di Ruth sono già tra le labbra della di lei figa. Il cazzo di Gioele sta scaldandole il buco del culo. Lei, già, lo vorrebbe dentro «Sìii Gioy… vieni… vieni…» Ma nei progetti di lui, l’inculata viene per ultima. Ed Elena si lascia andare ai ritmi dei preliminari, così come impostato dalla trasgressiva coppia.
Intanto si è adagiato sul pavimento anche la sottoveste di Ruth. Unico indumento che la ricopre. Entrano così in campo le sue rigogliose tette che vanno a stuzzicare le carezzevoli mani di Gioele, all’opera su quelle di Elena. Questa, stimolata fronte retro è in un intenso stato di eccitazione. Trafitta da brividi di godimento, vibra in ogni dove. Il volto girato all’indietro dà la bocca a Gioele che con una mano tiene il cazzo contro il di lei buco del culo e con l’altra le accarezza il ventre. Poco sotto, la mano di Ruth la sta masturbando.
Quell’intreccio di corpi è una vera macchina del piacere tutta a disposizione di Elena: “Cazzo, se ci sanno fare, sti due!”
Le dita di Ruth, che lei già ben conosce, concludono il loro sapiente operato, accompagnandola fin sul ciglio del vortice dell’orgasmo. Si staccano lasciando a Gioele il compito di affinare il godimento.
Ognuno ha la sua parte: Elena, quella di piegarsi in avanti sul letto e allargare i glutei. Gioele si china e dà con la lingua, la giusta umidità sopra e attorno al buco-del-culo. Elena è tutta un fremito. Ruth è spettatrice sporcacciona. Eccita l’ambiente con una sua sfrenata masturbazione in poltrona.
Elena sarebbe già pronta alla beatitudine delle sensazioni che di lì a un attimo dovrebbero venirle dai recettori attorno al buco-del-culo, quando passerà il cordone della cappella.
Ma non sarà così.
Gioele, ragazzo di granitica determinazione, pone sempre l’inculata quale finale di ogni safari erotico e pertanto: ultimo atto deve restare!
Con amorevole decisione, ribalta il corpo di Elena da prona a supina per iniziare, come da manuale, con una classica missionaria.
È tanta la voglia di uccello che alberga in Elena che non si pone neppure il perché di quel cambio di obiettivo.
Comincia a sentirsi gratificata già dallo strusciare tra le cosce del ninnolo di chi le darà piacere… Apre più che può la gemma… Sospirando!
Il già-evocato cordone della cappella, al suo passaggio, produce subito la prima scarica bene-fica. Elena pronuncia un eloquente: «Mo socc’mel!» [N.d.A. Letteralmente si dovrebbe tradurre con: Ma succhiamela! Oggigiorno, però, a Bologna viene usato come intercalare per esprimere anche stupore… meraviglia e apprezzamento].
Il ritmico dentro–fuori di Gioele genera il dovuto godimento.
Sulla poltrona, Ruth, sta contorcendosi nei più intensi spasmi della sua assatanata masturbazione.
In quel bosco di piaceri e passioni è stupefacente l’affiatamento sentimentale fra i due coniugi. Un’univocità di intendimenti li accomuna anche quando i loro corpi non sono una cosa sola.
Dico questo per sottolineare il finale dell’amplesso che sta consumandosi tra Elena e Gioele.
Nel momento in cui Gioele estrae il fallo dalla vagina di lei e si sgocciola tra le tette, trascinandola con sé nel godimento, Ruth è presa dal turbinio del proprio orgasmo in perfetta sincronia con quello del marito.
Un attaccamento coniugale di somma intensità!
E qui si cementerà un’inossidabile amicizia tra Elena e la coppia israeliana:
Un vero atto d’Amore
Ruth, non consente ai propri sensi di chetare gli strali dell’orgasmo masturbatorio, appena procuratasi. È subito sul letto, accanto alla beatitudine di Elena e Gioele che è alle ultime gocce di sperma sui capezzoli della partner: «Gioy… Dai, approfittiamone. Chiavami, finché hai sostanze della sua figa sull’uccello… Oggi sono quasi sicura di essere fertile e mi piacerebbe tanto essere mamma di un bebè che avesse le caratteristiche di tutti noi tre…»
Gioele non ha neppure bisogno di riprendersi: l’uccello è ancora ben in tono. Non gli resta che tuffarsi sulla sua sposa. Lei gli ha già aperto la figa per quel grande atto d’amore collettivo.
Appena Ruth si sente penetrata fin in fondo esprime un ulteriore desiderio per perfezionare il suo progetto d’amore:
«Baciami Elena! Partecipa al mio godimento. Sarà forse così più facile che qualcosa di te si fonda con chi verrà.» Frasi importanti. Parole forti. Dette con il cuore.
Elena le accoglie ed è sulla bocca di lei, sempre mentre, in sponda, Gioele la zompa per richiamare e sgorgare in lei il succo che dà vita.
Le bocche delle ragazze sono unite. Tra di loro non ci sono parole. Solo i gemiti dell’eccitazione e tra questi, Elena comprende quel che vorrebbe ancora l’amica. Si stacca dalla bocca per calare su quella di lei con la figa.
È proprio quello che vuole! E la benedice.
Per Elena è un ritorno a sette anni prima e il ricordo di quei felici momenti la commuove. Lacrime scendono dai suoi verdi occhi.
Zompa Gioele… gode Ruth… Gode Elena, con la figa sulla calda bocca di Ruth.
Ancora una volta il dio orgasmo lì concupisce assieme. Ci sono agitazioni di corpi e sommesse grida che confermerebbero, a chi transitasse per quel corridoio, quello che si sta perpetrando nella stanza 31.
Che, stando al progetto di Ruth, può avere un solo nome: Amore.
Gioele ha fecondato Ruth. Lei, ha colto quel dono con gioia. La stessa con cui ha ricevuto lo squirt di Elena. Suo tributo alla felicità di quella generosa coppia.
Anche Elena vuole essere prodiga e partecipe di quel momento, sentimentalmente tanto importante per tutti loro.
Subito è fra le cosce di Ruth per placarle con la lingua i rigurgiti dell’amore. Visibilmente ma anche sonoramente, con dolci frasi, Ruth è all’apice della gioia che l’accompagnerà ancora una volta a quello del piacere.
Hai voglia di leccarmela?
Quei tre corpi sono ora un unico insieme che in allegria si scambiano le emozioni appena provate. Il più taciturno è Gioele che sta cercando di rammentare cosa ancora non attuato di quanto si era ripromesso per quella mattinata. È Elena a rammentargli un primo suggerimento: «Gioele, hai voglia di leccarmela?»
«Come no. È proprio una delle cose che mi mancava.»
Gioele avvicina le proprie labbra alla figa di Elena con un senso di religiosità. Come che quella pulsante apertura sia un sacro simulacro. La bacia con deferenza e rispetto. Elena è meno compassata di quanto quel rito la vorrebbe. È smaniosa. Freme. Sente la necessità di sguazzarsela con quella lingua che sa farla impazzire.
«Quando la infila nella figa, la sua lingua diventa una piovra. Mette su braccia e tentacoli. Si infila ovunque, dandoti sensazioni spettacolari.» Così gliela descrive Ruth spronando il marito ad accogliere il desiderio dell’amica. Elena tace ma l’esperienza l’ha già fatta il giorno prima. Ma è uno di quei piccoli segreti che vuole tenere solo per sé. Prende la testa del suo leccatore, l’accarezza e la tiene con decisione contro il suo spacco villoso. Gioele comprende che bisogna fare sul serio e mette in pratica reminiscenze liceali che gli avevano fatto guadagnare il titolo di “Lingua più porca di Gerusalemme”. Conferitogli da un gruppo di coetanee.
Ruth, intanto si rilassa sotto la doccia.
Ci si rifocilla alla Cervetta
Il terzetto trasgressivo decide di pranzare assieme. Ed è la Cervetta ad accogliere l’euforico appagamento del gruppo. Battute molto personali, intime ed allusive. Del tipo: «Un tempo ce l’avevi dolciastra. Adesso s’è fatta un po’ più salata. Si vede che con gli anni sta stagionandosi.» Questo Elena a Ruth. Oppure, a Gioele, sua moglie: «Ce l’hai più duro che un anno fa. Di chi è merito? Miriam… Noemi o Elena tra ieri e oggi.»
«Elena ha sicuramente dei meriti ma chi mi ha fatto un intenso allenamento è stata Miriam che non l’ho mai sentita dire che aveva mal di testa… Miriam lo pretendeva tre volte al giorno e nel finale metteva sempre in palio il culo.»
«E allora perché l’hai scacciata da casa per Noemi che è decisamente più bruttina?»
«Semplice. Perché me la dava quattro volte al giorno»
Risata sonora e brindisi con un fresco Trebbiano.
«Per cui da quando sei tornata da lui – rivolta a Ruth – devi dargliela cinque volte ogni giorno. No?» aveva tirato le somme Elena.
«No cara. Mi ero ricordata che lui era scarso con la leccata di figa e ho scambiato le rigide regole del suo talamo con l’impegno a migliorare il suo tocco di lingua. Lui si è impegnato e così oggi ho il diritto a qualche mal di testa alla sera ma ho garantita una bella leccata ogni giorno. Tu adesso sai bene che gioia è avere la sua bocca fra le cosce!»
Elena annuisce e ripensandoci le si scatena un brivido tale a una saetta che deflagra sulla clitoride e attraversando il perineo, va a scaricarsi nel buco-del-culo.
Gioele ride a quei commenti dopo essere arrossito visibilmente.
Il cameriere porta un’altra caraffa gelata di Trebbiano «Mo socc’mel s‘i bavven laur che qué !» [N.d.A.: Cazzo, se bevono questi!] a cui segue l’antipasto di mortadella, le lasagnette, la cotoletta bolognese, la torta di riso.
Un momento prima del caffè Ruth ha una ricordanza: «Sarà bene che informi il dottor Baer che noi per Ginevra partiremo solo domani» Dal cameriere si fa indicare dove è il telefono per la clientela. Elena ha un rigurgito di malizia: «Secondo me va a telefonare a mamma per capire se può andargliela a leccare.» Con Gioele ridono e si stringono affettuosamente una mano. Quello che poi Ruth racconterà darà valore alla malizia di Elena.
«Mi dispiace ragazzi ma debbo lasciarvi. Il dottor Baer ha una questione urgente da discutere con me… Non so Elena…se riusciremo a vederci ancora prima della partenza. Facciamo che ci abbracciamo adesso. Penso che Gioele saprà ancora farti compagnia per il pomeriggio.» Abbracci e tutto quanto serve a un malinconico commiato.
Gioele chiama il cameriere e salda il conto estraendo dalla tasca un rotolo di banconote in corso a quel tempo.[N.d.A.: Oggi come oggi è molto più semplice. Basta consegnare al cameriere un quadratino colorato di plastica.]
Come il giorno precedente i due giovani si prendono per mano e si avviano. Usciti nella canicola del vicolo, indugiano oltre la soglia. Sempre più attaccati una, all’altro, si concedono anche un giro di labbra.
«Guèrda mò qué – il cameriere chiama un suo collega – la moglie è andata per i fatti suoi e loro si amano per i fatti loro. In mezzo alla strada, come niente fosse. Prima della guerra non si vedevano mica questi lavori qui!» [N. D. A.: Guarda qua….] è il commento dei due camerieri dall’altra parte del vetro.
I due giovani ancora una volta si perdono attratti dall’antica insegna dell’Albergo del Cappello Rosso.
Gioele ha idee chiare. Elena è un po’ titubante. Ma attraversano la strada abbracciati, baciandosi. «Vut magnèrla tótta?» [N.d.A.: Vuoi mangiarla tutta?] Grida al loro indirizzo Gigi, il garzone di una delle tante panetterie di Bologna.
Albergo del Cappello Rosso
«Che bello, ancora voi! – La signorina della reception del Cappello Rosso esprime gioia nel rivedere quella coppia– non sapete che gioia quando mi arriva una coppia che vuole una delle nostre stanze non per meretricio!»
Elena la provoca: «Come fa a sapere che io da lui non prendo denaro?»
«Mo si vede solo a guardarvi negli occhi… Sono qui dentro ormai da 10 anni… Di robe ne ho ben viste, sai, bimba mia – La signorina Fausta aveva un po’ meno dei quarant’anni. Spigliata e cortese. – Se avete bisogno di sfogare la vostra passione anche il giorno dopo vuol dire che fra di voi c’è sentimento. – E aveva dato loro le chiavi della stanza – Vi do la ventitré, un numero che porta fortuna. È anche la più spaziosa, con la doccia più moderna.»
Sotto le lenzuola
Non ci sono preliminari. Appena in stanza Elena, senza alcun riguardo per la sensualità si toglie scarpe e quelle due cose che ha addosso e s’infila sotto le lenzuola. Un attimo prima l’ha preceduta Gioele: erto nel suo rigoglioso fallo.
Sembrerebbe che i due fossero settimane su settimane che non guzzano. [N.d.A.: A Bologna non si chiava e non si tromba. Si guzza!]. L’abbraccio è poderoso. Pare che in quella stanza le parole non abbiano voce. Elena è lunga, distesa sul corpo di lui. La corposa verga che sente sotto di lei tra le cosce la ispira e si sfoga riversando su di lui una infilata di dolcezze, una più romantica delle altre. Tutte senza la voce. Solo con le labbra che mimano parole. Qui sì che la sensualità si fa sentire!
L’erotismo pervade la ragazza. Leccando e mordicchiando il corpo dell’amante scende con la bocca centimetro dopo centimetro, fino ad impattare l’uccello, in attesa di eventi, duro e perpendicolare al corpo di lui.
Elena lo guarda con ammirazione. Lo trova sublime e gli dedica un attento sguardo. È affascinata dal corpo venoso dell’organo. Lo vede come una ragnatela che impreziosisce il prepuzio e colora la cappella. Perché non baciarla… tettarla con le labbra… accarezzarla con la lingua? Non resiste, Elena: finisce per stuzzicarla con la punta della lingua e succhiarla con decisione.
Uno dopo l’altro emette profondi sospiri, Gioele. Accarezza dolcemente il capo della sua succhiatrice, mentre scroto e basso ventre sono in subbuglio per l’improvvisa ondata di piacere.
“Cazzo, ora no… Se vengo adesso rischio di rovinarmi la festa.”
La distoglie dal pezzo per baciarla con passione e iniziare lui a lavorarla fra le cosce. Uno… due… tre. Sono tre, una dopo l’altra, le dita che si danno da fare nella figa di lei. Ma Elena ha ancora negli occhi le gonfie vene del cazzo di lui. Un valore aggiunto alla sua prestanza. È quella di cui sente il desiderio!
Glielo chiede con i suoi affascinanti occhi. Gioele non può resistere.
Toglie le dita, afferra il fallo e lo dirige nella figa già ben aperta. Il gemito di Elena è, sonoro e prolungato. Il bacino di lei si fa incontro al voluminoso ospite. Gioele si adopera perché la penetrazione non avvenga in maniera troppo repentina. Quando il cazzo raggiunge la più profonda intimità l’attende il cantico del godimento di Elena: fatto di delicati singhiozzi e sdolcinate prolusioni. Le membra di lei sono impegnate in una frenetica danza per rendere sempre più coinvolgente l’abbraccio al corpo del partner.
«Ci sono… ci sono, Helen… Lasciami uscire.»
«No, ti voglio dentro! Anch’io ho diritto a un figlio da te.» Gioele deve usare la prepotenza per non farle rischiare la gravidanza. Un attimo prima del fiotto, riesce ad appoggiarglielo sull’ombelico… e il getto va a cadere tra i suoi occhi.
Il languore li conquista. Si guardano, bocca sulla bocca, lasciando che i propri corpi decantino il piacere.
… distrattamente le accarezza una tetta
«Chissà se essere amanti per tutta la vita mantiene questa passionalità? Perché noi lo saremo. Vero, Helen?» È persona riflessiva Gioele. Si pone sempre quesiti che vanno ben oltre al proprio ingegno.
«Sì, amore. Sarà sempre così, se non di più. Io e te.» concorda con lui Elena che nonostante la potenza del goduto orgasmo, arde ancora di desiderio.
«Oh, my Gioy…!» gli geme addosso mentre con la lingua gli stuzzica i maschi capezzoli.
Gioele, al momento appagato, le accarezza, quasi distrattamente una tetta.
È un minimo di incitamento alle labbra di lei a procedere verso il basso:
incappa nell’ombelico, piccolo ma sensuale cratere, adornato da lucidi peluzzi ebano… Oltre, sempre più s’infittiscono. Sopra questi, bazzotto, riposa, il ninnolo che tanto l’ha mandata in visibilio.
Lo coccola con le labbra… [N.d.A.: Quando nonna Elena, poi, decise di mettermi a parte dei momenti più intimi della sua vita, mi confidò che, secondo lei, la parte più porca del proprio corpo, era stata sicuramente la bocca. Sicuramente in quello scorcio all’Albergo del Cappello Rosso, la bocca di Elena fu degna di quella nomea.] Resta, ancora una volta estasiata innanzi alla vermiglia cappella e ai ghirigori venosi. Ora, che il nume riposa le vene sono scariche. Proprio il nume ha sembianze più umane: il glande mostra un ghigno sorridente. Finisce che Elena spalanca le labbra e con la lingua si aiuta ad introdurne la testa nella bocca. Neanche fosse un boero!
Lo succhia con bramosia. Si inebria del suo forte sapore. L’eccitazione cresce in lei e anche nel cazzo. Tornato nel pieno del vigore: ritto e ben duro.
Elena, o Helen che dir si voglia, realizza che sarebbe sciupato, ammosciarlo con la bocca. Se lo sfila.
Gioele, già predisposto al godimento orale tra brividi e risucchi, ha una smorfia malinconica e si mette a tenere l’uccello eretto e perpendicolare al proprio corpo per invogliarla ad assumere fantasiose iniziative erotiche.
La cavalcata
Helen non lo delude. Gli scruta il cazzo. Con una domestica acrobazia carpisce con la vagina, la cima del cazzo e, calando la figa dall’alto, inghiotte la verga fino ai testicoli.
A Gioele si allarga il cuore.
Elena da parecchio sta cavalcando come una forsennata quell’imponente organo maschile, offrendo un’immagine di sé più che conturbante, con il triangolo di pelo che sale e scende sui testicoli. Esibendo quel cazzo israeliano, ben stretto, in suo possesso. A ciò si aggiungono le vibrazioni del sodo seno che la fa assomigliare ad una grintosa amazzone, carpita ad un’illustrazione ottocentesca.
Gioele, ne assapora ogni fremito. Deve stringere i denti: non può lasciarsi andare al libero piacere e aggiungersi all’orgasmo della ragazza.
Elena rallenta il galoppo. Adesso ce l’ha tutto dentro. In lei lo percepisce bollente. Lo stringe con disperazione. Volge gli occhi al cielo. Si stringe le tette con le mani e si lascia andare su Gioele.
Per l’uccello di lui, sarebbe una trappola che lo condannerebbe a un’esplosione di sperma ai limiti dell’utero: «Scusa Helen – le dice – Vedrai che recuperiamo subito.»
Un vigoroso colpo di reni la ribalta, riuscendo così a liberarsi da chiappe e figa. Ed è su di lei con il cazzo in pugno. Elena è disorientata.
«Vuoi finire in bellezza?»
«Sei stato crudele… Hai stoppato questa… che la sentivo così mia…» è imbronciata ma arrendevole. E’ in un bagno di sudore.
Gioele è in piedi. Lei di traverso con le gambe che ciondolano dalla sponda del letto. Istintivamente lui, le appoggia un bacio sul basso ventre. Sulla figa:
«Oh, sì..… Che sei tanto bravo!» Lui non può rifiutarsi.
Ancora la lingua di Gioele
La lingua di Gioele potrebbe sembrare una lingua timida, esitante… inesperta. Niente di più falso.
La lingua di Gioele è un raffinatissimo dispensatore di piaceri: sottili, inesorabilmente intensi. Dilagano dalla clitoride ad ogni parte del corpo che sia in connessione, anche se solo spirituale, con la figa.
Per mesi, sotto il sapiente sguardo di Ruth, lui, ha affinato le proprie intuizioni erotiche, sulla figa di lei. Facendola lacrimare e gridare di piacere.
Ruth, era poi stata l’ispiratrice del percorso saffico che Elena aveva intrapreso, arrivando, lei stessa, ad immergere la propria lingua nel cratere più sensuale del suo corpo.
Gioele conosce bene questi risvolti della vita di sua moglie. Sa che ad Elena deve dare il meglio di sé. Sceglie di applicare un profilo poco sdolcinato, in sintonia con la galoppata da lei condotta su di lui.
La lingua la penetra con decisione e stana subito la clitoride. Si dedica a questa aumentando la portata del piacere con l’aiuto di un paio di dita. Elena apprezza. Si è riconnessa con l’orgasmo troncato e sta sculettando a tutto spiano sotto le fantasiose improvvisazioni della bocca dell’amante.
«Ohh… Che pazzo! Anche lì?… Sei troppo… troppo… troppo…!!» Gioele è passato a piluccarle il buco del culo, proprio mentre la figa è all’ apice dell’orgasmo.
Si agita spasmodicamente la dolce Elena… Si lascia andare a tutta la propria frenesia, squirtando senza neppure accorgersene.
Gioele è implacabile su quel buco-del-culo che la lingua ha convinto a dilatarsi.
La beneficiata di tutto quell’ardore è in una posa che ben si presta ad una……
Non sarebbe più lo stesso Gioele se non percepisse il messaggio che gli arriva da quel bacino completamente proteso all’alto che mette in primo piano sia la figa che il buco-del-culo.
Fino in fondo, liscio come l’olio
È a questo che appoggia la punta del glande.
Sussulta Helen. Non se lo aspettava ancora: “Ma, visto che ci siamo” «Vieni Gioy… Spingi… non mi far male… Ma, vieni… Vieni. »
La muscolatura le si rilassa. Il cazzo scivola fino in fondo come l’olio. Poi, fuori-dentro… dentro-fuori.
La spermata che produce quell’atto sodomitico è ragguardevole. Il cazzo ne esce floscio e vergognevole: uno straccetto! Così anche i protagonisti di quella sublime inculata. Sfatti, giacciono disordinatamente, lui sopra di lei: appagati ma colmi di tristezza. Consapevoli che chissà quando potranno rituffarsi in un analogo godimento.
Un malinconico sguardo al culo che sta rigurgitando il seme versatovi e Gioele è rassegnato al commiato. Si guarda l’uccello moscio e: «Sono sicuro che ogni volta che mi passerà per la mente la tua immagine, lui, scatterà sull’attenti.» Qualche altra piccola effusione erotica, fra cui tre affondi di lingua alla clitoride:
«Porta fortuna!»
E iniziano a riabbigliarsi in un mesto silenzio.
Elena spande lacrime sommessamente. Sorriso forzato ogni volta che incrocia lo sguardo di lui.
La Signora Fausta
Al bureau la Signora Fausta li accoglie con affetto: «Pensate che dopo che ho dato la stanza a voi, si è presentata una donna molto raffinata nei modi, che si è fatta riconoscere come mia compagna di classe. Era assieme a una bella ragazza e mi ha chiesto una stanza. “Domattina lei parte e ci piacerebbe stare un po’ assieme in tutta tranquillità”. L’ho capito subito che era una storia trasgressiva ma si tenevano per mano e si guardavano con certi occhi che la stanza glie l’ho data subito. Mi sono sentita euforica e ho subito telefonato al mio fidanzato per raccontarglielo. Beh, volete sapere… Lui mi ha detto di prendere una stanza qui che stanotte la vuole passare ‘sopra di me’. A casa ci ho mamma che ancora sorveglia la mia virtù… Perché vi racconto tutto questo? Mi son detta: “Prima i due innamoratellli (voi), poi le due perverse che sprizzavano passione da ogni poro. Ora si è aggiunto anche Athos, il mio moroso, che vuole sfinirmi – e lui non è certo ‘uno spanizzo’ in quelle robe lì [N.d.A.: A Bologna sta per ‘un generoso’] – Mi son detta, “vuol dire che amore chiama amore!” e io ho tanto bisogno d’amore. Allora ho pensato che quando mi avreste riportato la chiave, vi avrei invitati a bere un cicchetto con me… Se vi va, naturalmente.»
«Come no.» Fa Elena, che un po’ si scrolla di dosso la malinconia del distacco e traduce al suo accompagnatore l’invito della signora Fausta.
«E’ proprio quello che ci vuole.» Anche per lui è occasione per uscire dalla cappa di mestizia che li avvolge.
La dolce Fausta fa saltar fuori una bottiglia di Martini e tre bicchieri che riempie.
«Cin-cin» e, i due ‘piccioncini’ riporgono i bicchieri per un secondo giro. Il liquore nazionale ha successo.
«My god, we are discovered» echeggia alle loro spalle. Seguito dalla risata che coinvolge i due ‘piccioncini’ e le due donne che sono scese dal piano di sopra. La signora Fausta guarda stralunata alla situazione che si è venuta a creare.
«Mamma!… Ma allora ci pedinate?»
«Non è che siete voi a tenerci dietro?»
E i quattro si abbracciano ridendo.
«Ma allora?… Non è come pensavo io?»
È Elena a spiegare alla delusa Fausta la realtà della situazione. Propone poi un altro giro di Martini con tutti i presenti
Nella, diciamo hall, di quel piccolo albergo, c’è un’esplosione di gioia. Tutti baciano tutti e anche la formosa Fausta si mette in pista e si prende la lingua in bocca da Gioele, da Sarah e una profonda palpata di tette da Ruth che poi si getta fra le braccia del marito.
La signorina Fausta confessa che con il suo Athos non avrà ritrosie e gliela darà così come lui vorrà. Lo faranno nella stanza 23, quella appena usata da Elena e Gioele e non farà neppure cambiare le lenzuola. Sicura che l’humus del loro amore sarà buon fertilizzante per il suo.
Innanzi all’albergo il gruppo si scioglie: Ruth con il bacio d’addio ad Elena svela un’informazione che ha avuto nel pomeriggio con la telefonata al dott. Baer: «Ci rivedremo presto, ragazze. Ho la conferma che dal prossimo mese, sia io che Gioele, saremo addetti d’ambasciata nella nostra, a Berna… E Berna è qui a due passi… No?» e con Gioele si dirigono verso il loro hotel. Elena e mamma Sarah, a braccetto, verso casa.
Fin qui la narrazione del periodo in cui Elena scopre le diverse strade che portano all’erotismo.
È una ragazza fortunata, Elena. Ha una mamma, Sarah – a cui il padre ha completamente demandato l’educazione della figlia – con idee molto in anticipo sui tempi in cui vivono. Così fra adolescenza e prima gioventù, la giovane – come avrete avuto modo di leggere – godrà la libertà di assaggiare molteplici ipotesi di situazioni legate ai sentimenti e all’amore.
Nelle parti che seguiranno… leggerete come Elena ha messo a frutto i preziosi insegnamenti di mamma, le esperienze di quel primo periodo e le improvvisazioni che si è concessa.
Ci ritroviamo qui ben presto.
Bologna, 26 aprile 2020
VI
Nonna Elena, il prof. Alberti e la politica
Fedele alle proprie dita
Partiti Ruth e Gioele, Elena è rimasta suggestionata dalle due giornate trascorse intensamente con loro.
Si è fatta una sua idea di come dovrà essere l’amore, secondo quello che ha assaporato in quei giorni: senza confini di genere.
Il provincialismo bolognese non gli consente però di svolazzare più di tanto. Ragazzi e ragazze, qui, esercitano le loro passioni circoscrivendole con abitudini non certo stimolanti per una mente fantasiosa come la sua. Gli incontri fra le lei e i lui, avvengono passeggiando nelle ore serali e alla domenica sotto le arcate del portico del Pavaglione, [N.d.A.: Porticato nel cuore della città, ricco di eleganti botteghe che nelle ore serali e nei dì di festa, era punto di riferimento per lo struscio] nelle festicciole private dei pomeriggi festivi, oppure nei baladur, [N.d.A.: = dancing] che stanno crescendo come funghi nella Città e nelle periferie.
Elena come tutti i suoi coetanei frequenta questi ambienti. Non ci si trova. Mancano di intimità e soprattutto non sono permissivi verso flirt trasgressivi. Elena risolve i propri problemi esistenziali, rimanendo in attesa della promessa visita della coppia israeliana, ora in attività in Svizzera. Questo però se succederà, sarà fra due o tre mesi.
Elena è una bella figliola, sempre elegante. Frequenta la Bologna che pensa, si diverte e lavora. È assistente volontaria alla facoltà di Lettere. Si è iscritta a un corso di boogie-woogie e rock and roll. Tanto per mantenersi agile e moderna. Per non far pesare sul bilancio familiare, il costo dei prodotti che acquista per apparire sempre curata e bella, si è trovata un lavoretto di correzione bozze per una cooperativa editoriale che stampa dispense universitarie. Non ha ancora venticinque anni e ha mantenuto l’innocente grazia di un’adolescente. E come un adolescente, trattiene le pulsioni sessuali, tenendosi fedele alle proprie dita.
Primo piano: il mal di testa serale
In via Ugo Bassi 9 si è tornati alla normale routine: ospedale per il prof. Alberti. Faccende domestiche per mamma Sarah. Lavoretti letterari e volontariato all’Università per Elena, dove spera di entrare quale l’assistente.
Tutto sembrerebbe molto tranquillo, visto che, non essendoci più Ruth e Gioele si sono spente le passioni erotiche delle donne di casa. Senonché, è entrata in campo la politica a vivacizzare l’atmosfera.
Il professor Alberti ha deciso di abbandonare il partito in cui milita (Partito Repubblicano, PRI) per trasferire il proprio impegno nel Partito Socialista Italiano (PSI).
Mamma Sarah è fortemente contraria a questa metamorfosi del coniuge e comincia a boicottare l’appagamento sessuale del marito, tramite un incremento degli stati di mal di testa serale e una maggior frequentazione di Efrem, con cui intrattiene rapporti saffici dall’adolescenza.
A questa, Sarah, ha confidato che anche la figlia Elena ha tale tendenza, insinuatale da Ruth.
Efrem, porca più che mai, si è messa in testa di concupire la giovane figlia della sua trasgressiva amante.
Destra o sinistra
Mentre le femmine di via Ugo Bassi 9 affidano il loro desiderio alla destra o alla sinistra, in assenza di cazzi, così il professor Uberto Alberti sfoga la propria mascolinità fra destra e sinistra in politica.
Il partito a cui ha aderito lo chiama subito a far parte della prestigiosa Assemblea nazionale che si svolgerà da lì a pochi giorni a Milano.
Pur se in disaccordo con le scelte politiche del suo uomo, Sarah gli prepara la valigia per quei suoi tre giorni di assenza. Pregustando già, in cuor suo un paio di notti abbracciata a quella vorace succhiatrice di femmine che è la sua amica Efrem. Un pensiero che manda in malora la trombatina del distacco con il coniuge. Lei, con la mente proiettata alle sapienti labbra di Efrem, non si lascia andare agli stimoli del cazzo e non partecipa. Di conseguenza, Uberto, seppure voglioso ed eccitato, non riesce a sbrodolarle nella figa.
Un vero flop!
Oh, mi bèla Madunina…
Indubbiamente i tre giorni milanesi del prof. Alberti sono un successo dietro l’altro e incideranno tanto [N.d.A.: vedrete quanto] sul futuro della famiglia.
[N.d.A.: Ma andiamo per ordine…]
Il compagno Uberto raggiunge Milano dopo un estenuante viaggio sotto la pioggia, alla guida della sua FIAT Topolino. Raggiunge l’Hotel Astoria dove, il Partito gli ha prenotato la stanza.
«Vengo subito a darti il benvenuto.», il Segretario della Federazione provinciale del Partito.
Non più di mezz’ora ed è lì accompagnato da Lucia, addetto stampa della Federazione milanese:
«A me faceva molto piacere conoscerti. Adesso debbo lasciarti in compagnia della dottoressa Boeri che vorrebbe intervistarti per l’Avanti! [N.d.A.: Gloriosa testata giornalistica socialista.]»
La dr.ssa Boeri è un’avvenente trentacinquenne che emana una notevole carica di energia: raffinata nel volto. Longilinea nel corpo. Nell’abbigliamento elegante … Tanto milanese nel comportamento.
Il giusto fascino perché quel marpione del compagno Alberti le proponga di cenare assieme. Proposta accettata con entusiasmo.
Il Ristorante dell’Astoria è buono. Il vino eccellente. Se ne vuotano diversi bicchieri. Un leggero obnubilamento cala su Lucia. Tanto che quella lenza di Uberto lancia l’idea di fare l’intervista nella propria stanza. Idea che Lucia approva e che forse sperava. Non solo ma appena in stanza, lei:
«Tutt’oggi sono stata in Federazione dove tutti ti fumano addosso e io mi sento come in un posacenere. Non è che mi permetti di approfittare della doccia dell’albergo… Uè…, vivo da un’affitta camere e non ho i servizi in stanza. Dovessimo dilungarci con l’intervista, una sciacquata riuscirei a darmela solo domattina… Faccio comunque presto.» Come no. Non può che essere d’accordo quel sornione di Uberto che dopo qualche scontato lazzo sul lavaggio della schiena, si mette a sfogliare l’Avanti! mentre sente l’acqua scrosciare.
Già in lui si fa strada la convinzione che l’avvenente giornalista abbia lanciato eloquenti messaggi. “Varrebbe la pena far venire su, una boccia di spumante” ma Lucia si è spicciata velocemente e sta uscendo dal bagno.
Uberto si convince che la sua ipotesi ha buone probabilità di divenire realtà. E sente inturgidirsi l’uccello. Lucia è a piedi nudi e il cazzo del compagno Uberto rileva la sensualità della situazione.
«Mi sono appropriata dell’accappatoio ch’era in bagno. Così ho evitato di usare il telo da bagno per asciugarmi… Uè… guarda che te ne hanno dato uno solo. In compenso ci sono sali da bagno che mi hanno messo addosso un profumo buonissimo… Senti qua che roba!» e gli si avvicina.
Profumo di alghe della Normandia
“O adesso, o mai più” e Uberto tesse la sua tela di ragno:
«Certo che il sigaro toscano che ho fumato per tutto il viaggio si sente e contrasta tanto con il tuo profumo… Quasi… quasi… Se hai pazienza mi metto nella tua condizione.»
«A me non dispiace il tuo odore così maschio»
«Faccio in un attimo.»
«Sarà un’intervista al profumo di alghe della Normandia.»
Una sciacquata veloce. Adesso anche il compagno Uberto ha addosso lo stesso profumo della bella Lucia.
Si guarda attorno ma in quel piccolo bagno non ci sono altri accappatoi “Vuol dire che è un indumento superfluo. – Guarda in basso. Il cazzo si è rilassato. – Non si fa una bella figura. – Se lo mena 8-10 volte. L’uccello si riprende. – Così va bene”. Esce.
Uberto è consapevole che ogni volta che l’ha messo in mano a qualche ragazza, queste non l’hanno mai lasciato cadere.
«Addirittura… nudo?» Lucia ride divertita e gli si avvicina.
«Vengo a prendermi l’accappatoio.»
«Se lo do a te, resto nuda io.»
«Ma forse è quello che vogliamo.»
«Già!» lo slaccia e lo lascia cadere.
Un attimo e sono, una fra le braccia dell’altro.
Non è vero che hanno lo stesso profumo. Quello di lui ha mantenuto un po’ di quel buon odore di sigaro. Forse perché il sigaro che ha fra le gambe si è ben acceso.
L’intervista è rimandata alla mattina successiva
Lui ha appena finito il suo godimento sul ventre di lei. Che ad occhi chiusi ha contato gli schizzi che sono planati sul suo corpo: tre. Ora sta aspettando il bacio di fine-copula. Lo fanno tutti… “Vuoi mai che…”
«Se mi tieni a dormire con te l’intervista la possiamo fare domattina col caffè. Così, intanto, ti conoscerò meglio.» [N.d.A.: E’ così che debbono chiudersi le trombate quando partono bene!]
Arriva il bacio, con lui che le si distende a fianco.
In quella sobria stanza d’albergo milanese, Lucia e Uberto, stretti-stretti, prendono a raccontare ognuno di sé stesso.
Come può succedere in una calda notte di luglio. I loro corpi, beatamente rilassati, diventano palestra per miriadi di goccioline di sudore che scorrazzano sulle loro epidermidi.
La mano di Uberto, dopo aver placato con carezze alle labbra della figa, ogni pulsione del dopo-orgasmo, continua ad arzigogolare con le dita fra i peli ramati del pube. A lei piace assai e di tanto in tanto ricambia accarezzandogli i testicoli. Questo li mantiene in connessione, ancora, con l’amplesso appena consumato.
Un po’ di lei
«E così, non ancora laureato hai dovuto sposarti… È stato così anche per me: io però non ero in cinta. Ero ancora vergine. Solo che non sopportavo più di esserlo. Eravamo molto giovani. Tulio mi sembrava bellissimo… Il più bello del mondo! Appena lo vedevo andavo lunga … Se mi toccava, anche accidentalmente, mi bagnavo… E lui in un modo o in un altro mi faceva venire. Io poi mi giravo, sicché lui veniva fra le mie cosce… Tanto per non correre rischi» e gli sorride con amarezza. Un bacio e le carezze si fanno più pregnanti.
«Hai una mano molto sensuale.»
«Se volevi dire che riesco bene a menare il cazzo… È vero. Due anni di petting affinano i movimenti. Anche tu sei delizioso. Lo sai fare bene»
In fondo… in fondo…
«Dai che ricominciamo.» ed è già con le labbra sui capezzoli. Lei se l’accarezza. Lui le va dietro. Sposta la mano e lavora le grandi labbra con la lingua. Lei si agita e invoca uccello: «In fondo… in fondo… fammelo sentire tutto…» Non può deluderla.
Affonda in lei e la zompa a lungo finché lei non viene scongiurandolo di sborrargli dentro.
Riuscirà a sfilarlo un attimo prima del getto e per la seconda volta, deposita il suo succo sul ventre della donna.
Lei sembra rinata. Vorrebbe fargli l’intervista. Uberto sente la fatica del viaggio e si addormenta coccolato dall’affetto nascente di quell’imprevista amante.
Un altro po’ di lei
Lucia resta a lungo accanto a lui sempre tenendo in mano l’uccello che intanto si è afflosciato. Vorrebbe addormentarsi così. Ma non riesce.
Sono troppi i fantasmi che si agitano nella sua mente.
Il marito che con lei, non trova modo di compiere un atto sessuale completo. Che dopo il sesto mese dal matrimonio, in una drammatica notte, fatta di singhiozzi e disperazione, decide di confessare la sua omosessualità e la pianta in asso per andare a vivere a Monza con un suo amico.
Lucia tenta il suicidio. Un vicino sente odore di gas e sfonda la porta. La salvano. Non dirà mai ad alcuno che ha tentato di uccidersi. Questo non salva il consorte. L’OVRA [N.d.A.: La tentacolare polizia segreta fascista.] Sa tutto di lui. L’ha schedato come omosessuale e lo manderà al confino.
C’è poi la guerra… il 25 luglio e l’8 settembre. Il padre di Lucia sale sui monti per unirsi ai partigiani. Lucia, che per suo padre ha una venerazione, lo raggiunge dopo una settimana e si fa accettare come partigiana anche lei. Le assegnano un Thompson. La brigata fortunatamente svolge compiti di supporto ad altre brigate combattenti e non entra mai in conflitto diretto con i nazi-fascisti.
Con la liberazione Lucia si iscrive al Partito Socialista Italiano e grazie ai suoi studi letterari entra nella redazione dell’Avanti. Durante la Resistenza si è consumata una storia fra lei e il capo brigata, Il Drago. Un bell’uomo con più o meno l’età del proprio padre. Un bel cinquantenne che, finita la guerra, non ha visto l’ora di tornare da moglie e figli. Lucia si butta nella professione. In breve, tutti la considerano la più incisiva intervistatrice della testata. È spesso a Roma a seguire il lavoro dei parlamentari socialisti. Qui conosce Paolo Bernasconi, deputato di una circoscrizione lombarda. Nel corso di un’intervista in un salotto della Camera dei deputati, scatta un qualche cosa che la convince a viaggiare da Roma a Milano nello stesso wagon-lit dell’Onorevole. Diventa la sua seconda amante. L’Onorevole oltre alla moglie, ne tiene già un’altra a Bergamo. Il collegio in cui è eletto.
Lucia ha acquisito una certa spregiudicatezza e accetta quel ruolo di secondo piano anche se da un paio di mesi –dopo che ha saputo che difficilmente, lui, riuscirà a doppiare il mandato. – gli si nega.
Un cuscino morso tenacemente
Tutto questo ricordare innervosisce Lucia che non riesce a prendere sonno. Si alza, va in bagno. Si guarda allo specchio. Ammicca con questo. Concorda con sé stessa: “Sei proprio una bella figa.” Torna in stanza e si ferma a guardare con soddisfazione anche il suo dormiente partner. “Sì, questa volta sono proprio capitata bene. Chissà potrebbe anche durare.” Considerazioni che non aiutano certo a prendere sonno. Nella stanza c’è una poltrona. Si appoggia in questa e inizia a ridisegnare un nuovo tipo di vita. Senza illusioni.
Alba sensuale
Così finché dalla finestra non entrano i primi raggi del nuovo giorno. A quel punto va a sdraiarsi di fianco al suo dormiente amante, di cui coglie l’eccitante immagine del suo riposo con l’uccello disteso perpendicolare al corpo. “Chissà se quando si sveglia avrà la voglia di iniziare la giornata nel migliore dei modi?”
Se la tocca. Ne prova piacere. Se la ritocca e non smette finché una raffica di fremiti si impadroniscono di lei. Per non svegliare Uberto ha morso tenacemente il cuscino.
Un po’ le abitudini, un po’ l’agitarsi di Lucia nel letto, attorno alle sei, Uberto si desta. Si stropiccia gli occhi. Aggiorna la mente: dove e perché è in quella stanza. Dà un bacio a Lucia che adesso, finge di dormirgli accanto. Lucia si lascia prendere e adagiare sopra di lui. Fra le sue cosce sente il turgore dell’uccello di lui. Ci preme contro la patata.
«Non illuderti è la solita erezione mattutina. Tutto piscio.» Si alza e si dirige al bagno. Lei lo segue.
«Vengo anch’io così ti intervisto mentre stai pisciando. È sicuramente più immediato e spontaneo.»
Un po’ di lui
È una pisciata copiosa che esegue sfoggiando tutta la mascolinità che è in lui. Lucia lo osserva divertita e ne approfitta per: «Ué, Uberto, cosa ti viene ancora in mente della tua fanciullezza?» L’intervista è iniziata.
«Era il primo decennio del secolo. Bologna stava cercando di trasformarsi da capoluogo agricolo a città incuriosita dalla meccanica e dalle nuove tecnologie. Papà aveva una bottega da macellaio. Non ce la passavamo male e c’erano anche i soldi per far studiare me. Mia sorella, che è più vecchia, a 16 anni era già andata sposa a un buon partito. Poi c’è stata la Grande Guerra e gli anni dei conflitti fra socialisti e fascisti. L’università l’ho frequentata quando già il fascio era al potere e si stava consolidando. Mi sono laureato nel ‘30 e subito ho preso servizio al Sant’Orsola…» Intanto se lo sta sgocciolando. Lucia è corsa a prendere il taccuino. Seduta sul water, sta prendendo appunti. Uberto adesso si infila nella risega della doccia. Lei gli va dietro. Lui la prende, la stringe a sé e apre il getto d’acqua.
«Ma è gelida.» Protesta lei.
«È così che vuole alla mattina. Tonifica.» Lui la bacia appassionatamente. Le mette una mano fra le cosce. Un dito si fa strada nella fica:
Sì… Però metti anche un po’ di calda. Non ho mai pensato di trombare al Polo Nord.»
«Chi ha detto che dobbiamo trombare sotto la doccia. Per trombare ci sono i letti. E noi ne abbiamo uno.»
«Io ti avevo seguito per continuare l’intervista…»
«Eravamo rimasti… Al Sant’Orsola, che è la città ospedale dell’università di Bologna. Lì sono rimasto poche settimane, poi il mio professore di chirurgia mi ha trovato un posto in una clinica svizzera. Là sono andato, mi sono specializzato e ho sostituito il capo equipe. Intanto mi ero già sposato ed era già nata Elena. Avevo portato in Svizzera tutta la famiglia dal momento che mia moglie proviene da una famiglia ebrea e qui cominciavano già a circolare voci che avrebbero portato poi alla sciagurata legge sulla razza del ‘38» le dita nella figa continuano il loro sottile lavorio. Lucia è tutta un fremito e sta venendo. L’acqua adesso è ben calda.
«Dovrai riraccontarmi tutto. Non mi ricordo un cazzo di quello che hai detto… Già, un cazzo.» Si abbassa fino a prendergli in bocca, appunto, il cazzo. Lui si appoggia alla parete: «Questo non me l’aspettavo…»
«Roba da donna di malaffare. No?»
«Per niente. È la cosa che più mi soddisfa… Solo che se arrivi in fondo, dopo per te non resta che carestia.»
Torna a staccare la bocca dal pezzo: «Tu continua il racconto che al resto ci penso io.»
«Pietà. Non riesco più a connettere… Mi si è cancellata la memoria…»
«Se la riprendessimo sul letto?… Io a quest’intervista ci tengo molto.»
Il controllo della situazione
Si sbaciucchiano. Si asciugano in fretta e furia.
Sul letto è lui che riprende il controllo della situazione. È sopra di lei, il cazzo è bello eretto. Lei è già tutta aperta. Sono le labbra di lui, assieme alla lingua, le protagoniste della ripresa. Questa va subito alla ricerca di quel pisellino che è la clitoride per farne la conoscenza. Si trovano, si piacciono e iniziano una danza tutta a vantaggio del godimento di Lucia che benedice quell’iniziativa. Con un guizzo atletico, Uberto sostituisce la bocca con l’uccello e provoca l’intervistatrice con: «Cosa vuoi che ti dica adesso?»
«Oh, Ubert… Chiavami e basta!» Lo grida quasi.
Torna lo sperma sul ventre di lei. Tornano le labbra di lei sulla cappella di lui. Anche se da questa non ci sia più molto da estrarre. Lucia si impegna fino allo spasmo delle ganasce, finché lui non emette un sonoro «Mo socc’mel!» accompagnato da un paio di goccioline della sua più intima essenza.
A Lucia tira ancora come prima… Se non più di prima. Sicché, il compagno Uberto non può che provvedere. L’uccello non ha più la consistenza della notte ma Lucia si abbevera a quella fonte con tutto l’entusiasmo e il canto del piacere.
Il culo della cameriera
Nella sala-pranzo dell‘Astoria una giovane cameriera serve loro la colazione. Uberto, che sta sfogliando una mattiniera edizione dell’Avanti, solleva gli occhi per appoggiarli sul rotondo didietro che la ragazza scuote nel muoversi. Lucia nota l’espressione divertendosi: «Non ne hai avuto abbastanza tra ieri e oggi?»
«Mi documentavo, in prospettiva di nuove mete.»
«Porco! Vado in Redazione.»
«Non abbiamo finito l’intervista.»
«Non ho il tempo per tornare in stanza… E neppure tu hai le dovute energie per affrontarla.»
«Non contarci. Con quello che mi ha suggerito la ragazzotta della colazione.»
«E insisti! Porco più di prima! – Lei si sporge verso di lui e lo bacia. Se ne va – l’intervista la riprendiamo nel pomeriggio. Sarò qui attorno alle quattro.»
Il compagno di Bologna
Alla Federazione Socialista Uberto viene accolto con entusiasmo da tutti i dirigenti e dai parlamentari. Con molti di questi ha colloqui personali.
C’è anche la Cazzaniga Magda, deputato di Lodi che insiste molto per averlo a pranzo da lei «Ho un marito che il 26 aprile, scoprì il nascondiglio di 5 gerarchi repubblichini e 2 ufficiali delle SS a cui non diede neppure il tempo di capire cosa succedesse. Gli scaricò addosso il Thompson prima che alzassero le mani. Lui è iscritto al PCI ma sarebbe contentissimo di pranzare con te anche se sei, come me, del PSI e vieni dai Repubblicani… E’ simpatico, sai…»
Uberto rifiuta.
La bella notte con Lucia gli ha fatto calare la tensione politica. Non vede l’ora che si concluda quella mattinata piena di tutte quelle strette di mano accompagnate da quell’epiteto di compagno bolognese – riferito a lui – che si passano fra di loro i socialisti nel citarlo. Nella sua mente, in quel caldo 14 luglio milanese, c’è posto solo per Lucia. Sarebbe solo per i due giorni successivi, poi nelle 3-4 ore che avrebbe passato alla guida dell’auto per il ritorno, avrebbe trovato il modo di allontanare anche lei dalla sua mente e così riconsegnarsi alla moglie come quando era partito. Lucia, oltre i tre giorni che stava trascorrendo, sarebbe stata solo un sogno. Neppure un ricordo. O, almeno, questo era quello che gli suggeriva i vai e vieni di tutte quelle persone – sindaco compreso – che quella mattina si erano premurate di passare di lì per stringere la mano al compagno bolognese.
Non è così. Ha un bel da rassicurare sé stesso ed affidarsi alla sua indole di imperterrito libertino. Lucia ha tracciato in lui un segno profondo.
Il servizio coperta in camera
L’incontro socialista si scioglie e lui ha il tempo di fare una passeggiata nel centro di Milano… Voi non andare in Galleria! E qui Cupido gli fa subito uno scherzo: “E se prendessi un piccolo presente per Lucia? Così oggi quando ci troveremo per l’intervista…” In Galleria c’è il negozio delle Messaggerie Musicali. Vi entra per comprare il Canzoniere del Festival di Sanremo. Gli viene in mente che nei loro bisbigli amorosi, lei gli ha confessato che sotto la doccia si lascia andare a lunghi gorgheggi, soprattutto cantando canzoni di quel Festival. Ci aggiunge anche un biglietto: “Vorrei fosse sempre un duetto con te.” In Galleria ci sta pure il rinomato bar della Campari e qui il compagno di Bologna non resiste e si fa un paio di aperitivi. Esce dalla Galleria leggermente alticcio e sicuramente con la voglia matta di avere fra le braccia Lucia. Ha comunque fame. Si dirige all’albergo.
In stanza prova rimettersi in sesto: si lava la faccia con l’acqua fresca. Rutta. Piscia. Scende al ristorante. “Che merda pranzare in solitudine!” È una cosa che lui detesta. Ma, la fame è fame. Sicuramente una ben fatta milanese attenuerà le paturnie.
Nella sala da pranzo dell’Astoria è l’unico commensale. Ai tavoli, ancora la cameriera delle colazioni. Uberto ricorda il particolare per cui l’aveva notata quella stessa mattina. Non gli dispiacerebbe appoggiare nuovamente l’occhio su quel particolare ma la ragazza sembra non aver voglia di voltargli le spalle. Uberto trova mille scuse per vederla da quella angolazione. Lei intuisce a cosa mira quel bel cinquantenne e sfrontatamente: «Qui all’Astoria il servizio coperta parte dalle 10.000 Lire. Se vuole, adesso è un momento in cui non c’è molto da fare…»
Il Panama
Uberto arrossisce. È confuso. Non era quello a cui mirava. Era solo un’occorrenza prospettica. Si inventa un’esigenza molto più attinente alla gastronomia. La cameriera esce dalla sala. Non passano più di cinque minuti che torna accompagnando al suo tavolo un fattorino che gli consegna un pacco dalla forma rotondeggiante. C’è un biglietto nella confezione: “Questo, sicuramente, darà un tocco alla tua immagine estiva. Lucia.” Apre compulsivamente l’involucro e si ritrova fra le mani un leggero Panama.
Proprio quello che aveva sempre desiderato ma che si vergognava ad andare in una cappelleria a provarselo. “Che femmina travolgente!”
Il caffè conclude il suo pasto. Nell’uscire dalla sala passa innanzi alla procace cameriera che gli strizza l’occhio. Lui ha già il Panama sul capo. In stanza è subito innanzi allo specchio, dove prova a trovare la migliore posizione per il nuovo copricapo.
Guarda l’orologio e manca un quarto d’ora all’appuntamento per l’intervista. Meglio prepararsi. Si spoglia completamente e fa il bidè sempre con il gradito regalo in testa. Lo specchio riflette l’immagine buffa di lui nudo, con l’elegante cappello sulle ventitré.
Cinque minuti prima dell’appuntamento Lucia mette piede nella stanza.
Si sbellica dalle risa di fronte all’immagine che le si presenta. Va verso di lui e restano abbracciati dicendosi un mare di sciocchezzuole.
«Fallo provare anche a me. Sono curiosa di vedere come starei.» E di conseguenza si spoglia per provarlo come, adesso sa, deve essere portato.
Non son certo quelli di due ragazzini, i corpi che si agitano sul letto con l’energia degli adolescenti. Disegnano erotiche evoluzioni nel darsi piacere. Dalla punta dei piedi all’ombelico, è tutta una carezza. Un bacio. Uno sfregamento epidermico. La stanza si colma dei loro afflati. Mugugni. Balbettii.
«Adesso ti prendo come si deve prendere una che vuol fare all’amore con un Panama in testa» tuona con decisione la voce baritonale di Uberto.
«Mai! In una tenzone chi comanda è chi ha l’elmo sul capo… Adesso ce l’ho io e mi prendi come pare a me. – È il gioco dell’amore. Sempre una cosa impegnativa. Lei gli si offre mettendosi carponi e porgendogli il di dietro con tutte le possibilità del caso – scegli quello che vuoi.»
Uberto diventa riflessivo. Ha in mano l’uccello e se lo trastulla. Con garbo fa la sua scelta: la via maestra. Da buongustaio, il culo, lo tiene per il dessert.
Lucia apprezza. Lascia che lui entri completamente in lei e quando lo sente tutto nel suo più intimo anfratto prende a roteare lentamente il bacino. Lui ne trae piacevoli sensazioni e si lascia cullare da quel movimento.
Si spinge poi più in fondo che può e inizia il suo ritmo orizzontale, aumentando sempre la velocità. Lucia passa dal piacere all’erotico godimento per salire, livello dopo livello, verso la sua acme: «Sborrami dentro… Ti prego.… Non sono fertile in questi giorni.» lo implora. Uberto si fida. Ancora qualche colpo e si scioglie in lei.
Lucia è distesa. Lui non le ha dato tregua. Ha piazzato il volto fra le sue chiappe ed è già un po’ che pilucca il suo buco-del-culo. Lei non ricorda di aver mai vissuto un post orgasmo così dolce e delicato.
Uberto, nonostante si avvicini ai 50, ha ancora l’uccello in tiro. Glielo appoggia nel solco fra i promontori carnosi. Un brivido di piacere si sprigiona dal coccige e la pervade, recettore dopo recettore.
È già un lasciapassare.
Lui non è certo un pivello nel genere. Di culi ha già avuto occasione di sfondarne. E questo le sembra avvezzo alla pratica.
Lucia sibila un eloquente sospiro.
Qualche misurato colpo e di lui restano fuori solo i testicoli.
Le tette di lei sono già nelle sue mani. In Lucia si rinnova lo stato di piacere. Cresce man mano che lui si agita in lei: «Sei delizioso Uber!» e si lascia andare a quel piacere così diverso dal precedente.
Con l’inculata, Uber non ha concluso il suo programma. Ha solo insistito per dimostrarle quanto fossero inesauribili i compagni di Bologna. Un’ultima leccata di figa l’ha quasi tramortita: «Chi ce la fa, adesso, a completare l’intervista?»
«Non ti preoccupare, abbiamo di tempo un pomeriggio e una notte… Perché tu dormi con me anche stanotte… vero?»
Nel chiacchiericcio del dopo amore
Sfinita, Lucia giace sul letto, in pace con sé stessa e col mondo. Fra i due cuscini, rovesciato giace anche il Panama. Grande protagonista di quell’amplesso.
Uberto, baldanzoso per l’alto stato di virilità che ha dimostrato alla soglia dei cinquant’anni, si è ritirato in bagno per le occorrenze del caso. Riappare e si mostra mentre orgogliosamente gingilla fra le mani il suo arnese che, obiettivamente, non è ammosciato del tutto. Si potrebbe dire che si trova nella condizione bazzotta. Quindi, sempre in considerazione di: le quasi 50 primavere, la prolungata e copiosa prestazione, nonché la qualità della medesima. Possono giustificarne l’orgoglio.
Lucia, ad occhi chiusi, beatamente, sta smaltendo il proprio godimento. Per cui non può apprezzare la forma splendida del suo partner post coito.
La vanità non ha limiti!
Lui le si sdraia a fianco e fa tutte quelle mosse per farle sentire, contro un fianco, che nell’anima del suo prepuzio si può ancora trovare della virilità.
Lei, glielo prende affettuosamente fra le mani. Glielo accarezza e: «Le tue performance erotiche mi hanno quasi fatto dimenticare una cosa importante che avevo da dirti. La segreteria del Partito si è riunita approfittando del pranzo e hanno deciso all’unanimità – c’era anche Nenni – [N.d.A.: Pietro Nenni, storico leader del PSI] che alle prossime elezioni, quelle dell’anno che viene, tu sarai il candidato nel collegio senatoriale di Bologna. Dove non dovresti avere problemi per essere eletto… Questa sera ho il compito di farti arrivare al ristorante L’Aquila Nera dove il Direttivo ha deliberato di banchettare in tuo onore – Si scuote dal torpore e rimettendosi il Panama sul capo, aggiunge – certo che, quando sarai a Roma io potrei farti da assistente.» Si solleva e lo copre di baci. Stranamente l’uccello di Uberto si affloscia completamente. [N.d.A.: Piccolo particolare che non sminuisce la portata di quella comunicazione e non inficia la nostra storia.]
L’Aquila Nera era un buon ristorante della tradizione che aveva visto più incontri socialisti che le stanze della Federazione milanese.
Il bollito è il piatto forte e, sul bollito, si stanno impegnando i trenta più autorevoli esponenti del socialismo meneghino. Uberto, Panama in testa, è arrivato, al braccio di Lucia, puntuale alle 20.
In molti gli fanno i complimenti per l’eleganza del copricapo. Tutti gli manifestano la loro approvazione alla sua designazione da parte della Segreteria nazionale. Uno, ed era il deputato della circoscrizione di Bergamo, on.Bernasconi, prende da parte Lucia per: «Se mi confermano che hai messo gli occhi su questo pollastro, gli faccio sputar sangue perché questa designazione non si concretizzi fra un anno, alle elezioni…» E visto che ha aperto l’argomento le affibbia l’epiteto di figa-fredda e altri attributi vari per il fatto che lei non risponde più alle sue chiamate.
Lucia poi presenta a Uberto, Giangiacomo Bonomelli, importante editore che avrebbe un piccolo favore da chiedergli: «Ho un figlio che vorrebbe iscriversi a Giurisprudenza all’università di Bologna. Tu sei venuto in auto, vero? Se lunedì quando rientri dai un passaggio a Filippo, mi faresti un regalo. Lui detesta i treni e dovrei accompagnarlo io, con tutto quello che ho da fare.»
«Non c’è problema. Io conto di partire alle 8 di lunedì mattina sempre che… – e qui il compagno di Bologna accidentalmente svela qualcosa –… Lucia mi lasci partire. Dovremmo essere a Bologna per mezzogiorno, in tempo per un buon piatto di tagliatelle. Sarah, mia moglie, è molto brava a farle. Domattina le telefono e l’avverto. Se poi ha bisogno di rimanere qualche giorno, può stare da noi che il posto c’è.»
Il compagno Giangiacomo va a cercare il telefono per la clientela, per sentire dal figlio Filippo, se il programma lo aggrada.
I commensali si siedono a tavola e Giangiacomo vuole Uberto accanto. Dall’altra parte si siede Lucia.
Dalla trattoria nei Navigli, Uberto, per rientrare, fa venire un taxi e riesce a farvi salire Lucia, senza che qualcuno lo noti
Non c’è ambiente pettegolo più dell’apparato di un partito di massa!
«Scusa, ma per gli ultimi abbracci con bacio di quella bifolca dell’onorevolessa Cazzaniga e della Presidentessa dell’U.D.I. [N.d.A.: Unione Donne Italiane] mi è montata una vampata di gelosia… – lo abbraccia e si stringe tutta contro di lui –Almeno, fino a lunedì mattina posso permettermelo. No?» Complice l’oscurità, con una mano gli accarezza la patta dei leggeri calzoni di lino.
Il taxista è impegnato a bestemmiare contro un autobotte-lava-strade che rallenta la corsa.
Il futuro senatore apprezza quell’effusione che gli sta indurendo il cazzo.
È contenta Lucia che, nonostante quanto le abbia dato lui nell’infuocato pomeriggio, avverte che ha ancora risorse da spendere. Sa bene che di tempo per poterlo fare non ne resta molto. Si fa ardita. Slaccia a uno a uno i bottoni della patta. Sente la popeline dei boxer. Anche lì ci sono bottoni. Le affusolate dita della ragazza nervosamente si infilano fra uno e l’altro bottone. Sente il richiamo del turgore che emana l’uccello. Lo stringe forte e lui freme. Vorrebbe anche slacciare uno o due bottoni, così la mano potrebbe stringere quello che desidera, se non che:
«Dove vuole che mi fermi. Professore? Va bene proprio davanti all’ingresso dell’hotel? Dove c’è un po’ di luce.»
“Luce?… Per carità!” Con disinvoltura è riuscito a ripristinare l’abbottonatura dei calzoni, ma non si sa mai. “Meglio scendere un po’ in ombra.” Anche perché deve pure pagare.
«Allora Professore… Si ricorda di me?» Accende la torcia che gli serve per dare il resto ai clienti e si illumina il volto.
«Oh, Zelindo… ma sei tu davvero? Ma allora sono proprio bravo anche con mezzi di fortuna! Non avrei dato un centesimo per la tua sopravvivenza. Avevi perso troppo sangue per farcela. Come stai?»
«È stata dura ma come vede sono qua. Professore, non smetterò mai di ringraziarla. E anche se sono un cattivo cristiano, una volta all’anno, mi faccio forza, entro nel Duomo e all’altare di San Carlo accendo una candela perché vigili su di lei. Mi creda Professore… Faccio così ogni anno… Poi voto socialista… E mi fa tanto piacere che fra questi ci sia anche lei.»
«Mi hai commosso Zelindo. Mi sento un uomo felice solo per averti incontrato, visto che te la passi bene e che hai una bella auto e un buon lavoro. Quello che non capisco è come puoi dire con tanta sicurezza che anch’io sia della vostra partita?»
Si mette a ridere, Zelindo: «È perché sono il taxista di riferimento della Federazione. Sono anche nel Direttivo e questa sera, se non avessi avuto il turno proprio in piazza del Duomo, dove si guadagna bene, avrei dovuto esserci anch’io alla cena – guarda sorridendo verso Lucia – anche la Signorina Lucia mi conosce bene… L’ho trasportata in tanti posti per lavoro e leggo sempre i suoi articoli sull’Avanti! Sarebbero tutti da incorniciare.»
Non accetta denaro per la corsa e parte facendo strisciare le ruote.
«Non l’avevo riconosciuto – si stringe al braccio di lui – avevo altre cose per la testa.»
«Addio alla nostra riservatezza. – Commenta Uberto – Però sono contento lo stesso. Mi è sempre rimasto il dubbio che l’avessi ammazzato. Invece… Accende anche le candele per la mia salute.»
Su Milano si sta abbattendo un grosso temporale estivo.
I due amanti si sono già dedicati a smaltire l’accumulo di passione e hanno già concluso il primo round. Un po’ frastornati, tacciono mentre ammirano il carosello di fulmini e saette che disegnano il cielo. La pioggia scroscia. Il caldo, fino a quel momento soffocante, ha lasciato il posto a una piacevole arietta. Il letto è proprio innanzi alla finestra e loro allo spettacolo della natura aggiungono la gioia di carezze e delicati palpeggiamenti. Il piacere aleggia a mezz’aria. Si raccontano di loro: momenti e sensazioni provate e salta fuori anche Zelindo
«Zelindo, presuppongono che prima della guerra facesse lo spallone fra qui e Zermatt: accompagnando da qua a là e viceversa, somme di denaro, merci e persone. Io lavoravo da quelle parti. Zermatt è un incantevole posto di villeggiatura. Lì c’ero per un regalo di un membro di casa Savoia. L’avevo operato e guarito. Aveva voluto ricompensarmi offrendomi la sua casa di vacanza per un mese e un prezioso passaporto, dove io e famiglia risultavamo membri di casa Savoia, per cui potevo andare a mio piacimento dentro e fuori dall’Italia senza controlli alla frontiera.
Era una sera di aprile del ‘41. Sarebbe stata una sera cupa, se non per la tanta neve che copriva il paese e gli dava luce e splendore. Con me c’erano Sarah, mia moglie ed Elena, mia figlia e ci apprestavamo a sederci per il pranzo serale. Avevano bussato alla porta ed era una guida alpina con cui mi soffermavo a chiacchierare al bar, davanti ad un bicchiere di vin brulè:
“Professore… Professore, ci aiuti. Zelindo si è ferito. Perde molto sangue. Venga… Ci aiuti.” Avevo preso la borsa con i ferri del mestiere e l’avevo seguito. Giunti a una capanna nel bosco avevo trovato sdraiato su un tavolo Zelindo in un bagno di sangue. Subito al lavoro, avevo fermato l’emorragia ed estratto ben due pallottole dal suo corpo. C’era solo da sperare. Nel viaggio di ritorno Franz mi aveva raccontato cosa era successo: Zelindo aveva appena fatto passare il confine a una famiglia di ebrei che avevano voluto espatriare per sfuggire alle leggi razziali. L’Italia era da qualche mese in guerra al fianco della Germania. Il sentiero che Zelindo utilizzava è su un crinale. A destra l’Italia, dall’altra parte la Svizzera. In quel punto non ci sono né reticolati né barriere. Quel giorno, invece, era saltata fuori una pattuglia della Milizia fascista. Zelindo si era buttato nella scarpata sulla sinistra, già terra svizzera ma i militari fascisti avevano scaricato le loro armi su di lui, centrandolo a una coscia e alla spalla. Altri spalloni che erano in quella zona per gli stessi motivi, al crepitio delle armi erano accorsi e avevano soccorso il povero Zelindo, portandolo in quella capanna.»
Lucia ascolta il racconto sbaciucchiando il suo amante qua e là: dalla bocca al collo poi giù. Spalle, torace. Un po’ i minuscoli capezzoli e giù… Giù ancora. L’ombelico… È qui che incrocia l’uccello, sensualmente a riposo. Lo solleva – è stremato ma ha una leggera reazione – se lo pone fra le labbra e lo trastulla con la lingua. Lo succhia. Una sorta di rianimazione che pare abbia un buon effetto: il cazzo moscio, ne esce semi-rigido: «Mi piace da matti metterlo in bocca dopo che sei uscito da me. Ho imparato a riconoscere il sapore della mia figa. È bellissimo! Non trovi?»
«E allora che aspetti? Continua!» È quasi un ordine. Lucia, obbedisce.
Uberto ha il riprovevole vizio di fare tra sé e sé impietosi confronti: “Sicuramente meglio quello di Sarah. Ma non male neppure la ragazza. Le manca la fantasia e la grinta delle bolognesi.” Comunque… qualche sobbalzo e riempie di sperma la bocca di Lucia. Questa trattiene tutto e nel bacio che segue, lo passa nella bocca di Uberto: «Ecco, questo è il tuo sapore.»
Saranno ancora baci, carezze, piccole effusioni finché il sonno non li sequestra.
Sulle orme del poeta
Passata è la tempesta odo augelli far festa… Ha verseggiato il poeta a suo tempo, ignaro che quella mattina anche l’augello di Uberto si sarebbe eretto festoso. Ma non è tutto oro quel che riduce. È la solita erezione del mattino tutto piscio e nulla più. Non è un dramma per Uberto che s’invola sotto la doccia e con l’acqua che scroscia su di lui si concede una gran pisciata.
Ha fatto un casino tale tanto da svegliare Lucia che lo raggiunge sotto il getto dell’acqua.
La doccia è sicuramente più piacevole se si è in due.
Ci sono montagne di pagine erotiche che descrivono quello che si può fare in poco più di un metro quadro di spazio con l’acqua che ti piove addosso. Io non vi aggiungerò quelle che riguardano questi due piccioncini.
Anche perché dopo una veloce sciacquata fermano l’impeto degli istinti per riprenderli comodamente sul letto.
Lucia gli si offre: faccia lui da dove incominciare. Lui, che è cresciuto nella metodologia scientifica, razionalmente le si sdraia accanto e le mena un delicato ditalino che non si conclude come tale… Ai primi segnali di godimento di lei, le dita lasciano il posto al cazzo. Che non impiega molto ad avviarli tutti e due al massimo del piacere.
«Buongiorno tesoro!»
«Buongiorno a te, cara. Mi sa che oggi sarà una giornata piena di impegni.»
«Cerchiamo di dosarli perché io avrei ancora un po’ di cartucce da sparare.»
È il giorno dell’Assemblea nazionale del Partito. I lavori inizieranno alle 11. Ci sarà il pranzo.
Alle 15 il dibattito, in cui il compagno Uberto Alberti di Bologna illustrerà il suo avvicinamento al socialismo.
Verso le 18:30 le conclusioni del compagno Pietro Nenni, segretario del Partito.
Sono le sei e mezza «E io ho una certa fame. Mi sa che a quest’ora l’hotel non offra ancora questo servizio. Vuol dire che dovrò arrangiarmi.» Lui le allarga le gambe con una certa prepotenza ed è con la bocca sulla figa.
«Ma dai… Sei proprio un incorreggibile cannibale!» Si mette comoda e assapora le soavi sensazioni che incominciano ad impossessarsi di lei.
L’appetito vien mangiando e Uberto compulsivamente non accenna a fermare la propria bramosia. Uno, due, tre, sono gli orgasmi che irrompono nella ragazza.
«Non ne avevo mai provati tanti uno dopo l’altro. Sei un meraviglioso mostro. Cosa posso fare per te?»
«Scrivermi quello che devo dire all’Assemblea.» Non è per niente romantico ma la cosa un po’ lo preoccupa e sa anche che quello che dirà è importante.
«Potrei dire che sei uno scafato approfittatore e pisciarti sul grugno… – Si leva dal letto e va in bagno… [N.d.A.: a pisciare ovviamente]. Quando torna, rovista nella borsa da cui prende un foglietto – Ecco, guarda, il tuo intervento. L’ho già scritto. Se riesci a leggere la scrittura, puoi usarlo. Sono gli appunti per l’articolo sulla Assemblea di domani.»
Lui scorre foglietto «È perfetto. Adesso fino alle 10 cosa facciamo?»
«Facciamo all’amore.»
«Non so… Se… In fondo… Incomincio ad essere vicino ai 50…»
«Non fare il maschiaccio. All’amore si può fare anche solo dicendosi delle cose.»
«Già. Chiedimi quello che vuoi…»
«Credo di avere il diritto di sapere se questi tre giorni potrebbero avere un seguito.»
«Potrebbero, sicuramente sì. Se avranno… Devo dirti che non lo so e non riesco neppure ad immaginarlo. Da bravo maschietto libertino sarei tentato di chiederti di divenire la mia amante. Ma questo non posso permettermelo sia per l’amore che ho verso Sarah e anche verso Elena, mia figlia. Sia per il rispetto che devo a te, per quanto mi stai dando in queste giornate. Sei bella, intelligente, spigliata, giovane e a letto una bomba. Non saprei cosa poter pretendere di più per dirti “Ti amo”. Non posso dirtelo. E mi sforzerò per non farlo. Perdonami. Domattina quando ci saluteremo per davvero ti darò la risposta definitiva»
«Scusa ma ho bisogno di prendere aria.» Si veste in fretta e furia ed esce.
A Uberto la stanza appare subito in tutto il suo essenziale squallore. Va alla finestra e segue con lo sguardo Lucia che attraversa la piazzetta sottostante e scompare in una delle strade che lì confluiscono. Qualche persona, qualche auto, cominciano a transitare e ad animare la città.
La stanza è decisamente oppressiva, in quel momento, anche per Uberto che decide di rivestirsi e di prendere anche lui una boccata d’aria.
Nel bagno, si è rasato. Osserva la sua immagine di uomo nudo nel grande specchio il quale restituisce il turbinio di considerazioni che sta facendo:
“Certo che se quella stronza di Sarah avesse partecipato alla trombatina del distacco con la solita passione, l’entrata in scena di Lucia, sicuramente non avrebbe avuto l’impatto che aveva bucato la scorza di impenitente libertino. Insomma, se Sarah non avesse voluto dimostrare a tutti i costi, anche sotto le lenzuola, il suo disappunto alla scelta socialista del marito, sicuramente con Lucia non sarebbe andato oltre alla prima sborrata sul ventre e… Chi s’è visto s’è visto. Invece ne stava nascendo qualcosa di ben più importante.”
C’è da dire che, quel maiale del Compagno di Bologna, addebitava la sua incapacità di gestire lo strappo coniugale ad una chiavata un po’ loffia [N.d.A.: italianizzazione di un lemma della lingua bolognese, lòfi, = scadente, di bassa qualità.] e soprattutto non partecipata da parte della moglie.
L’ascensore si ferma al piano della Sala colazioni e vede che è già in funzione. Decide di fermarsi. Ai tavoli c’è sempre la cameriera veneta che gli aveva proposto la coperta. Lei torna alla carica: «La direzion, ogi che ghe s’è domenga, fa pagar la coperta solo 7000 schèi. E alla matina la faso mì».
Il nervosismo di Uberto si riversa tutto sulla povera puttanella veneta: «Ma vai a cagare!» e visto che anche la colazione lo agita, pianta lì ed esce nella piazzetta. C’è il giornalaio. In un momento in cui cala la propria tensione interna, si sente un uomo politico. E secondo lui, un uomo politico deve sempre farsi vedere con una mazzetta di giornali sottobraccio. Dal giornalaio ne acquista ben cinque. E torna in stanza.
Sta scorrendo la prima pagina del Corriere che bussano alla porta. Non è chiusa: «Avanti!» È sempre la solita cameriera veneta in edizione figa. Che vuol dire vestita da baldracca:
«Volevo solo dir che ho visto la signora che era in camera con lei che ha pagato il suo conto. Penso che non sia più qui. Io sono smontata adesso e se vuole, la coperta e gliela faso 5000 schei.» Uberto non può che rinnovarle l’invito a togliersi di torno.
E si ridedica alla lettura. È affranto e confuso. Deve solo far passare un paio d’ore poi forse sarà l’Assemblea a distrarlo.
Tornano a bussare alla porta.
C’è insofferenza nella propria voce mentre dice un’altra volta «Avanti!»
“Cazzo!” È Lucia:
«Non ce l’ho fatta… Non sono più io… Non ce la faccio. Non ce la faccio. Non ce la faccio! – E si mette a piangere. Un pianto dirotto che riversa contro la camicia di Uberto che l’ha presa fra le braccia. Poi è una mitragliatrice che parla – me ne sono andata… Non sarei più tornata… Non volevo essere d’impaccio al tuo vivere… Non sono neppure arrivata in fondo alla strada. Mi cedevano le gambe. Sono dovuta ritornare. Non posso più chiederti nulla. Aspetto solo che tu mi dica qualcosa.» È una resa senza condizioni. A cui segue una cosa analoga da parte del maschiaccio. È molto meno breve di quanto non possa sembrare quel sintetico:
«Ti amo, Lucia!»
Così come sono iniziate le cose sicuramente ci sono stati baci e forse anche qualcosa in più…
Vengono le 10:30 ed è Lucia a ricordare al Compagno di Bologna che l’Assemblea li aspetta. Dalla hall, Lucia chiama un taxi. È il taxi di Zelindo.
Il quadro si è ricomposto!
L’Assemblea socialista
L’Assemblea socialista è un grande successo. Ci sono delegazioni da tanti paesi stranieri, assieme ad altrettanti corrispondenti di giornali. Il segretario del Partito annuncia una spregiudicata azione politica per la crescita del Paese. I successivi interventi dei delegati sono di pieno consenso alla linea della Segreteria. Molti di essi citano l’importante adesione al Partito del professor Uberto Alberti di Bologna, il quale, nel pomeriggio, legge la formale sua adesione ai principi del socialismo, utilizzando una raffinata parafrasi messa a punto da Lucia.
Altri, successivamente, lo citano nei loro interventi, proprio per la sottile intelligenza politica di quel passaggio. Uberto e Lucia, senza alcuna remora, sono sempre uno accanto all’altra. Sono spesso mano nella mano e si abbracciano nei coinvolgenti momenti in cui la retorica scalda la platea. Sempre accanto a loro, come un body guard, Zelindo. Addirittura, si concedono assieme a l’obiettivo del reporter di un magazine francese.
Nella relazione conclusiva, il Segretario del Partito chiama il professor Alberti a far parte della Segreteria nazionale e annuncia che sarà il candidato nel collegio senatoriale di Bologna, alle prossime elezioni.
Uberto e Lucia, senza ritegno, si baciano in mezzo al pubblico plaudente.
«Se non era per quelle cinque righe che hai inserito tu, col cazzo che il compagno Nenni mi avrebbe cooptato nella Segreteria. E anche che avrebbe benedetto la mia candidatura.»
«Questa è la politica Uby. [N.d.A.: Fra le tante cose, era nato il vezzeggiativo che si sarebbe portato dietro per tutta la vita.] Nuove idee a cui non ha ancora pensato nessuno buttate lì, nella discussione, all’improvviso, diventano vincenti.»
Uby è già sotto il lenzuolo, Lucy sta asciugandosi i capelli, seduta sulla sponda del letto.
Più o meno alla metà della sagoma di Uby il lenzuolo è sollevato. Qualcosa, da sotto, lo sta spingendo verso alto. Lucy va con la bocca su quella sporgenza mordicchiandola allegramente.
Pochi istanti e il lenzuolo ricopre anche lei. Nella stanza fra alcune sensuali risatine si ode:
«Sono già bagnata al punto giusto. Non c’è bisogno di preliminari… Vieni… vieni tutto dentro… Ti desidero tanto!» Non c’è silenzio perché non si può zittire il rumore delle lenzuola che si scompigliano e dei corpi che si agitano. Quando tornano le parole è la voce di lei che: «Così… Così… spingi… Più in fondo che puoi… Lascialo dentro che è un giorno buono – poi – Vengo Uby… vengo, vengo, vengooo. Ohh, che bravo… Che caro! – e quando si è spento il bacio – … Sarai il mio Senatore mandrillo!» e ancora baci.
La cosa più sorprendente che ho notato nel riordinare gli appunti dai diari di nonna Elena, è come lei abbia potuto attingere ad informazioni molto intime che non la riguardavano. Adesso avvio la narrazione ‘sic’ del risveglio del forse senatore Uberto Alberti e della sua amante, Lucia, la mattina in cui, lui sarebbe partito per rientrare nella sua Bologna. Noterete quanto piccole abitudini di quella brevissima convivenza fossero già radicate in loro per divenire un’abitudine che si sarebbe protratta per tutta la loro vita. Notate anche con quanto romanticismo nonna Elena lo riporta nel suo diario. Come potesse conoscere quegli intimi dettagli lo capirete nella prossima sezione.
È l’alba ed è un’alba molto calda. Quasi torrida. I primi raggi di sole dalla finestra aperta scuotono il sonno dei due amanti appagati. Sanno che in quel giorno avverrà il loro distacco e in cuor loro, ognuno sa che potrebbe anche rimanere tale. È Uberto il primo che si siede sulla sponda del letto guardandosi l’uccello gonfio ed eretto: “il solito piscio del mattino.” Si solleva e fa per avviarsi al bagno.
«Aspettami. Devo pisciare anch’io. Vengo a pisciare con te. – Si alza. Gli prende la mano per quei dieci passi che li separano dal cesso – Mi piace da matti pisciare con te. Lo trovo veramente eccitante.»
Il Professore riflette un attimo, poi:
«È vero. Anche per me è eccitante… Facciamo qualcosa in più. Entriamo nella doccia e pisciamoci addosso l’un l’altro.» E così fanno. Si baciano. Si stringono. Si palpano. Tornano a baciarsi. Una mano di lei prende ad accarezzarglielo ed inizia a menargli una pugnetta.
«No cara. Chissà quando potremo riassaporare momenti come questi. Questa mattina ci vuole qualcosa di più intenso.»
Lucia è già sdraiata sul letto. Gambe aperte a trastullarsela.
Il suo Uby è già su di lei: la bocca sulla figa, il cazzo fra le labbra di lei.
Lucy non ha mai avuto modo di praticare quella figura. Non ci vuole molto per capire come va il mondo. E si mette a succhiare. Intanto, follate di godimento la invadono. La lingua di Uby la fa impazzire: accarezza ogni angolo della sua intimità. Duella con la clitoride. Succhia tutto l’humus che secerne. Sono due gli orgasmi che le regala prima di esplodere e di riempirle la bocca con il proprio concentrato. Sapranno poi le reciproche labbra, in un prolungato bacio, ad unificare i due ingredienti. Lui poi, si stacca dal volto di lei per tornare fra le calde cosce, sulla figa. Ricomincia con le labbra e… via di seguito con tutto quello che occorre
«Vorace!» sussurra lei, predisponendosi ancora.
Il viaggio di ritorno
La puttanella delle colazioni guarda con antipatia la coppia che con grande armonia si imburra fette biscottate scherzando gioiosamente. La composta di fichi, in quel tavolo è quella che va per la maggiore.
“Chisà cosa xé avrà stra le ganbe ste manigo de scopa” sconsolata rimugina fra sé la cameriera rifiutata per alcune volte, nonostante il prezzo scontato.
La Topolino esce dal garage. Il rito dell’addio lo celebrano nell’angusto abitacolo dell’utilitaria. Baci, carezze, afflati di passione e lui che non smette un attimo di palparle le tette.
«Quando?» sussurra lei
«Sabato dovrebbe svolgersi un convegno medico a Modena. Per la famiglia durerà fino a domenica a mezzogiorno. L’auto poi si guasterà e l’officina me la riconsegnerà lunedì pomeriggio. Aggiungeremo altre due notti al nostro amore.»
Per Uby, inizia un’epoca di menzogne e piccoli sotterfugi.
Accanto alla loro macchinetta si ferma un’elegante Chevrolet. È il commendator Giangiacomo Bonomelli che accompagna Filippo, il figlio, che viaggerà con lui.
Il confronto fra le due autovetture sarebbe un atto di crudeltà, soprattutto se svolto fra socialisti. Anche il giovane Bonomelli dimostra entusiasmo per la trasferta a Bologna che l’aspetta. Prevedendo il viaggio in un’autovettura economica si è portato dietro una diavoleria della tecnica avveniristica: una radio portatile a transistor. Regalo di papà suo, al ritorno di un viaggio di lavoro negli USA.
Filippo è il figlio che tutti vorrebbero avere. Vent’anni, atletico, di bei lineamenti. È arrivato alla maturità senza perdere un anno e sempre con ottimi risultati. Si iscriverà a Giurisprudenza per avere una base e, un domani, dirigere l’impero di papà.
Per un viaggio di qualche ora è la compagnia ideale: spigliato, ciarliero, curioso. Pone a Uberto tante domande sulla sua professione e sulle sue idee politiche. La Topolino macina chilometri su chilometri e il tempo passa. Forse per Uby sarebbe stato meglio essere solo. Avrebbe così potuto riflettere e dare una strategia al proprio futuro che si presenterà, sicuramente, con tanti problemi e situazioni da risolvere.
Attraversando Parma a Uberto viene in mente che non sarebbe male tornare con un piccolo presente sia per Sarah che per Elena. Si consiglia con Filippo e fa sosta per acquistare qualcosa per le femmine di casa. Per Sarah non si fa fatica: basta entrare in una gioielleria e scegliere un paio di orecchini. Lei si vanta di essere collezionista conosciuta, di questi gioielli. Per Elena deve ricorrere a Filippo che è più vicino ai gusti della generazione di sua figlia. Gli basta trovare un negozio musicale e Filippo gli indica i due dischi più in voga in quel momento negli Stati Uniti. Uberto gli assicura che una radio grammofono di ultima generazione è già installata nella stanza di Elena. «Bene… bene così se devo fermarmi un paio di giorni avrò dove ascoltare i Frank Sinatra che ho in valigia.»
È quasi mezzogiorno quando oltrepassata l’antica porta appare loro la sagoma delle Due Torri. Sono arrivati.
Ed ecco Elena
Sarah li accoglie senza troppo entusiasmo ma non ha nulla in contrario che il ragazzo soggiorni da loro. Subito gli fa vedere la stanzetta e gli mette a disposizione quanto può servirgli per una rinfrescata che lo ristori dal lungo viaggio in quella calda giornata di luglio.
«Elena è ancora all’università ma dovrebbe essere qui a momenti. Appena arriva ci mettiamo a tavola. Io intanto ti aspetto nel salotto di fronte all’ingresso di casa.» Va dietro alla consorte per offrirle il presente che ha preso per lei e saggiare così il suo umore, visto che la partenza era avvenuta in un corridoio di gelo.
Il forse senatore Uberto Alberti deve constatare che l’atmosfera si è ulteriormente raggelata.
Quando, nella cucina rimangono loro due e lui le offre il pacchettino con il regalo. Per poco, questo, non finisce fuori dalla finestra. Poi, brandendo il quotidiano del giorno, lei inizia la sua requisitoria: «Guarda qui, la foto a mezza pagina per far sapere al mondo intero che sarai un senatore apparentato con quegli assassini che governano oggi l’Unione Sovietica e un’altra decina di stati. Solo quando lo vedrà la mia famiglia…»
La voce si sta alzando e anche Sarah non ci tiene che i loro dissapori arrivino alle orecchie del giovane ospite. Un’occhiata fra di loro e il battibecco è rinviato. Tutto si arresta con una precisa minaccia da parte di Sarah: «Sia chiaro, che io con chi è conlluso con gli assassini di alcuni milioni di persone non ci posso dormire. Da questa notte la stanza è tutta tua. Io dormo da Efrem che già questa mattina è andata ad iscriversi al Democrazia Cristiana, pur essendo ebrea. E oggi pomeriggio lo farò anch’io.» Sbatte la porta e si ritira nella stanza.
Uberto prende dal frigo la bottiglia del Martini rosso e va nel salotto per prendere l’aperitivo con l’ospite. Intanto arriva Elena.
È allegra, effervescente: «Oh, papà, mi porti sempre dei ragazzi uno più bello dell’altro. Mi tieni in una condizione che non è facile scegliere. Così rimango zitella. Ciao, avrai capito che sono Elena. Sua figlia.»
Se Elena ha fotografato subito il bell’aspetto dell’ospite, lui, non è certo rimasto indifferente agli occhi verdi e dal portamento della ragazza. Inizia subito, da parte sua, una danza fatta di sagacia e cortesia: «Se tuo padre, che durante il viaggio mi ha parlato a lungo di te, mi avesse descritto gli occhi che hai, sarei partito qualche giorno prima.»
Così, parte una simpatica schermaglia fra i due ragazzi, per conoscersi in maniera divertente. Per un po’ Uberto riesce a dimenticare i malumori coniugali.
«Forza che le tagliatelle stanno già fumando nei piatti.» È mamma Sarah che li chiama al desco, dove continua l’allegra pantomima dei due giovani.
«Cosa sei venuto a fare in questa terra di provincia, Filippo?»
«Eh, lo so che sono approdato in una terra un po’ sottotono al confronto con la nostra. Ma se no come facevo a vedere i tuoi occhi?»
«E te dai! Sei in fase intorto? Non sono più una sbarbina. Ho messo su un po’ più di anni di te.»
E così via. Il pranzo si mantiene in buona armonia soprattutto per questi piccoli lazzi, anche se Uberto e Sarah si mantengono distaccati fra di loro e non coinvolti dalla giovanile esuberanza.
Filippo tra un’apprezzata forchettata e l’altra di tagliatelle si auto incensa per esser lui ad aver scelto il disco che le ha portato papà e non le dispiacerebbe ascoltarlo visto che Uberto gli ha detto che: «… in camera tua hai un radio grammofono. Io poi, mi sono portato dietro altri tre dischi che ti farei sentire volentieri.»
Elena, è colpita dai calzoni che il ragazzo indossa. Blue-jeans completamente diversi da quelli che si vedono a Bologna: «Certo che, più snob di così non potete essere, voi milanesi…»
«Ti riferisci a…»
«Mi riferisco ai jeans che indossi… Belli nèe! – e gli fa il verso della cadenza lombarda – ma dove li andate a scovare, lo sapete soltanto voi.»
«Ti piacciono? Non sono per niente milanesi. Me li ha portati papà dal suo viaggio negli USA. In valigia ne ho un altro paio nuovi di trinca. Se vuoi te li faccio provare. Così ti americanizzi un po’.»
Il pranzo volge al termine, mamma Sarah si scusa e si ritira nella sua stanza. Uberto, si scusa anche lui e: «Faccio un salto in ospedale a vedere se si sono accorti che il loro direttore è mancato per ben tre giorni.»
Elena capta nelle fughe dei genitori il malumore che li tiene distanti e, come le suggerisce il suo carattere, esterna quello che le passa per la mente: «Fino a qualche settimana prima che papà venisse a Milano, si prendevano per mano e andavano a fare l’amore.» Filippo arrossisce.
«Come puoi dirlo?»
«Con mamma ci diciamo sempre tutto. Lei mi racconta sempre anche come lo fanno… Cosa credi… Anche i tuoi, vè, lo fanno.»
«Oh, sì che lo fanno. Mamma, che ha 36 anni, è molto bella.»
«Ci scommetto che qualche volta hai pensato che sarebbe bello farci all’amore anche tu… – Elena si diverte a provocare e Filippo arrossisce. Non risponde. – Va così il mondo, Ragazzo. – Elena pontifica. – Noi femmine se ci capita qualcosa alla figa corriamo a raccontarlo a mamma. Voi maschietti tirate anche a trombare mamma.»
«Vado a prendere dalla valigia i jeans, così puoi provarli.» È turbato Filippo.
«Scusa. Non volevo farti scappare…. Mentre tu prendi i jeans, io metto una puntina nuova al grammofono. Raggiungimi nella mia stanza…. Già. È la porta accanto alla tua.»
Elena, nel provocare il giovane ragazzo sente crescere in lei quel brivido che ben conosce. Quello che lei chiama, della voglia matta. E che, partiti Gioele e Ruth, soprattutto Gioele, non ha più scorrazzato fra le sue cosce. E sono già passate tre settimane.
Filippo porge i jeans, ben piegati ed Elena: «Se ti volti, li indosso subito» e, prima ancora che lui si sia voltato del tutto, abbassa lo zip e la gonna. A malincuore Filippo si gira verso la parete. Una vampata di calore lo avvolge. Nel fare il movimento è riuscito a cogliere l’immagine della ragazza in déshabillé: coscia lunga e piena, slippino con fiorellini colorati, al centro del quale, quel triangolino scuro che chissà quante volte gli passerà innanzi agli occhi nella notte.
«Puoi girarti. Guarda. Sembrano fatti su misura per me. Come sto?»
«Sei meravigliosa. Anche se ti preferivo senza.» Le è dietro alla schiena e ha le mani sui suoi fianchi. Elena sente che il ragazzo è carico come una molla. Il gioco la sta prendendo: «Dai, fammi sentire Sinatra.»
Parte I’ll Never Smile Again. Il pregio delle canzoni di Frank Sinatra è che il cantante scandisce molto bene le parole, così Elena può mostrare la padronanza di quella lingua traducendo il testo. Filippo la guarda incantato. Senza dir nulla. Senza fare una mossa: «Sei in catalessi? … Dai… Fammi ballare.»
«Cheek to cheek?»
«Mi sembra che non si possa fare in altro modo.» e si agganciano. Subito lei spinge il ventre verso di lui. “Però! E’ in ordine il ragazzo… Quasi, quasi…” e aumenta la pressione. Lui l’asseconda. Il cheek to cheek diventa un nodo di corpi sudati ed eccitati. Le labbra di Filippo, muovendosi sensualmente sul collo di lei, fanno crescere la pressione. “Cazzo! La canzone finisce” Elena non si muove. Lui sta succhiando dietro l’orecchio. Fremiti in libera uscita danzano selvaggiamente nel corpo di lei. Rinnova la pressione con il ventre e stavolta gli mette le mani sulle natiche e lo tira a sé. Il richiamo è più che esplicito. Lui, sta leggendo nei suoi verdi occhi quello che deve fare. Le accarezza il volto. Glielo tiene fermo con le mani e la lingua entra fra le sue labbra. Per quel che possono, si stringono ancora di più. Quando si sciolgono, è per sorridersi un attimo. Poi sono le mani a muoversi sui loro corpi. Cadono i blue-jeans americani sia di lei che di lui. Così pure le magliette. Le tette di Elena non sono rigogliose e quando può, come quel giorno, non porta reggiseno. Può così sfregarsele subito, contro il muscoloso torace di quel nuovo amico. Lo spinge verso la piazza e mezzo di letto che è nella stanza.
Le bocche tornano a incontrarsi. Le mani vanno alla scoperta dell’altro corpo.
La passione adesso si dimostra con un dialogo che focalizza la situazione, che si presenta: lei glielo stringe, lui gliel’accarezza.
«Sei vergine?»
«Sei matto? Ho 24 anni! Tu, piuttosto?»
«Due volte per conquista. Cinque a pagamento.»
«Possiamo andare.» Fa lei, pragmaticamente. Allarga ancor più le gambe e lui entra in lei.
“Non male… sembra che ci sappia fare…” Si rilassa Elena e si affida completamente ai vai e vieni dell’uccello di Filippo. Sente il piacere avvolgerla. Lei ha un climax veloce. Con Gioele è sempre venuta due volte per ogni singola di lui. Ma Gioele ha dimensioni straordinarie e un’esperienza certificata da una gran figa, quale Ruth… Tutti pensieri che scorrazzano nella sua testa… E intanto il godimento sale «Vengo… Fil… Stringimi!»
«Sto per venire anch’io… Veniamo assieme?»
«Sei matto? Esci subito!» È quasi una secchiata d’acqua. Un attimo prima che si liberi il getto, lui ce l’ha già stretto in pugno.
Lei non è riuscita a salire su quell’orgasmo che si accingeva a decollare. Quel giorno Elena ha l’animo volto alla didattica e non si innervosisce. Anzi, si addolcisce. La intriga fare la nave scuola di quel bel giovane che le è subito risultato simpatico:
«Dai, baciami le tette…» e provvedono le sue dita a recuperare il piacere perduto.
Lui osserva quello spettacolo che non avrebbe mai immaginato, con lo sguardo turbato. Ha qualche preoccupazione: «E se viene tua madre? … »
«Non metterti queste malinconie. Mamma, adesso sta nella sua stanza a bestemmiare contro suo marito e il socialismo ma appena viene l’ora giusta si tira da figa e corre dalla sua amica Efrem. Fra di loro, solo dio sa quel che succede.»
«Non sono stato bravo. Vero?»
«Sei stato adorabile. A te è piaciuto?»
«Non credevo potesse essere così intenso. Con la mia amica, tutte e due le volte, ho dovuto finirmi io con le mani… Un po’ come hai dovuto fare tu… E non è il massimo… Al casino, invece, sono state solo pisciatine nel preservativo… – poi, anelando speranza – Pensi che potrebbe succedere un’altra volta in questi giorni che resto?»
«Credo che potrà succedere anche stanotte… Se non troverai modo di disgustarmi in una qualche maniera prima, verrò a dormire nel tuo letto.» Lo bacia e gli stringe con dolcezza il cazzo – Mi piace il tuo uccello. Ha l’aria di essere un uccello sincero.»
«Sei una donna imprevedibile… Piena di fascino… Vorrei tanto, adesso, poter fare qualcosa per rivedere in te quelle sembianze che ti avevano trasformata mentre mi dicevi del godimento che stava prendendoti.»
«È troppo poco che ci conosciamo e non mi azzardavo, ma visto che me lo chiedi tu… – solennemente – Filippo, vuoi leccarmela?»
Lui sta al gioco: «Elena Alberti, io lecco te nella buona e nella cattiva sorte…. Dammi però qualche dritta. Non l’ho mai fatto prima.» Mentre lei gli suggerisce quello che assolutamente non va fatto e quello che invece si aspetta, lui, di sua iniziativa, posiziona qualche cuscino sotto il bacino di lei. Piccola cortesia molto apprezzata. Lei, presa dall’entusiasmo, dopo un bacio, gli guida il viso fra le sue calde cosce. Lui, esibendo un talento inaspettato, inizia la sua prima leccata di figa. [N.d.A.: Bisogna proprio dire che quando si ha quell’età, con un nonnulla si imparano tante cose.]
Il ragazzo, ci ha preso gusto e non molla neppure quando Elena gli squirta in bocca… Così è costretta a godersi un secondo giro di danza:
«Incredibile! Sei nato per leccare la figa! – Si porta il volto di lui sulla propria bocca e lo bacia con tanta tenerezza –Stai qui. Fammi un po’ di coccole che poi usciamo. Ti faccio conoscere la Città e compriamo anche i preservativi per stanotte.»
Bologna e il Pavaglione
Bologna al braccio di un bel giovane, per Elena, è tutta un’altra cosa. Le pare che tutte le persone che incrocia le sorridano. Le sembra che tutti sappiano che in quel pomeriggio, quel giovanotto le ha riacceso la caldaia dopo lunghe settimane di languori.
Non può che farsi accompagnare sotto al Pavaglione. Sono le diciotto, l’ora giusta. L’ora dello struscio. Si passeggia con passo lento. Si chiacchiera. Si saluta ora questa, ora quello. Si finisce da Zanarini per un vermouth o un punt e mess. Filippo è avvezzo alla mondanità borghese e coglie tutte le sfumature di quel rito, che si consuma sul fare di ogni sera in quella Città. Cinge con garbo le spalle della sua accompagnatrice che per l’occasione ha calzato le scarpe di mamma. Quelle con il tacco più alto. Fa una gran figura. Glielo dice anche lui, aggiungendovi una battuta da vero tombeur de femmes: «Sei uno schianto! Se non ti avessi vista nuda, ti avrei detto che sei al massimo. Non lo posso dire perché il massimo è quello che ho visto io.» Chi arrossisce adesso è Elena. Non riesce a trattenersi. Anche se il portico è trafficato e pieno di gente, si gira di scatto verso di lui e gli stampa un bacio sulla guancia.
L’aperitivo di rito è da Zanarini dove i ciao Elena si rincorrono. Lei – piccolo peccato di vanità – a tutti presenta scherzosamente Filippo come uno dei dieci pretendenti rimasti in lizza per il fidanzamento con lei. Tutti gli amici che ben conoscono Elena – alcuni dei quali ci hanno anche provato – levano il bicchiere e brindano alla fortuna di quel pretendente. Filippo ringrazia per l’augurio ed entra di fatto nell’allegra combriccola. Solo Giulia, collega di studi, la prende in disparte e: «Sei sicura? Ma ti rendi conto che è tanto più giovane di te.»
Elena butta lì, tanto per sganciarsi da quell’inutile reprimenda: «Sembra tanto giovane, ma se ci guardi bene…»
Giulia insiste «Come massimo avrà sì e no diciotto anni. Sai tu che bei commenti in Facoltà quando ti vedranno con lui.… Ma non ti sei accorta che è un bambino?»
Elena si fa triviale: «Renditi conto tu che non ci si lascia scappare uno che c’è l’ha di 22 cm e ne fa tre per ogni notte…»
Giulia, contessina della Frasca, ben attiva fra gli scout e conosciuta come giovane ragazza di grande impegno cattolico, appoggia il bicchiere e se ne va indispettita. Elena torna tra l’allegro gruppo dove ormai è ben inserito anche Filippo. Fra di loro si sta scatenando la più truce goliardia: barzellette oscene, accenni a canzoni triviali. Filippo che è ben aggiornato sull’argomento fa una gran figura.
Tutti però hanno notato il diverbio fra Elena e la contessina Giulia. E Filippo le chiede «Cosa le hai detto che è fuggita senza salutare?»
«Ho dovuto difenderti. Voleva che ti convincessi ad andare – tu solo – ad un pigiama party organizzato dalla sua parrocchia.»
«Stai scherzando vero?»
«Ma sì… dai. Però non te lo racconto adesso. – Abbassa la voce a un bisbiglio – ti dico tutto stanotte fra le tue braccia». Gli stampa un bacio sopra le labbra. Gli amici levano i calici: «Ci sa tanto che il decimo pretendente abbia guadagnato delle posizioni.» I punt-e-mess scorrono, le risate si sprecano. I due ragazzi si ribaciano diverse volte.
Sono le venti e l’allegra combriccola si scioglie. Ognuno alla propria cena.
Pochi i passanti ancora in giro. Molti con passo veloce, ansiosi di avvicinarsi al proprio desco appetitoso.
Il Pavaglione è deserto. Elena e Filippo si incamminano verso casa. Trovano che è bello farlo abbracciati, chiacchierando «Hai una simpatica compagnia di amici. Quando sarò qui definitivamente, sarò anch’io della partita. Me l’hanno chiesto loro.»
Le ombre della sera sono calate sulla Città. Su Elena, per quella sua stretta vicinanza con il corpo dell’amico, si è disegnata una stuzzicante espressione che stimola domande: «Cosa ti piacerebbe che succedesse adesso?» La coppietta arresta il suo passeggiare. I begli occhi di lei si illuminano di una forte luce nel dare la risposta:
«Oh, sì… Mi piacerebbe tanto che tu mi leccasti le tette.»
Trasale Filippo e fa quello che può.… La spinge contro una colonna e baciandola le accarezza il seno. La seta della camicetta trasmette alle leziose prugne tutta la passione che quella battuta ha suscitato nel ragazzo.
Alcuni passanti guardano con disapprovazione quella performance. Qualche commento: «Ma in che mondo stiamo andando?».
Svanito il piacere delle improvvisate effusioni riprendono il cammino.
«Esigenze della gioventù – commentalei – quello che non ho mai fatto al giusto tempo, stai suscitandomelo tu con quel po’ pò di gioventù che mi sbatti continuamente in faccia.»
«Non mi dispiace, sai, che ti succeda.… Ceniamo fuori?»
«Oh, sì. Che mi piace tanto! – Poi, riflettendo un po’. – Noooh, non possiamo farlo. Non possiamo lasciare solo papy, stasera che mamma sta fuori. Avrei dovuto preparare io. Colpa tua me l’hai fatto dimenticare.»
«Mi fa piacere se c’è anche lui. Sempre che a te vada bene. Se non sbaglio le nostre cose possiamo sempre dircele non a tavola.»
Lì, a fine portico, c’è il telefono pubblico: «… Noi, fra dieci minuti siamo alla Cervetta. Ti aspettiamo.»
Un ristorante di grande tradizione
Il professor Alberti ha una figlia che sembra sempre attaccata alle gonne di mamma ma il cui idolo è sicuramente papà. Si comprendono. Stanno bene assieme. Nessuno interferisce nella vita dell’altro.
Il professor Alberti è persona di piacevole compagnia. La cena è serena piena di momenti di buona allegria. Solo verso il fine cena, Uberto, rivolto alla figlia: «Cara mia, non so come andrà a finire ma tua madre dovrà farsi una ragione delle mie scelte politiche. – Filippo comprende che èun argomento che non lo riguarda. Si alza e con discrezione va a saldare il conto. – Il numero che sta facendo questa sera non mi piace affatto. Non sono un irresponsabile e non faccio altro che seguire i principi che mi ha inculcato la mia famiglia: senza duci e le religioni a casa loro. Bisognerà che fra di noi ricostruiamo lo stare assieme senza interferenze esterne. E questa volta la sua amica Efrem è intervenuta in maniera pesante. – Tre sorsi dal bicchiere e… – Stanotte… non… dormirò a casa.… Preferisco starmene in ospedale, così domattina, che sono in sala operatoria sono già lì.… Anzi, vado già adesso. Voi mi scuserete. Vi ringrazio per la gentilezza di avermi voluto dar compagnia. La cena va sul mio conto. Qui sono di casa…»
«Questo non posso permetterglielo. Ho già fatto.» Filippo.
«Non ti preoccupare troppo, papà. Parlerò con mamma e vedrai che torneremo una famiglia unita.»
Sei mesi dopo, Elena imparò che quella notte il suo papy aveva dormito nel letto di Fernanda. Una delle sue caposala.
Il buon uso del preservativo
«Sei proprio una troia!» e si conclude con la porta della stanza sbattuta violentemente.
Tutto questo sveglia i due piccioncini: teneramente abbracciati l’un l’altro, dopo l’infuocata notte d’amore.
Se Filippo si mostra preoccupato per essere stato colto in fallo, con la figlia della famiglia che lo ospita nel letto, lei se la ride allegramente e per assicurare il maschietto che la situazione non è poi così grave, prende in mano il cazzo – che per l’imprevista intromissione si è ridotto ai minimi termini – e si mette a masturbarglielo. È un ottimo rimedio al panico: il cazzo si erige, il ragazzo si rilassa, viene quasi subito e sbrodola nelle mani di lei:
«Vieni che andiamo a dare il buongiorno a mamma.»
«Devo proprio venire… Io mi vergogno un po’…»
«Su, fidati.… Stanotte sei stato meraviglioso. Ho maledetto tutti gli anni in cui non ti conoscevo. – Elena ha aperto il vaso delle adulazioni – Sei il miglior maschietto che ho provato … Adesso ci facciamo una bella doccia. Tu con me… Ci vestiamo. Andiamo a chiedere a mamma se ci fa un buon caffè. Vedrai che tutto sarà molto normale…. Io, mamma la conosco molto bene.»
Era stata una notte che loro avevano veramente vissuto intensamente.
Avevano cominciato ad eccitarsi – a parole – per strada. In ascensore lei aveva slacciato la camicetta e lui le aveva preso in bocca una tetta. Approfittando della casa vuota, quando erano arrivati sul letto gli rimaneva solo di indossare il preservativo. E l’aveva voluto fare lei. Per poi montargli sopra e cavalcarlo. Quando lui aveva sentito intensificarsi il galoppo e la bella cavallerizza spronare e raccomandarsi al destriero, l’aveva rovesciata ed era subito rientrato in lei. Che, a squarciagola, aveva riorgasmato per la seconda volta.
Sempre lei aveva gestito il preservativo che aveva voluto sgocciolare dalla finestra sulla pubblica via.
Glielo aveva asciugato e baciato: «Me ne darai ancora, vero, stanotte?»
«La confezione ha tre pezzi, sicuramente non basteranno.»
«Se succederà andremo di fantasia.»
«Vedo che tu di quella ne hai da vendere.»
«Dai, che se sei bravo come oggi, ti addormento con una ninnananna che non riuscirai mai più dimenticare.»
Avevano poi dato sfogo ai loro sogni per il futuro. Lei voleva diventare docente universitaria ma anche collaborare con un importante giornale.
Lui, voleva laurearsi in fretta, dal momento che il suo papà gli avrebbe dato da dirigere l’editoria che si riferiva a riviste e giornali.
«Sicuramente faremo delle cose assieme.» Promette lui.
Si erano accarezzati a lungo… Qualche bacio ma soprattutto avevano parlato… Lui è premuroso: «Vuoi che te la lecchi per un po’?»
Non risponde. Lo guarda con espressione serafica. Gli occhi verdi si erano illuminati con la solita luce malandrina. Nella sua mano era apparso il cerchietto del secondo preservativo.
In un attimo lo srotola sul prepuzio di lui: «Lo sento già duro.» Tutti e due sapevano cosa fare. È un altro bagno di piacere.
Era stato un amplesso lungo e ben ponderato, che li aveva crogiolati nei loro piaceri più reconditi. Avevano assaporato fremito dopo fremito. Spesso si erano voluti fermare per contemplarsi a vicenda. Gli occhi di lei sono una sirena e lui si era incantato e perso il loro. Li aveva baciati ed era stato il momento in cui aveva poi sfilato il cazzo scendendo con la bocca lungo tutto quel corpo madido di sudore per aprire le proprie labbra su quelle della figa. E si era tuffato fra quegli umori di cui, questa era rorida. Il piacere era tornato a coinvolgere la dolce Elena. A quei giochi di lingua non aveva saputo resistere ma ben presto: «Cazzo! – Aveva implorato lei, aggiungendo, qualcosa di più… – Adesso!» lui non aveva perso tempo. Tosto l’aveva accontenta.
«Io mi impegno.»
«Io non so – sbadiglia – Mi hai sfiancata. Se mi coccoli un po’ vado lunga e mi addormento per tre giorni.»
«Come vuoi che ti coccoli?»
«Mi affido al tuo buon cuore: bacetti, carezze, succhiotti delicati. Tutte cose che mi rilassino e che soprattutto non me ne facciano tornare subito la voglia.»
Gli occhi le si erano appesantiti. Le palpebre abbassate. Il respiro, più lungo. In men che non si dica, la dolce Elena, si era addormentata.
Paghi dei godimenti provati, i due amanti, erano sprofondati nel sonno dei giusti. Se non fosse stato per la villana performance di mamma Sarah, chissà quanto ancora avrebbero dormito
Zoccola!
Ora invece si stanno rimettendosi in sesto per andare al cospetto proprio di lei. Filippo sta rivestendosi a puntino. Elena, ridacchiando, si è infilata sopra agli slip solo una sottoveste. Tanto perché, mamma sua, abbia la conferma che nel letto di Filippo lei si è infilata completamente nuda. E che, proprio per la grande confidenza che corre tra madre e figlia, la sua triviale esternazione è stata del tutto inutile.
Mano nella mano i due piccioncini si avviano verso la grande cucina. Qui, hanno la sorpresa che mamma non è sola. L’ha accompagnata la sua amica Efrem. Che vorrebbe subito entrare in confidenza con Elena. Lei, però, le dimostra una sorta di repulsione.
«Sai Sarah, che si è fatta veramente bella la tua principessa…»
Costei, lesbica conclamata – ritenuta incontrollabile con le ragazzine – non le par vero dell’apparizione di quella silfide che mostra in trasparenza seno e pube. Fa per andare verso di lei
«Principessa, poi no… sono nata con fede assolutamente repubblicana!» e le fa palesi gesti di stare alla larga, appoggiandosi a Filippo, che in un angolo osserva, sorpreso, il siparietto.
Della traumatica irruzione nessuno ne fa accenno e ci si limita a degustare il buon caffè di mamma Sarah.
Efrem, freme. È in agitazione come che le avessero interrotto un orgasmo.
«Io questa mattina accompagno Filippo ad iscriversi all’università… Ti trovo quando rientro? Avrei anche da aggiornarti su alcune cose.» Elena.
«Ecco… volevo chiederti se oggi potesti seguire la casa. Io sarò con Efrem per una cosa importante. Sarò qui domattina…. Così avrai scelta libera con chi coricarti.»
«Zoccola!» Elena, sottovoce, a mamma sua, con un bel sorriso.
L’Alma Mater Studiorum
Adesso che Filippo è una matricola dell’Alma Mater Studiorum, sembra la persona più felice del mondo. A un telefono pubblico ne dà comunicazione al proprio padre a cui anticipa pure che deve fargli una precisa richiesta per la figlia, «… Una ragazza meravigliosa!», del suo amico professor Alberti.
«Cosa vorresti chiedere a mio nome, al papà tuo?»
«Te lo dirò stanotte fra le tue braccia»
«Vuol dire quindi che finora ti è piaciuto fare l’amore con me?»
«Oh, sì. Tantissimo. Poi c’è il fatto che mi è rimasto un preservativo e noi milanesi non sciupiamo nulla.»
«Stronzo! Quasi quasi ti mollo qui nella sede universitaria e dico a un po’ di studenti che sei una matricola lombarda danarosa. Auguri a te.»
«No… no, ti prego. Avrei ancora una cosa importante da chiederti. Mi piacerebbe vedere l’antica sede dell’Università».
Mano nella mano fanno il loro ingresso nell’augusta corte dell’Archiginnasio:
Gemma
«Qui però devo trovare qualcuno che ti racconti la storia di questo posto magico. Io non ne so molto. Se è libera Gemma, un’amica mia che lavora qui, ti affido a lei che è veramente brava. Oltretutto, anche se un po’ vecchiotta per te, è piuttosto belloccia. Molto meno di me, ovviamente.»
Gemma c’è ed è disponibile: «Dio! Che bel giovane mi affidi. E se s’innamora?» Elena trova così il tempo per ricercare un testo li conservato.
«Spero non ti offenderai ma la signorina a cui mi hai affidato è una bomba, a cui è difficile resistere. Quasi quasi… Ma questo te lo dirò davanti un buon piatto di tagliatelle, che tu mi indicherai dove andarle a mangiare. – È quasi l’una. – No? …»
Ne nasce una scherzosa baruffa: «Devi smetterla Filippo con questo ‘te lo dirò’. Io preferirei sapere le cose subito. Adesso che ci penso, fin’ora, nonostante tutto quello che abbiamo fatto, non mi hai neppure detto, ‘ti amo’…»
«Se per questo, neppure tu me l’hai ancora detto.»
Per un attimo, Elena, si fa seria: «Questo mi pare fosse implicito fra di noi.»
«Purtroppo, è così. Bestiaccia!»
Tagliatella show
I baldi giovani bruciano con rapide forchettate le abbondanti porzioni della trattoria Il Pavone.
«Allora, cosa ti ha fatto vedere la mia amica zitellina?»
«Innanzitutto, una polposa coscia e la nera giarrettiera slacciata…»
«E non ti ha parlato della sua verginità?»
«Come no. E anche delle sei figure che le permettono di mantenerla, senza privarla del piacere. Me ne ha parlato tanto che mi è persino diventato duro. Perché poi è anche una bella femmina.»
Arrivano le cotolette alla bolognese. Il buon vino rosso si consuma nei loro bicchieri. Parlare di Gemma rinnova in loro il desiderio di godere. Si guardano e i loro occhi luccicano. Elena gli confessa:
«Se poi non penserai troppo male di me, ti racconto un avvenimento. Erano i primi giorni che facevo il volontariato. Frequentavo spesso l’Archiginnasio e avevo fatto amicizia con Gemma. Sai com’è, quando le femmine diventano amiche si raccontano le cose più intime. Lei, che è un po’ più vecchia di me, mi aveva raccontato di come aveva mantenuto la sua verginità per tanti anni. Non che non sentisse la voglia di un uomo, ma si vantava di avere inventato una serie di giochi erotici che assecondavano le esigenze sessuali sia sue che del partner. Quando avrebbe concesso il proprio imene [N.d.A.: qui a Bologna si chiama, coperchino] sarebbe stato solo dopo il fatidico ‘sì’ davanti al prete o a chi per esso. E mi fa: “Così mi mantengo integra senza dovermi negare qualcosa. Addirittura, l’ho fatto anche a tre. Non ci crederai ma è bellissimo. Se vuoi provare ho un ragazzo di cui ci si può fidare, che non va a spiattellarlo in giro, e mi piacerebbe proprio rifarlo anche con te.” Tu in questi giorni avrai già capito che non ho falsi pudori… Da quando se ne erano andati Ruth e Gioele, avevo un po’ di arretrati e così ci sono stata… Beh, ti dirò… Non ho trovato l’intensità di questa notte – e gli fa una carezza sul viso – ma è stato un pomeriggio piacevole.» All’unisono vuotano un altro rosso e si sorridono. Lui ricambia la carezza. Sembrano l’un l’altra imbarazzati. Ma non è così. Vogliono solo dirsi: «Perché non ci proviamo anche noi?»
«Anche oggi, che abbiamo la casa tutta per noi. – fa Elena – Le telefono subito.» e si dirige verso il telefono per la clientela.
La zuppa inglese conclude il loro pranzo ed Elena lo sprona a fare in fretta «Così abbiamo un po’ di tempo per preparare quel po’ di scena che occorre. L’altra volta, che l’abbiamo fatto, eravamo in una stanza d’albergo, qui sui Colli. La partenza mi era sembrata un po’ squallida.»
Il terzo goldone
Filippo è alloggiato nella camera per gli ospiti, dove il letto vuole ampio e comodo. Lì è matrimoniale e a tre piazze: l’ideale!
Puntuale, alle 14:30 Gemma è lì. Ha con sé una bottiglia di spumante: «Bisogna pur festeggiare… È tanto che aspetto un’occasione così!» e bacia in bocca l’amica. Elena l’ha accolta con addosso solo una di quelle sottovesti color carne, un po’ trasparenti. «Ne indosso una identica anch’io» e si libera di tutto il superfluo. Solo che Gemma espone un seno che è due volte quello di Elena.
«Bel pistolino?» È preoccupata la procace ragazza.
«Sta mettendoselo in tiro per noi.»
«Che caro! Dev’essere un bravo ragazzo. Lo sposerai?»
«Non credo. Non ho le tue mire, io.»
«E’ così giovane! Certo che può far comodo. È bravo a letto?»
«Come no. Mica te l’avrei proposto…»
«Se lo sarà anche con me gli do anche il culo» è il momento che Filippo ha pensato bene di presentarsi. È nudo:
«Però!» commenta Gemma.
«Mica messo male. Vero?» concorda Elena
Filippo bacia Gemma e un bel fiocco ad Elena. A cui sussurra «Ti amo!»
«Non vale. È solo tira-tira.» Precisa lei.
Sta godendo a squarciagola Elena inaugurando con questo orgasmo il carnet del giorno. Gemma li guarda estasiata con le dita fra le crespe della figa. È così presa da quel che sta vedendo che ha interrotto il ditalino. Si riprende solo quando vede lui estrarre l’uccello e l’amica sgocciolare il preservativo fra le proprie tette. È il terzo. Quello avanzato dalla notte prima. [N.d.A.: Il profilattico a Bologna è il goldone, dal nome del fondatore dell’azienda che aveva iniziato a produrli a Casalecchio di Reno. Il cav. Franco Goldoni]
Qualche bacio all’appagata partner impegnata in un atterraggio morbido grazie a qualche carezza di Gemma. Ripresasi dallo stupore.
Filippo è lì, innanzi ai suoi occhi con il cazzo bello dritto, come prima di aver vagato nella figa di Elena.
Gemma è presa alla sprovvista e per non far la figura del coperchino glielo prende in bocca. Lui si mette comodo e se la sguazza, con il miraggio di quanto ha udito entrando in scena “gli dò anche il culo” E’ così che l’educato adolescente si fa ruffiano: con tanta grazia, sfila il gingillo dalla bocca di lei e la bacia con passione. le strizza le tette e, un attimo dopo, sta succhiando i capezzoli, iniziando con la lingua la circumnavigazione dei seni. Poi via – sempre con la lingua – giù, verso la meta. Un minuto dopo, quella lingua, approccia alle villose scogliere della figa. Sputa qualche pelo che si è staccato e si impegna a lambire con delicatezza ogni punto della crepa. Lei sente già il piacere farsi largo in lei ma ha un rigurgito di vanità e prima di lasciarsi andare lo stuzzica: «Allora, cosa ne dici, Pippo? Avevi già visto così da vicino una figa vergine?»
Solleva il volto e le lancia un malo sguardo, lui:
«Se torni a chiamarmi Pippo, ti violento, poi ci sputo sopra. Così butti via quindici anni di sacrifici.»
Quel rimbrotto cattivo spaventa Gemma: «Scusa… scusa Filippo… Non succederà più Filippo…»
“…gli do anche il culo” si riaffaccia alla mente di lui e accetta le sincere scuse della ragazza. Le sorride, risale alla sua bocca e la bacia. Le fa sentire il turgore del cazzo contro l’umida feritoia. Prima che lei possa imbastire qualche altra frase è di nuovo all’opera per farle emettere squittii di godimento.
La breve baruffa ha scrollato i piacevoli torpori da Elena: S’è messa a leccare scroto e prepuzio del suo amico. Non vuole toccargli la cappella perché questo potrebbe deconcentrarlo dal servizio che sta elargendo alla sua amica.
Per Elena l’amicizia è sacra!
Le veloci passate di lingua fra scroto e prepuzio maturano un esplosivo orgasmo nel cazzo di Filippo. Lo trattiene, in quanto vorrebbe unirlo all’acme di Gemma. Che zitta e cheta è già al terzo orgasmo. Lo gusta ma lo nasconde, nella speranza che il suo dispensatore – tanto prodigo ed esperto – gliene aggiunga ancora un altro. Pura ingordigia!
Filippo comincia a stufarsi: “Se vado ancora di lungo così, finisce che mi smascello. Adesso basta… La faccio venire.”
La lingua di Filippo è quanto di più flessibile si possa immaginare: bella larga al naturale – Molto apprezzata da Elena quando le si appoggia sopra e copre completamente i capezzoli –, si ispessisce e la si apprezza anche nel semplice fiocco [N.d.A.: un fiòc, nella lingua bolognese = un bacio con la lingua in bocca]. Quando, scorrazzando su un corpo femminile giunge fra il setoso boschetto del pube, si trasforma. Si raccoglie tutta e diviene molto più incisiva per stimolare le diverse parti della figa. Diventa così irresistibile quando si affaccia fra le labbra di questa e quando stuzzica la clitoride.
Ma c’è qualcosa in più che può fare e che adesso ha in animo di…
Esce dalla parte inferiore della vagina e si avvia per il perineo, punzecchiandolo: passo dopo passo fin che non intravvede l’ordito del buco del culo. Qui si scatena!
Il buco del culo si dilata. La lingua si insinua tra i bordi. Penetra quel tanto che può. Entra ed esce diverse volte come fosse un piccolo cazzo. Lui, con grande sincronia, ci sputa dentro e lo penetra con il dito pollice. Tutto nello spazio di un attimo.
Un attimo che per Gemma è il vettore che la porta ai più alti livelli del godimento. Urla di gioia e lo benedice, confondendo la preghiera con i gemiti passionali. L’orgasmo degli orgasmi la carpisce.
È il momento in cui Filippo si rilassa un attimo anche sul fronte in cui è impegnata Elena. Lei ha intuito lo stato in cui è posizionato il suo amante e, finalmente, gli prende in bocca la cappella.
Il calore di quella bocca, l’abile pompa che ha messo in atto, richiamano un copioso getto contro il palato di Elena.
Lei non fa in tempo a deglutire che…, se ci fosse stato in loco un curioso, …avrebbe visto ai lati del cazzo, ben piantato fra le labbra di lei, colare due rivoli, di densa materia chiara.
Gemma, tramortita dal godimento sta sciorinando una giaculatoria sulle sue future intenzioni: «Sí… che te lo do… Te lo do, eccome che te lo do… il culo.»
Filippo a quelle parole gongola. Senza tener conto che…
La pompa, o bocchino che dir si voglia, di Elena è stato inesorabile. L’elegante fallo di Filippo è divenuto un inutile straccetto: non buono né per figa né, tanto meno, per culo.
Ma il trio è fiducioso. Soprattutto le ragazze sanno che con pazienza, modo e maniera, e soprattutto con tanto affetto, riusciranno a sollevare le sorti del cazzo di quel generoso ragazzo.
Il numero extra
Palazzo, che dal 9 di via Ugo Bassi, in linea d’aria, dista poche decine di metri, fa sentire i suoi sei rintocchi ma Elena e Gemma, nonostante il grande impegno di mani e bocche, non hanno ottenuto risultati apprezzabili sulla rianimazione dell’uccello di Filippo. Adesso c’è un’idea di lui che loro, quale ultima ratio, hanno accettato di praticare: «Se vi esibiste in un numero saffico, sicuramente sprigionerete una dose tale di bramosia che anch’io e il mio cazzo ne verremmo contagiati.»
Le due ragazze si guardano, si sorridono, si baciano con tanto trasporto e si posizionano per un sessantanove. Il resto va da sé.
Fra di loro non l’hanno mai fatto ma i loro corpi non tardano a cercarsi e stringersi. A unirsi.
La stanza risuona di afflati amorosi. Incitamenti in pura lingua bolognese.
Di fronte a tanta sensualità anche un cazzo milanese non può rimanere insensibile: diviene duro.
Le ragazze ci hanno preso gusto è sembra che non abbiano voglia di interrompere il loro godimento. Esplodono in loro ben più di un orgasmo. Il loro intreccio rotola per tutto il vasto letto. Vicendevolmente si scambiano le posizioni sopra/sotto. Sono scatenate e quando si fermano, beate… Fors’anche appagate. Quasi quasi non ricordano più il perché si sono gettate l’una fra le cosce dell’altra.
Chi non ha la memoria corta è Filippo che ha gustato tutto lo spettacolo tenendo in pugno l’uccello. Che man mano si è temprato. Ha recepito talmente a fondo l’amplesso consumatosi per lui che non ricorda più con chi ora deve interagire.
Quando sciolgono il loro groviglio umano, le due femmine si lasciano cadere prone sulla coperta. Adesso mostrano le loro appetitose natiche al virgulto giovane che ha già intuito come vanno spartiti i piaceri in quella piccola comunità: «Allora? Chi è che mi dà il culo?»
… E culo sia!
«Volevo dartelo anch’io ma questa porca mi ha sfinito», Elena.
«Non fate scherzi, ci sono prima io», Gemma.
Filippo si sente un po’ come Paride al concorso per Miss Troia. Si affida alla saggezza che gli viene dalla gloriosa storia della propria famiglia e si mette a sfregare la punta dell’uccello fra le chiappe di Gemma.
La ragazza sussulta. Si gira. Solleva il bacino, perché preferisce la sodomia vis a vis.
La porta è aperta. La strada è spianata. L’uccello di Filippo raggiunge la massima profondità nel corpo di Gemma. Lei assapora e freme.
Lui aggiunge vigore alle sue fondate che ritmicamente sfodera con il plauso della bionda bibliotecaria. Lei, compiuto il godimento, confessa che può aggiornare il suo palmares con la quindicesima inculata.
Filippo si ritrova fra le mani l’uccello è ancora ben in tiro ma ricoperto di sostanze che non allietano il suo raffinato gusto. Urge un bidet.
Mentre ripristina la gradevolezza al proprio intimo valuta cosa poter offrire, ora, alla sua cara amica. Che sicuramente, da lui si aspetta qualcosa.
In quel bagno c’è una bottiglietta di profumo. Lo annusa. È l’estratto che lei mette ogni giorno. Lui se ne lascia cadere qualche goccia sull’uccello e soprattutto sulla cappella. L’essenza brucia sulla carne viva. È un sacrificio che lui fa ben volentieri per questa femmina che gli sta dando tanto di lei.
Elena lo accoglie abbracciandolo: «È come accogliere un eroe dopo un combattimento all’ultimo sangue. – E si accorge che quel cazzo emana il suo profumo preferito. – Mmmh! Cosa devo aspettarmi adesso?»
«Dimmi tu… Abbiamo anche consumato tutti i profilattici.»
«Certo che un altro colpetto lo prenderei volentieri…»
«Vuoi che te la lecchi?»
«Volevo qualcosa in più.»
«Mi viene un’idea… Potrei mettertelo dal didietro. E’ sicuramente una posizione in cui faccio molto prima a slegarmi da te, se ce ne fosse bisogno.»
«Dai… ma sii bravo! – Si guarda attorno e… – Dai… Prendimi mentre io guardo fuori dalla finestra…»
Non fa in tempo, lei, ad appoggiarsialdavanzale che lui ha già le sue tette fra le mani. Subito sente i prodromi del piacere girovagare per il ventre:
«Se quando starò per venire mi cederanno le gambe, pensi che il tuo uccello potrà sorreggermi?»
Lui impegnato com’è a zompare non le risponde e continua imperterrito.
«Ci sono Filipp… Ancora due colpi… poi stringimi forte.»
Lui l’asseconda ma arriva anche il suo momento e lei riesce ad intervenire prendendoglielo in bocca in perfetta sincronia con il primo schizzo.
Gemma, che si era chiusa in bagno, torna: «Sinceramente avrei fatto un altro giro ma devo proprio scapare. Ho mamma che quando calano le ombre della sera comincia a dar di matto: ne ha ormai ottantacinque… È stato comunque un gran pomeriggio. Mi fa piacere vedere che voi continuate ad esplorare nuove strade del godimento.» E’ entrata proprio mentre lui lo sgocciola fra le gambe di lei.
Baci e abbracci, Gemma se ne va. È l’ora in cui è atteso il professor Alberti. Sarà una telefonata della segretaria ad informare che non rientrerà neppure quella notte. Il palcoscenico è tutto per i piccioncini che, hanno ormai esaurito le cartucce della mitragliatrice. Ma hanno ancora in animo di sfidarsi nel corpo a corpo.
Omar, il segretario del Bonomelli Senior, rientrando da una missione a Roma si sarebbe fermato a Bologna per riportare a casa il Bonomelli Junior.
«Noi, se non sbaglio, ci vedremo a ottobre con la riapertura delle lezioni. Penso che anche papà sarebbe molto contento se tu dimorasti a casa nostra. Sempre che non precipiti la situazione con mamma. Adesso che hai imparato un po’ di segreti della figa, cerca di godertela e non fidanzarti. Hai davanti a te gli anni più belli e mi sa che li hai inaugurati bene, qui a Bologna.»
Sono sulla soglia di casa. Ad Elena scendono due lacrime piene, dai verdi occhi. Non aggiunge altro. Protende le labbra perché ogni distacco è bene che si chiuda con un bacio.
«Non metterla così se no non parto più.»
«E come vorresti che la mettessi?»
«Ancora una volta con una tetta fra le mie labbra.»
Per Elena non è certo un problema… Anzi…
Allenta la cintura dell’accappatoio e lui si sbizzarrisce sulla destra e sulla sinistra. Poi via. Abbasso l’attende il fido Omar sull’Alfa Romeo di famiglia.
Il penetrante trillo del telefono
È già un po’ che Palazzo ha battuto i suoi undici tocchi. Non sarebbe passato molto che avrebbe fatto il maggior sforzo della giornata: battere la seconda volta i dodici. Per Elena, dopo la romantica presenza di Filippo, è una notte in cui non si decide ad infilarsi, in solitudine, sotto le coperte. Indugia alla scrivania, dove per ingannare il tempo ha scritto una favoletta per bambini: con tanto di orco cattivo, fate e animaletti. Tanto per non pensare che quella notte non si sarebbe addormentata sotto l’effetto di coccole e bacetti.
La Radio Marelli ha una sintonizzazione trovata da Filippo e trasmette solo canzoni di Frank Sinatra. Palazzo, finalmente batte mezzanotte. A malavoglia, Elena si corica. Non spegne la lampada e rimane ferma a fissare l’alto soffitto.
Il telefono si mette a trillare con quel suo suono penetrante. Lei se l’è portato nella presa accanto al comodino.
«Ah, sei tu papà…»
«Scusa l’orario. Mi ero dimenticato di dirti che sono a Modena per un convegno medico. Non rientro per un paio di giorni.»
Il professor Alberti finalmente poteva riabbracciare Lucia nel suo primo adulterio programmato. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò più avanti.
Elena sobbalza: «Cazzo! Allora sono sola in casa. Avrò chiuso come si deve la porta?» Si alza per il controllo. Tutto a posto. Visto che c’è, va anche a pisciare.
A questo punto può mettere al massimo il volume della Radio Marelli. Si ricorica sbuffando e si posiziona sul fianco sinistro.
Torna a trillare il telefono. Elena è scocciata: «Cosa c’è, papà? …»
Non è papà. Papà in quel momento ce l’ha nella bocca di Lucia che sta facendo miracoli, ben conscia che il suo amante ha sempre usufruito di quell’arte in modalità “alla bolognese”. Un’arte sopraffina!
«Mi hai fatto prendere un accidente. Ho mamma e papà fuori casa e un telefono che squilla attorno alla mezzanotte è sempre preoccupante… – Si rilassa la ragazza. Nella voce non c’è più quel timbro scocciato… – Non mi avevi mica detto che mi avresti chiamata… E se fossi stata in compagnia di un altro? … Non ricordi più che io sono troia… Sì. Capito… È vero: la tua Troia.» E così via.
È Filippo che non riesce a dormire. Le dice cose un po’ ovvie che, però, su di lei hanno effetto. Sente qualcosa che la riporta alla notte precedente, quando lei saltellava sul corpo di lui, pappandosi tutto il suo bell’uccello. Anche lui, che sicuramente gli è venuto duro, le ricorda quello che si sono goduti non troppe ore prima.
Si tocca, Elena. Sente che lo slip è umido. Se lo sfila. Le dita irrompono nella fessura. Lei ascolta quanto di sensuale le sta dicendo, dall’altra parte del cavo, la voce dell’amico:
«Ti stai masturbando, vero?»
«Sì. Anche tu, no?»
«Non è come essere lì con il profumo della tua pelle fra le labbra ma è già tanto poterlo fare sentendo la tua voce… Oh, Elena! Che bello! … Sono già dietro a venire! Fammi sognare e dimmi dove te lo debbo schizzare.»
«Dai. Dimmi ancora qualcosa che vengo anch’io…»
«Cosa vuoi sentirti dire…»
«Ci sono… Ci sono quasi… Dimmi cose forti. Insultami, se ti piace…»
Si contorce fra le lenzuola, Elena. Sospira forte. Ha la bocca spalancata che parrebbe voglia ingoiare il ricevitore. Stringe forte la propria prugna. Tre sussulti e viene.
«Cazzo. Che bello… Voi milanesi le inventate proprio tutte!»
«Basta avere il telefono è una ragazza al passo coi tempi.»
«E dici niente tu? Noi il telefono ce l’abbiamo solo da due anni. E, la presa sul comodino solo da tre mesi…» È una telefonata senza badare a spese che si conclude più o meno una mezz’ora dopo con la seconda tornata di masturbazioni all’unisono.
Quell’improvvisato bisogno di sentirsi diventa un appuntamento fisso per i due ragazzi: la conclusione onanistica della giornata all’ora zero.
Elena ne parla piena di orgoglio con Gemma: «Sei ben fortunata, tu, ad avere un ganzo con il telefono!»
E ne parla Filippo al bar con i suoi amici: «Il solito figlio di papà capitalista che si può permettere pugnette ad alto costo… Dovrà pur finire!» il bar è quello della Casa del Popolo.
C’è poi una sera in cui Elena è, all’opera, a teatro, che il telefono trilla inutilmente.
È l’una e passa, quando torna a trillare: «Se non rispondevi avrei cercato di avere tue notizie tramite la questura. Lì papà conosce tante persone. Eravamo in angoscia.»
«Eravamo? … Con chi sei? … Non dovevamo dirci cose tutte nostre?»
«Certo. Quelle dopo. Adesso ti passo papà mio, che deve dirti qualcosa.»
«Buonasera Elena, sono… – e seguono dettagliate presentazioni del cavalier Bonomelli. – Filippo mi ha chiesto di… Se avessi voglia di salire a Milano ti parlerei del progetto che la famiglia si è messa in testa di realizzare.»
Elena ascolta quella voce ferma, decisa che le espone parte del progetto che l’avrebbe coinvolta. È turbata da quella proposta ma sa anche che certe occasioni non si ripetano facilmente. Accetta di salire a Milano e per la confusione che ha nella testa, quando si conclude il dialogo, abbassa il ricevitore. Stacca.
Per la terza volta il professor Alberti, nella stanza accanto, sobbalza, bestemmiando, al micidiale suono del telefono. «Cazzo! Ma chi è il cretino, all’una e mezza di notte?»
«Scusami Filippo… Ero talmente confusa… Domani prendo il treno e conto di essere da voi nel primo pomeriggio.… Sì, penso proprio che dovrò fermarmi anche per la notte… Ma sei matto? … Le buone abitudini non vanno mai dismesse.» Si sfila le mutandine e tutto procede come nelle ultime settimane.
Uberto e Sarah
Papà Uberto è rientrato dal convegno medico di Modena. Pare stremato. A casa – buon per lui – trova solo la figlia: «Tua madre?»
«Solo una telefonata stamattina presto per sapere se fosti rientrato. – Sono nel bagno e papà Uberto sta rinfrescandosi ed è a torso nudo. – Papà cosa sta succedendo?» Elena nota eloquenti graffiature sulle scapole del padre. Graffi che parlano da soli.
«La mia scelta socialista mi ha cancellato da ogni suo più piccolo sentimento e sta distruggendo 25 anni di amore.»
«Immagino che qualche colpa l’avrai anche tu.»
«Chi, in 25 anni, può negare qualche accidentale tradimento?»
«Anche recente?»
«A Milano c’è stato… Capiscimi… Fra tanti socialisti ci sono anche le socialiste… Ma ero già stato espulso dal suo mondo. – e qui il padre, teatralmente, abbraccia la figlia. – Non so più cosa fare… Anche perché tua madre, ora, è completamente plagiata e succube di quella megera di Efrem, che non so quale interesse abbia a staccarla da me.»
Elena sogghigna. Lei sa: “In mamma, non c’è più spazio né voglia per l’amore etero. Socialista o cristiano che sia.”
Situazione che il professor Alberti, assicura, che risolverà da lì a poco consultandosi con un amico, avvocato, accreditato presso la Sacra Rota della Curia bolognese.
… E papà fa per avviarsi in camera sua per finire di abbigliarsi.
«Papà. Quasi mi scordavo di dirti che sto per partire per Milano. Starò per un paio di giorni. Se, per caso incroci mamma, dille che è per lavoro. Io comunque le lascio un biglietto.»
La villa sulla strada dei Laghi
«Milano… Lavoro?»
«Sì. Papy. Il figlio del tuo amico ha convinto il padre a chiedermi di far parte di un loro progetto. Vado a vedere che cosa è. Devo dirti subito che Filippo, è un caro ragazzo, ma non sono disponibile a fidanzarmi con lui.»
«Signorina Alberti»
Elena è innanzi alla stazione e sta cercando di capire dove sono i taxi per raggiungere la casa dei Bonomelli. “Curioso questo incrocio di Alberti, qui a Milano.” Pensa a un’omonimia «Signorina Alberti. Siamo qui.» Non conosce quella voce ma si gira ugualmente. Dalla parte opposta della strada è ferma un’Alfa Romeo rossa. Due ragazzi appoggiati ad essa le fanno dei segni con le mani. Uno è Filippo. Si corrono incontro e si abbracciano quasi in mezzo alla carreggiata, assai frequentata da auto. Clacson a squarciagola.
L’altro ragazzo, quello che aveva prestato la voce per chiamarla è Omar. L’autista segretario del cavalier Bonomelli ma anche amico e compagno di scorribande con Filippo.
Molto professionalmente apre, ai due piccioncini che restano abbracciati, lo sportello posteriore e questi si infilano senza sciogliere il loro nodo umano.
«Mi sei mancata troppo» e via… Subito la mano sotto la gonna: le cosce lisce. Calde. Fremono man mano che lui sale, che le accarezza, che le palpa. Le lingue, una nella bocca dell’altro. I ricami dello slippino. Sotto la leggera stoffa il morbido batuffolo, il calore della figa.
E ancora quegli occhi verdi, scintillanti, che chiedono carezze:
«Non posso chiavarti qui…»
L’auto fila decisa nelle trafficate strade milanesi. È uscita dalla città e sta andando a velocità sostenuta sulla strada per i Laghi.
I due hanno smaltito la prima ondata di passione e stanno cinguettando fra di loro. Spesso scocca un bacio ma sempre, gli occhi, una nell’altro.
L’Alfa macina una decina di chilometri e si ferma innanzi a un ponderoso cancello. Oltre a quello, un viale e campi ben coltivati. Omar scende e preme un campanello. Il cancello si apre.
A Elena e Filippo tutto questo non interessa. Stanno sdraiati sul sedile uno sull’altra. L’auto procede nella bella campagna per altri tre forse quattro chilometri.
Si presenta loro una imponente villa, XVI-XVII sec. Innanzi, vi è parcheggiata una Bently. «E’ già arrivato anche tuo padre.» Informa Omar.
Filippo si solleva e si ricompone. E fa la stessa cosa Elena che però vuole baciargli la mano che fino a pochi istanti prima ha scorrazzato nella sua figa.
«Sei venuta?» premuroso lui.
«Due volte. Sulla strada sterrata è stato più emozionante» e ridacchia.
Omar apre loro la portiera dicendo all’amico:
«Un’altra volta che devi accompagnare lei, lascia a casa l’autista. – finge l’incazzatura – Pensa un po’ al povero Omar che adesso torna a casa e Anna è al lavoro a tredici chilometri di distanza…»
«Omar si farà una pugnetta!» Risata generale.
Messo piede nella villa Elena rimane incantata dalla bellezza dell’ambiente: dipinti sui soffitti. Pavimenti alla veneziana. Lampadari imponenti. Tappezzerie alle pareti. Una tenda ordita da raffinati pizzi copre la portafinestra in fondo al salone.
Su quel fantastico scenario si aprono quattro porte da cui di tanto in tanto sbucano graziose ragazze, tutte abbigliate allo stesso modo, che mette in risalto soprattutto le parti più provocanti del corpo femminile.
Queste si muovono come fossero gestite da una precisa coreografia.
«Loro, – spiega ad Elena, Filippo – sono un pallino di papà. Sono tutte contadinelle francesi. È stato in Francia una settimana per trovarle con i requisiti che aveva nella testa: dovevano essere alte un metro e settantacinque. Di peso non superare i cinquanta chili. More, rosse o bionde, non aveva importanza. Ognuna doveva non parlare italiano ed esprimersi preferibilmente nel proprio dialetto.… Roba da matti! È comunque riuscito ad assumerne cinque.»
«Tu quante te ne sei già fatte?»
«Te l’ho detto: due volte con una…. Papà si incazzerebbe molto se lo sapesse.… Crede che io sia una persona molto riflessiva e che il mio pensare al sesso sia una cosa marginale.»
«Provare per non crederci più» e li unisce un largo sorriso. Baci? Anche Elena ha intuito che non si può più.
Arriva la siura Bonomelli. Al suo apparire, Elena, rimane immobile. Come pietrificata. Quella bella donna, sobria ed elegantissima nello stesso tempo. È identica a lei. Di lei potrebbe esserne la controfigura giovane.
«… Soprattutto, siete uguali nel colore degli occhi e nella luminosità dello sguardo. – Commenta Filippo che si è accorto di cosa sta turbando Elena. – Teniamolo presente. Dovessimo mai fare un film sulla storia della nostra famiglia.»
È arrivato anche il Cavalier Bonomelli. Bacia tutti.
Una riflessione di Elena la porta a pensare a quella travolgente frenesia di Filippo nel fare all’amore. “Erano due le donne che in quel momento scopava: la porca che l’aveva eccitato. E la bella mamma che aveva sempre desiderato di scopare. Questo lei glielo aveva detto per scherzo. Senza pensare che era la verità.”
Il Cavaliere spinge tutti dentro a un salottino. Lo lascia libero la segretaria. Una ragazza procace, con lo stesso allestimento delle altre che di tanto in tanto fanno la loro apparizione.
Filippo fa eloquenti gesti verso Elena per farle sapere che è questa con cui l’ha fatto la prima volta.
Elena gli sorride e: “L è pròpi un cinno!” [N.d.A.: In bolognese = è proprio un bambino!]
Giangiacomo Bonomelli, trent’anni di trattative affaristiche è bravissimo a gestire le riunioni. Sintetico e costruttivo. Con poche frasi mette al corrente Elena del loro progetto familiare che ha preso corpo dalla domanda di Filippo, se negli svariati gangli dell’editoria Bonomelliana ci fosse uno spazio per la figlia del compagno di Bologna.
Lo spazio c’è. È una testata, mai utilizzata: Femmine. Uscito subito dopo la Liberazione un numero zero, non aveva mai avuto il primo numero. Proprietaria di questo magazine è la signora Maria Pia.
Ora, il cavalier Giangiacomo pensa di riattivarla e di farla diventare un periodico per le donne che vogliono emanciparsi. Elena ne avrebbe potuto ricoprire la direzione e il primo numero sarebbe partito con un’inchiesta sulle donne che fanno, politica, di cui è tanto ricca la città di Bologna. È previsto uno stipendio. C’è la disponibilità di due stanze nella sede del Gruppo, – nella centrale corso Matteotti – telefono e due ragazze a fare segreteria. Elena avrebbe potuto scrivere pezzi e raccogliere materiali stando a Bologna, salire qualche giorno a fine mese e licenziare il numero.
La Signora Maria Pia aggiunge che le maestranze della segreteria le avrebbe seguite lei, così come la raccolta delle notizie che riguardavano il mondo femminile milanese. Per tutto il resto: raccolta pubblicità, contatti con gli enti pubblici, contatti con le tipografie, ci si sarebbe appoggiati alla consolidata struttura del Gruppo Bonomelli.
Guardando intensamente con i suoi meravigliosi occhi verdi quelli di Elena: «Che ne dici… Ci proviamo?»
«È un’occasione che non può essere lasciata.» L’unico timore per Elena era che in tutto il progetto venga fuori qualche nesso che la leghi a un ipotetico fidanzamento con Filippo.
Nessuno ne accenna. Filippo stesso sta pensando a tutt’altre cose di cui nelle prossime righe salteranno fuori.
«Se nessun altro ha qualcosa da dire, potremmo trasferirci in sala da pranzo per gustarci qualcosa.»
La Siura si avvicina ad Elena per ringraziarla dell’accoglienza data al loro rampollo. «Era talmente entusiasta che inizialmente ci aveva chiesto il permesso di poter restare da voi un’altra settimana. Sinceramente avevo pensato in una adolescenziale infatuazione per la figlia del compagno bolognese. Ovvero tu. Mi ha fatto capire che avevi un’età che non collima molto con la sua mentalità, fatta più di canzoni di Frank Sinatra che non di cose serie. Non so se questo corrisponda a quanto sia in te e come possa esprimere queste valutazioni. Certo è che – vi guardo ora – lui di fianco a te, fa proprio la figura del bambino. Non sarebbe proprio saggio pensare ad altre cose.»
Elena concorda decisamente e questo la fa sorridere: “Il ragazzo è sicuramente accorto e soprattutto, sa tenere il piscio.”
La cena di frutti di mare è squisita. La conversazione è molto mirata a conoscere il pensiero della ragazza sui grandi temi che sono in quel periodo dibattuti dalla politica e nella società: la legge Merlin (chiusura delle case di tolleranza), l’introduzione del divorzio nella famiglia italiana. I pensieri corrispondono, il progetto va avanti.
Il Cavalier Bonomelli prende per mano quella bella donna che ha sposato e che gli ha dato quel bel figliuolo e si avvia ai piani superiori dove è la loro stanza matrimoniale.
Elena rivede in quella scena i momenti felici della sua famiglia. Quando papy Uberto e mamy Sarah facevano la stessa cosa per ritirarsi a fare l’amore
Erano passate solo poche settimane. Manca poco che dai suoi occhi coli qualche consistente lacrima.
«Papà mi ha detto di provvedere a trovarti una sistemazione per questa notte. Non vuole assolutamente che tu viaggi in questi orari. Io ci avevo già pensato. Se mi segui ti faccio vedere la stanza.»
«Tu mi fai compagnia?»
«Non è proprio il caso. Potremmo distruggere sul nascere un ottimo futuro per noi. Per domani, ho una proposta che ti meraviglierà.»
«Non mi piacciono per niente tuoi misteri che mi si svelerai poi a determinate condizioni. Ma non ho motivo per non starci. Anche se stanotte mi arrovellerò fra lenzuola straniere!»
«Posso solo provvedere con un ditalino stando fianco a fianco alla finestra mentre guardiamo il panorama. Nella corte sottostante stanno cenando le servette che potrebbero sempre testimoniare di averci veduti in atteggiamenti moralmente ineccepibili.»
«E’ grottesco! ma le tue dita… mi danno fiducia».
Salgono lo scalone fino al secondo piano, dove sono quattro ampie stanze per gli ospiti. «Ho fatto preparare questa per te» e apre la porta. Elena è folgorata dalla bellezza dell’ambiente: «Caz! Dì la verità che tiravi ad intortarmi?» Appena lui richiude la porta, gli snuda una tetta a un palmo dal volto. Non resiste il bel ragazzo e l’abborda con la lingua.
«Non penserai di lasciarmi così… Almeno leccamela!»
«Porca!» Cala gonna e slip e si butta in sponda sul letto. Per lui è più agevole penetrarla col cazzo. A tutti i crismi della sveltina. Con lei che viene subito e pretende di averlo in bocca…. Come si può dire di no? Non deve neppure succhiarglielo: appena l’uccello sente il tocco della lingua le schizza il primo getto di sperma.
Si rivestono in fretta, tanto per smorzare l’angoscia di venir colto in fallo, che ha preso Filippo.
Bestemmiando se ne va.
Elena si affaccia alla finestra e vede Filippo che raggiunge il gazebo dove le servette francesi stanno facendo una festicciola assieme all’autista e a due dei giardinieri.
In lei schizza un rigurgito di gelosia, subito represso: “In fondo, chi se ne frega, mica è il mio moroso? Anche se è stata una banale sveltina con tutti i suoi qui pro quo, mi ha dato quel po’ di appagamento che mi consente di arrivare a domattina senza toccarmela” e si corica serena. Di sotto: allegria, balli e vino che scorre.
Alla colazione, la siura Maria Pia va a sedersi proprio di fianco ad Elena, vuole sapere se ha riposato bene e se il clamore della festicciola l’abbia disturbata.
A lei personalmente, la cosa è piaciuta assai: «È sempre bello avere attorno l’allegria di voi giovani! – Era stata un po’ alla finestra a guardare quel divertimento e… – Mi ha fatto molto piacere vedere che anche Filippo si sia inserito in quell’innocente allegria. Una cosa spontanea, partita da Geneviève. [N.d.A.: una delle servette francesi] a mezzanotte e un quarto ognuno era già nel proprio letto [N.d.A.: cosa assolutamente falsa in quanto c’erano stati letti rimasti vuoti e altri con due ospiti. Quello di Filippo aveva ospitato l’ideatrice della festicciola. Ma questo lo racconterò poi, con le parole del protagonista].»
Milàn si rivela
Arriva anche il cavalier Bonomelli, il quale con il suo cipiglio da padrone, detta il programma della mattinata: «Andiamo tutti in Sede così Elena vede quello che sarà il suo ufficio e la faccio parlare con il ragionier Bernagozzi che le farà un prospetto di quanto percepirà.»
Subito dopo Filippo si mette alla guida dell’Alfa e porta tutti al tempio dell’editoria bonomelliana: «… papà, l’auto la tengo io che faccio poi vedere ad Elena un po’ della Milano, milanese. Te la riporto domani sera. Dopo che sarà partita Elena, mi trasferisco all’Isola, [N.d.A.: è riferito all’Isola dei Pescatori delle Isole Borromeo, sul Lago Maggiore. Qui i Bonomelli erano proprietari dell’unico albergo] dove il mio amico dell’Ufficio turistico ha promosso una simpatica festicciola per quelli che hanno casa lì.»
La Siura Maria Pia è molto affabile con Elena e le propone: «Potremmo fare, noi due, prima il giro dei negozi e verso le 6, già un po’ milanesizzata, ti porto in Galleria per l’aperitivo. Proseguirai con lui nella Milano dei milanesi.»
Va così la giornata, con l’aggiunta di un pranzo, tutti assieme, in una trattoria ai Navigli.
Galleria, a quell’ora, rigurgita di gente.
Chiacchiere e idee che girano. Campari che si sprecano.
Elena e Maria Pia hanno i muscoli delle caviglie doloranti per il gran camminare. Elena è completamente rinnovata nel vestiario, grazie anche ai consigli di Maria Pia, un po’ più navigata di lei.
Comunque, Milano è una metropoli al confronto di Bologna.
Maria Pia l’ha accompagnata nei più prestigiosi negozi e ha voluto, insistendo molto, offrire alla ragazza il rinnovo del suo abbigliamento.
Filippo è già lì a un tavolo del Baretto e sta chiacchierando, facendo un po’ il bellimbusto, con una ragazza nel tavolo accanto.
La siura Maria Pia: «È la figlia del vicesindaco, proprietario di ben cinque farmacie qui a Milano. Debbo dire che il nostro ragazzo è selettivo nella caccia. Non lo vedo mai puntare a qualche shampista, pur anche carina. Un po’ come suo padre: quando arrivammo al matrimonio, gli portai in dote un albergo e cinquantacinque appartamenti in affitto.»
Elena che è un po’ frastornata da quella calca, sorride a quel commento ma sente ancora una volta la gelosia avvampare in lei: “Come ti permetti, figa di merda senza culo e tette, far la sciocchina con il mio Filippo?” che subito reprime. “Non mi deve più succedere. Non ne ho il diritto… Con lui si chiava e basta… Adesso, è solo il figlio del mio datore di lavoro.” Tanto per farsene una ragione.
Due grosse lacrime, però, calano dai suoi occhi.
«Stai bene?» Maria Pia, se ne accorge.
«Solo un’immensa stanchezza e troppe cose nuove tutte in una volta… Faccio sempre così.» e riappoggia sulle proprie labbra un panoramico sorriso.
Filippo saluta agitando la mano i tre componenti del tavolo accanto e si dedica a mamma sua e ad Elena.
Il rito dell’aperitivo in Galleria può iniziare.
Mamma non prende niente e dopo poco prende un taxi per farsi accompagnare a casa.
Elena prenderebbe volentieri una gazzosa ma è tanto l’insistenza di Filippo: «È scaramantico che il tuo primo aperitivo milanese tu lo prenda in Galleria con me – e dice al cameriere – Versione Lady.» Lei dovrebbe essere imbronciata ma, come si fa! con quella danza che sta frullando, per lei, il ragazzo.
Si toccano i bicchieri, rossi e guarniti. Dopo il primo sorso… Elena: «Che buono!’… Non li fanno mica così buoni a Bologna.»
Filippo: «Appena l’abbiamo bevuto ce n’andiamo. Ti faccio vedere uno dei tramonti più suggestivi che si possa immaginare: con tutta l’acqua attorno e la neve sullo sfondo. – si concede un secondo sorso – Stanotte sarai mia in un posto da dove anche se vorresti non potresti fuggire.»
«Perché, mi hai mai vista fuggire?» Gli sorride. Socchiude gli occhi. Spinge un po’ il volto verso di lui. Si guadagna un bacio.
Non ce la lingua in bocca ma è pur sempre un bacio sulla bocca. La figlia del vicesindaco, assieme a mamma e babbo, sicuramente hanno visto la scena.
Solo per questa piccola cosa, Elena riacquista il suo consueto buonumore.
L’Alfa Romeo sta viaggiando veloce verso Stresa. Il tramonto si sta organizzando.
Un veloce motoscafo li porterà all’Isola dei pescatori.
«E qui dove dormiremo?»
«Dormiremo? Mica ti porto in questo paradiso per dormire.»
«D’accordo… Dove veglieremo?»
«Nell’unico Hotel dell’Isola che oltretutto la sua proprietà è intestata a me.»
Il tramonto sta disegnando, sopra quel magico specchio d’acqua, colori che si accendono e fondono a seconda dei capricci del cielo.
Il suo fluido sta facendo effetto su di Elena. Approfittando che Filippo ha indossatore gli short, gli sta accarezzando le cosce villose e sta spingendo le dita oltre.
Quando la barca arriva, per il pilota, i due passeggeri, sono due sposini in viaggio di nozze.
Con un tramonto estivo sul Lago Maggiore sarebbe facile chiudere questa sezione della biografia erotica di Nonna Elena.
Per lei quel luglio del ‘52 risultò essere il punto più importante della propria vita.
Da lì si dipaneranno i filoni che l’hanno formata: il lavoro. I rapporti con i componenti della propria famiglia. L’amore: come e verso chi.
Scendendo da quella barca e avviandosi, al braccio del suo amico, per i carrugi di quello scoglio abitato che spunta dalle acque del Lago, Elena è già consapevole che dovrà lottare con grinta per mantenere il proprio vivere in serenità. In quel vortice che ha preso a girarle attorno.
La Voglia matta
E allora: «Sai Filippo, cosa mi preoccupa di questa notte… è, che non ho con me slip di ricambio per domani… Tu non hai niente in contrario se appena in hotel me li tolgo, li sciacquo nel lavandino e li stendo sulla finestra?»
Si fermano al centro del viottolo. L’illuminazione pubblica non è ancora attiva. Ci si vede ancora con il bel rosso del tramonto. Non c’è anima viva. Non si sente un rumore. C’è invece un forte eco così Filippo si sente ritornare quel suo commento un po’ volgare, alla giusta preoccupazione di lei:
«Che bella troia che sei!» Si baciano a lungo.
Casa Antica, è il nome dell’albergo di cui Filippo risulta proprietario. Un vecchio edificio con ristorante nella veranda e una decina di stanze dal primo piano in su. È il primo locale pubblico che si incontra quando si sbarca sull’isola.
È molto spartano. Le stanze sobrie ed essenziali. Tutte, però, con un balconcino fiorito che guarda verso lo sfondo montano.
Di quell’essenzialità se ne accorge subito Elena.
Filippo si sofferma con chi gestisce la struttura. Elena sale nella stanza che è loro assegnata. Deve lavare gli slip ma soprattutto, pisciare.
La prima delusione è che nella stanza non c’è l’acqua corrente. C’è una brocca colma d’acqua e un lavabo con catino in ceramica. Il tutto molto Ottocento. Molto romantico.
Sfila gli slip e visto che c’è toglie anche il resto dell’abbigliamento. Sarà molto bello aspettare così Filippo.
Insapona il minuscolo indumento. Lo sciacqua. Lo scuote con energia e lo appoggia sulla ringhiera del balconcino.
C’è un altro trabiccolo nella stanza. È un catino con supporto per le abluzioni intime. “Facciamoci trovare desiderabili” … Un po’ di profumo dovrebbe esserci nella borsa. Riempie con l’acqua la conca e la cavalca. Sobbalza quando la figa entra in contatto con l’acqua: è gelida. La giornata è stata alquanto calda e movimentata. Il sudore ha invaso ogni anfratto del suo corpo. Il lavaggio della figa, ci sta proprio! È un sollievo.
Dopo il primo impatto non la trova più così gelida. Le mani aiutano l’acqua a spingersi al suo interno… le dita la aprono ma anche ne accarezzano la fessura, le labbra. La clitoride diviene irrequieta. In lei cala la frenesia della voglia matta. Non sarebbe da lei ma nel turbinio delle sensazioni si raccomanda anche al Buon Dio: «Fai che faccia presto a salire… Non resisto più!»
È il Buon Dio la esaudisce.
Pochi minuti e Filippo irrompe nella stanza. Un rapido sguardo al letto di antica foggia per accertarsi che il corpo nudo che vi giace è quello di Elena: non c’è dubbio alcuno che abbia sbagliato camera. Ogni pezzo del suo abbigliamento vola per la stanza.
È sopra di lei per farle sentire quanto sia grande anche la sua voglia. Gliela comunica premendole il duro bozzolo sul pube. Lei, sotto quella erotica pressione, lo implora: «Chiavami … Vienimi dentro … Penetrami … Sono presa dalla Voglia matta, aiutami!»
La fa tacere con un prolungato giro di lingua in bocca e si solleva. Ora, è in ginocchio con il pene fra le mani e sta puntando la vulva semi aperta che par gli sorrida. Elena, che può ridare la parola alla sua Voglia matta, riprende ad incalzarlo: «Vieni. Vieni… mettimelo dove vuoi… in figa … in bocca … in culo …»
La cappella, ben sbucciata, che sta per raggiungere l’umida fregna. Si ferma.
Lui: «Hai detto culo?»
«Sìii… anche lì lo voglio.»
«E culo sia!»
Lei solleva il bacino e lui riesce a metterci sotto un cuscino che era nei pressi. Si spinge innanzi… È già nel fondo del culo senza aver provocato il minimo gemito.
«Qui, nel culo, mi sembra anche più grosso – sussurra lei – Che bello!»
Chiude gli occhi e aggiunge le sensazioni che le suscita il trastullarsi con le dita, la figa.
Filippo, sente il godimento crescere e aumenta il ritmo. Lei lo rincorre sculettando. Lei si arrende al godimento e viene. Lui le inonda il culo.
«Ci sai fare anche in culo.» Lo loda lei.
«Visto che siamo in trasferta e hai la Voglia matta, si potrebbe anche chiavare. No?»
«Ce l’hai?»
«Come no. Da quando ti ho conosciuta, sempre due nel portafogli.»
Si sta rimettendo in sesto il cazzo con l’acqua della brocca. E’ gelida e restituisce un uccello striminzito. Se la ridono i due.
Saggiamente decidono di scendere al ristorantino dell’albergo. Temolo e coregone, genuine specialità del Lago.
Luna di miele
Elena, prima di scendere, si è tirata al massimo: è uno splendore!
Ha curato, soprattutto, il viso. Dando agli occhi verdi il compito di ammaliare.
Basta intercettarne lo sguardo. E, a quel minuscolo tavolo – loro due, uno di fronte all’altro – Filippo sta abbeverandosi di tutta la maliziosità insita nei verdi rai che capta.
In parole povere: la contempla estatico, forse per farsi perdonare la brutta figura dei mancati due-colpi promessi.
Elena invece, è vispa. Pimpante. L’inculata l’ha elettrizzata. Non parla ma urla con gli occhi. Lancia lo sguardo qua e là, facendo vittime. Una di queste, il cameriere che colpito, da quel flusso, si confonde. Si inciampa e fa cadere alcune portate.
Il trambusto rompe lo stato contemplativo in cui parrebbe fosse caduta la coppietta.
Esordisce Filippo: «Direi che questa può definirsi come una prova di luna di miele.»
Sempre con un bel sorriso sulle labbra. Elena ci sta a far tintinnare i bicchieri e a farsi toccare le labbra da quelle di lui. Così entusiasta di quell’improvvisata notte sul Lago. La dolce inculata l’ha appagata. O, per meglio dire: ha frenato la Voglia matta. Sente che a quell’imberbe stalloncino vada fatto un discorso serio, al di fuori dell’erotismo tout court. Un discorso sincero che non lasci spazio alle illusioni.
«Non credo che fra me e te potrà mai esserci una reale luna di miele con relativo viaggio di nozze…»
Ci rimane male il ragazzo anche se è ancora convinto che la sua partner stia scherzando «Allora non ti va di essere la mia ragazza… la mia bobby soxer? [N.d.A.: in quegli anni si chiamavano così le fan dei cantanti di musica leggera. In special modo di Frank Sinatra.]»
«Per te vorrei essere qualcosa di più.»
«Che sarebbe?»
«L’amante… Quel porco ruolo dell’amante.»
Filippo si gratta la testa: «Ma io ti amo.»
«Amante, vuol dire una che ti ama. Ma che ti vuole lasciare libero di gestire i tuoi sentimenti come e con chi ti pare… Non vuole mescolarti ai suoi problemi. Ti brama solo per parlare d’amore. Sia col cazzo, che con la testa.»
«Io, però, non ti voglio perdere.»
«È la stessa cosa anche per me. Ma non potrei mai farmi incatenare.»
«E tu, mi amerai anche se sposassi la figlia del vicesindaco?»
«Come no.»
«Anche se venissi a raccontarti che fa le pompe meglio di te.»
«Non me ne frega un cazzo se la figlia del vicesindaco fa le pompe meglio di me, perché io le pompe non le faccio. Io faccio solo dei bocchini. Chiaro? – Qui si capisce che è rientrata nel gioco e gli sorride. Anzi, si è sfilata un sandaletto e con il piede nudo gli va a stuzzicare tra le gambe. – Voglio solo che tu sappia che non ho nessuna intenzione di negarmi quel bell’uccello che mi hai, fin qui, fatto assaggiare. Di passare a cose più serie non ho la faccia tosta. Dopo che ti ho fatto partecipare a un giro a tre e che mi hai visto godere con una femmina. Senza parlare di quello che ti ho raccontato di aver fatto con Gioele e Ruth e che rifarò fra poco più di una settimana… Non ho nessuna intenzione di rinunciare a queste cose, come non ho la faccia tosta di avvicinarmi a un sacramento che queste cose condanna e scomunica.»
Il piede sporcaccione, agilmente, si è infilato negli short e sta dialogando con lo scroto. Avverte però che il cazzo è in posizione eretta.
Lui si alza dal tavolo. Lei lo segue.
«Allora da adesso in poi te lo devo mettere da amante?»
«Sì. Sempre con il tuo garbo e con decisione. Non dovrà mai essere una chiavata di routine o di dovere come nel matrimonio.»
«E tu mi racconterai sempre quello che farai a letto con altri amanti.»
«Io, non sarò mai l’amante se non di te. Sarai l’unico amante per tutta la mia vita – seguono dichiarazioni impegnative – se vorrai, quelle con altri, te le racconterò tutte… Puoi pretenderlo già dalla prossima settimana quando sarò a Ginevra da Gioele e Ruth…. Facciamo già che appena rientrerò, ti racconterò tutto per telefono, nello spazio della nostra tele-sega notturna – e intanto, gli srotola il cerchietto di lattice sul prepuzio – tu però, promettimi che scoperai a destra e manca come un mandrillo… Devi mantenerti in forma per farlo sempre con più esperienza con me.»
Qui, il ragazzo si fa rosso in volto… Distoglie lo sguardo dagli occhi di lei e, in tono basso: «l’ho fatto anche ieri notte con Geneviève, la servetta che aveva organizzato il festino. Me la sono portata in stanza, ne ho fatta una e le ho rotto il culo. Visto che di lì non era ancora passato alcuno.»
“Porco!” Fra sé e sé Elena.
Lui, raccontandole i dettagli di quella situazione si mette ad accarezzarle il ventre. Quella mossa che a lei piace tanto!
Lei ha calzato alla perfezione il goldone. Le accarezza i testicoli e lo prende in bocca mordicchiandolo. La Voglia matta è ridiscesa in lei: ne vuole tanto!
Se lo spinge un po’ dentro. Filippo provvede ad andare in fondo più che può. Giace su di lei e nell’immobilità del piacere: «Ti amo!» e suscita un: «Anch’io» da parte di lei.
Il più bieco romanticismo sessuale.
L’alba li troverà abbracciati e i due preservativi sul pavimento. Pur di non negarsi nulla di quello che ha avuto la servetta Geneviève.
«Pà… Se resto all’Isola, va bene? Mamma è d’accordo.» Filippo.
«Ho bisogno di restare qui fino a sabato… Glielo dici tu a mamma.» Questa Elena
Un motoscafo li porta al Tennis Club di Stresa. Il pranzo verrà apparecchiato sul terrazzino della loro stanza e da questa non si sposteranno se non il mattino successivo per andare al Tennis Club.
Dite voi se questo non si chiama: luna di miele?
Si conclude così questa seconda sezione tanto importante per la nostra storia.
Nonna Elena, in neppure un quarto di secolo, ha messo assieme amore e lavoro.
Non male soprattutto per chi lo racconta in questo contesto del Terzo Millennio, molto più complesso.
Ma non sarà neppure per lei una passeggiata.
Lo leggerete dalla prossima sezione.
VII
Nonna Elena, il fidanzamento di chi può permettersi diverse amanti
Mamma
«Papà, sono in Centrale a Milano. Fra dieci minuti parto… Attorno all’una sarò a Bologna… Ho cose bellissime da raccontarvi… L’entusiasmo di Elena si spegne subito. Il volto le si rabbuia. Quello che le sta dicendo il padre la sconvolge. – Ma è completamente impazzita!» Si conclude così la telefonata che la getterà nella tristezza più profonda.
“Quella troia!… Dì che mi capiti a tiro… le torco il collo e le sputo in un occhio.”
È tutto riferito ad Efrem che ha sobillato talmente mamma, fino a determinarla a mollare la famiglia ed andare a vivere con lei.
La Topolino con il Professore la sta aspettando nel piazzale della stazione. Lui ha un aspetto di persona trascurata: la barba lunga. Abbraccia la figlia in maniera teatrale: «Oramai, sei tutta la mia famiglia.» In auto le racconterà l’abbandono del tetto coniugale da sua madre.
«Dopo la sfuriata che t’ho raccontato, ha infilato un po’ di cose in una valigia e se n’è andata. Non l’ho più veduta. Mi sono affacciato alla finestra e sotto, l’attendeva Efrem. Suppongo sia a casa sua.
Il giorno dopo. A sera, quando sono rientrato, ho trovato la casa sossopra. Tutti i cassetti dove c’era roba sua, svuotati. Ho chiesto al portiere e mi ha confermato di averla vista con due persone, un uomo e una donna e due facchini. Hanno riempito un camioncino.»
«Di me ti ha detto qualcosa?»
«Oh, sì. Che sei una vacca che corri dietro ai figli dei socialisti. Che ti scriverà. Che non ha, adesso, voglia di parlare con te.»
Potrei esserti utile
Nessuno dei due ha voglia di rientrare e decidono di mangiare fuori.
Passato lo stupore, Elena gli parla dell’impegno che ha preso con il cavalier Bonomelli.
«In viaggio non ci ho pensato. Un po’ sconvolta da quanto mi avevi anticipato tu. Adesso, riflettendo, mi sa che ho accettato qualcosa ben più grande di quel che potrò fare… Scrivere non mi spaventa ma sono soprattutto le interviste che mi terrorizzano. E già per il primo numero ne dovrò organizzare diverse. Ma? Comunque ci provo.»
Il padre fa un affettuoso complimento alla figlia e leva il bicchiere:
«Alla buona riuscita del primo lavoro della mia dolce Elena. – Sono alla solita Cervetta – Credo anche di poterti dare una mano.»
«Che sarebbe?»
Uberto, stranamente, sembra rinato. Con una certa euforia spiega come potrebbe esserle di aiuto per il progetto:
«A Milano sono stato intervistato da una giornalista dell’Avanti! Bravissima! Ora, questa, dovrebbe fare un servizio sui partiti della Sinistra a Bologna. Quando viene, potrei fartela conoscere e chiedere di darti qualche consiglio. Lei, per quel che mi risulta, pur giovane, ha già una buona esperienza. È redattrice parlamentare e c’è la fila di onorevoli e senatori che vorrebbero farsi intervistare da lei. Appena rientriamo provo a cercarla… Dovrei avere il suo telefono da qualche parte.»
«Oh, papà, ne so talmente poco di quel lavoro che ogni consiglio… idea, mi sarà utile.»
«Guarda – rovista nel portafogli da cui estrae un biglietto da visita – la faccio da qui. Forse la trovo ancora in redazione» e si avvia verso la cassa dove è l’apparecchio per la clientela.
Elena estrae dalla borsa lo specchietto e si dà un’occhiata. Si vede orrenda: un po’ le lacrime del distacco da Filippo e sicuramente le notizie di casa non hanno giovato.
Torna Uberto, raggiante:
«Sei fortunata figliuola. La signorina Boeri, la redattrice dell’Avanti! ha anticipato la sua venuta a domani. Ed è disponibilissima a farti conoscere i suoi ferri del mestiere. Mi sono permesso di dirle che potrebbe soggiornare da noi, così avete più modo di stare assieme. Ha appena passato i Trenta ed è molto giovanile. Vedrai che ti troverai bene… Quasi dimenticavo di dirti che, ieri, nella disperazione… ho dato incarico al mio amico, avv. Profazio, di studiare se la levata di testa di mia moglie/tua madre, abbia prospettive verso la Sacra Rota. Se continua nel tempo, mi sembra l’unica conclusione di questa triste vicenda.»
la tua sacerdotessa
La nuova prospettiva di vita, fa, ad Elena, rimboccare le maniche. Parla alle due signore che già aiutavano Sarah nelle faccende domestiche e prova a parlare con lei, mamma sua: una volta si nega… Un’altra volta, “è uscita” … Ancora, “ha detto che richiama lei”. Finalmente…:
«Mamma cosa succede?»
«Succede che, io nella casa del diavolo, con il diavolo, non ci posso vivere.»
«Ma mamma…»
«Il socialismo è un’eresia satanica. Io non voglio avere nulla a che fare con questo mostro.»
Non c’è nulla da fare. Mamma Sarah sembra, più che decisa. Convinta e plagiata:
«Anche tu, più stai in quell’ambiente, con quella gente, diventerai un agente di Satana. Se vieni qui da noi, potrai riscattarti e nessuno mai potrà farti del male.»
A quel punto Elena, si lava la bocca.
«Sì. A farmi leccare la figa da quella troia della tua sacerdotessa.» e butta giù il telefono.
Amara cena
«Mi sa che non ci sia più niente da fare!» Dirà a sera a suo padre.
Il professor Alberti, uscito dallo studio, si infila nella bottega di un rinomato barbiere e ne esce completamente rinnovato.
Sembra che sia intervenuto il dottor Faust che, come sospetta sua moglie, gli ha fatto vendere l’anima al diavolo. Pare ringiovanito di uno, fors’anche due lustri. Ha ripreso il suo bel sorriso con quello sguardo malizioso che ancora tanto attrae belle donne di ogni età. Si è pure fermato in pasticceria e arriva in casa con un ricco cabaret di paste e una bottiglia di spumante.
Si stupisce Elena: «A che dobbiamo festeggiare, papy?»
Quel filone del Professore ha già la giusta risposta «Alla fine delle mie cene in solitudine.» Anche se è ben altro il motivo. Si mettono a tavola.
«Certo, che senza mamma… la cena è un po’ amara… La casa, triste» Elena…. Uberto non raccoglie l’argomento.
Alla fine dei guai Gemma non manca mai
Se la cena, preparata dalla figlia, ha rasserenato Uberto, non è così per Elena.
Uberto, si è portato in camera un libro del grande umorista inglese Jerome Klapka Jerome [N.d.A.: Tre uomini in barca]. Elena, nervosamente, guarda traffico e passeggio nella strada sottostante. Questa notte sì che avrebbe bisogno di un corpo amico nel letto: A cui stringersi. Confidare dubbi e paure. Sentirsi ascoltata. Ricevere qualche frase di conforto fra dolci coccole. Per essere poi stretta e presa appassionatamente quando lei avrebbe gridato che il desiderio la stava pervadendo.
Palazzo ha appena battuto le nove. Guarda il telefono sul comodino. È presto per chiamare Filippo. Con lui è d’accordo di sentirsi alle undici e riprendere il palliativo della tele-sega che li aveva tenuti assieme, la settimana prima di salire a Milano.
Decide di non anticipare i tempi. Ripiega su un piccolo sfogo con Gemma. La chiama.
«Certo che avere il ganzo a duecento chilometri può essere antipatico quando ci sarebbe bisogno, anche solo, di un lui qualsiasi – ci pensa un attimo – Vuoi che venga a tenerti un po’ di compagnia?»
Arriva Gemma. Indossa un essenziale caffetano di tela bianca, dalle spalle alle caviglie e un elegante paio di sandali rossi dal tacco alto. Non mostra nulla ma è figa.
Elena glielo dice nell’accoglierla.
«Ti faccio vedere come mi comporterei se avessi bisogno di mostrarmi» con un unico gesto l’indumento è sul pavimento. È completamente nuda.
Sono nel corridoio. Elena la spinge nella sua stanza.
«Scusa, non sei sola in casa.»
«No. In camera sua c’è solo papà.»
«Dai, fallo venire. C’è bisogno di qualche maschietto…»
«Lascialo stare che ha le sue pene anche lui…» e inizia a raccontarle i fatti dell’abbandono da parte di Sarah.
Gemma è rimasta nuda e di tanto in tanto lancia una carezza all’amica che non raccoglie quegli atti di sincero affetto, tutta presa com’è dalla propria angoscia.
«Sei tesa, bimba mia. Sento i tuoi muscoli del collo contratti. Ti ci vorrebbe un buon massaggio… Se vuoi? Non sono una massaggiatrice ma per un paio di mesi l’ho preso in bocca da un massaggiatore e qualcosa mi ha insegnato.»
Una parvenza di sorriso torna sul volto di Elena che prende a spogliarsi. Quando è nuda anche lei, prende per mano l’amica e la porta al letto: «Non credo che un massaggio mi gioverebbe. Piuttosto un po’ di coccole… – e la bacia in bocca – … mentre ti racconto della settimana all’Isola dei Pescatori con Filippo.»
«Meno male che ti capitano anche dei momenti gustosi.» La ribalta sul letto e va con una mano fra le sue cosce.
Una gnocca sincera
«Oh, Gemma! Fa spesso così anche Filippo… Poi mi si distende sopra e lo spinge contro la prugna, perché senta quanto ce l’ha duro…»
«Da me sentirai quanto ce l’abbia già umida. La mia è una gnocca sincera» e la copre col corpo. Le gambe si prendono. I pubi si premono. Le fighe si confrontano tramite i peli umidi dei loro umori.
«Masturbami Gemma. Ne ho tanta voglia!»
Tutto inizia con la bocca di Gemma che le prende il labbro inferiore e due dita che si insinuano in lei.
Elena sente contrarsi l’inguine.
Filippo non è da meno. È rinchiuso nella sua stanza e si gingilla fra le mani la foto scattata qualche giorno prima sul campo da tennis di Stresa nella rituale partita di ogni giorno con Elena. È bella Elena con quel gonnellino sportivo che avevano scelto assieme. Svolazzava sulla terra rossa dopo aver appreso i primi rudimenti di quello sport tanto snob. La foto emana tutta la sensualità che lei sprizza ovunque.
Inutile dire che gli sta venendo duro.
Cala gli short e se lo accarezza. È orgoglioso il ragazzo, del proprio uccello.
Quello che Elena ha espresso sul conto del suo cazzo lo ha reso anche vanitoso.
Sa che tirarlo fuori fa sempre una bella figura. “Uno di questi giorni lo faccio anche con Loredana [N.d.A.: la figlia del vicesindaco] sicuramente apprezzerà e dopo sarà una passeggiata arrivare alla meta. [N.d.A.: Leggasi, figa]”
Con la mano lo accarezza lentamente, domandolo con un andirivieni interminabile di palme, dita e polpastrelli. Non manca molto che liberi i suoi schizzi verso l’alto.
Qui ha una sorta di rimorso: “Cazzo, fra un’ora ho l’appuntamento con Elena per la telefonata masturbatoria.… Se me la faccio ora, diventa meno eccitante poi… Potrei provarci adesso. Forse è già in camera sua… Proviamoci.” Compone il numero.
A tre per telefono
«Stavo cercando di eccitarmi con una foto della figlia del vicesindaco, ma non ci sono riuscito. Mi sono detto “vediamo se la voce di Elena… e, al tuo “Pronto” me lo ritrovo duro tra le gambe.»
«Che simpatico che sei. Dovrei dirti: “raspati mò” con quel manico di scopa. Se ci riesci.» [N.d.A: nel gergo bolognese, il raspone è sinonimo di masturbazione maschile]
«Dai… Che scherzavo…»
«Poi… Sei in anticipo di ben più di un’ora e adesso non sono neppure sola.»
«Chi c’è con te?»
«Una femmina meravigliosa. Con tette fantastiche e un bel culo da sposa.»
«Gemma.» grida con entusiasmo Filippo
«Sai cosa stiamo facendo? Stiamo studiando come fare una porcata telefonica a tre. Se tu ci stai abbiamo già risolto il problema.»
«Come no. L’ho già sguainato e stretto in pugno.»
Gemma, chiamata in causa, agguanta un piede dell’amica e si porta l’alluce alla bocca. Glielo lambisce con la lingua che poi sposta per tutto il piede. Sobbalza Elena:
«No, il piede. Mi fai solletico.» Sta già leccando il polpaccio e le dita le stanno palpando la coscia, proprio sotto la figa.
Elena le accarezza la bionda chioma. È tutta bagnata e ben aperta. Quando sente la bocca appoggiarlesi sopra emette un mugugno e descrive il tutto a chi è all’altra parte del telefono.
Filippo se lo scappella. Prende a menarselo con mosse lente e misurate.
«Come ce l’hai?» Domanda Elena.
«Duro come il marmo e scappellato.»
«Adesso immagina: te lo sto per prendere in bocca…»
«Che cara che sei!»
«Non potrò più parlare.» Si mette a mugugnare con una certa frenesia.
Gemma è alle prese con la clitoride. La fa impazzire. Smolla la clito ed esce dalla crepa con la lingua, si avvia lungo il perineo e prende a punzecchiare attorno all’incavo del culo. Sobbalzi del bacino. Tremiti che scuotono Elena.
Anche Filippo sta per venire. Ha la sensazione che la lingua di lei vaghi per tutta la sua asta e le ganasce pompino il glande. Le dice cose drammatiche. Un po’ stucchevoli ma belle.
Anche Elena entra nel suo orgasmo. Appoggia la cornetta sul ventre a pochi centimetri dal volto di Gemma che sta completando l’opera.
Adesso è Gemma che entra in contatto diretto con Filippo che sta asciugandosi il cazzo.
«Ce l’hai ancora un po’ duro per me?»
«Una cosa giusta… Non certo per il culo. Se vuoi potremmo mimare un’ipotesi di deflorazione?»
«Neanche per sogno. Vergine sono e non posso permettere che mi si faccia saltare il coperchino [N.d.A.: a Bologna = imene] senza un matrimonio, neppure per finta in un gioco.… Posso sempre farti una pompa alla bolognese.»
«Quella me l’ha appena fatta il mio amore. Non vorrei sporcarne il ricordo.»
«Stronzo! Sei tanto gentile e dolce dal vivo, ma tanto stronzo telefonicamente.»
«Cazzi tuoi! Ripassami Elena che la masturbo un po’ così si addormenta serena.»
Dialoghi di pura follia che mantengono alta l’eccitazione.
Elena è ancora un po’ svampita per il godimento appena provato. Non parla, sussurra.
«Com’è che ti ha dato dello stronzo la mia amica?»
«Non ha voluto farsi chiavare neppure per telefono.»
«Lo sapevi che è fatta così. O la ami o la odi. Io, per quello che mi ha appena fatto alla figa non posso che amarla. Non trattarmela così male.»
Sembra contrariato Filippo: «Ho capito che stasera ho fatto male a chiamarti.»
«Non fare così, adesso. Anche stasera vorrei addormentarmi con un tuo ditalino. Dai… Ho già due dita nella figa.…»
Il tono di Filippo si fa sensuale nel suggerirle le mosse che le sue dita traducono in piacere.
Gemma ha capito come vanno le cose e collabora con la bocca sul seno di Elena. Quando quell’amplesso via cavo è completato, Filippo abbassa delicatamente il ricevitore. Elena e Gemma si stringono forte.
«Dai Gemma, resta a dormire con me.»
«Ma domattina, tuo padre?…»
«Quello? Si alza alle sei ed esce quatto quatto.»
Gemma si infila sotto alle lenzuola.
La signorina Boeri
È quasi ora di tagliatelle quando Uberto chiama sua figlia: «La signorina Boeri è arrivata ora, è qui con me, prendiamo un’auto pubblica e veniamo in centro. Se ci aspetti alla Cervetta, pranziamo assieme.»
“È proprio una bella ragazza la signorina Boeri.”
Babbo Uberto è raggiante al suo fianco. Diventa poi didattico nell’illustrarle le virtù della gastronomia bolognese. «… Non che voi a Milano… Ma permettimi di sottolineare che qui la tradizione è indubbiamente molto più rispettata» parte il primo giro di Lambrusco.
«Che curioso, non l’avevo ancora assaggiato… Buono néh! – e passano al progetto di Elena. – Così stai entrando nel mio mondo. È un mondo affascinante. Pieno di vipere ma offre anche tante soddisfazioni. Soprattutto quella di scrivere. A me piace tanto scrivere. Se sai fare bene questo, tutto il resto viene da sé.»
Sarebbe rimasta tre giorni e aveva già organizzato alcuni incontri importanti: sindaco, prefetto, presidente della Provincia. Se pensava che potrebbero esserle utili, avrebbe potuto accompagnarla. «Due belle ragazze, e noi lo siamo, sciolgono i cuori e anche le favelle. Che ne dici, lavoriamo assieme?»
«Sei molto generosa. Spero di esserti utile in qualche cosa anch’io.»
Le strategie di lavoro continuano poi a casa. Qui il chiarissimo professor Uberto Alberti fa una mossa teatrale da grande marpione: adducendo la causa a una notte insonne e alla digestione del lauto pasto, si scusa e si ritira per un pisolino rigeneratore.
Le ragazze continuano il loro dialogo, anche per conoscersi.
«Hai un fidanzato, Elena?»
Lei, spregiudicatamente «un fidanzato no. Ho un amante.»
«Penso che il cavalier Bonomelli abbia avuto, come al solito, del naso a scegliere te per il tipo di giornale che ha in testa lui. Io ho avuto anche un marito, – e le racconta la sua esperienza – Ho avuto alcuni amanti e oggi forse ne ho uno nuovo, di cui sono pazzamente innamorata. Ma non ho ancora capito cosa voglia fare lui.»
Elena la trova molto affascinante, mentre confessa il suo stato sentimentale. Si permette di farle una lieve carezza a una guancia. Lucia apprezza, le prende la mano e gliela sfiora con le labbra: «hai mai fatto l’amore con una donna?»
Elena arrossisce e sposta lo sguardo a terra: «Sí. Lui è lontano da me. Finora non abbiamo avuto molte occasioni per stare assieme. Ho una buona amica che ogni tanto mi consola.»
«Lui lo sa?»
«Eccome! L’abbiamo anche coinvolto in un trio godereccio.»
«Tienitelo caro. È il giusto amante. – Poi come che fino a quel momento avessero parlato di tutt’altri argomenti… – Mi dicevi che mi hai preparato la stanza degli ospiti… Posso vederla? Così mi ambiento.»
Elena, spegne il fuoco che cominciava ad ardere in lei e le mostra la stanza. Ha però bisogno di togliersi da quell’ambiente: «ti chiedo scusa. Dovrei essere all’università. Ho un appuntamento con il mio professore. Papà adesso riposa. Vedrai che fra qualche minuto sarà di nuovo in piedi. Fa sempre così. Prima mi ha detto che stasera vuole festeggiare il tuo arrivo in pompa magna e che ha prenotato dalla Nerina. Io vi raggiungerò lì alle otto.»
[N.d.A.: in tutta la storia erotica di nonna Elena, dopo una scena del genere, viene l’amplesso fra le due donne. Non è il caso di questo momento. Le due ragazze hanno obiettivi ben diversi e non si fanno irretire dal reciproco fascino.]
Uby e la prima della serie
Elena se ne va. Lucia tira un sospiro di sollievo: potrà finalmente avere l’approccio che sospirava con il suo amante.
Uby, Uberto, è già lì, in piedi. È un po’ in disordine: senza cravatta, il colletto slacciato, la camicia fuori dai calzoni. I calzoni senza la cintura di coccodrillo che normalmente li sostiene. Questo è un dettaglio importante!
È un abbraccio di grande passione fra di loro. Quando si scioglie, Lucia ha la camicetta aperta e il reggiseno slacciato. Le sue poppe, in bella vista, rilucono colpite da un raggio di sole entrato da una fessura della tenda tesa.
Il letto nella camera degli ospiti è messo sotto sforzo, ma anche questa volta regge la tensione a cui è sottoposto.
«Vai tranquillo Uby, sicuramente questa settimana non sono fertile.» [N.d.A.: Quando i contraccettivi erano limitati al calcolo prospettato dal metodo Ogino Knaus. Tempi duri!] Lui spinge fino in fondo e si lascia andare al godimento più sfrenato. Lei gli va dietro con entusiasmo.
Mmmh!?
Elena, vaga un po’ per la Città per poi infilarsi in un cinematografo dove proiettano Rio Grande, un successo di guerra e amore.
Anche se non ha intuito che il misterioso amante di Lucia è proprio papà suo, ha lasciato loro libero il campo.
Di questa sua disattenzione incomincia a rendersene conto a sera stessa durante la cena al ristorante.
Mmmh!?
Babbo Uberto e Lucia arrivano al ristorante, tenendosi affettuosamente per mano. Uberto ha messo in capo il Panama. Lucia ha un eloquente livido sul collo che tenta di sottrarre alla vista altrui coprendolo con un leggero foulard. Sul volto la beatitudine dell’appagamento di un intenso orgasmo. Sono ambedue spigliati nella conversazione e Lucia dà ad Elena interessanti spunti per il suo esordio giornalistico.
A metà pranzo Elena si alza per un paio di telefonate:
«Stasera ho mal di testa via cavo – a Filippo – Sono a cena con papà e una sua fiamma.»
«Posso dormire da te, stanotte?» poi, a Gemma.
«Il mio letto però è meno largo del tuo.»
«Meglio, così starai sopra di me con le tue belle poppe.»
Quando torna al tavolo, manca poco che trovi, Papy e Lucy una sopra l’altro, visibilmente eccitati, con i volti accalorati.
Il cameriere porta la zuppa inglese e versa lo champagne.
In un momento in cui Lucia va alla toilette:
«Papy… non è che faccio male a lasciarti in casa solo con una manzola così? Fossi uomo le tirerei addosso anch’io.»
«Non penserai che con la mia reputazione mi metta a violentare una giovane pulzella?»
«Quello no. Il contrario sì.»
«Saprei come reagire.»
«Di questo non ho dubbi.» Si abbracciano allegramente.
Una certezza
«Gemma, se ti dico strafiga, devi crederci. Dev’essere sui trentadue, trentatré. Alta, slanciata, con una gonnellina che mette in mostra due cosce piene e un bel paio di tette… da ficcarci dentro la bocca e leccare per mezz’ora. Beh, ho il sospetto che se la stia facendo papà… Con me ha fatto un’avance a parole, poi ha smorzato lì.»
«E tu gli hai spianato la strada.»
«Cosa vuoi che facessi? … Mi sono stufata di vederlo immusonito e trasandato. Dal momento che lei doveva venire a Bologna si è trasformato: è tornato ad essere il mio papà. Quello che tutte le mie compagne alle medie mi invidiavano, dicendo che era il più bel papà di tutte noi. Per me era un orgoglio farmi venire a prendere a scuola da lui. Se penso a quella vacca di mamma nelle mani di quella lesbicaccia da quattro soldi.»
«Un po’ lesbiche lo siamo anche io e te.»
«Sì. Ma non abbiamo nessuna famiglia a cui rispondere. Quando ci tira, zitte e chete facciamo il nostro ciappino [N.d.A.: al ciapén nella lingua bolognese è ‘un lavoretto’ entrato nella parlata gergale quale ‘il ciappino’] in attesa di miglior cazzi.»
«Mi sa che stiamo dando prova di grande saggezza.» E intanto le ha già slacciato la camicetta. Nella loro sobrietà si mostrano le piccole tette di Elena. Non resiste la procace Gemma. Sfodera le sue e le struscia con libidine contro quelle dell’amica. La bacia sul collo e dietro le orecchie. È tutto un mugugno… Un sussulto.
«Da dove vuoi cominciare satanica troia.»
«Il sessantanove è una certezza. Completa ogni nostro desio.»
«Mi hai lavato la faccia con una squirtata che non m’aspettavo proprio…» Gemma.
«Scusa. Ma il giro di lingua al buco del culo, mentre stavo venendo, ha bloccato ogni freno. Non ho più capito nulla.»
«Non hai niente da scusarti. Mi è venuta così.… Ora che ti vedo così serena sono la persona più felice del mondo. Direi che adesso possiamo dormire» e spegne l’abat-jour.
Gli occhi negli occhi
Gemma non riesce ad addormentarsi. Avere l’amica nel letto per tutta la notte la eccita. Pensa ai sacrifici fatti per tenere integra l’imene. Ai giochi di fantasia che ha inventato per godere senza compromettere la propria verginità. Sacra per lei. Passa così in rassegna a tutti quei ragazzi che avevano tentato di penetrarla e che avevano dovuto prenderla persa e accontentarsi di una sega. Indubbiamente ben fatta, ma pur sempre, una sega.
Non sono pochi. Lei li ritiene i testimoni della propria virtù. Virtù per modo di dire. Dal momento che il suo atteggiamento ha, addirittura, sacrificato la verginità del buco del culo. Soprattutto.
Questo le aveva dato il tempo di consolidare la sua amicizia con Elena e assieme a lei, avvicinarsi al mondo saffico, limitando quella trasgressione a un rapporto esclusivo di grande amicizia e solo con lei.
Questa la causa dell’eccitazione che la tiene insonne fino ai primi barlumi del nuovo giorno.
A quel punto non resiste più…
Elena dorme beatamente appoggiata frontalmente al suo corpo. Le labbra di lei emettono il leggero respiro, a pochi centimetri dalle sue. Ne sente il sapore. Quello che le piace tanto condividere nelle loro prolungate lingue-in-bocca.
Le si avvicina e gliele sfiora con le sue.
Si muove in maniera molto delicata, Gemma. Vuole appropriarsi di tutta la sensualità di quel caldo corpo dormiente fra le sue braccia. Una sua mano si muove sfiorandole il ventre.
Elena lo percepisce come parte di un sogno in cui protagonista è lei, Filippo e Gemma stessa.
La mano scende su quei bei peli color rame: un po’ più chiari dei capelli. Tocca la fessura. Sente che le labbra sono rigonfie. Un po’ di umidità le ha irrorate.
Elena sta veleggiando verso un dolce risveglio.
Le palpebre sussultano leggermente. Gemma se ne accorge e gliele bacia. Le accarezza gli occhi con la punta della lingua.
Elena è sveglia. È il momento magico in cui le loro lingue si intrecciano impazzite in una loro danza.
I pubi si toccano. Si spingono. Si strofinano. Anche loro sentono la necessità di unirsi. Quasi uno penetrare l’altro.
Soffiano, mugugnano e gemono le due belle donne. Per le loro fighe è il trionfo del risveglio. Sono fradice. Una porge all’altra i fluidi dei propri umori. Il godimento è immane. Vengono.
I primi rai dell’alba le trovano esauste una di fianco all’altra. Girate, gli occhi negli occhi.
È veramente un signor buongiorno!
Tortellini alla panna
«Il signor Sindaco, vi raggiunge subito. Mi ha detto di farvi accomodare nella Sala Rossa». a
Elena si ritrova innanzi l’autorevole figura del Sindaco della sua Città. È un botta risposta con Lucia. Sintetico e scaltro. La bella reporter annotta tutto nel suo taccuino, stenografando.
Poi via, verso Palazzo Malvezzi per quattro chiacchiere con il Presidente della Provincia.
Intanto… Lucia continua con i consigli.
«E tu dici che non mi farebbe male imparare la stenografia?»
«Oh, sì. È molto utile nel nostro mestiere… Vedi, stanotte, tuo padre aveva interessanti informazioni sul Partito, qui a Bologna. Lui parlava e io alla stessa velocità della sua voce ho scritto quello che diceva. Lui era incredulo che quei segnetti potessero restituire esattamente le sue impressioni e mi ha sfidato a rileggergli quel che avevo scritto. Si è stupito della corrispondenza e mi…» non finisce la frase e arrossisce.
«… e ti ha baciato.» È Elena a finire la frase. Lucia balbetta qualcosa che dovrebbe sminuire quanto le era sfuggito. Elena, con grande far-play cambia discorso:
«Ti faccio conoscere un posto molto fico per noi giovani» e la conduce per i vicoli dell’antico ghetto ebraico.
Il frenetico viavai nell’ora di pranzo della Birreria Lamma, sbalordisce anche una milanese come Lucia. Si siedono a uno dei pochi tavoli liberi ed Elena, va a rifornirsi di due pinte di birra: «Qui, è molto buona.» Le labbra fra la soffice candida schiuma. Un sorso rinfresca la gola… Elena: «Come hai trovato papà?»
«Molto provato… non ho più visto quel suo sorriso sereno che avevo visto a Milano.»
Ad Elena quando si fa strada in lei un ragionamento compito, difficilmente riesce a non esternarlo. Così: «Siete riusciti almeno a farlo?» Butta lì con tutta la malizia che può.
«Come ti… – ci ripensa – Oh, sì. È stato meraviglioso.» È beffarda l’espressione sul suo viso.
Elena: «Forse è proprio quello che ci voleva. Non posso che ringraziarti. – Ha gli occhi umidi – con tutto il bene che ancora le voglio: mamma, questo, non lo doveva proprio fare.»
Lucia è visibilmente imbarazzata. Rovista nella borsa. Trova un pacchetto di Camel. Se ne mette in bocca una: «Tu fumi?»
«No ma se me ne dai una, ci provo – tossisce – Papà non si è mai intromesso nei miei affari di cuore. E ne avrebbe avuto di ragioni per farlo. Io non posso che fare altrettanto. Quindi, se me lo tratti con amore, non posso che volerti bene. Diventerò crudele se lo farai soffrire. Osservandolo in questi ultimi giorni. Da quando si sapeva che saresti venuta a Bologna. L’ho visto trasformarsi. È tornato il papà che tutte le mie compagne di scuola invidiavano.» Un abbraccio è di rigore.
«Non hai idea cosa è stato e cosa è, per me, aver conosciuto il tuo papy.»
«Tutto questo per dirti che finché ci sarai tu io vi lascerò il campo libero. Se vuoi restare qualche giorno in più per me non è un problema. Ho chi mi ospita con tanta gioia.»
«Grazie, tesoro. Sei la figlia che tutti dovrebbero avere. Penso che per un paio di giorni approfitterò della tua benevolenza. Per tutto il resto non avere timori. Uby è la cosa più cara che mi sia saltata addosso.» Ridono tutte due del doppio senso.
«Non credere però che io desista dal far tornare a casa mamma.»
Al cameriere presentatosi per la comanda: «Tortellini alla panna per tutte e due. –giustificandosi con Lucia – Per i bolognesi sono una bestemmia ma sono tanto buoni.»
Ho sempre dieci dita
All’amore di soppiatto di Uberto e Lucia si aggiungono altre tre notti infuocate. Per l’approccio al giornalismo di Elena sono tre intense giornate, in cui Lucia le racconta come farsi leggere con entusiasmo. Va con lei a far le interviste, per suggerirle trucchi e trucchetti del mestiere. L’assiste nel riordinare il materiale. In parole povere il numero uno di Femmine, periodico tutto al femminile diretto da Elena Alberti, è pronto per la tipografia.
Ci vuole una festicciola di auspicio per la svolta alla vita di Elena e non solo. Lucia suggerisce di farla in casa. Va lei a scegliere le leccornie e prepara il buffet rigorosamente solo per gli invitati: loro tre e, verso la mezzanotte comparirà per un saluto Gemma, che non vuole rinunciare alla rappresentazione estiva, in Piazza, dell’Aida di Giuseppe Verdi.
Il professor Uberto Alberti ha dato mandato al proprio avvocato di iniziare l’iter, presso la Sacra Rota dell’annullamento del matrimonio con la signorina Sarah Cohen. Tanto perché non succedano episodi che potrebbero rovinare la festicciola, nel pomeriggio, ha fatto sostituire la serratura alla porta di casa.
Le due ragazze nel tardo pomeriggio si sono recate assieme dal parrucchiere per riordinare le proprie chiome.
Quando escono dal bagno in cui reciprocamente hanno dato gli ultimi tocchi al proprio aspetto sono una magnificenza.
Si presentano a Uberto Alberti, intento in sala ad aprire alcune bottiglie di pregiato vino e a lui si inumidiscono gli occhi dalla gioia, abbracciandole.
«Ti saresti mai immaginato, papy, una festa così in onore della tua amante?»
Commosso, imbarazzato, il chirurgo, osannato per la sua fermezza e sangue freddo nelle più difficili situazioni, arrossisce spudoratamente.
«Quando ho maturato la decisione di lasciare andare il cuore verso Lucia, la cosa che più mi ha preoccupato era come subire lo sguardo di riprovazione che sicuramente mi avrebbe lanciato mia figlia…» salta il primo tappo di spumante.
«Non è detto che non provi a far tornare mamma a casa. Per me è sempre stata una importante sponda.»
«Non sono certo io la persona più adatta a dare certi consigli. Forse hai già l’età per pensare a qualcosa di stabile nella tua esistenza… Ma ce l’hai un fidanzato?»
«Quello no. Visto che è la serata delle verità e di tutte le carte in tavola, vi dirò che un fidanzato no ma un amante sì.»
«Con moglie e figli?» Lucia.
«No. Ma è in cerca.»
«E allora perché amante?»
«Perché ci amiamo. No?»
«Ci dai qualche informazione in più o ce lo dobbiamo immaginare solo come un perfetto Romeo?»
«Stasera sono in vena di confidenze e vi dico chi è, tanto lo conoscete e così anche papy non avrà nulla da dire se, quando tornerà a Bologna, al mattino, lo vedrà uscire dalla mia stanza.»
Fra lo stupore dei due dice nome e cognome dell’amante.
«Ma è un bimbo?» Lucia pronuncia la solita battutaccia.
Elena si arrabbia e quando succede, diventa sempre volgare:
«Se te lo trovasti nel letto faresti presto a cambiare idea.»
«D’altronde, sei una bella bimba anche tu.» Smorza la discussione con un bacio sulla fronte. E…:
«Come vedi, preferisco prodotti più stagionati. – Lì per lì, senza remore, ficca la lingua nella bocca di Uberto – Così non ti meraviglierai se domattina lo vedrai uscire dalla mia stanza.»
In nome della verità, senza falsi pudori, il buffet prosegue. Ma non per molto. Dopo la terza coppa di spumante, Lucia diventa aggressiva nei confronti di Uberto. Gli si struscia sempre più spesso contro. Lo bacia appena Elena è in secondo piano. Poi – e sono solo le dieci – «Uby, mi porti a letto. Se bevo ancora, poi mi viene il mal di testa.»
Un attimo dopo trilla il telefono. È Gemma: «non riesco a passare da voi. Ho rimorchiato uno che mi sembra quello buono. È carino, giovane, della nostra età, educato. Sembra anche di buon portafoglio. Pensa che mi ha invitato a cena per il dopo-concerto Al Pappagallo. Che dici faccio male?»
«Ma gliela farai annusare questa stessa sera?»
«Non credo. Comunque, ho cambiato le lenzuola nel letto.»
«Non preoccuparti per me. Ho sempre dieci dita.»
«Mi dispiace tanto…Oh… Sta suonando la campanella del terzo atto…»
Al di là della parete
Al di là della parete la libidine sta raggiungendo il massimo dell’intensità. La lingua di Uberto ha cominciato dalle ginocchia. Da dove copre le gambe la gonna estiva.
«Chiavami, ma con la lingua no. –Dice lei. Rispettosa che nella stanza attigua vi sia la figlia di lui. Che pur se adulta e consapevole di quel che può succedere fra un lui e una lei in una stanza munita di letto, è pur sempre la figlia di sua moglie – Quando me la lecchi se non urlo sto male.»
Lui con un cinismo a lei finora sconosciuto: «Cosa credi che quando quello là gliel’avrà leccata, Elena abbia recitato “La donzelletta vien…”?»
A Lucia scappa da ridere. È seduta sul letto e, da signorina di buona famiglia borghese, tiene le ginocchia unite. Certi lazzi del suo uomo, da tutti ritenuto persona autorevole, la divertono. Si rilassa. Attenua la stretta delle gambe e la mano di lui s’incunea con decisione. Da lì e scoprire le cosce è un attimo. È quello che infiamma ulteriormente Uberto. Gliele bacia e dà l’ordine alla lingua di andare in avanscoperta.
Per Lucia, a un brivido ne segue un secondo più intenso. Molla ogni freno e aggiunge il suo desiderio alla bramosia dell’amante. Lascia che lui le sfili la gonna [N.d.A.: a quel tempo ‘sottana’] e allarga le cosce.
Indossa un lezioso paio di mutandine che, il leggero tessuto, lascia trasparire la macchia scura del pelo pubico.
È davanti a questa visione che la bocca di Uberto sosta a rimirare l’ardita immagine.
Lucia, che si è lasciata cadere sul letto, inarca la schiena, solleva e protende il bacino verso quel volto in posa estatica. Nello stesso momento le mutandine si inumidiscono.
Uberto gliele sfila e unisce le proprie labbra a quelle della figa, ora dinanzi agli occhi.
È una catena erotica quella che dilaga in via Ugo Bassi 9, in casa Alberti:
Con la lingua, Uberto riversa, nella vagina di Lucia, tutta la sua libido.
Lei, lo invoca con grida e mugolii ad alta voce. In certi momenti, anche cantando un’antica canzone della malavita milanese.
Nella stanza accanto, Elena non riesce a capacitarsi del fatto che sta masturbandosi erotizzata dai gemiti di un amplesso del proprio padre con l’amante. È già venti minuti che fa girotondo con una mano sulla clitoride e con l’altra si penetra… Ma di godimento neppure un minimo segnale. È sudata. Provata…. Abbandona.
Sono le undici… Il trillo del telefono è quello di Filippo. E Lei si corica. È più comodo cinguettare d’amore sdraiati.
Lo sente strano. Lo provoca: «Non ti è ancora venuto duro?»
Lui di malavoglia: «Mio padre ha invitato a cena il vicesindaco e la sua famiglia. Io mi sono assentato un attimo per chiamare te. Non credo che avrò la concentrazione per trovare le giuste fantasie da godere con te, stasera.»
«Come! Adesso che me l’hai detto, lo pretendo…» e porca più che mai, mette la cornetta fra le gambe sperando di potergli trasmettere lo stropiccio delle dita fra le labbra della figa. Ma forse questo passaggio non funziona.
Lui insiste di non essere nella condizione ideale per quel tipo di piacere: «Se vuoi possiamo raccontarci qualcosa… Così stiamo un po’ insieme.»
Lei finge di essere d’accordo, ma inizia a descrivere minuziosamente cosa avrebbe pensato per lui se fosse stato lì accanto a lei. Tutta roba di bocca e lingua: dal buco del culo alla cappella. Passando per il perineo e lo scroto…
«… che va sempre mordicchiato.» … Lunghe succhiate stringendo il bordo del glande con le morbide labbra e un finale con gli schizzi negli occhi: «Che tu poi vorrai ripulire con la tua lingua… Dio, tesoro, che bella sborrata sapresti offrirmi!»
La voce sensuale e sospirosa compie il miracolo. Lei viene e lui sta per spruzzare nel fazzoletto.
«Non vedo l’ora di venire a Bologna!»
«Più probabile che fra qualche giorno sia io a venire a Milano – e, carogna più che mai! lo trattiene ancora per raccontargli l’aiuto di Lucia e il numero uno di Femmine praticamente fatto. Con una battutaccia colma di cattiveria si chiude quella telefonata – Così mi descriverai l’anello di fidanzamento che tua madre ha scelto per te e che donerai alla figlia del vicesindaco.»
Bene o male la telefonata con Filippo ha prodotto gli effetti sperati. Elena, pur se oltre la parete dove sta la stampa che riproduce Les Demoiselles d’Avignon di Picasso, non si sentono più quei gemiti erotizzanti che l’inquietano, riesce a prendere sonno.
La mattina successiva Lucia rientrerà a Milano portando a Maria Pia la bozza del primo numero di Femmine.
Elena poi salirà a Milano sul fine della settimana.
Dall’altra parte della parete, ancora per un po’, si odono solo sussurri fra i due innamorati che non osano consegnarsi al sonno in quella notte del loro arrivederci:
«Mi raccomando telefonami ogni sera. E quando vai a Roma, parti un giorno prima e fermati qui. Penso che faccia piacere anche ad Elena.»
Pettegolezzi mirati
Per Elena è una mattina molto indaffarata. Deve confezionare tutte le cartelle che Lucia porterà a Milano. Lei, visto l’impegno della ragazza, le sta dando una mano. Un’occasione di più per conoscersi meglio al di fuori degli argomenti che le riguardano.
«Così hai messo gli occhi sul rampollo dei Bonomelli. Lo conosco da quando era bimbo-bimbo. Per quel po’ che l’ho incrociato, nelle cene a casa loro, mi ha sempre dato l’impressione di un ragazzino dolce e malinconico.»
«Io più che altro ci ho messo la figa. Lui, il cazzo. Per essere sinceri, tutti e due, anche del sentimento. Lui mi sembra ben cotto. Si rapporta con me sempre più come un moroso, piuttosto che un amante. Forse perché sono la sua nave scuola.»
«Certo che per un adolescente trovare una bella ragazza come te, che assomiglia tantissimo a mamma sua e che gli insegna a fare all’amore… Io non ho studiato psicologia… ma c’è d’averlo sempre duro.»
«In effetti… Sul materasso non è mai stanco.»
«Peccato che mamma sua: bella, ricca ma ignorante come una capra, lo voglia maritare con la figlia del suo più recente amante: bruttina e insulsa: erediterà, comunque, 5 farmacie, qui a Milano più una in ogni capoluogo della Regione. L’impero del farmaco! Nella Milano informata si parla solo di quello! Attenta, ragazza mia. Se s’accorge che qualcuno potrebbe intralciare i suoi piani, può uccidere. Io con lei non vorrei mai averci a che fare… La tua bozza gliela faccio recapitare dal fattorino della Redazione. – Poi, cambiando tono – Ma tu che mire hai su il Filippetto?»
«Non lo so neppure io… Non credo di amarlo… Ma dopo la settimana che serenamente abbiamo passato sul Lago, vorrei trovarmelo qui, adesso…»
Suonano alla porta. È papy Uberto che aspetta sotto con l’auto per accompagnare Lucia in stazione.
Le due ragazze si abbracciano. Non si baciano. Lucia ha riempito le labbra con un rossetto che più rosso di così non si può immaginare. Ha detto ad Elena: «Voglio lasciargli un segno indelebile del mio amore… Se troverai suoi fazzoletti così marchiati può essere solo colpa mia… Non credo che in Italia ne giri un altro stick… L’ho comprato a Mosca, l’ultima volta che sono andata per lavoro. »
“Se lo sapesse mamma che il diavolo ha già nidificato in questa casa e nel corpo del suo sposo?” Sovviene ad Elena che ne ride.
Fra 20 minuti da Zanarini
Andata che è Lucia, Elena resta con una grande arsura in bocca e il turbamento suscitato dal quadro che le ha tracciato l’amante di babbo suo sulla famiglia Bonomelli.
L’arsura la spegne preparandosi un pastis come fa di solito suo padre con quella verde bottiglia portatagli dalla Francia, dal cugino Felice quando era rientrato dall’esilio.
Il lattiginoso liquido scende nella gola rinfrescandola Le dà tono alle membra e una vampata di euforia alla mente.
Si accorge che i capezzoli le si sono induriti pur non avendo richiamato con il pensiero alcun tema erotico.
Ma la battaglia che le si potrebbe scatenare per la conquista dei sentimenti di Filippo, sarebbe tutta a colpi erotici.
Lei ha voglia di pugnare. Per lei, in quel momento, la battaglia è un fatto erotico.
Nella sua testa si è formata un’idea bellicosa che vuole realizzare.
Rintraccia Filippo telefonicamente:
«È un’ora insolita per le nostre cose. È successo qualcosa?»
«Oh, sì. Due cose importantissime. La prima che avevo voglia di te: di vederti. Sentirti, parlarti.… La tua voce. La seconda, che giovedì verrei a Milano. Starei fino a domenica… Possiamo organizzare qualcosa lontano da tutti per stare assieme.»
«Anch’io dovevo dirti qualcosa di importante. Domenica sera i miei hanno organizzato la festa del mio fidanzamento. Mamma inviterà pure te…»
Lo interrompe Elena: «Allora fra di noi tutto si ferma qui?»
«Ma cosa dici? Noi venerdì e sabato siamo all’Isola dei pescatori. Dove io festeggerò con te l’inizio della fine del mio celibato …. Ricordi che l’avevamo programmato assieme l’altra settimana?» A Elena viene il groppo in gola.«Sì sì… Ricordo benissimo. Ti farò fare faville. Anzi, ora che me l’hai confermato, vado subito a trovarti un regalino. Sarà una sorpresa! Chiamo poi tua madre per dirle che sarò da lei giovedì ma che rientro in giornata. Se mi dice di domenica confermo che tornerò su.»
«Sento che sprizzi energia da ogni poro. Sembri un satanico folletto. Vedrai che ci divertiremo in questi 5, 6 anni di clandestinità. Sicuramente non acconsentirò al matrimonio prima della laurea…»
«È il dopo che mi spaventa… Tramerò per farti bocciare ad ogni esame. – Elena taglia corto – Ne parliamo stanotte… Ti va?»
«Come no. A stanotte.»
Elena può dar sfogo a quel po’ di pianto che non aveva voluto si notasse al telefono.
Cosa breve. Si asciuga in fretta le lacrime e chiama Gemma all’Archiginnasio:
«Fra 20 minuti da Zanarini… I caffè, oggi, li pago io.»
«Socc’mel Elena. Che perfida maliarda sei! Vado subito in segreteria a dire che venerdì e sabato sono in ferie. [N.d.A.: in quegli anni si lavorava anche il sabato]. Penso che fra te e il romanticismo del Lago… mi godrò come non mai il suo pisello e la tua gnocca. [N.d.A.: Molto bolognese… Sta per figa.]»
«Vado a mangiare in trattoria da sola. Così avrò tutta la calma necessaria per mettere a punto questo trescone.»
Sarà un’abbondante porzione di tagliatelle della Cervetta a suggerirle le idee più sottili. Il barbera, quelle più maliziose.
Investe ben 150.000 lire in biancheria intima per quella – chiamiamola – trasferta. In treno, fingendo di dormicchiare, ha modo di ripassare ogni aspetto di quell’intrigante fine settimana.
Alla stazione, ovviamente, non c’è nessuno ad attenderla. Sarà un taxi a portarla alla sede del Gruppo dove l’attende Maria Pia.
Ho anche l’amante
«Sei una bomba. Ragazza. Hai fatto un ottimo lavoro. Questa mattina l’ho dato a Giangiacomo che deve andare in Federazione socialista. Li è la redazione dell’Avanti e c’è sempre la Boeri, una bravissima giornalista che Giangi conosce bene. Le chiederà cosa ne pensa.» Elena trassale.
Maria Pia si dice indaffaratissima a seguire i preparativi della festa di domenica, a cui, insiste molto, che deve esserci anche lei: «Purtroppo ho la casa piena di ospiti che verranno da fuori. Tu, se vai all’Hotel Astoria puoi prendere la camera che vuoi. Passo poi io a saldare… – Si accende una sigaretta e sfoga la tensione che quell’evento le procura – Si tirerà tardi, domenica. Ho fatto venire anche un’orchestrina. Si ballerà… Ballerai anche tu. Vero?»
«Oh, sì. Sono anche andata a lezione di Bugi e Rock.>
«Bene, bene. Dobbiamo fare una bella festa. Filippo se la merita… Ci ha messo un po’ a maturare… Adesso lo vedo convinto anche sul fidanzamento. Da quando s’è iscritto all’università mi sembra più consapevole che sarà un futuro capitano d’industria. – Poi – Tu ce l’hai il fidanzato?» Qui, Elena aggiunge qualcosa al copione.
Un’improvvisazione: «Il fidanzato non ce l’ho. Ho però l’amante.»
«Carina come sei, è previsto. È sposato?»
«Non gliel’ho ancora chiesto. Credo che viva assieme a una vecchia fiamma. Non mi parla mai di lei. Amici mi dicono che sia molto ricco. Vive qui a Milano… È un problema per te?»
«Figurati, siamo laici… Anzi, se vuoi invitarlo alla festa, mi farebbe piacere conoscerlo… – Ci pensa un po’, e… – Vedi… io il marito ce l’ho, ma ho anche l’amante. Perché vergognarsi?» L’abbraccia. Si sente molto più vicina a quella bella ragazza a cui tanto assomiglia nell’aspetto. “Stando così le cose, sarà più facile collaborare. Due con lo stesso peccato si coprono sempre vicendevolmente.” È il ragionamento che si genera in lei.
Un paio di toast in Galleria e via in stazione per raggiungere Stresa dove ha appuntamento con Filippo.
Caffè Milano. Sul lungolago. Bacio prolungato.
La gelosia
«Avevo una gran voglia di vederti» Parole che escono facili dalle bocche. Quasi per convenzione. Quelle di Elena sono accompagnate da un sospiro di sollievo: “Adesso sei qui. Ti vedo, ti parlo. Mi vedi… ti ascolto. Per ora mi basta questo.”
Lui, le sembra più maturo di quando si erano lasciati l’ultima volta, innanzi alla stazione di Milano. Forse è la barba che, quella mattina, non ha rasato. Lo trova dolcissimo nei comportamenti. Anche galante. Un vero tombeur de femmes e questo l’ingelosisce. Anche se tra di loro la gelosia è stata messa al bando con un giuramento fra le lenzuola.
È tormentata da questo fidanzamento che non s’aspettava: “Poi ci sarà il matrimonio… con la prima notte. Lui, al telefono, le ha raccontato che lei vuole arrivare al matrimonio vergine. Per quei pochi attimi che l’ha vista, non le è sembrata una gran figa. Ma chi può dire come sarà sul letto?… Una deflorazione se gestita teatralmente può far breccia in un carattere portato alla gentilezza come quello di Filippo… Ci saranno ancora fra di loro successivi incontri? E quando ci saranno figli?” Quesiti che frullano nella sua testa innervosendola. Guastandole, ogni dolcezza del loro incontro.
Sarà un motto gentile di lui a riportarla a quell’atmosfera che li aveva spinti una nelle braccia dell’altro:
«Hai cambiato pettinatura. Ti fa un tantino più sbarazzina. Sembri una della mia età… Sei meravigliosa!»
«Mi son vista brutta in una vetrina mentre andavo in stazione e sono entrata dal primo parrucchiere che ho incontrato per strada. Mi ha chiesto che taglio volevo e gli ho detto: “… per andare dal mio amante”. Ha voluto sapere l’età dell’amante e mi ha conciata così.»
Un bacio ci sta proprio.
«Ecco… un ragazzo tanto tranquillo ed educato – dice la cameriera che lo conosce da quando era bambino – Appena trova una ragazza si scatena. – Elena ride sonoramente – Gliene dia ben un altro di baci, se no, mica mi lascia la mancia.»
Elena accetta il consiglio e dimentica le elucubrazioni su cui si è adagiata pocanzi: «Portaci bene altri due di questi beveroni. Che li pago io, così non corri rischi per la mancia.»
È un momento idilliaco per i due innamorati.
L’alcol delle bibite li ha un po’ storditi. Sotto l’ombrellone di quel caffè spira una fresca brezza. Mano nella mano, si guardano dritto negli occhi, ignorando la bellezza di quel Lago che ha per sfondo maestose montagne.
In quella pace il sobbalzo di Elena è una violenza allo stato riflessivo del suo amante: “Cazzo, Gemma“! e mette fine a quell’estasi tanto condivisa, alzandosi.
«Cosa c’è?»
«Il tuo regalo… Devo andare a prendere il tuo regalo.»
«Regalo?»
«Sì. Ho pensato che questo evento vada battezzato con un regalo…Posso?»
«O, sì. Ho pensato la stessa cosa e ce l’ho in tasca… Vuoi che venga con te?»
«Non sarebbe più una sorpresa. Ti odierei… Aspetta qui.»
Madonna, se ti sei fatta figa!
Quando Elena arriva in stazione, Gemma è scesa dal treno proprio in quel momento. Su quel marciapiede forestiero si sta guardando attorno spaesata. Vede l’amica e le corre incontro abbracciandola: «Madonna, se ti sei fatta figa!… e sono solo due giorni che non ti vedo. Stai veramente bene, tirata da ragazzina.»
Elena è seria. In lei la preoccupazione che tutta quella trasgressione che ha programmato si trasformi in un inghippo madornale che le si rivolterà contro. Ma la vera ragione è la vampata di gelosia esplosa in lei negli ultimi giorni. Forse non ha fatto bene a coinvolgere Gemma.
È la prima cosa che le dice: «… non sono sicura di me stessa quando ti vedrò amoreggiare con Filippo. Un’ora fa quando l’ho rivisto ho capito di amarlo. Non solo come amante, per il suo bigolo. Ma con il sentimento più profondo. – Piange – Non so più come andare avanti nell’avventura in cui sono andata a cacciarmi.»È abbracciata a Gemma e singhiozza.
«Se credi, io posso tornare a Bologna. Mi dispiace. L’avevo trovata un’ottima idea ma quando c’è di mezzo la gelosia, tutto si immerda.»
«Non andartene! Non è così che posso sistemare le cose. Sono ancora convinta che l’unica maniera per tener legato a me Filippo è che tra me e lui si instauri un rapporto libero e aperto. Tu mi devi aiutare a scrollarmi di dosso il malocchio della gelosia… Per favore, Gemma!»
«Dai che ce la facciamo!… Cosa dobbiamo fare adesso?»
Elena si asciuga le lacrime. Si guarda in una vetrina. Si aggiusta il leggero trucco degli occhi: «Filippo mi aspetta al Caffè Milano. Gli ho detto che andavo a prendere il suo regalo. Sei tu, ma non lo sa. Non posso tornare a mani vuote. Lui, in tasca, ne ha uno per me.»
«Poi come procederà la giornata?»
«Col motoscafo andremo alla locanda di Filippo sull’Isola. Ceniamo. Saliamo in camera… Festeggiamo il suo fidanzamento.»Torna ad abbracciare l’amica. Questa volta con un quasi-sorriso.
È il mio regalo
«Beh, Gemma, cosa fai qui?»
«Passavo da queste parti… Mi sono persa… e, toh, chi ti trovo!»
«Io qui sono a casa mia… – Arrossisce. Il suo volto si riempie di un sorriso – non è che tu sei…»
«Proprio così, amore… è il mio regalo.»Elena è sbucata dal nulla.
«Che care che siete! Questo sì che si chiama amore. – Bacia prima Elena, poi Gemma, dilungandosi con lei – Proprio un bel regalo!»Con le mani sulle natiche la stringe a sé. Quasi sicuramente per farle sentire che c’è l’ha duro.
Gemma si esprime confermando: «Wow!»
La signora Francesca che “conosce Filippo… fin da quando era un bimbo” non può che esclamare: «Addirittura due, sei incontenibile!»
Filippo si assenta per organizzare il trasferimento di tutti e tre sull’Isola ed Elena concorda con l’amica, di modificare un punto della sua strategia.
«La locanda di Filippo è quanto di più romantico possa esserci. Vedrai che ti piacerà. La cucina è straordinaria, fanno il pesce di lago come lo si faceva cent’anni fa… Volevo dirti che quando Filippo vorrà darmi il suo regalo, io dirò che vorrei riceverlo in separata sede. In camera. Tu avrai già capito che noi saliremo e tu dovresti trovare una scusa per trattenerti da basso. È una cosa a cui tengo io. Lui non ne sa niente. Così spero, oltre al regalo, di prendermi anche un po’ di uccello. Che sicuramente farà fugare da me ogni ossessione… Ti dispiace?»
«Mo no, veh. Potrei sempre tentare di abbordare uno dei camerieri. Forse potrò tirare su un qualche ciappino in più.»
Coregone e temolo
Il motoscafo scivola sul placido Lago. L’unica parte dell’imbarcazione fuori dalla vista del pilota è l’angolo sinistro. È qui che le ragazze possono finalmente ficcarsi la lingua in bocca con un certo trasporto. Accanto loro, Filippo se lo accarezza sopra gli short… Poi entra pure lui in gioco. Prima con Elena, poi con Gemma, che notato il rigonfiamento sotto la stoffa, glielo accarezza pure lei.
L’Isola si sta avvicinando.
«Appena mi ha telefonato, siur Filippo, ho fatto preparare l’appartamento che abbiamo di fianco al ristorante. Lì in tutta libertà potete usufruire di due camere e altrettanti servizi. Le camere sono attigue e hanno in comune la terrazza. Questa è la chiave. Mi dispiace ma nell’albergo, abbiamo tutte le camere occupate. Se volete appoggiare le vostre cose. Intanto prepariamo l’unico tavolo sul terrazzino. Sicuramente è il più bello: vista Lago.» Egidio, che con la sorella, fa andare avanti la baracca di cui Filippo risulta proprietario, dà loro il benvenuto.
Filippo sa che, lui e la sorella, sono persone discrete e assolutamente fidate: non racconterebbero mai ai suoi genitori del passaggio del loro figliuolo in dolce compagnia plurima.
Coregone e temolo alle braci, sono i piatti forti di Augusta, la sorella. Tutta la cucina è sulle sue spalle.
Il buon vino bianco scorre con dovizia. Il dolce è molto liquoroso. Una vecchia specialità locale.
La serata è fresca. La luminosità del cielo lascia vedere in lontananza le forme delle possenti montagne. Il tavolo è nella posizione giusta per un idillio.
L’atmosfera provoca i tre commensali che, attenti allo scricchiolio della scala di legno, che rivela quando Egidio sale per portar loro qualcosa, non mancano di scambiarsi effusioni molto audaci: Filippo si è posto al centro del lungo tavolo. Subito ha cominciato a palpare le cosce di Elena. Questa, previdente, si alza e si sfila le mutande, che finiscono nella borsetta. Lui ha campo libero.
Le accarezza le cosce. Le dita si insinuano in mezzo le gambe a scostare le labbra della figa, già pronta e invitante. Infiammata la clitoride con tocchi dolci e decisi, l’orgasmo è lì, dietro l’angolo.
Il cielo, con le luci e i colori del plenilunio che si aggiungono al ditalino, la porta a sussurrare, appoggiata a lui: «Romanticamente fantastico!»
Filippo, in totale eccitazione, si sciacqua le dita nel bicchiere di bianco che poi beve. Elena gliele succhia.
L’atmosfera si è leggermente raffreddata per l’arrivo del cameriere con gli antipasti.
Qualche pescetto marinato e il fuoco si riaccende.
Filippo si gira verso Gemma e, con qualche battito di sopracciglia, le trasmette le proprie intenzioni.
Gemma che in queste cose è molto perspicace, si alza e cala lo slip. Solleva la gonna. Gliela mostra.
Una figa, curatissima nel pelo!
Purtroppo, la scala fa sentire i suoi cigolii e tutti si ricompongono.
Arrivano i gnocchetti al sugo di coregone.
Vengono divorati in un attimo.
Dov’eravamo pur rimasti?
«Dov’eravamo pur rimasti?» Filippo, fa lo spiritoso e il quadro interrotto si ricompone. Filippo inizia ad accarezzare il vello di Gemma.
Lei è in piedi e si posiziona in maniera che lui possa farla godere stando comodamente seduto innanzi al proprio bicchiere.
Elena non sta a guardare. Scola un buon bicchiere di bianco, tanto per farsi coraggio. Si insinua fra i due corpi e, bottone dopo bottone dà aria al cazzo di Filippo. Lo masturba in tutta velocità e quando sta per venire lo prende fra le labbra e glielo succhia come suonasse il piffero.
Dopo poco si pentirà di quella istintiva reazione. Mamma, a suo tempo, le aveva consigliato di non mettere mai il bocchino al proprio partner, fra le prime attività di una serata d’amore. Molte volte, il pene svuotato, fatica assai a riprendersi. Ma Elena sa che sul cazzo di Filippo si può contare. Sorride beata sciacquandosi la bocca con un altro bicchiere di bianco.
Filippo, che ha portato a gusto Gemma, sta, come educazione vuole, ringraziando con baci la sua bocchinara.
Il compito di essere un regalo
Scala che scricchiola. Il cameriere porta i pesci alla brace.
In quella terrazza una pacata allegria.
«Visto che ho già cominciato ad assaporare il tuo regalo, – Gemma, beffardamente si alza. Solleva la gonna e ripresenta l’affascinante pube. Tanto perché non ci siano dubbi che lei, è lì come regalo. – dopo il dolce ti darò il mio» e appoggia sul tavolo un astuccio. Uno di quelli con cui le oreficerie impacchettano i gioielli.
Con il dolce e l’Asti spumante, arriva il momento di vedere il regalo ma, Elena, già seduta sulle ginocchia di quel ragazzone, si oppone: «Mi piacerebbe aprirlo in camera, vis a vis, io e te – e rivolta a Gemma – Ti dispiace Gemma se noi due ci ritiriamo e ci ritroviamo fra un’oretta in stanza. Tanto tu dormi con noi. No?»
«Oh, sì. Dovrò pur svolgere il mio compito di regalo.»
Una stanza tutta fru fru
La cameretta, arredata in stile della nonna è molto leziosa. Pochi mobili fanno da contorno al letto, in ferro battuto.
Filippo vorrebbe subito mostrare ad Elena il dono. Lei preferisce far le cose con calma: «E’ qualcosa che s’indossa?»
«E’ un monile… S’indossa sì.» e fa per aprire l’astuccio.
«Che fretta hai? Non vedi che non sono ancora pronta… Piuttosto dimmi come mai hai pensato di regalarmi un monile?»
«È un oggetto che per me ha un grande significato. Era di mia nonna Jolanda. Che dall’anno scorso non c’è più. L’aveva acquistato per lei, nonno Evaristo, appena arrivarono a Venezia nel viaggio di nozze. Lei mi ha detto più volte che l’avrebbe messa al collo, lei stessa, a “colei” che avrei portato all’altare.»
«Ma tu non mi stai portando all’altare e ci porterai un’altra.»
«Questo non è detto. Però tu sei ‘colei’ che amo.» e sembra determinato ad aprire lo scrigno.
Qualcosa non funziona. La chiusura si inceppa. Bestemmia e si mette ad armeggiare per aprire.
Elena, che non è ancora pronta a ricevere il dono: «Io, intanto, vado a pisciare.»
È una pisciata ponderata: bidet, aggiustamento della pettinatura… e uno dopo l’altro si toglie ogni indumento. Esce nuda. “Bella come mai“, dirà poi lui nel vederla.
Intanto la scatola si è aperta e lui le porge un importante gioiello.
È un insieme di maglie d’oro cesellate, che reggono uno smalto a forma di cuore al cui centro è incastonato un brillante. Una fattura antica, molto curata. Solo a guardarla si capisce che è preziosa.
È emozionata, Elena: «Ne sarò degna?» sussurra, mentre lui gliela mette al collo.
Lui vuole che lei si veda, nuda con il gioiello addosso. Il guardaroba ha uno sportello-specchio che la riflette in tutta la sua bellezza.
Tra di loro, solo un rispettoso abbraccio, perché quel gioiello dà soggezione. Lei fa per toglierselo e riporlo nell’astuccio ma Filippo è perentorio: «Non vorrai negarmi almeno una trombata, con quella gioia addosso?»
«Ho solo paura che si sciupi.»
«Figurati!… Chissà quante ne ha viste da nonno Evaristo?»
La collana di nonna Jolanda
È un’immagine sconvolgente quella di Elena sdraiata sul letto con quel cuoricino rosso che scintilla fra le tette. Filippo la guarda rapito. Con una mano impugna l’uccello. L’altra sorregge i testicoli. È pronto a fiondarsi su di lei. Quell’immagine l’incatena. Si gratta il capo… riflette e annuncia alla trepidante Elena: «Te la lecco!» Lei divarica le cosce. La figa si schiude.
Prima ancora che la lingua la penetri, un prolungato fremito si impossessa di lei. Dovrà essere lei a gridare «Fermati! Mi fai impazzire!» per arrestare la furia amatoria di Filippo.
Lei lo tiene a lungo incollato alla bocca. Per sussurrargli, non appena riesce a proferir parola: «Chiavami… amore!»
Neanche dirlo: il rigido membro di lui scivola con dolcezza nella profondità della figa di Elena.
La sborra va a cadere proprio sul brillante del pendaglio «Adesso sì che è benedetto. Lo metterò ogni volta che faremo all’amore. Quando ti chiamerò per la sega telefonica della notte, pensa che in quel momento, avrò addosso il tuo gioiello.»
Sono al colmo della gioia e della soddisfazione: si mettano a cantare una canzoncina – Famme durmì, un successo del duo Fasano. [N.d.A.: Duo vocale molto noto nelle trasmissioni radiofoniche degli anni ‘50].
Socc’mel che gnocca che sei, Gemma!
Quel canto ben poco armonioso – i due amanti sono particolarmente stonati – dice a Gemma, rientrata nell’altra stanza, che il rito del regalo ad Elena, si dovrebbe essere concluso. Compresa l’ineluttabile scopata.
È orgogliosa di sé stessa, Gemma. Slacciando solo il terzo bottone della camicetta è riuscita a rimorchiare Egidio, cameriere e gestore della locanda. Da lui ha già ricevuto la lingua in bocca, un’erotica strizzata di tette e constatato con mano un’eloquente erezione. Di più non si poteva: In cucina, in aiuto alla cuoca, c’era Mimma, focosa moretta siciliana, tutta pepe e gelosia. La fidanzata di Egidio. Poi c’è sempre il fatto che lei è lì come regalo e potrebbe essere chiamata ogni momento a svolgere il suo ruolo. Con l’Egidio, l’appuntamento è programmato per il mattino seguente, quando i due piccioncini saranno al Tennis Club di Stresa a sgranchire i muscoli.
Gemma sta preparandosi per tutte le eventualità che potrebbero presentarsi nella notte.
Ha fatto una calda doccia. Dopo essersi asciugata, si è cosparsa con borotalco profumato. Crema sul pube, per far rilucere i peli, e alle labbra della figa… Crema attorno al bordo del buco del culo. Non si sa mai!
Si guarda allo specchio e: «Socc’mel che gnocca che sei, Gemma!».
In attesa che si compia l’oretta prevista da Elena, Gemma esce in terrazza a rimirare il panorama. Vede Egidio, sotto, sistemare i tavoli nella veranda. Le sovviene la buona impressione che le ha fatto stringergli la patta dei calzoni: «Wow!».
Roba, che a ripensarci sarebbe degna di un frenetico ditalino, ma visto che la nottata sicuramente offrirà di più…
E, «Wow!» va verso Filippo che con il cazzo duro proteso è uscito sul terrazzino dirigendosi alla sua stanza. «Venivo a vedere se c’eri.»
Lei glielo accarezza e scappella: «Elena?»
«Sta schiacciando un pisolino per riprendersi dall’emozione del regalo. Da una leccata e una scopata. Ci raggiunge tra un po’ in camera tua.»
«Vuol dire che da adesso sono il tuo regalo e puoi chiedermi quello che vuoi… tranne… Ci siamo capiti… Neh?»
«Sì, ci siamo capiti. Però, “tranne la figa”, non è mica poco!»
«Quella me la puoi sempre leccare.»
«E’ un ottima partenza… Comincerò da lì.»
«Se poi vuoi cominciare dalle tette e andare giù con la lingua non ti dico di no.» Lei stringe la cappella che ha impugnato. Lui, la prugna che lei ha fra le cosce. Le lingue si incontrano.
Un aereo sorvola a bassa quota l’isolotto.
«Anche papà ha un trabiccolo così. Per andare in Svizzera la rotta passa di qui.».
Chissà perché a Filippo viene in mente questo particolare aeronautico?
Un ditalino sapiente
«La rara arte di dove metter mano in una figa, era sapienza acquisita con le servette francesi di casa, che pur non concedendogliela nelle sue migliori funzioni, permettevano alle di lui falangi di vagare fra le loro più intime riseghe. Acquisendo conoscenza e affinando l’approccio tattile. Grazie alla pazienza di quelle umili contadinelle d’Oltralpe, Filippo può annoverarsi fra i più sapienti ditalinisti della nostra epoca. – con queste auliche parole, Gemma, a colazione, racconta l’approccio di Filippo all’amplesso consumato nella notte. – Una masturbazione di questo livello non l’avevo mai provata. Neppure le mie dita saprebbero darmi tanto. L’irrequieta clito, sempre pronta a chiedere di più, ha dovuto abbassare le armi… Calmarsi… E prenderla persa di fronte all’inesorabile stuzzichio dei tentacoli del mostro. – Filippo arrossisce ma è orgoglioso di quelle tronfie parole. Abbandona il caffè, si alza. La bacia. – Non vi dico l’espressione contrita con cui, dopo avermi parlato a lungo delle sue adolescenziali esperienze sessuali, mi ha chiesto, forse vergognandosi: “Dovessi mai desiderare di tornartelo a mettere nel culo, che mi piacque tanto! ti sentiresti stuprata?” Che delicatezza! Stavo già per mettermi nella posizione di offrirglielo che lui, con mossa fulminea, aveva già guadagnato il fondo del mio sfintere. Che classe! E pensare che non ha ancora vent’anni!»
C’è un’allegria sfrenata sul terrazzino della stanza, dove è stata apparecchiata la colazione. Segnale che lo scambio dei doni ha riscosso le reciproche soddisfazioni.
Elena sfoggia l’antico monile che l’amante le ha regalato, sottraendolo al patrimonio di famiglia. Ragione in più per legarla a lui. Filippo, seduto tra l’amante e il regalo, giostra le mani continuamente or sulla tetta d’una or sulla coscia dell’altra.
Non appena se ne va la cameriera, le due ragazze si mettono al naturale: nude! Tanto per non perdere qualche carezza.
I croissant sono appena usciti dal forno. Il caffè bollente è forte: tonico. Il mattino è ben sereno. Il Lago, calmo e placido. Lo sfondo montano, imponente. Tutto fa prevedere una giornata da non dimenticare.
Nei programmi di Elena e Filippo c’è qualche set, tra di loro, al Tennis Club di Stresa. Un aperitivo al Caffè Milano. Un ristorantino in intima solitudine per scambiarsi cinguettii amorosi fatti solo di parole.
Per Gemma invece, un appuntamento per le 10, in stanza, con Egidio. Deus ex macchina della locanda. Sicuramente ci sarà una discussione ornitologica!
Tennis Club
Il Tennis Club di Stresa, a quel tempo, più che un ambiente sportivo, si può dire fosse un casino di lusso. Stormi di entraineuse veleggiavano negli eleganti ambienti déco della struttura centrale: bar, ristorante, palestra, spogliatoi. Al primo piano una dozzina di stanze con vista lago. Ambiente riservato a soci che dovevano essere presentati da altri due soci. Quota annuale proibitiva per i normali appassionati di questo sport. Frequentatissimo dalla nuova borghesia meneghina, che appena deposita la rilucente auto nel parcheggio privato, viene presa in carico da un’entraîneuse che farà di tutto per diventare la sua puttana per la notte.
Filippo, che non ama questo mondo, ha accesso a quell’ambiente esclusivo da quando, liceale in vacanza a Stresa, con la famiglia, impegna qualche giornata quale arbitro nei tornei organizzati dal Club.
Con Elena si divertono per qualche game sul fondo rossastro e si rinfrescano con una bibita.
È mentre sorseggiano una birra appoggiati al banco del bar che… «Guarda te chi c’è…?», in compagnia di bionda e avvenente entraineuse, il cavalier Giangiacomo Bonomelli che prontamente provvede alle presentazioni: «Guardi un po’, signora Tiziana chi viene anche lui, qui a sgranchire i muscoli: mio figlio Filippo con Elena, la sua fidanzata. – E rivolgendosi ai ragazzi che lo stanno guardando sorpresi: un po’ divertiti. – La signora Tiziana – Una bella cavallona trentenne – è la direttrice di quella bella libreria a metà del Lungolago. Adesso ci cambiamo e facciamo un paio di game ».
Un passo a lato per un tu per tu con il figlio e dal portafogli dà qualcosa al ragazzo. Filippo nel salutare la bella-figa, a cui stringe la mano, dice rivolto al padre: «Io e la mia fidanzata ti ringraziamo per averci offerto la tua prenotazione al Gambrinus.»
Babbo Giangi fa di più, abbraccia Elena e baciandole una gota: «Divertitevi ragazzi. E, mi raccomando… Vogliatevi bene… L’amore è l’unica cosa che può dare felicità.» Prende per mano la bionda e si avvia allo scalone che porta alle stanze.
Il giuramento del Gambrinus
Il Gambrinus è un monumento di eleganza. Qui il lusso strabocca. Ogni posto a tavola è sulle cinquantamila lire che bisogna anticipare prenotando. Quello che il padre aveva dato al figlio era la ricevuta della prenotazione per quel giorno.
«Anche se non ci capisco un tubo, mi sto divertendo un mucchio… Tua madre sta impazzendo per festeggiarti con la sua fidanzata. Tuo padre ti offre il pranzo assieme alla tua amante scambiandola per la tua fidanzata. Ma lui la conosce la fidanzata che festeggerai domenica?»
«Come no. È suo padrino… L’ha tenuta alla cresima… È che ha fatto il furbetto. Tanto, sa che di queste cose, a mamma non racconto niente. Non è la prima volta che lo becco con qualche troia.»
«Che caro che sei! Sei proprio il figlio che tutti vorrebbero avere.»
«Non credo ci sia qualcuno che vorrebbe un figlio adolescente che coltiva una fidanzata e un’amante assieme…»
«…e che chiava solo con l’amante. – aggiunge Elena con sguardo sospettoso – O non è così?»
«Sì, sì. È proprio così. E lo sarà fino al matrimonio. Che non potrà essere prima della laurea.»
«Tutto questo me lo puoi giurare?»
Filippo si porta la mano al cuore e… «Giuro che mai farò l’amore con la mia fidanzata prima del matrimonio. Giuro anche che non sposerò alcuna prima di essermi laureato. Giuro ancora che alla mia fidanzata, sempre prima del matrimonio non leccherò né la figa né farò ditalini… Va bene così?» Si baciano a lungo ad occhi chiusi.
Quando li riaprono, innanzi loro c’è il cameriere per l’ordinazione.
Egidio in pompa magna
Gemma è sulla terrazza della stanza. Si gusta il primo sole della giornata. Si guarda attorno e si gode la magia del Lago.
Mancano dieci minuti all’ora dell’appuntamento con l’Egidio (come dicono da quelle parti.)
È nervosa. “E se costui non vorrà rispettare la mia verginità?
Nell’approccio della sera precedente, nel ripostiglio di fianco ai servizi, si è dimostrato focoso. Chissà come prenderà l’alt che riceverà? Forse, già con il cazzo duro in mano a una spanna dalla figa? Oppure, al comando: “La puoi solo leccare!” Saranno momenti cruciali… Superati questi, lei potrebbe prospettargli cento e uno modi goderecci per smorzare il cazzo. Dalla classica sega, al raffinato bocchino alla bolognese. La spagnola… Lei è di tetta rigogliosa… è flessuosa nei movimenti. Non farebbe fatica a dar di lingua alla cappella tra le poppe e non è così schizzinosa da provar disgusto per una sventagliata di sborra sul viso. – Passa in rassegna a tutti questi artifizi e ciò le dà speranza – Poi c’è sempre il culo.” Anche se la trapanata del cazzo-super di Filippo le ha lasciato un po’ di bruciore.
Due leggeri colpetti di nocche alla porta. È il ragazzino che aiuta Egidio. Deve apparecchiare un tavolo nella stanza. Con un secondo giro, porterà il vino e un piccolo buffet. “Cazzo! Non è più un mordi-fuggi. Il marocchino [N.d.A.: Egidio è di origini trapanesi] fa le cose in pompa magna.
Un attimo ed è lì: «Ho detto che fino alle sei di stasera io non esisto. Sono tuo… Fata!»
Scocca il bacio e l’abbraccio diventa sinuoso. Le poppe di lei giocano carte di grande sensualità. Cade la camicetta e diventano protagoniste della scena.
Mica si può lasciare quei due capezzoli a godersi tutta la libido che scaturisce dall’eccitazione che aleggia nella stanza.
Egidio sfodera il cazzo. Gemma solleva la gonna… La figa mostra il suo sorriso.
Egidio a quella vista esclama: «Te la mangio.»
Gemma: «È un’idea… Fallo!» Si butta sul letto. Gambe aperte.
Lui, tosto è con la bocca sullo sticchio [N.d.A.: come chiama lui la figa].
Son quindici anni che Gemma difende con tenacia il proprio imene da inutili elargizioni. Sa anche che se vuole assaporare qualche godimento, qualcosa dovrà pur offrire. C’è pur sempre il culo ma questo lo si può dare quando con il partner c’è un minimo di confidenza, altrimenti si rischia di passare per un’incallita busona. [N.d.A.: Nella lingua bolognese, busån e busåńńa, indicano chi predilige di essere sodomizzato.] Allora, ha studiato giochetti col proprio corpo per stupire ed eccitare i partner. Farli venire… Appagarli, quel tanto che non possano, un momento dopo, ambire alla di lei verginità. Così, gustata la lingua dell’Egidio che impazza fra le crespe della figa, compie uno spostamento che le permette di prendergli il cazzo in bocca… Si mette a succhiarlo.
Quello di Egidio, è un normo-cazzo. Giovane, ben tenuto. Con una cappella consistente, vispa e sbarazzina.
Lei, inizia a stuzzicargli con la punta della lingua quella cornice che separa il glande dal prepuzio. Il brivido deflagra in lui e lo fa sobbalzare. Lei aumenta la pressione nella pompa e sente che lui non ha più la freddezza di governare con discernimento la lingua nella figa.
È allora che lei amplia la zona di intervento: usa le dita per trastullargli il buco del culo.
Il giovane stacca la bocca dalla figa e contorce il volto pur sempre restando fra le cosce. Mentre lui blatera qualcosa, lei nota quella certa attività del cazzo: sta per sborrare.
Lei vuole che sia un trionfo. Ne va del suo orgoglio. È una questione di reputazione.
Per un attimo se lo sfila dalla bocca e lascia che il primo schizzo le plani sul volto. Poi subito di nuovo in bocca: via di pompa finché, l’ultima stilla, un po’ restia, si deposita contro il palato.
È sfinito il ragazzo. Ha l’uccello ai minimi termini e l’unica cosa che riesce a dire è: «Non ho parole!».
Gemma va a pisciare.
Al ritorno lo trova seduto sul letto. Con una certa disperazione, se lo sta menando nella speranza di farlo tornare in vita.
Gemma dimostra grande magnanimità, pur se da lui non è stata corrisposta a parità di piacere. Gli si para innanzi con tutta l’armonia del suo nudo corpo, per consigliargli un antico stratagemma partenopeo, in uso da chi vorrebbe fare subito la seconda, incalzando la naturale ripresa del proprio fisico: Con una mano accarezzi la pucchiacca, [N.d.A.: sempre figa nella lingua napoletana] con l’altra insisti a menarlo.
Egidio sconsolato, deve prendere atto che anche la saggezza napoletana a volte “nulla puote!”
Sconsolato, si riveste e se ne va. Senza neppure un ringraziamento per il magistral bocchino sì tanto bolognese. Forse, in lui, la tema che l’abbiocco del cazzo si protragga nel tempo.
Il piccolo buffet è lì, invitante e Gemma, pur se detesta pranzare in solitudine, fa onore alla cucina.
Dall’Egidio nessuna nuova
«È venuto per chiavare ed è rimasto chiavato. – Sintetizza così, Elena, il racconto che l’amica fa dell’avventura appena vissuta – E ora come ti senti?»
«Come una che ha trastullato a lungo un cazzo senza riceverne nulla.»
È Filippo a risponderle con un gesto eloquente: estrae il suo e lo appoggia sul tavolo. Sotto l’effetto del plenilunio, riluce in tutta la sua magnificenza «Se vuoi rifarti su questo…»
Elena e Filippo sono rientrati dal loro tour a Stresa. Hanno chiesto di poter cenare sulla terrazza della loro stanza e Augusta, sorella di Egidio, ha preparato loro una cenetta piccante come sembra profilarsi per loro la notte. Dell’Egidio, neppure l’ombra.
Il cazzo di Filippo è lì in bella mostra sul tavolo a disposizione. Non è nella piena erezione ma ha un tono di tutto rispetto. Le ragazze lo stanno guardando con interesse.
Ognuna non vuole fare la prima mossa per non passare da troia ninfomane. A quel punto Filippo si esprime:
«Visto che il genere non vi entusiasma, faccio io la proposta. Perché non mi fate vedere come ve la leccate, così me lo fate venire tre volte duro?»
È come parlare di cioccolatini ad un goloso. Le ragazze si alzano. Si baciano. Si tornano a baciare. Si palpano. Scoprono le tette. Se le succhiano. Si prendono per mano e sono già sul letto.
Nei sette passi che fanno, lasciano sul pavimento ogni loro indumento.
Filippo si appoggia alla parete e dall’alto rimira il 69 che si sta componendo, mentre si stuzzica la cappella.
L’uccello è già due volte il suo volume e può ancora migliorare.
Elena è sopra e la prima cosa che fa infila il pollice nel culo dell’amica e, scusandosi: «Te lo dilato un po’, così ce l’hai già pronto per lui, dopo.» Di seguito emette un profondo sospiro e il primo gemito di una lunga serie.
Gemma ha cominciato a leccargliela!
Sono quindici minuti che mettono a dura prova la stabilità di quel letto.
Filippo deve controllarsi per non buttarsi in quel groviglio umano e dare sfogo all’eccitazione che lo sta prendendo.
Il suo uccello che la esprime tutta, andrebbe immortalato: ha dimensioni sovrannaturali.
[N.d.A.: Quando si fa sesso, molto importante è l’essere pazienti.]
Quando i mugugni si fondono per l’urlo conclusivo del massimo godimento, anche Filippo esulta.
Cazzo in mano si ritrova innanzi le eleganti natiche della sua amata Elena.
Il pensiero lo sfiora ma l’istinto prevale: gliele allarga con decisione e fa strada alla sua propaggine, arrogante e prepotente.
Le ragazze hanno appena smaltito l’euforia del loro 69. Mantengono ancora la loro posizione: Gemma sotto, Elena sopra. Sicché i testicoli dell’arbello puntato contro il culo di Elena, dondolano provocatoriamente un po’ sopra la bocca di Gemma. È un’immagine di grande presa erotica.
Il calore che sprigiona la sguainata cappella fa sì che l’apertura si dilati. Un nonnulla e l’uccello potrebbe entrare trionfante in quel mondo sognato da tempo
Si fa perplesso il ragazzo: deontologicamente la prima inculata spetterebbe a Gemma e lui non vorrebbe fare permali. Le due belle femmine restano nella loro posizione: una a rovescio sull’altra.
L’erotismo più sfrenato si fa strada in loro. Facendosi forza la lingua di Gemma riesce a lambire i testicoli di lui. Filippo sa così che non può rinculare.
Dà il primo colpo. «Oi!» [N.d.A.: Che nella lingua di Bologna vuol dire “Sì!”] E si spinge più dentro che può.
Elena resta piacevolmente sorpresa e sente rigenerare in sé il piacere.
Gemma, un po’ scavalcata mette le mani avanti: «Oh, poi tocca a me.»
Il gruppo si dimostra veramente affiatato: le ragazze hanno mantenuto la loro posizione del 69. Filippo, in piedi, a lato del letto, scorrazza con l’uccello nel culo di Elena che emette prolungati sospiri e mugolii di piacere.
Sotto, Gemma, ha frammentato l’attività della lingua fra la figa dell’amica e i testicoli di Filippo in movimento sopra di lei. Aggiungendo il proprio prezioso contributo al piacere di quell’amplesso condiviso.
Dalla finestra aperta, il raggiungimento dell’acme, consegna al plenilunio la genuina voce di quel godimento tanto partecipato.
Elena a squarciagola: «Di più… di più… tutto… tutto dentro…»
Filippo, sborrando: «Vacca boia… che due porche!»
Gemma, investita sul volto dal rivolo di sborra che cola dal culo «Questa sì che è un’inculata… Mi metto in lista per la prossima.»
Sono imbarazzanti momenti per i commensali dei tavoli nella veranda sottostante.
Una coppietta contagiata dall’eccitazione che giunge loro dal piano superiore, si stringe spasmodicamente le mani.
In un altro tavolo, la mano di lui, sotto, palpa la coscia della fidanzata.
Solo una famiglia con un fanciullo undicenne fa qualche pacata rimostranza alla signora Augusta: «Non è tanto per me o lei… mia moglie… che abbiamo fatto anche la Resistenza… Ma per lui… che potrebbe fantasticare su quei gemiti e…»
Sul Lago cala il magico silenzio di sempre.
Ma non nella stanza del ‘Trio’: Gemma, rivendica diritti e prelazioni.
Filippo, cincischia, ha bisogno di un po’ di tempo. Chiede solidarietà: «Se dopo che mi son fatto una buona doccia rigeneratrice, me lo trastulli un po’ con le mani e la bocca, vedrai che robe ti faccio sentire da dietro. – È imbronciata la ragazza – Dai… non fare così. Se me li porgi come si deve, provo a farti venire di figa e di culo, nel rispetto della tua verginità.»
Pare rasserenata, Gemma: «Vengo nella doccia con te, così inizio a lavorarlo lì.»
Elena si è concessa al sonno.
«Però, non è messo molto male – Gemma l’ha subito voluto fra le mani. L’uccello ha gradito reagendo con un tentativo di levare la testa. Per lei non è difficile fare paragoni con recenti episodi. – Se penso a come ho ridotto quello di Egidio.»
Lo scroscio dell’acqua calda invade i loro corpi. Lei si insapona. Lui la tira a sé e si insapona tramite lei. Sono poi le mani ad accarezzarsi vicendevolmente.
Lui, in un passaggio fra le natiche, viola con un dito il bocchello del culo. Lei sobbalza, allarga le gambe e si flette leggermente: Lui accompagna il precedente con un secondo dito.
Lei allunga una mano verso il cazzo:
«Wow! È come l’avevi stamattina al risveglio.»
Lui, chiude i rubinetti della doccia.
Vis a vis
Tanto per non svegliare Elena, Gemma propone di farsi inculare nel proprio letto.
Vuole vedere in volto il suo sodomizzatore. Vuole vedere la sua aria trionfante mentre la fa godere. Vuole vedere le contrazioni del suo viso quando godrà lui. Lo convince per un’inculata vis a vis.
È lui a preparare il talamo. A posizionare i cuscini. A farla adagiare comodamente su di essi. Con parole dolci e baci.
Le porta innanzi agli occhi quello che sarà lo strumento del loro piacere. Glielo fa saggiare con le labbra tanto perché rilievi che è pronto a darle il meglio di sé.
Per risposta, gli apre le labbra della figa. Con precise mosse fa che si mostri la cuspide della clitoride. Lei, un po’ timorosa gli ricorda: «Sotto la doccia mi hai promesso un’alternanza di godimenti fra figa e culo.»
«Già.» ed è subito con la lingua sulla timida clitoride.
È una grande gioia per Gemma… stringe il suo volto con le cosce, impedendogli di muoversi da lì fin che lei non da, con il bacino, le tre scosse del massimo godimento.
Lui è premuroso più che mai. La bacia, le succhia le procaci tette poi, inaspettatamente sparisce.
Tornerà dopo qualche minuto con il cazzo ricoperto da una sostanza verdognola. È il suo sapone da barba. Che agevolerà l’introduzione del pezzo.
«Così è ancora più eccitante!» Sussurra, lei, nella spasmodica attesa.
Lui accosta la cappella al pertugio. Un sospiro profondo. Un colpo secco: «Ahi, socc’mel se è duro» Un altro sospiro. Un secondo colpo e restano fuori solo i testicoli: «Mamma mia, quanto ti è venuto grosso oggi!»
È un’inculata che si protrae nella notte. Fatta di dolci parole, insulti e incitazioni varie. Il ritmo va in progressione: dal ponderato, riflessivo. Alla frenesia del momento in cui lui la riempie di sé.
Elena si è ripresa. Si è alzata ed arriva nella stanza dell’amica nel momento in cui Filippo si reimpossessa del proprio fallo, estraendolo dal culo di Gemma. Che, con voce flebile non cessa di osannare il suo inculatore. Si accorge di Elena e si sente in dovere di: «Perdonami, Tesoro, ma debbo confessarti che ho accettato di essere il suo regalo soprattutto per risentirlo in giro per il mio culo.»
Elena prende per mano il suo amante e nell’uscire dalla stanza: «Non devo perdonarti. È importante che questa notte tu non ti intrometta nel nostro amore.»
Di quella fuga d’amore è l’ultima notte ed Elena oltre a voler fare il pieno di quel cazzo. Ha tante cose da dirsi con Filippo prima della festa di domani sera.
Il riso fa buon sangue
Si muovono lentamente e goffamente, i tre che, dopo poco che Augusta ha aperto le chiedono la colazione.
Filippo ed Elena hanno sì e no dormito un paio d’ore. Il resto del tempo lo hanno impiegato in discorsi su quale potrebbe essere il futuro della loro passione.
Non sono mancati i momenti di intensa sessualità: due pacate trombate hanno dato ad Elena altrettanti potenti orgasmi – Nella confezione di profilatici è rimasto in solitudine il terzo -. A ciò vanno aggiunti quelli che le ha donato la lingua di lui che, di tanto in tanto, ha sentito il bisogno di fare una fondata fra i lucidi peli del pube di lei. Elena poi, in omaggio al nuovo giorno, appena è sorta l’alba gli ha somministrato un super bocchino alla bolognese [N.d.A.: Perché possa essere considerato ‘alla bolognese’ bisogna che, durante la sua esecuzione, dita e mani della bocchinara, non si avventurino né sul prepuzio né sul glande. Tutt’al più possono trastullarne i testicoli o dar piacere al deretano.]
Nel godere siffatta leccornia, Filippo si è raccomandato alla Madonna e a tutti i santi.
I vortici suscitati, uno dietro all’altro, dai risucchi delle ganasce della ragazza, gli fanno salire, fino all’inizio del glande, la massa spermatica e in una sorta di supplizio. In attesa del successivo gorgo, Filippo l’ha supplicata: «Fatti sborrare in bocca… Maiala!»
È quanto lui sta raccontando a Gemma che si diverte fin quasi ad affogarsi per le risate.
Docce e cura del corpo poi un motoscafo li porta a Stresa.
Tappa al Caffè Milano dove lasciano Filippo. Loro daranno un’occhiata alle vetrine di quella roccaforte vacanziera della borghesia milanese. Ci son cose che nella provinciale Bologna non si vedono.
«Mamma mia, la tua bimba come ti ha ridotto!»
È Francesca, la cameriera del Caffè – “quella che conosce Filippo da quando era bimbo”. – Ha notato sul collo del ragazzo due inequivocabili macchie da labbra eccitate.
«Si notano molto?» Si informa lui preoccupato.
«Eh, sì.»
«Secondo te… si noteranno anche stasera verso le otto?»
«Non sono una dermatologa ma penso proprio di sì.»
«Cazzo! – Fa lui – Come faccio che stasera sono a cena da noi la mia fidanzata con tutta la sua famiglia?»
«Ah, non è la moretta che fioccavi platealmente qui»
«Macché, questa è la mia amante.»
«Certo. Perché a diciannove anni se si ha la fidanzata bisogna controbilanciarla con l’amante. – Si guarda attorno – Stai qui che torno subito.»
Qualche tavolo più in là c’è un signore distinto che sta sorbendo un caffè. Francesca si ferma a parlottare con lui e torna con un foglietto.
«Aspetta che forse ti salvo il fidanzamento.» e sparisce.
Torna con un vasetto di vetro: «Quello è il prof. Bernini, primario dermatologico a Domodossola. Mi ha consigliato sta roba.»
«Come si mette?»
«Vieni con me.»
S’incammina verso il bar e s’infila nel magazzino.
Filippo le è dietro. Poggia l’occhio sul suo ritmico ancheggiare. “Mi sa che dovrebbe avere un bel culo. Forse ha anche un mucchio di pelo fra le gambe… È proprio una bella mora!”
È una bella donna Francesca. Non ha ancora 35 anni. Fino all’anno prima aveva un fidanzato che andava a lavorare in Svizzera. Poi non l’ha più visto. C’era rimasta molto male…
Si ferma subito dopo l’entrata e chiude la porticciola di ferro.
«Cosa debbo fare?» il sesto senso di Filippo gli fa percepire che l’atmosfera in quel bugigattolo si sta riscaldando.
«Tu nulla. Io debbo massaggiarti un po’ di questa pomata assorbente sul succhiotto che ti ha lasciato la tua amante… Così però rischio di ungerti il colletto.»
Si sfila la maglia. Non porta canottiera Filippo. La sua muscolatura è appariscente. Francesca rimane stupita da quel corpo così ben scolpito, su quella figura che ancora sa di fanciullezza.
Sono attorniati da contenitori e casse di bottiglie «Siediti che ti massaggio il collo.»
Una mano sulla spalla e con l’altra gli spande la pomata sul livido.
Toccare quelle sodi carni maschili rinnova in Francesca i momenti di amore perduto, vissuti con il suo fidanzato.
È trascorso quasi un anno e da allora solo le proprie dita le hanno dato piacere. Fin che aveva avuto questo fidanzato, si era concessa qualche libertà con altri uomini che lei aveva trovato affascinanti. Ma da quando lui si era fatto di nebbia pensava di essere troppo fragile per lasciarsi andare fra le braccia di altri lui.
Ora, con Filippo le cose si presentano diverse: lui è giovanissimo… e lei si sente portata alla pedofilia. È fidanzato e ha pure l’amante. Non ha, quindi, situazioni da recuperare. Oltretutto, da quando gli massaggia il collo emette lo stesso odore che fuorusciva dall’antico fidanzato quando si eccitava: “Quasi, quasi gli faccio un succhiotto su una spalla…” pensa.
Intanto l’epidermide ha assorbito la prima passata «Meglio fare una seconda passata… Si è già ridotto di un bel po’.»
«Sono nelle tue mani, angelo mio.» e lei si rimette ad ungere e sfregare. Da quelle carni lei non vorrebbe allontanarsi. Anzi…
«Boh, direi che fra qualche ora non si vedrà più niente.» Lui le dà un bacio sulla fronte.
C’è una pausa prolungata fra i due. Forse nelle teste di loro, le medesime idee. Sono uno di fronte all’altra. Lui indugia a dire qualcosa. Gli sguardi fra di loro hanno già detto tutto. Poi… «Sei veramente un angelo. Bisognerà che ricambi la tua premura.»
Subito Francesca: «Puoi farlo anche adesso… Sono rimasta affascinata dal bacio che hai dato alla moretta che era con te ieri l’altro.»
Un braccio le cinge la vita la stringe forte a sé. Nelle loro bocche succede il resto.
Francesca sente contro il ventre l’erezione di lui e non riesce più a fermarsi. Qualche minuto e l’abito da lavoro è tutto aperto e le belle tette sono fra le labbra del ragazzo.
Calze e reggicalze, assieme agli short di lui, finiscono a terra.
Glielo prende in mano e glielo stringe con fervore, sussurrandogli: «Sei tutto da scoprire, ragazzo!» e se lo gode per un po’ fra le calde cosce, facendogli sentire quanto sia già pronta ed umida la sua patonza.
Lui la spinge verso una pila di scatoloni. La solleva e la mette sopra a culo nudo. Ha la figa proprio di fronte alla cappella. Un nonnulla ed è tutto dentro di lei. «Sei una meraviglia!» … Si lascia andare ai ritmi del piacere di lui.
Non ci sono più parole in quel bugigattolo si e no illuminato da una lampadina da 10 watt. Bocca a bocca lei s’invola all’orgasmo. Con tutte le contrazioni, sussulti, sospiri e gemiti che questo comporta.
Lui lo sfila e le sborra contro l’ombelico.
«Mi hai fatto rinascere!» gli dice sentendo colare sul ventre il seme.
«Sei una figa fantastica. Dobbiamo ripetere.»
«Adesso no. Per te ho abbandonato il bar… Ma ne è valsa la pena.» Un bacio con tanto affetto e se ne va.
Filippo ha spostato la seggiola fuori dall’ombra dell’ombrellone per godersi un po’ di sole.
Francesca corre di tavolo per recuperare le necessità degli avventori abbandonati.
Quando passa accanto Filippo gli sorride. Quando è sicura che nessuno guarda verso di lei, mima un bacio.
Per Filippo è come che, il bacio. glielo abbia appoggiato sulla punta dell’uccello: gli provoca un leggero brivido di piacere.
L’inattesa sveltina nell’indegno bugigattolo, per lui, ha avuto un importante significato. Gli ha mostrato un altro modo di rapportarsi alla figa.
In fondo, a lui la figa gli si è rivelata da poche settimane. È entrata nella sua vita in maniera irruenta, mettendosi a condizionare il suo modo di essere e di progettare il futuro.
Dopo questa fulminea avventura la sua nave scuola non potrà più essere Elena, ma la sconosciuta cameriera che si fregia di “conoscerlo fin da quando era un bimbo.”
Lei gli ha fatto capire che la figa non è solo una componente del romanticismo. Può essere anche un vettore di altre necessità.
È un discorso che si propone di confrontare anche con Elena, lei, tanto capace di ascoltarlo pur nelle sue ossessive elucubrazioni.
Ed Elena si materializza.
Con Gemma sta raggiungendolo. Sono allegre e piene di brio.
Hanno pure un piccolo regalo per lui: una spilla che raffigura un caimano.
Appena sedute al tavolo, arriva Francesca per le ordinazioni. Elena, informa l’amica: «Sai che questa bella ragazza conosce Filippo fin da quando era un bimbo…»
«Oh, sì. – conferma lei – ed era anche carino – poi, sorridendo a lui – Ma, detto fra noi, è sicuramente meglio adesso. Tenetevelo caro!» Se ne va senza prendere l’ordinazione.
«Un po’ svampita, la ragazza!» fa Gemma.
«Sarà innamorata.» commenta Elena.
«Mangiamo qualcosa qui? Così le diamo un’occasione per rifarsi.»
Francesca si sente molto lusingata dalla proposta di Filippo. È che Filippo non riesce a staccarsi da dove Francesca gli ha fatto conoscere l’altra figa. Una conoscenza fuggente che lui vorrebbe approfondire il prima possibile.
Viene l’ora che Elena e Gemma hanno il treno che le porterà: Gemma a Bologna, Elena a Milano per la festa di Filippo.
È il momento dei saluti e solo Gemma, con cui «Chissà quando ci rivedremo!» si gode un bacio di tutto rispetto. Francesca, è lì attorno, vede e fra sé: “Troia!”
Prima di girargli le spalle le ragazze chiedono a Filippo di intercedere con mamma sua perché anche Gemma fosse invitata alla festa.
«Faccio subito una telefonata» e si avvia alla cabina.
«Ho detto che sei la bibliotecaria dell’Archiginnasio che ho incontrato per caso in Galleria. Tutto a posto: ci vediamo più tardi.»
Partite le – possiamo dire – due amanti, Filippo si dedica alla terza.
Fa un segno a Francesca: «A che ora smonti?»
«Fra mezz’ora.»
«Dove vai?»
«A casa.»
«M’inviti da te?»
«A mangiare una torta di mamma, sì.»
«Potrei comunque accompagnarti.»
«Se non volessi andare a casa?»
Filippo esce allo scoperto «In qualsiasi posto tu voglia andare purché sia dove fare l’amore.»
«A questo punto potresti portarmi dove hai fatto l’amore con le due troiette che ti sei portate dietro.»
«Non sarai invidiosa?»
«Un po’ lo sono…. Dove le hai portate?»
«Alla locanda ‘Casa Antica’.»
«Ma è una malfamata locanda per coppie clandestine»
«Si dà il caso che io ne sia il proprietario.»
«In questo caso è un onore venirci.»
«Dai… Fra mezz’ora ai motoscafi.»
Sticchio e Minchia: lei e lui
Egidio, dopo che l’ultimo ospite aveva pranzato, fa un passaggio da casa e trova Mimma, sua moglie in lacrime, che lo rimprovera: «In tutto ieri non hai avuto un momento di riguardo per il mio ‘sticchiu’.»
«Io non devo parlare a lei [N.d.A.: sempre riferito alla siciliano sticchiu = figa] Dovrà essere lui a farlo [N.d.A.: sempre riferito alla siciliano minchia = cazzo]» Istintivamente cala i calzoncini meravigliandosi: l’uccello è vispo e in erezione: “Può darsi che –pensa tra sé e sé – il pompino alla bolognese mostri suoi benefici a distanza.”
È un attimo che Mimma – sempre alquanto disabbigliata fra le mura domestiche – se ne impossessi e se lo coccoli tra le cosce. Sarà poi lui, nel pieno della propria euforia, a spingerla contro il davanzale: su la sottoveste e dentro alla figa dal di dietro. Tanto perché le acque del Lago l’ammirino mentre la fa godere. Una sua fissa!
Ora è sulla porta della locanda… sta godendosi una profumata sigaretta americana. Si sente un uomo che ha ritrovato la felicità.
Saluta con la mano il motoscafista che sta attraccando senza prestare troppa attenzione a chi possa essere il passeggero tutto occupato nell’abbraccio con una mora di capelli. “Cazzo, ma è il figlio del padrone…. Minchia! Porta una figa diversa da quelle che ha trombato per due giorni e due notti. Ma che minchia ha?”
Sono una ragazza di buona famiglia
«È ancora libero l’appartamento di stanotte?»
«Certo. Dobbiamo solo cambiare le lenzuola…»
«Lascia quelle… non stiamo stanotte.»
«Peccato! – gli dice sommessamente Francesca – Penso che ti sarebbe piaciuto il risveglio con me di fianco»
Fa il gradasso lui: «Mi sveglio sempre con l’uccello duro.»
«Ho già capito che sarò io a piangere domattina quando mi sveglierò sola nel letto.»
«Non riuscirai a trattenermi. Alle nove, debbo essere a Milano alla mia Festa di Fidanzamento.»
«Se me lo dicevi non ti avrei tentato.»
«Infatti, non lo stai facendo. Cosa aspetti? Non abbiamo molto tempo.»
Lei è seduta sul letto. Le si sono scoperte le cosce e il gancio di una giarrettiera occhieggia dal bordo dell’abito: «Come ce l’hai ora?»
«Mi si sta indurendo? Tu?»
«Mentre mi baciavi, in barca, mi si era bagnata. Poi, tutti i salamelecchi del terrone ne hanno abbassato il tono.… Puoi farci qualcosa?»
«Mi mostri le tette? Oggi con il buio non ho potuto gustarmele.»
«Vuoi che ti spogli?»
«Se ci tieni!»
«Il cazzo, però, lo scopro per ultimo. Se lo vedo prima, rischio di dar di matto – Glisfila la maglia e l’orologio. Di nuovo si trova innanzi l’atletico busto. Sospira pesante e gli bacia i capezzoli. – Già con questa visione, rischio di mettermi lunga.»
Lui fa scorrere la lingua lungo il collo e dentro ad un orecchio:
«No! – dice svogliata, lei – Devi stare ai patti.»
«Ma fra di noi non ci sono patti.»
Intanto anche gli short di Lui sono scesi. È con i boxer che non riescono a celare l’erezione.
Glielo accarezza… – Lei è sempre seduta – … una… due… tre volte. Sempre con più determinazione. Lui lo sfodera.
Lei non riesce a nascondere il tremito che la scuote. Si alza.
Lui le va dietro alla schiena e le fa scendere la gonna larga: «Cazzo hai anche la sottoveste!»
«Sono una ragazza di buona famiglia e me la posso permettere» lui gliela sfila. Poi è la volta delle mutande.
Finalmente, può appoggiarle il cazzo contro il buco del culo!
Sente che lui preme forte lì e deve dirgli: «Aspetta. A quello ci pensiamo più tardi.»
Lei ha ancora parecchie cose addosso. Alla camicia, va di seguito il reggiseno. Così lui può impegnarsi per un po’ con la lingua sui capezzoli. Lei si dichiara «… Cotta al punto giusto.» Si ribalta nel letto e protende la folta macchia di peli verso di lui. Ha tenuto calze e il modesto reggicalze.
Lui si fa largo con il glande fra i peli del pube.
«Sei una gran figa!» Scivola in lei:
«Dio, se è bello grosso!» e collabora perché arrivi subito in fondo. Fuori solo i testicoli. Lui inizia a cullarla con il suo dolce vai e vieni.
Si dicono anche cose. Non solo mugugni e sospiri.
Lei s’invola verso le vette più alte del godimento. Che comunica a lui stringendogli il cazzo con tutti i muscoli che può attivare la figa.
È il momento in cui anche Filippo non riesce più a trattenersi. Lo sfila e con un unico colpo di mano gli schizza tutto il seme fra le tette.
Francesca è sbalordita: il volume di quell’uccello le ha fatto provare sensazioni mai immaginate: «Così grosso non l’avevo mai provato… È una chicca! Più lo stringi, più s’ingrossa… Mi ha fatto impazzire!»
«Anche per me è stata una grande cosa. Me lo hai carpito. Stavo veramente bene fra le tue spire a godermi lo spupazzare della tua figa sulla mia cappella. Ho dovuto impegnarmi per trovare la forza di uscire in tempo e non combinare guai.»
Elogio alla vanità
Sembrano sempre momenti idilliaci quelli che seguono l’amore. Non è sempre così. La danza del piacere spesso lascia in uno stato di tristezza. Il timore che un momento come quello appena vissuto non si possa ripetere.
Questo è lo stato di Francesca che come le ha detto lui, fra qualche ora avrà addosso le grinfie della fidanzata, quelle della famiglia sua e di quella propria. Mamma che ha tramato quel fidanzamento non gli lascerà scampo. Lui sa bene di che pasta è fatta mamma sua!
In Filippo, però, le sensazioni provate hanno influito su quello che potrebbe essere il suo futuro. Lo sintetizza a Francesca con una precisa richiesta: «Francy vuoi diventare la mia amante?»
«Come puoi chiedermi una cosa del genere, quando di amanti ne hai già due?»
«Saresti quella vicina a casa. Quella più vicina al cuore.»
«Che bastardo! Come potrei mettermi io stessa al terzo posto dopo quello che tu mi hai detto di aver provato con me?»
Fa lo sbruffone il ragazzo. «Guarda che quello che mi hai fatto provare era la conseguenza di quanto ti stava dando il mio cazzo.»
Si genera un’allegra diatriba tra: «è merito del mio cazzo» … «sì ma se non c’era la mia figa a…» e così via.
Una discussione tenuta sempre sul filo dell’erotismo: lei, per tutta la durata tiene stretto in pugno l’uccello. Lui saltella da una tetta all’altra succhiando e accarezzando. Con qualche puntata di lingua all’ombelico. Lei per quella piccola attenzione impazzisce di gioia.
La quadra di tutto la trova Filippo che seccamente mette fine a quel rimpallo:
«Adesso ti lecco la figa.»
Lei si addolcisce di botto: «Che caro! Non me l’ha mai proposto qualcuno.» Non sa cosa si prova, ma istintivamente si apre tutta.
La lingua di Filippo lascia l’ombelico, scende e si inoltra nella fitta giungla di peli. Scova la parte alta dell’Origine del mondo, [N.d.A.: intrigante dipinto di Gustave Courbet (1819-1877)] la stuzzica con la punta. Questa si socchiude.
Lei sente scorrazzare tra i suoi sensi un piacere diverso, più prolungato. Ugualmente intenso. Gli accarezza il capo.
La lingua procede. Percorre dall’alto al basso la crepa che, adesso, ha ingrossato le labbra. Forse convinta di essere un piccolo cazzo, la penetra. Va alla ricerca della clitoride. Quella che Elena gli ha svelato che è essenziale al godimento. La trova e come da nozioni acquisite, la stimola ininterrottamente.
Francesca – o Francy se più vi piace – non sa più a che santo raccomandarsi. Ventate di piacere la investono. Si agita. Scuote ritmicamente la testa da destra a manca borbottando e respirando marcatamente. Riceve sconosciuti impulsi dalla sua figa che non sa controllare: e tra un fremito e l’altro le parte uno schizzo sul volto di Filippo. Non si scompone il ragazzo. Sempre stando agli insegnamenti di Elena, è consapevole di aver provocato una delle più alte situazioni di godimento in una donna. Questo lo inorgoglisce. Unisce due dita all’azione della lingua e alla povera Francesca non resta che lasciarsi andare completamente alle piccole follie di lui.
«Sono sfinita. Distrutta e smarrita. Però sono convinta di voler essere la tua amante numero tre. Mi vuoi ancora, ora che ti ho anche pisciato in faccia?»
Filippo è al massimo della propria vanità. La stringe la bacia. Le prospetta pure alcune cose che potrebbero far assieme, subito, dal giorno dopo.
«Domattina… Sarà tardi perché andrò a letto ubriaco… mi eclisso da mamma e papà e ti raggiungo. Passeremo ogni notte della prossima settimana assieme. Puoi farlo?»
«Come no. Ormai non potrò più fare senza di te – lo guarda con fare sornione e… – Ti va di chiavarmi?»
«Però… Insaziabile!»
«No. Solo che vedo il tuo uccello ancora in erezione. Non voglio lasciarti così ad altre femmine. Perché tra noi due, mi pare che l’insaziabile sei tu.»
«Vedo che già pensi solo al mio bene… Per non dire, pene.»
Sempre più vanitoso!
Verso la Festa
Nell’imponente villa settecentesca gli invitati sono già arrivati da più di un’ora. Accolti da la siura Maria Pia e dal cavalier Gian Giacomo. È già lì anche la famiglia di Loredana, la fidanzata. Madre, padre vicesindaco e due fratelli. Quello che non c’è è Filippo. Che, oltretutto, non ha dato alcun segnale di essere in arrivo.
Lui, invece, in arrivo è: al volante dell’Alfa di famiglia, sta volando da Stresa.
È stata dura staccarsi da Francesca. Hanno addirittura pianto tutti e due. Pur se lui le giurava ininterrottamente che il giorno dopo, nel pomeriggio, l’avrebbe trovato seduto al Caffè Milano.
Ma lei tira sempre fuori un nuovo “ma se…” E lui di nuovo a smorzare quell’angoscia.
«E se lei non si accontenta solo dell’anellino e vuole qualcosa di tuo, molto più intimo.»
«Se ti riferisci al mio cazzo… Non può succedere. È talmente cattolica che nei preamboli tra le nostre madri, la sua, ha fatto giurare alla mia che farà in modo che io non le chiederò la verginità prima del matrimonio.»
Risata generale che tranquillizza la bella Francesca. Si rassegna a lasciarlo partire.
Il figliuol prodigo
Sono le dieci quando Filippo si materializza di fianco ai genitori e alla famiglia della fidanzata.
Una cameriera stacca zio Ernesto dal telefono con cui sta tempestando ospedali e carabinieri per sapere se sono segnalati in zona incidenti o robe simili.
L’Orchestra “Serenata a Vallechiara” inizia il suo repertorio.
L’aspetto con cui si è presentato Filippo non è dei più consoni a una serata in cui è evidente lo sfoggio di abiti e accessori. Lui ha voluto mostrarsi pur se in short e polo, per tranquillizzare tutti che non gli era capitato nulla di grave, se non un inopportuno guasto meccanico all’auto, poi risolto. Di cui conserva il braccio sporco di olio. Alibi al suo ritardo.
Ne racconta qualche momento salutando i presenti. Scusandosi se dovrà assentarsi un attimo per ripulirsi e cambiarsi.
«Al più presto sarò di nuovo qui per fare qualche ballo con quella meravigliosa ragazza che vi presenterò come la mia fidanzata. A lei, stasera, voi tutti testimoni, chiederò di sposarmi, appena liberato dagli studi e dal servizio militare». Tutto questo con il microfono dell’orchestrina.
Bob, il cantante intona My funny Valentine. Elena, già in sala lo intercetta per commentare quel suo saluto:
«Hai così deciso di esporti pubblicamente.»
Lui è imbarazzato ma ha la risposta pronta: «Il testo me l’ha passato mamma.»
«Anche l’ultima battuta?» Lui non smentisce quel rigurgito di gelosia.
Elena è arrivata con Gemma, invitata su tardiva segnalazione di Filippo, quale direttrice della famosa biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna:
«Un personaggio della cultura non guasta mai!» È così che la presenta agli invitati il cavalier Bonomelli. Che da certe espressioni maliarde di lei è suggestionato. Non la molla un attimo:
È sempre dietro a riempirle il bicchiere. A fare balli con lei, compreso lo spirù. A invitarla a una romantica passeggiata nel parco sotto il plenilunio.
Il Cavaliere, pur se sposato, è simpatico e Gemma, avendo dato il culo al suo figliuolo si sente un po’ di famiglia. Lo segue.
La magia di una canzone
«Mamma mi ha detto di farti ballare.»
Elena è immusonita e un po’ appartata. Accetta l’invito di Filippo anche se questa storia di “mamma mi ha detto di…” non le va proprio giù.
L’orchestra ha attaccato Begin the Beguine. È una delle sue canzoni preferite. “Sarebbe proprio da lasciarsi andare fra le braccia di lui e lasciarsi cullare dalla musica. Ma, sto stronzo, doveva proprio dire pubblicamente ‘ quella meravigliosa ragazza’. Come faccio io, adesso, a gustarmi questa splendida musica abbracciata a lui? Mica gli posso passare tutto. Sarebbe la fine!”
Rigida come un baccalà segue il ritmo. Lui tenta di stringerla a sé ma non riesce a vincerne la ritrosia.
Le luci della sala sono state abbassate. Nel danzare, la coppia va a trovarsi innanzi alla porta aperta dell’ufficio del Cavaliere che si affaccia su quel salone. Con un agile e deciso colpo lui la spinge dentro quella stanza. L’addossa al muro e le spiegazioni gliele da con alcuni colpi di lingua.
Che dire, se non aprire la bocca e mostrarsi pronta al dialogo. Intanto ha avuto modo di sentire la consistenza dell’uccello: è ben duro! “Ci saltasse – pensa – almeno fuori anche solo un ditalino. Sarebbe un coraggioso affronto, da parte di lui, nei confronti della conclamata fidanzata. Per lei una mossa riparatrice.”
Lui però va oltre: «Vuoi chiavare?».
La gonna è larga. Non porta calze. È un attimo sfilarsi la mutanda. Nello stesso lasso di tempo lui ha chiuso la porta con un giro di chiave e ha fatto scendere calzoni e boxer. Se lo sta gingillando.
Lei capisce di dover fare qualcosa di più: mette a nudo le tette.
Si sente abbracciata. Sollevata. Depositata sulla scrivania.… È riuscito pure a liberarla dalla gonna. Praticamente l’ha denudata.
“Quando vuol chiavare – riflette Elena – ha riflessi fulmini. Che ragazzo straordinario!”
Allarga le cosce. Gli sorride. Lui è già in lei.
In sala qualcuno ha chiesto all’orchestra il bis di Beguine the Beguine. Bob, il cantante, la fa proprio come Franck Sinatra. Per Elena è qualcosa in più che si aggiunge all’orgasmo.
Filippo se lo sta sgocciolando nel fazzoletto da taschino. Elena glielo rapisce. Più tardi lo riporrà preziosamente nella borsetta: il ricordo di una festa iniziata male che sta finendo meravigliosamente.
Da quando si erano dati alle danze, solo la proposta di lui si era udita tra di loro.
Ora è lei a riaprire il dialogo: «Ti sta bene la nostra spilla sullo smoking.»
«Anche il tuo ‘nude’ è una bomba!»
«Mi ami anche nella notte in cui hai scelto di dire al mondo chi sarà a starti accanto per tutta la vita?»
«Gelosa?»
«Mai. Solo perché fra di noi non possiamo permettercelo.» Le s’inumidiscono gli occhi.
«Piangi?»
«Dalla gioia di aver messo il primo cornino a quel ‘manico di scopa’» [N.d.A.: cattiveria tutta al femminile verso un’altra femmina senza culo, ne tette. Come potete notare, bastava poco a far felice Elena!]
Le orchidee del Cavaliere
Gemma intanto, al braccio del cavalier Bonomelli sta avviandosi verso ‘la serra’ – come la chiama lui – «Vede, dottoressa Tamburini, qui c’è il clima ideale per far fiorire l’amore. Qui, oltre al sottoscritto, non ha mai messo piede nessun altro uomo. Solo belle donne: le mie orchidee.» Un luogo dove l’arredamento è solo eleganza e sensualità.
«È sicuro Cavaliere che suo figlio non ne abbia approfittato per le proprie orchidee?»
«Scherza, dottoressa? Filippo è un ragazzo molto attaccato al dovere. Pensa solo allo studio e non delude mai soprattutto sua madre. E sua madre lo vuole ancora come fosse un fanciullo. L’ha voluto fidanzato a quella beghina e lui ha acconsentito. Lei è tremenda. Vive solo per costringere gli altri alla di lei volontà.»
Si toglie la giacca e invita Gemma a fare altrettanto.
Gemma non lo delude. In quell’ambiente, si sente anche lei un po’ orchidea e se nello sfilarsi la giacca scende la bretella dell’abito da sera, non fa nulla per rimetterla a posto. Praticamente mette in mostra una mezza tetta.
Il Cavaliere apprezza la generosità e continua a perorare tutti i difetti e le nefandezze che subisce dalla propria consorte. Soprattutto la certezza che lei abbia un amante. Non sa chi sia ma sicuramente ce l’ha.
A Gemma un quadro della siura Maria Pia gliel’aveva già fatto Elena, tornando da Stresa. Le aveva raccontato quanto aveva saputo dalla Boeri. Secondo cui tutta Milano sa che l’amante di sua moglie non è altro che il padre della neofidanzata di suo figlio. Addirittura, figlioccia di lui alla cresima. Tutta roba in famiglia!
Gemma è molto sensibile a queste traversie umane e fa di tutto perché lui senta che gli è solidale. Le si siede accanto e: «Possiamo darci del tu Cavaliere? Così mi azzardo a raccontarti qualcuna delle mie disgrazie.»
«Come no. Non osavo farti la stessa proposta. Ci terrei a un’amicizia con te. Tu vivi tra secolari pareti dove si conserva la grande cultura. – Le prende una mano e gliela bacia – Non credo che una giovane donna della tua bellezza possa avere delle disgrazie da raccontare.»
«Invece… caro Giangi… Posso chiamarti così…. No?»
«Mi chiamano così tutte quante le mie amanti.»
«Tutte quelle che porti in questa felice isola per sedurle?»
«Più o meno così. Come hai fatto a capirlo?»
«Perché sono un’accanita lettrice di storie d’amore. Tu sei il prototipo del ‘serial lover’.»
«E tu in questo momento ti senti a rischio?»
«No, anzi: vorrei sapere come si fa per iscriversi fra le tue orchidee»
È il perfido gioco che Gemma scatena sempre, quando conosce qualche uomo che reputa interessante: lo rincorre. Lo provoca. Per portarlo sulla soglia della propria mutanda per poi negargliela quando lui è lì con l’uccello pronto ad infilarla.
Giangi è un bel cinquantenne. Assomiglia molto al proprio figliuolo: simpatico e gentile.
Non può essere l’obiettivo finale di lei, che mira soprattutto al matrimonio. Ma un giro turistico, sopra o sotto di lui, lo farebbe volentieri. Soprattutto per soddisfare certe curiosità.
Lo stuzzica: «Non mi rispondi?… Son io, adesso, a farti paura?»
«Oh, quello no di certo. Sto solo cercando di dirtelo da gentleman… Senza volgarità.»
A Gemma torna in mente Filippo che con dolcezza infinita glielo aveva messo in culo, senza farle dire ahi!
«Puoi chiedermi quello che vuoi. Magari ti dico di no… Niente mi scandalizza.» Si avvicina ancora un po’ a lui.
«Bhe… non mi dispiacerebbe vedere anche l’altra tetta… Dopo di che puoi considerarti una delle orchidee di questa serra.»
«Tutto qui? … Ecco.» Sposta l’altra bretella e il decolté si amplia.
«Che bellezza! Le tette sono la mia passione … Posso? … »
Lo strappo in Alfa
Nel salone la festa impazza. La siura Maria Pia si avvicina ad Elena: «Ti vedo spenta, Tesoro…»
«Forse perché sono un po’ timida. Ma mi stavo divertendo guardando le espressioni degli invitati dopo che hanno trangugiato un buon po’ di liquori.… Forse sono solo un po’ stanca.… Il viaggio. L’ambiente sconosciuto. L’emozione che mi dà essere stata invitata in un contesto tanto esclusivo.»
«Ricordati che adesso sei la direttrice di un’importante rivista… Vieni che ti presento la fidanzata di Filippo e la sua importante famiglia.»
È così che Elena stringe la mano alla sua diretta rivale. Così pure a tutta la famiglia: un vicesindaco con consorte. Due fratelli di differenti età. Loredana, la morosa, è quella di mezzo. Con piacere, prende atto che le due donne, madre e figlia, sono bruttine di volto e piatte nel corpo.
Torna la Siura: «Tra poco, vedrai che loro se ne andranno. Dopo chiedo a Filippo se ti dà uno strappo all’Hotel con l’Alfa… Mica posso lasciarti fare l’autostop… a quest’ora!»
Elena pensa che malgrado tutto quello si possa dire di lei, Maria Pia ha un cuore.
I sedili dell’Alfa sono comodi e le lucette del cruscotto generano un’atmosfera rilassante. Filippo guida veloce e sicuro. Appena fuori dal cancello della proprietà, ficca una mano fra le cosce di lei che si guarda bene dal serrarle. Non si dicono nulla. Tutto se lo sono detti prima nell’ufficetto di papà. Lei ne conserva il prezioso ricordo nella borsetta dove ha riposto il fazzolettino con la sborrata di lui. Feticismo? Solo desiderio di possederlo al cento percento.
Lui le sta toccando la figa. Chiude gli occhi, Lei. Vorrebbe che quel viaggio durasse fintanto non si manifestassero quei tre scatti che le suscita ogni l’orgasmo.
«Ecco, Amore, tu sei arrivata. Ti va se ci salutiamo domani con un aperitivo in Galleria?»
«Non sali?»
«No. Troppo pericoloso. Mamma è la proprietaria dell’hotel. Avrà anche già calcolato il tempo che ci si mette ad andare e tornare a casa da qui.»
“Mo socc’mel che due piattole: madre e figlio!” Il pensiero è di insofferenza.
Sempre a Stresa
Neppure Gemma è rientrata. Glielo dice il portiere. Elena decide di aspettarla e si accomoda in una poltrona innanzi all’ascensore. Il sonno, quasi subito, ha ragione di lei.
«Cazzo! Cosa ci fai qui? … Sei sbronza?»
«Macché. Volevo solo aspettarti… Avremo tante cose da raccontarci.»
«Direi proprio di sì.… Poi ho anche tanta voglia di strusciare contro una bella femmina. Ma lo facciamo dopo la doccia. Sono impregnata da quell’orrenda lavanda che si mette Giangi…. È fastidiosa.»
L’acqua calda scivola sulle epidermidi. Loro si tengono abbracciate. Si divertono raccontandosi della serata.
Gemma ha avuto diverse proposte per passeggiate nel parco. Tutte fatte cadere. Non quella del padrone di casa: il Cavaliere Gian Giacomo. Un uomo timido che quando si scioglie: «… è di un’irruenza meravigliosa. Ci ha messo un po’ per dirmi che gli sarebbe piaciuto vedere le mie tette ma quando se le è trovate innanzi con i loro capezzoli erti, non ce l’ha più fatta a contenersi. Non riuscivo a togliermi la sua bocca dal seno. Non che mi dispiacesse. Io però, come puoi immaginare, miravo al cazzo. Che, non so come abbia fatto, me lo sono ritrovato proprio lì. Gliel’ho lavorato con le poppe. Le mani e un po’ anche con la bocca. Non gli ho voluto fare un bocchino per non ammazzarlo subito. Ha un bell’uccello. Si vede che sono di razza così.… »
La interrompe l’amica: «Ti ha leccato la figa?»
«Nella foga che gli era presa, mi ha quasi stracciato la mutanda. Sono riuscita a svincolarmi da lui… un po’ distante gliel’ho fatta vedere e gli ho detto che quella era off limits. Non voleva capire. Abbiamo discusso un po’. Gli ho preso decisamente in mano il cazzo e l’ho chetato con ‘su la pelle, giù la pelle’. [N.d.A.: Maniera elegante per indicare la masturbazione maschile].» Proprio come il figlio: non lo stronchi con così poco. Abbiamo ripreso la discussione: pompino… spagnola… infra-cosce? e lui si è azzardato ad inserirci anche il culo tra le prospettive.
“Benedetto!” ho detto io. Lui, con tutto il garbo e la signorilità che gli appartiene, è corso in bagno per prendere una crema per alleviarne l’impatto. Io gli avevo detto che anche il culo l’avevo ancora integro.
Stava già spalmandomi l’unguento, con grande mio piacere, quando abbiamo sentito che c’era qualcuno che armeggiava alla porta. È corso ancora nel bagno ed è tornato con una pistola. Tutto nudo, con quella in pugno ha aperto la porta ma non ha trovato più nessuno. Purtroppo, quando è tornato l’uccello gli si era completamente sgonfiato. Abbiamo ritenuto che la serata si fosse conclusa. Mi ha accompagnato fin qui con la sua Bentley. Nel lasciarci mi ha chiesto di stare con lui domani per andare… pensa un po’… a Stresa. Dove, mi ha detto, di avere una villa con vista lago e un albergo sull’Isola. Buffo… no?»
«Tu cosa farai?»
«Cosa vuoi che faccia? Mi ha anche chiesto di essere la sua amante.»
«Quindi, domani … ovvero fra qualche ora… andrai con lui a Stresa a fargli da amante. È così?»
«Credo proprio di sì… E a te come è andata?»
«Io l’amante l’ho fatta fra un ballo e l’altro sulla scrivania del tuo amante» e le racconta i dettagli.
«Qui, Cocca, mi sa che prima o poi diventiamo parenti»
«Senti me, piuttosto: mi è passato il sonno. Non è che prima che diventi incesto, noi ce la lecchiamo?» Elena chiude il flusso d’acqua.
«Tu stai sopra… vero?» Gemma è d’accordo.
Correndo, fanno gara a raggiungere il letto.
Con il cicaleggio un po’ pazzerello dell’amplesso saffico tra Gemma ed Elena, si conclude qui questa sezione che racconta la vita della mia nonnina. Quella nata nel 1928. Quasi cent’anni fa.
Fin qui, Nonna, si è divertita assai, maturando e formandosi una propria consapevolezza dell’amore.
Siamo nel 1952 ed Elena che ha solo 24 anni, ha trovato un prestigioso lavoro.
Nella prossima sezione, dove si muoverà da donna, non pensiate che rinuncerà a passioni e godimenti.
Continuerà a giostrarsi tra amplessi ed orgasmi – che sono il motore della narrazione erotica. – Sempre consapevole del proprio ruolo nella società e del prestigio conquistato.
Sono sicura che vi divertirete.
È la notte del solstizio d’estate. Precisamente le ore 2 e 23 minuti del 21 giugno 2020. Spengo il PC. Secco il barbera nel bicchiere che mi ha fatto compagnia e, con tutti i profumi, in bocca, di questo nobile vino, proverò a svegliare il mio amante che, nel letto, non aspetta altro:
wow!
VIII
Nonna Elena. I personaggi di quel luglio 1952
Al punto della narrazione in cui siamo non è male soffermarsi, facendo il punto su quanto era in quel momento lo stato dei protagonisti di questa storia.
Uberto Alberti
Uberto Alberti, consigliato da Lucia si è già messo in moto per farsi eleggere al Senato della Repubblica.
Mancano otto mesi alla data delle elezioni e il consiglio che gli ha dato Lucia è quello di farsi vedere ovunque: stringere mani a più non posso.
Inutile aggiungere che Lucia è ufficialmente colei che gli segue la campagna elettorale. È a Bologna appena può e ha sostituito in ogni ambito la legittima consorte.
Legittima ancora per non molto. Il professor Alberti, innamorato come un gatto rosso della nuova compagna, sollecita continuamente il povero avvocato Profazio che faccia le dovute pressioni perché il Tribunale della Sacra Rota prenda in considerazione la richiesta di annullamento del suo matrimonio. Tutto questo con una buona dose di astio e cattiveria. Sa benissimo che se diventasse pubblico il suo ménage, più o meno more uxorio, con la dottoressa Boeri, avrebbe sicuramente ripercussioni sull’esito elettorale.
Elena, non sarebbe d’accordo di questo drastico tagliare i ponti con mamma, ma il rifiuto di questa a incontrarla o anche solo a parlarle al telefono, la spinge convintamente dalla parte delle ragioni del padre. Le attenzioni, poi, che le riserva Lucia – sempre pronta a condividere entrature e conoscenze con lei ad ogni necessità – ne ha fatto due buone amiche. Tant’è che quando Lucia è dal suo Uby, Elena si trasferisce per la notte da Gemma: «… giusto per non vedere che nel lettone grande non troverei più papy e mamy fra cui mi rilassavo serenamente anche da grandicella.»
Elena
Elena sta vivendo un periodo di intensa attività. Il primo numero di Femmine è stato presentato e tutta la stampa ne ha parlato molto bene. Due begli articoli sulla giovanissima direttrice. – con tanto di foto sulle prime pagine di Corriere e Messaggero. Qui c’è lo zampino di Lucia.
Gli abbonamenti piovono. L’editore deve provvedere, in fretta e furia, a una seconda tiratura.
Elena raggiunge Lucia a Roma, per ringraziarla. Se non ci fosse stata lei, col cazzo che sarebbe uscito così prontamente il primo numero della rivista.
Elena, vuole ringraziarla e le porta in dono una preziosa spilla che raffigura una minuscola civetta: smalto, brillanti, platino. Lucia gradisce molto e nella hall dell’hotel dove soggiorna, la bacia con un buon po’ più di erotismo di quanto sia concesso a due amiche. Loro sono affascinate l’una dall’altra. Anche se sono ben attente a non oltrepassare con le loro effusioni la soglia delle piccole dimostrazioni di attrazione.
Su questo Elena, rimugina per tutto il viaggio di ritorno. Le piace essere manovrata da quella donna che riesce pure a manovrare suo padre. Forse non le dispiacerebbe andare oltre ma il contesto venuto a crearsi esige tanta prudenza.
È in stazione a Bologna e sono le due di notte. È eccitata e carica come una molla. Decide di piombare a casa di Gemma senza avvertirla.
Gemma
Gemma – la porca – ha nel letto una giovane ragazza.
È la Picci – all’anagrafe Piera Lallini, nata a Pistoia nel 1932 – nuova assunta in biblioteca.
Elena e Gemma non hanno nessun obbligo di fedeltà tra di loro. Non hanno neppure mai dichiarato affetti l’un per l’altra.
Nonostante ciò, Gemma cela quella presenza e tira a liberarsi dell’amica che trattiene nell’ingresso della casa.
Gemma si è presentata all’amica molto disabbigliata. – Dopo aver visto dalla finestra chi avesse suonato a quell’ora, si è gettata addosso la sottoveste che, trasparente, ne esalta la malcelata nudità.
Colpevole di quello scherzo di luci e ombre, l’antico lampadario. Ogni qualvolta Gemma gli si posiziona sotto, ne fa trasparire i punti più intriganti. Che…
Capezzoli e la scura macchia del pube sono una sferzata all’eccitazione già in atto in Elena.
Molla ogni freno inibitore… e si lancia contro l’amica. Con prepotenza l’addossa alla parete… e, via!
Le dita, oltre la sottoveste, fornicano nel boschetto del pube. La bocca spazia tra labbra e collo, finché le labbra di Gemma non si schiudono all’impazzare della lingua. Da esse fuoriescono litanie di “Uuuhhh” ed “Aaahh”. Un amplesso che non ha più le caratteristiche della violenza.
Nessuna delle ragazze pensa di fermarsi. Anche l’abbigliamento di Elena è tutto sossopra. Un dito di Gemma sta penetrandola. È quanto si aspetta: «Sii più porca!» le sussurra. Lei ne introduce un secondo. L’abbraccio si fa ben più consistente.
Gemma va all’attacco. Elena l’asseconda e si libera di quel che indossa.
Ecco! Finalmente, è nuda! È lei, ora, addossata alla parete. Gemma la zompa di santa ragione con le dita.
In Elena si è fatta strada la prospettiva di tirare al mattino godendo… E allora: «Non ce l’hai più un letto?»
«Ce l’ho sì. È solo al momento occupato.»
«Il tuo ultimo spasimante, quello della cena al Pappagallo dopo l’opera?»
«Macché, è l’ultima assunta in Biblioteca…. Uno sfizio in tua assenza… La mia Porca preferita, sei sempre tu.»
«E adesso che facciamo?» Ad Elena non va proprio di mollare quella nottata che si prospetta assai godevole.
«La caccio.»
«Alle due di notte? Sei matta!… Com’è?»
«Civile… In carne ma belloccia. Non sa fare niente ma si fa fare di tutto… Le piace proprio che gliela facciano sfrigolare… Il bello è che viene subito.»
«Bene, un bel gioco a tre. No?»
La Picci, una new entry
La Picci, malgrado tutto quello che le era frullato attorno, se la stava beatamente dormendo al centro del letto. In bella mostra un corpo rigoglioso, ben armonico. «Belloccio!» stando a Gemma.
«Fantastico!» per l’eccitata Elena.
Le due amiche, arrapate più che mai, si coalizzano per svegliarla con un attacco concentrico. Ognuna da un lato.
In parole povere: la vogliono prendere in mezzo.
«Uno… due… tre e…»
Gemma lascia ad Elena l’onore di infilarle il dito nella figa. A lei, i capezzoli da succhiare.
Il risveglio della Picci non è repentino ma sincronizzato con il piacere che sta ricevendo da più parti: apre gli occhi e: «Ma in quante siete?» Domanda assonnata.
«Son sempre io, Tesoro. Guarda… Ho qui con me la mia fidanzata che ti trova meravigliosa…»
«Fantastica! – la corregge Elena che, seguendo le pulsioni del proprio desiderio, sta calando la figa sulla bocca di Picci – Vediamo come se la cava.»
La Picci non ha esitazioni. Appena le umide labbra della figa di Elena, incontrano quelle della sua bocca, mette in moto la lingua e offre quanto ha appena appreso da Gemma.
«Cazzo, Gemma, ma ci dà, che ci dà!» con entusiasmo Elena si china in avanti e scende con la bocca fra le cosce di Picci. A quel dolce impatto la ragazza sobbalza e allarga tutto quello che può.
Elena, è nelle condizioni di potersi esprimere più porca che mai.
Le mordicchia le robuste cosce e si avventura nella macchia villosa che protegge la crepa dei desideri. Quando la sapiente lingua di Elena varca quella soglia, l’erotismo in quella stanza deflagra. Mugugni, sobbalzi e contorsioni dei corpi. Incitazioni emesse fra carni assatanate nel godimento.
Pochi colpi di lingua e la clitoride trascina Picci in un sensazionale orgasmo. Sconvolgendo tutta l’armonia della loro posa erotica.
Non era più un 69 composto!
Svincolatesi, la Picci invoca, piagnucolando, che Gemma l’accarezzi finché gli ultimi strali del piacere non si fossero dissolti.
Dovrà provvedere da sola. Gemma è impegnatissima con la figa di Elena che, per tutto il trambusto, ha mancato l’orgasmo.
«Così, Tesoro… Hai capito tutto… Di lingua e di dita… e io non tardo a venire» per Elena, l’orgasmo con Gemma è sempre stato una certezza.
Anche la casa di Gemma è nel cuore della Città. Che vuol dire, un punto in cui sono udibili i rintocchi della campana della torre del Municipio.
La campana ha appena battuto tre tocchi.
Le ragazze sono spaparanzate sul letto, ognuna con i propri pensieri. Probabilmente appagate.
Sicuramente lo era Gemma che, precedentemente all’arrivo di Elena, ha avuto modo di godersi la Picci, sopra e sotto.
Per la Picci ed Elena resta la curiosità di conoscere l’altrui corpo.
Dopo ben poco il respiro di Gemma si fa più marcato: “Si è addormentata!”
La mano di Elena si mette a vagare sulla florida coscia della Picci. Questa, un lustro più giovane di lei, è una ragazzona alta e robusta che trattiene nel corpo molte caratteristiche delle adolescenti.
Quelle dita, con la delicata agilità di un ragno, assaporano la fanciullesca ruvidezza della pelle e si avventurano verso l’inguine. Si addentrano tra la folta peluria. La Picci collabora, rilassata. Le gonfie ganasce della figa, si aprono. Invitanti.
L’invito è accettato.
La Picci si mette su un fianco. Posizione comoda per fare lo stesso intervento nella figa di Elena. Frenetiche, le loro mani condividono lo stesso ritmo. Per rallentare, assieme, esplorare e mettere in pratica i piccoli artifizi che la loro fantasia suggerisce.
«Ma tu del ditalino sei maestra! – le bisbiglia in un orecchio la Picci. – Delicata ed incisiva allo stesso tempo.»
Vanitosa come poche Elena la bacia e fintanto che ha la lingua in quella bocca, accelera il ditalineggiare.
La Picci, come le ha anticipato Gemma: “Viene subito.”
Elena ha sempre in lei il dito di Picci. Ne sente la corposità, ma l’inesperienza della ragazza a questo bel giocare, non produce piacere: “Eppure… ha nocche ben pronunciate che dovrebbero suscitare brividi. –Pensa… “E se provasse…”: «Metti un secondo dito… Tesoro!»
È tutt’un’altra storia: il piacere dilaga in lei. Serra le cosce attorno alla mano di Picci. È tutta un tremito, mentre le divora la lingua.
Baci e carezze per annacquare la loro eccitazione. Rimane loro la voglia di parlare. Conoscersi.
«Te l’ho leccata senza neanche sapere il tuo nome… Ma è stato così bello!»
«Se ci frequenteremo ti farò provare altre orbite.»
«Se pensi di volermi vedere ancora, vuol dire che ti sono piaciuta.» È entusiasta Picci. Le va con la bocca sul seno e le bacia appassionatamente le tette. Che, a occhio, sono la metà delle sue.
«All’inizio ti sentivo incerta e inespressiva. Con il secondo dito hai preso coraggio e mi hai regalato momenti magici. Hai mani d’oro per i ditalini.»
«Se lo dici tu posso anche crederci. È tutt’oggi che Gemma mi parla con tanto entusiasmo delle tue arti saffiche» e si lecca le dita masturbatrici.
«Da quant’è che ti piace la figa?»
«Soprattutto da oggi. Che l’ho provata.»
«È la tua prima volta. Davvero?»
«Oh, sì! Ed è bellissimo! Mi piacerebbe tanto festeggiare…»
«Anche adesso che sono le tre della notte?»
«Come no. È di notte che mi vengono le idee migliori – ci pensa un po’… Poi – Ti piacerebbe che ti leccassi il buco del culo… Sei stata così gentile con me!»
Non le risponde, Elena. Le spiana il culo innanzi al volto: «Vuoi proprio far di tutto, oggi.»
«Gemma mi ha detto che non so fare niente. Vorrei solo bruciare qualche tappa.»
«E allora, dai!» Elena prende in mano una delle proprie chiappe per tenerla ben distanziata dall’altra. Il buco del culo si era apre con tutta la sua aura di trasgressione.
La punta della lingua inizia a lambirne i contorni. Aumentata l’eccitazione in lei, Elena, l’incoraggia: «Se aggiungi un paio di dita nella figa generi un ‘ditalino speziato’ che è sempre una gran cosa.»
La Picci stacca un attimo la bocca per ringraziare: «Grazie del consiglio… Sono qui per imparare». Riprende a leccare con maggior entusiasmo.
Elena apprezza e sorride a culo aperto. Sta godendo anche di figa!
Il trambusto ha svegliato Gemma: «Maledette troie, ce l’avete poi fatta a svegliarmi! Chi ce la fa più a riaddormentarsi con voi due per casa?»
«Hai qualche idea?»
«Mo sì, ve. Una bella doccia collettiva. Così sono sicura che sotto lo scroscio d’acqua farete godere anche me.»
il primo giorno di lavoro della Picci
La Picci non è un passaggio significativo nella storia che vi sto raccontando. Mette in luce la grande umanità di quelle generazioni che superato il tragico periodo della guerra, si stavano rimboccando le maniche per un mondo più evoluto e in prospettiva migliore.
La Picci era arrivata all’Archiginnasio, fresca di assunzione, in una calda mattina di agosto: il primo.
Assunta in quanto orfana di padre, caduto per la patria, era anche iscritta alla facoltà di Lettere. Avrebbe lavorato e studiato.
Insomma, per emergere, si sarebbe fatta un culo così.
Assegnata al reparto diretto da Gemma si era presentata in ufficio con un abitino estivo leggero e svolazzante che in certi movimenti mostrava qualche porzione del suo corpo di ragazzona: alta e corpulenta. Gemma aveva fatto subito un pensiero porco “Deve avere un figone della Madonna”.
Dando seguito a quel ragionamento l’aveva osservata mentre svolgeva i compiti che le aveva assegnato. Scoprendo fugacemente che aveva cosce grosse e piene. Capezzoli pieni e robusti che facevano di tutto per far sapere che c’erano.
“Bisognerebbe che diventassimo amiche” era divenuto il suo massimo impegno di quella mattina.
Quasi due ore di sosta per rifocillarsi e La Picci – come aveva detto che la chiamavano in famiglia – aveva pranzato con lei in una taverna del Mercato di Mezzo.
Fra qualche sorso di bianco dozzinale, pane e mortadella, all’Osteria del Sole, Gemma aveva imparato che: non aveva il fidanzato, non era più vergine… che, le sarebbe piaciuto tanto abitare in Centro. Viveva, con la famiglia a San Rufillo.
Alle cinque, quando la loro giornata lavorativa si era conclusa, Gemma aveva messo in campo un’altra trappola per sedurre La Picci:
«Se non hai impegni t’invito a dissetarti con una vera Coca-Cola, qui da Zanarini… Offro io.»
«Oh, sì. Volentieri! Sarei andata a fare un giretto guardando le vetrine. Molto meglio la tua compagnia.»
La Coca-Cola era scesa graffiante e rinfrescante nelle loro gole.
«Così, ti piacerebbe vivere in Città.»
«Sì. Proprio qui nei dintorni… A due… trecento metri dal signor Galvani e dalla sua rana. Che ne dici, posso sognarlo?»
«Ma sì. Ve. Anche qui, ci sono certe catapecchie che ti tirano dietro per pochi soldi… Io sono riuscita a comprarmene una. Me la sono messa a posto, facendomi aiutare da mio fratello Ne è saltato fuori un bell’appartamentino… Per andare a casa, da qui, ci metto dieci minuti.»
«Dai, che t’accompagno. Per me è sempre un giretto.»
«Ecco, vedi, io sto qui. Al terzo piano. Ho la finestra della camera da letto che guarda nella piazza della Questura.»
«Qui non dovreste aver paura che i ladri vi entrino in casa.»
«Per quello non avrei paura neppure da altre parti. Ho una bella casina ma non ho niente di valore… – con entusiasmo – Vuoi salire… Ho qualche birra nella ghiacciaia… di quelle amare ma che fanno passare la sete… Vieni.»
«Così, piacerebbe anche a me – si guarda attorno come cercasse qualcosa – Dovrei fare pipì…»
«È quella porta, lì, a sinistra… Ho messo su anche il bidet. Con sto caldo è un toccasana.»
«Ne approfitterò… Noi non ce l’abbiamo. Grazie.» Si ritira.
Intanto Gemma, sempre insofferente al caldo si è tolta la camicia e la sottoveste. È con la gonna e il reggiseno. Nero.
«Ah, però! Ti sei messa in libertà.»
«Sto caldo, mi fa dar di matto… Se vuoi tirarti giù qualcosa anche tu… Non mi scandalizzo mica.»
«Volentieri. È che il vestito è un pezzo unico. Se me lo sfilo resto in mutande e reggiseno.»
«Credimi… io non mi scandalizzo.»
«Allora, vado.»
«Mo dio bonino! Sei proprio una bella patozza!» Un’esclamazione che avrebbe potuto rivelare le reali intenzioni della bibliotecaria-capo.
La Picci arrossisce «Normalmente quando scendo al fiume in costume, fratelli e amici dicono che sono ‘un figone’.»
È con una mutanda confezionata in famiglia e con il reggiseno di tessuto chiaro.
Gemma non è ancora pronta a dimostrare tutta l’eccitazione che sta impossessandosi di lei. Si controlla. Non vorrebbe dimostrare la sua propensione alla trasgressione a chi, magari, potrebbe avere una morale che non indulge a certe manifestazioni. Sente il bisogno di conoscere meglio Picci. Anche se, avere attorno seminudo, questo armonico corpo un po’ più voluminoso del suo – che già non è scarso – aumenta il rischio di una incontrollata deflagrazione erotica da parte sua. “E se mi dice: ‘Cosa ti salta in mente? … Per chi mi hai preso?’ Che figura di merda!” C’è un grande scontro nei suoi pensieri!
Ma Picci fa una mossa che spinge avanti l’orologio del momento x.
Gemma estrae dalla ghiacciaia – Che non è il frigo, ma una credenzina che va rifornita ogni due giorni da trance di ghiaccio artificiale – qualche bottiglietta di birra. Sta sciacquando un paio di bicchieri e si trova La Picci dietro di lei.
«Non avrei mai creduto di trovare un capo delizioso come te. Senza neppure sapere se sarò una brava impiegata mi stai trattando da amica. Come ci conoscessimo da sempre. Vedrai che non ti pentirai di avermi data tanta amicizia. – Gemma si gira verso di lei e Picci le stampa un bacio sulla fronte dicendole – Non è giusto, però…: io sono qui, in casa tua, libera di poter stare come in casa propria e tu, invece, porti ancora il tailleur addosso. Che deve fare un caldo!»
“Questo è un chiaro messaggio.” Pensa Gemma ma vuole essere ben sicura. Anche se fra le cosce la figa, già, borbotta.
«Hai ragione.»
Aperto il gancio. Fatto scivolare giù lo zip, il tailleur si affloscia a terra. Gemma è con calze, reggicalze e reggiseno.
«Se fossi a casa mia mi toglierei anche quelle robe inutili.» Le sorride Picci, maliziosa.
Gemma la prende in parola e si applica ai ganci delle calze come fosse innanzi a un uomo arrapato. Un vero e proprio spogliarello!
Picci non perde un attimo delle sue sensuali moine. Senonché: «Vuoi che ti aiuti con i ganci dietro del reggicalze?»
«Mo sì. Vè. Anche se mi fai sentire come una vecchia signora…»
«Niente vecchia signora. Forse solo un po’ di invidia per un corpo che vorrei avere. – Il reggicalze si apre e cade sopra gli altri abiti. – Adesso capisco perché i giovanotti vengono così volentieri a studiare in Archiginnasio. Con certe gnocche!» Ride divertita alla propria battuta ma non manca di accarezzarla tra il collo e una scapola.
«Se andiamo avanti così sarà poi la volta del reggipetto.»
«Quello poi no. Le ho brutte e immense… Con i capezzoli che sembrano albicocche spiaccicate lì. Tu sì che anche vestita, spiani un bel decolté.»
Si siedono dedicandosi alla birra. Momenti di silenzio in cui, a Gemma pare che abbia voce, solo il reclamare della propria figa.
Gemma insiste sul tema tette «Dovresti vincere l’astio che hai nei confronti del tuo seno e gestirlo con più disinvoltura…»
«Così?» e cade il suo reggipetto.
«Così!» le va dietro Gemma. “La prossima mossa è baciargliele. Sono belle e anche sostenute”
Gemma, da seduttrice incallita va alla ricerca di un’altra chiave per far saltar fuori il lesbismo della ragazza che le pare lampante. Di tanto in tanto nota Picci che porta una mano in grembo – sotto al tavolo –. È sicura che va a toccarsela.
Il fidanzato che c’è… Non c’è… C’era ma non c’è più, diventa il tema propizio.
«Non c’è, non c’è mai stato e prevedo che non ci sarà mai»
«Non ti piacciono gli uomini?»
«Mi piacciono moltissimo e ogni tanto qualcuno me lo faccio… Quello che non ho voglia, è di averli dietro di me per casa.»
«Sei un po’ come me. Anche se cerco sempre il grande amore a cui darla. Sono ancora vergine e ho due amanti.»
La ragazzona si stupisce: «E se non gliela dai, con cosa li tieni…»
«In casi estremi anche col culo. Ma vergine debbo restare fino al matrimonio.»
«E se nessuno vorrà sposarti?»
«Morirò vergine così finirò finalmente sui calendari.» Ridono alla battuta.
«Tu invece l’hai data e la dai?»
«La prima volta non l’ho data ma se l’è presa. Era mio padre. Avevo tredici anni. L’ho detto a mia madre. La guerra era finita da due giorni.»
«E tua madre?»
«L’ha detto ai suoi fratelli…»
«Che?…»
«La foto di mio padre la puoi vedere nel sacrario dei caduti in piazza Nettuno. A mamma ora è arrivata anche una pensione quale vedova di caduto in guerra. Che lei versa in un libretto intestato a me. Io la divido con i miei zii. Fecero proprio un lavoro ben fatto e pulito.»
«Dio mio! Cosa devi aver passato. Piccola!»
«Chissà perché ho voluto raccontartela. Son quelle cose che non vanno mai tirate fuori. È la prima volta che mi capita!»
«Non temere, ti giuro che io non ne farò mai parola ad alcuno. Però hai trovato il coraggio di fare l’amore con uomini… Sei ammirevole!»
«Non so tu. Ma a me, a volte, si mette a tirare e non mi dà scampo. Così ho dovuto rassegnarmi ad andare a caccia di uomini. Gli orgasmi che provo sono sempre tosti. Debbo però, abbandonare al più presto l’occasionale amante. Fuggire! In me cresce un irrefrenabile desiderio di ucciderlo. Ho comunque, avuto sempre il naso di scegliere qualcuno che sarebbe stato difficile, poi, incontrare casualmente.»
Gemma si è levata in piedi e da dietro le sue spalle ha ascoltato quelle dure esperienze sentimentali. L’ha baciata sul collo. Non c’è né eros né passione nella sua bocca.
Si alza anche Picci per abbracciare chi in quel momento sa così bene esprimerle solidarietà.
L’abbraccio schiaccia le tette dell’una contro quelle dell’altra.
È qui che Gemma trova lo spunto per porle la domanda che più le sta a cuore:
«Hai mai pensato di far l’amore con una femmina?»
«Tante volte. Ma non ho mai trovato il coraggio di abbordare qualcuna di quelle che mi suscitavano questo desiderio. È sempre finita che mi sono masturbata pensando a loro»
Qui Gemma aveva supera sé stessa in fatto di essere porca:
«Adesso ti masturberesti pensando a me?»
«Spererei in qualcosa in più»
L’accondiscendenza insita in quella battuta genera un’ondata di piacere che dilaga su tutta la pelle di Gemma. sente contro le sue tette, duri e grossi i capezzoli di Picci. Una sua mano viola l’elastico della mutanda La mano spazia liberamente fra quelle floride ma solide natiche. Per un po’ si era mette anche a trastullarle il buco del culo.
Picci gradisce con sospiri eloquenti e, sempre più stretta all’amica allarga le gambe per permetterle più agevoli toccamenti. Il braccio di Gemma aveva conduce la mano sotto la figa e gliela aveva stringe con passione.
Intanto la bocca, abbandona il collo arriva sulle labbra che Picci aprto con entusiasmo.
Subito aveva avvertito l’amarognolo sapore che lascia la birra. Poi: “Chi se ne frega dei sapori terreni!” Fa saltellare la lingua qua e là fino alla gola.
Non avrebbero più smesso quel succhiarsi a vicenda. Per loro restano tante altre cose da scoprire!
Una pausa per guardarsi sinceramente negli occhi e Gemma con gesto teatrale cala il proprio slip.
Picci interpreta il copione allo stesso modo.
“Ha proprio un figone della Madonna!”
Sono finalmente nude. Si guardano e si abbracciano.
«Così è tutta un’altra cosa!» commenta La Picci
«Aspetta e vedrai… Vieni!» Quasi di corsa, per il buio corridoio, verso la camera da letto.
Andiamo avanti su quel che facevano i nostri personaggi all’inizio di quell’agosto del ’52. Solo sette anni dopo la fine del terribile conflitto mondiale!
La bella strega dell’amore
Francesca è diventata la bella strega dell’amore. Un nomignolo affibbiatole dai clienti del bar, per certi intrugli che propone quali infallibili afrodisiaci.
Il tutto è nato in un assolato pomeriggio:
La stessa cosa, ogni giorno, da quando è iniziata la loro storia d’amore. Verso le tre e mezza, Filippo si siede ad uno dei tavoli del Caffè Milano. Francesca avrebbe finito il turno di lavoro alle quattro. Dopodiché i due si sarebbero involati ai loro pascoli d’amore.
Filippo, inganna l’attesa sorbendo una gelida granita al limone. Che Francesca, gli fa trovare pronta.
Chissà perché quel giorno, Filippo non si accontentato della solita bibita. Vuole un qualche cosa di più e suggerisce alla bella mora: «Perché non aggiungi un cucchiaino di Maraschino?» Francesca torna con la bottiglia del Luxardo ed esegue la correzione suggerita dal cliente: «Un solo cucchiaino. Se no diventa troppo dolce». Non solo. Torna al bar se ne prepara anche per lei. Concorda con il suo amante che la bibita assume un sapore figo.
Fin qui tutto normale.
Succede poi che, i due volassero verso il nido d’amore che si sono attrezzati sull’Isola dei Pescatori. Quel breve tratto di motoscafo è un supplizio per il pilota che deve assistere alle spudorate evoluzioni erotiche dei passeggeri. Fatte di struggenti baci e palpeggiamenti in ogni dove.
Dopo lo sbarco… una frenetica corsa dei due per raggiungere la loro stanza. Qui, una breve incertezza di Filippo lo lascia qualche momento innanzi alla porta che Francesca chiude dietro di sé. Non vuole altro che farsi trovare già nuda e pronta per le esigenze dell’uccello.
Un gioco tra innamorati!
Si spogliata. Sul letto, se la coccola finché non la sente umida al punto giusto.
Filippo intanto ha recuperato un passe-partout dal portiere e si trova innanzi la meravigliosa immagine dell’amata anelante e a sua completa disposizione. Un solo un attimo e i due diventano un unico corpo.
«Sei straordinario, amore mio! Non sei neppure entrato e ti sento già in fondo a me a darmi piacere… Ti farò impazzire» e con la figa improvvisa una catena di movimenti che paiono il mordicchiare di una bocca esperta nel sesso orale. Filippo, con vigore e agilità, fa danzare l’uccello furiosamente sul fondo della vagina.
«Una sborrata così non me l’avevi ancora data.» Sospira Francesca togliendosi qualche schizzo, finito sulle palpebre.
Una scena simile torna a ripetersi nel giro di qualche decina di minuti.
«Amore, non riesco più a tenerlo fermo.»
Perché non tornargliela a dare?
E non è finita.
Di questi magici momenti, prima di cena, se ne compiono ben quattro. Con il rammarico del quinto in cui, forze del male ammosciano l’uccello. Niente paura. Sarà la lingua del ragazzo ad innalzarla al quinto orgasmo.
Da qui il ragionamento di attribuire quella smania di godimento alle granite e alla loro correzione.
Filippo, la mattina successiva, quando Francesca, l’abbandona per il lavoro, ne raccontato qualche dettaglio al gestore, il signor Egidio, che non manca di divulgare la notizia dopo averne goduto lui stesso i miracolosi benefici.
Così di bocca in bocca nasce la nomea di Francesca, quale Bella Strega dell’amore.
Il Caffè Milano, per i frequentatori colti, passa da luogo di convivialità a luogo di rigenerazione della salute.
Mentre lo slogan in bocca al popolosarà più pittoresco: “Se ne bevi, poi ti tirerà”.
Francesca ha il suo momento di gloria: un articolo con foto in costume da bagno sulla Gazzetta del Lago e la sua nomina nella giuria per Miss Stresa 1952. Sono tanti che, incrociandola per strada, la salutano con: “Ciao Strega” o “Ciao bella strega”. Riceve proposte di lavoro in famosi locali anche in Galleria, a Milano. Ma non volendo lasciare la sua terra, accetta di rimanere al Caffè Milano quale direttrice di sala, raddoppiando lo stipendio.
La gioia era stata tanta che si era chiusa in camera con il suo Filippo dopo una cena con ricette afrodisiache siciliane di Egidio.
Egidio, li raggiungerà poi, assieme a Mimma, la morosa, che ha convinto a lasciarsi andare alle follie di una notte fra due coppie.
Scatterà fra le femmine una sorta di agonismo e con l’ausilio di ben tre caraffe di granita, formula bella strega dell’amore, faranno venir mattina, mollando ogni moralismo e freno inibitore.
Verso l’alba le ragazze si erano cosparse di crema, reciprocamente, le parti erogene, provate dal recente uso.
Mimma, non avrebbe potuto mai più dimenticare il gioioso vagare dell’uccello di Filippo alle soglie del proprio utero.
Francesca, le raffinate bordate di Egidio nel suo bel culo «La figa è solo per il mio maschiaccio» e gli aveva proposto la seconda via. Egidio, cultore dell’inculata, l’aveva fatta piangere di piacere.
Il nuovo giorno si era affacciato sopra al Lago quando le ragazze avevano trovato la quadra, chi sopra e chi sotto, per il loro successivo 69.
In terrazza, Egidio, mettendoci il proprio culo, aveva dato in pasto a Filippo la propria esperienza su come gestire alla meglio in un culo, un cazzo della sua volumetria: «…che quando lo si riceve con consapevolezza, offre sensazioni irripetibili… Dai, porcone, spruzzami dentro!» C’era quasi affetto in questa esortazione.
Il sole è già alto nel cielo. Il Lago è placido. Le montagne lo guardano con la loro naturale diffidenza. Egidio, ha riaperto il bar della Locanda.
Mimma, tornata a casa, alla sorella minore, venuta dalla Sicilia per trascorrere una settimana con lei, racconterà la notte viziosa passata in compagnia di ben due maschi. Di Francesca non ne parla. Di certe stravaganze, al paese, meglio non far sapere. Sicuramente raddoppia, nella narrazione, il numero degli orgasmi raggiunti. Che così diventano quindici.
Francesca prima di lasciare la locanda telefonerà ai suoi per dir loro che sta bene e che le hanno raddoppiato lo stipendio.
È triste la ragazza. Ha accettato l’orgetta con entusiasmo ma, già nel vortice, quando vede il suo maschione sgocciolare il preservativo tra le tette della sicilianotta, che gli ha anche ripulito il cazzo succhiandoglielo, ha un rigurgito di gelosia, tanto che cerca di trarre a sé Filippo. L’uccello non gli si erige all’istante e lei, indispettita più che mai, accoglie il giro turistico del cazzo d’Egidio nel culo. Di cui sentirà per ore il bruciore.
Pur con il broncio, verso mattina, la da ancora al suo maschiaccio. Sempre per il timore che Mimma glielo carpisse con la bocca. Quando la completa inagibilità dei cazzi presenti in stanza decreta la chiusura della nottata orgiastica, si chiude sotto la doccia ignorando l’offerta di Filippo a massaggiarle schiena e dintorni.
Filippo
Filippo si fa preparare un’energetica colazione, annaffiata con tanto caffè.
Il motoscafo lo stava porterà a Stresa.
In un’ora sarà da mamma. I vincoli del fidanzamento, concordati fra le future consuocere, vogliono che i suoi sabati e la domenica vengano trascorsi con le reciproche famiglie: la grande famiglia! Sabato sera, cena, a tu per tu con Loredana, al ristorante. La domenica mattina, messa nel Duomo, con lei e le rispettive famiglie, per finire nel pranzo domenicale, in quella di lei.
La vita, a quel tempo, per un apprendista capitano d’industria nell’operosa Italia del Nord, impone regole e comportamenti ben precisi.
Un bacio sulle gote a Loredana quando va a prenderla per l’aperitivo del sabato e altri due – quante le gote – più romantici: mano nella mano. Al loro distacco, nel dopopranzo della domenica.
Non è certo il nutrimento sentimentale a lui sufficiente. Ma va bene così. In quei quattro contatti epidermici settimanali, non gli sarebbe mai diventato duro. Figuriamoci dopo la selvaggia notte all’Isola dei Pescatori in cui, addirittura, si era spinto alla sodomia al maschile.
Un fine settimana di erotico riposo tra le premure di mamma e papà ci sta proprio.
Anche la golosa cena al Buon Sammaritano, eccelso ristorante cattolico, scelto da Loredana, sarebbe diventato un relax per l’inconsistenza del dialogo innanzi all’elegante orata: «Ho fatto arrabbiare Don Camillo per aver sforato di tre unità il numero dei piccoli alla mia ora di catechismo.» Discorsi inutili per ipotetici innamorati. Ma, anche questi, vanno bene così. Lui le partecipa la sua solidarietà, accarezzandole più volte una mano. Lei arrossisce. Lui non può certo rallegrarla raccontando la spagnola fra le tette di Mimma – Un’artista in quel genere! – o gli estatici momenti con il volto tra gli odorosi peli della figa di Francesca.
Del suo soggiorno all’Isola dei Pescatori non si parla quasi, se non per: «Hai poi intenzione di venderla la Locanda?»
«Con gli aggiustamenti che le abbiamo dato in questi giorni, direi che vale la pena tenerla.» E tra sé e sé: “Se no io dove vado a scopare?” Poi il discorso cade.
Quindi una cena che nella sua monotonia gli permette di recuperare parte delle energie dissipate nel sabba dell’ultima nottata.
Non è la stessa cosa al suo rientro in casa.
Mamma lo sta aspettando nel salone dove convergono tutte le vie della magione.
«Sei uscito con Loredana?»
«Ma sì. Ve… è sabato.»
«La tua futura suocera mi ha tenuta al telefono per mezz’ora. Era furente.»
«Mhmm beh? Io cosa c’entro?»
«Le risulta che questa settimana nella loro farmacia di Stresa hai acquistato tre confezioni di preservativi. Tre per tre, nove!»
Gli scappa da ridere per poi trasformare l’allegria in una gridata incazzatura:
«E tu le avrai dato soddisfazione. Senza pensare che stanno pedinando tuo figlio.» Si calma. Torna ad essere quel ragazzone eternamente con il sorriso sul volto. Va verso di lei, rigidamente immobile al centro della sala, con la sua andatura un po’ dinoccolata ridendo «Certo che ho fatto incetta di preservativi. Ora, sono tutti in dotazione alla Locanda sull’Isola.»
«Ma che dici? Sii onesto.»
«Chiedi al signor Egidio… La locanda si è trasformata in una meta d’amore per coppiette e sposi novelli. Sempre più spesso gli chiedono se per caso avesse mai…»
«Ma ti rendi conto che ti sei reso complice di un’azione contro natura?»
«Mamma! Queste idiozie non le puoi raccontare nella casa di un dirigente socialista. Anche se ti vengono suggerite dalla famiglia dell’ipotetico futuro cardinale di Milano.»
Gli è innanzi e non può che rilevare la bellezza di quella donna in collera, che è sua madre. Fa per abbracciarla. Lei si irrigidisce ancor di più. Si sente respinto: «Fai la figa, mamma? Sono tuo figlio, neh! – si allontana di qualche passo – Se non hai altri rimbrotti vado a leggermi qualcosa… Tanto per non farti fare brutte figure, domani, alla messa in Duomo io non ci sarò. Così pure al loro pranzo domenicale. Se cerchi una scusa, evita la colica o il mal di stomaco. Il ristorante, stasera, l’ha scelto Loredana: un misto fra una clinica e una festicciola parrocchiale… Tutto perfettamente digeribile.»
«A me e tuo padre non interessa se tu hai rapporti con altre ragazze. È la tua età. A questo fidanzamento però ci teniamo. È una ragazza tanto per bene che non ti darà mai un dispiacere. E ti darà tutti i marmocchi che vorrai. Fallo per me.» Si addolcisce Maria Pia e si concede al suo abbraccio. A Filippo, a un passo dai suoi occhi… dalla sua bocca… per un attimo viene in mente Elena. Si lascia andare tra le braccia di mamma e gli pare che anche lei usi lo stesso profumo: “Ma vi siete coalizzate per farmi sentire una merda!”. Sbotta tra sé. Turbato, sale in camera sua perché in quel momento, vuole recuperare la bella abitudine dell’erotismo telefonico con lei, che ha interrotto con scuse varie, dopo la cotta per Francesca.
In quel momento si accorge che mamma glielo ha fatto venire duro.
«Guarda che il sabato, i fidanzati dovrebbero essere a morosa?»
«Piuttosto tu: nubile e bella… A meno che tu non abbia qualcuno sotto le lenzuola.»
«Sotto le lenzuola ci vado solo con la tua voce, se però mi dici che ce l’hai duro.»
«Come no. Guardavo mamma e mi son detto una volta di più: “Guarda bene, è uguale a…” e me lo sono subito sentito duro.»
«È vero, di somiglianza ne abbiamo. Non vorrei che sognasti di trombare lei mentre lo fai con me.»
«Il guaio è che ho veramente il desiderio di trombarti dal vivo… Sentire… il calore delle tue cosce che fremono attorno al mio viso mentre te la lecco… Il profumo delle tue tette… Della tua passera sbarazzina… Sputacchiare qualche tuo ricciolo dopo avertela leccata… Tutte piccole gioie. – Se lo rimette nelle mutande sempre ben eretto. – Con te è un insulto metterlo in seghe… – Grida nella cornetta – Niente sega!… Domattina prendo il treno delle sei. Alle dieci sono da te. Mi prendi?»
«Se ti prendo?… Ti prendo e ti do tutto quello che vuoi. Adesso però non chiudere… Me l’hai messa in ebollizione… fammi venire.» Filippo sapeva bene da dove cominciare:
Sussurri che le avevano parlato di come avrebbe mosso la lingua nei meandri della figa… L’incontro con la timida clitoride. Il veloce linguettare sotto e anche tra figa e culo.
«Così… così va bene… Che caro che sei! … Ancora un po’!»
È il ricordare le sue dita che la penetrano mentre la lingua scherza con la clito a farla venire.
«A domani, amore mio.»
A metà della via dell’Indipendenza si accorge di averlo già duro. Chiede al taxista di accelerare.
Il portinaio del palazzo, riconosciutolo, gli chiede se può dargli la posta arrivata per la signorina Elena. “Non è il momento giusto.” Filippo con un certo sussiego, perché capisca che in ballo ci sono cose ben più importanti.
Il signor Giuseppe, educato portinaio di via Ugo Bassi 9, gli chiede educatamente scusa. Non si è accorto che il giovane stringe in pugno un bouquet di rose rosse, appena acquistato dal fioraio che ha negozio di fianco al portone.
Nel fulmineo tragitto in ascensore, Filippo pensa di tirarlo fuori e farsi trovare con quello in pugno quando lei avrebbe aperto la porta.
“Ma se poi la porta fosse stata aperta, che ne so, toh, dal Professore, per caso non ancora in studio? Che figura di merda!”
Che quel ritrovarsi avesse occupato la mente dei due giovani era un dato di fatto. Elena si è alzata molto presto. Aveva preso un caldo bagno con l’acqua addizionata da tutte le spezie che negli ultimi sei mesi, le ha propinato la profumiera.
Ha preparato un’abbondante colazione per sé e suo padre. Che ha tirato giù dal letto un’ora prima del suo solito. L’ha incalzato perché espletasse tutte le sue attività mattutine al più presto e che, prima delle dieci si togliesse dai coglioni: [N.d.A.: Si fa dire.] «Verso le dieci e mezza arriva Filippo. Non so quanto resterà. Io, comunque, sarò tutta per lui.» Papà Uberto, divenuto recentemente un grande paladino e divulgatore dell’amore romantico ma libero, l’ha stretta con affetto lasciandole un bacio sulla fronte. Quella notte avrebbe dormito a casa della sua capo-sala [N.d.A.: che nella gerarchia sanitaria, del tempo, veniva subito dopo l’assistente medico.].
Uscito il padre di casa, Elena corre al salone del Coiffeur Marzio. Qui c’è Gloria, assistente del titolare. A lei che conosce centimetro per centimetro il suo corpo, glielo affida, perché lo porti al suo massimo splendore. Compreso il cespuglietto- Elena sa quanto si perda il bel Filippo ad osannarlo.
Una rapida revisione ai capelli… Aggiustamento del pelo pubico con bacio finale in loco e il corpo di Elena è pronto per affrontare qualsiasi giostra d’amore. Gloria le ricorderà anche che lei e il suo bel Michele, suo marito, sono sempre in attesa di poterla avere fra le braccia in un peccaminoso gioco a tre.
Messa a posto la protagonista principale, ovvero lei stessa, non le resta che curare la scenografia. La stanza. Metteo al letto, lenzuola rosa e sposta dal tavolo di lavoro al comodino il portaritratti con la bella foto di lui, l’estate prima, al mare. In quella foto si può evincere che sotto il costume da bagno ci sia qualcosa di sostanzioso.
Da un orario dei treni ricontrolla gli arrivi da Milano. Fa i suoi calcoli e al momento giusto si spoglia completamente. Dalla finestra avrebbe visto l’arrivo del taxi e il suo ingresso nel portone.
Ancora un piccolo guizzo per rendere ben più piccante la sorpresa: la massiccia porta di casa, lui, l’avrebbe trovata aperta. Solo accostata.
Lei, sul letto, insaziabilmente pronta.
L’eccitazione, nei pochi minuti di ascensore sta pervadendo Filippo. La gola gli si è seccata e tiene spasmodicamente stretto il bouquet di rose rosse.
La leggera scossa e la macchina ferma innanzi alla porta degli Alberti. Di slancio preme il campanello e ode il suono spargersi per l’appartamento.
“Cazzo! La porta è aperta.” la spinge quasi con timore e si fa avanti.
«Elena…» chiama. Poi ancora: «C’è qualcuno?» Nessuna risposta.
La prima porta sulla destra è quella della cucina. È aperta e dentro non c’è attività. La successiva, quella della sala da pranzo, è chiusa, ma anche aperta non mostra presenze. Segue quella del bagno, col battente a vetri opachi, da cui non traspare alcuna luce. Poi si accorge del messaggio che Elena ha lasciato innanzi alla porta della propria stanza. A terra, il suo slip. A quella vista, Filippo non può non intuire il gioco: Si spogliato in un baleno e lasciato tutti i suoi abiti sul pavimento, apre quella porta: «Uno spettacolo che se non fosse stato per rispetto all’erezione del cazzo, le sarei crollato sopra disordinatamente.» avrebbe raccontato successivamente l’emozione vissuta… Elena, sul letto a gambe ben aperte lo sta aspettado. Tanto, che ha messo sotto al bacino un cuscino e scritto con il rossetto sul ventre: “Filippo, ti voglio”.
In quell’atmosfera di profonda sensualità, occhi socchiusi, lascia a qualche gocciolina che saltella di tanto in tanto tra i peli del basso ventre, il dialogo su quanto si aspetti.
«Ho letto recentemente su Selezione dal Reader’s Digest che anche un cuore di un ventenne può subire una sincope a seguito di una forte emozione.»
La cappella si introduce tra le carni di lei. Non appena sente i testicoli sbattergli controi, braccia e gambe imbrigliano lui. Tenendolo ben fermo dentro al suo corpo.
Il pianto per Elena è stata spesso la manifestazione spontanea per comunicare la gioia di certi momenti. Quello sicuramente lo è.
È una scopata talmente partecipata che quando si conclude, l’aitante ventenne confessa all’amante: «È stato come averne fatte cinque di seguito!»
«Cinque sono tante. Io però sono venuta tre volte… Appena sei venuto dentro. Dopo un po’ che mi scopavi e quando hai cominciato ad agitarti… poi sei venuto. Ho sentito in fondo a me l’uccello che pulsava e ti ho spronato. Mi sono goduta proprio i tuoi spruzzi!» Elena lo bacia appassionatamente sfregando tutto quello che può contro quel macho corpo che le giace ancora sopra. Ha pianto, esprimendo così tutta la propria gioia.
Amour et pluie doré
Quando si guarderanno allo specchio si troveranno vicendevolmente: “orrendi”. Il rossetto più rosso del rosso, che Elena aveva caricato abbondantemente sulle labbra si è sparso per tutti i loro volti mescolandosi al sudore e a tutto quello che salta fuori dai pori in una tenzone d’amore.
Fra di loro vaga un mix di odori forti, verso cui Filippo si sente particolarmente attratto. Elena sta avviandosi al bagno per una purificatrice doccia, quando con decisione lui la riporta sul letto: «Non puoi non farmela leccare… Ho fatto duecento chilometri per godere di questi previlegi!»
Elena prova a farlo desistere «Sono lercia come un cesso e puzzo.» Più si addentrano nell’argomento, più lui si eccita diventando un po’ brutale nei gesti.
I baci si dimostrano più pregnanti. La bocca di lui vaga ovunque sulla pelle di lei che prova a sottrarsi. Così provocandolo.
«Prima di aver fatto la doccia non te la faccio leccare.»
Lui cambia tattica e si fa gentile e carino:
«Se prometto che poi vengo sotto la doccia con te?»
«No, prima la doccia!»
«Va bene, ti seguo. Però tu… lì… mi piscerai in faccia.»
«Ma… cosa ti salta in mente… Cos’hai letto in queste settimane. Chi hai frequentato?»
«Forse ho passato troppi giorni senza il tuo amore…»
Gli vengono in mente Francesca, le dolci notti con lei e la più recente orgetta. Scaccia tutti quei ricordi.
Intanto Elena gli domanda «Non è che ti sei messo anche a importunare qualcuna delle servette francesi di casa tua? Tanto da farci saltar fuori la ‘pluie doré’.» Filippo, scaltro e cresciuto in una famiglia che ha sempre vissuto fra le menzogne, coglie lo spunto per confessare inesistenti incontri notturni con Geneviéve che di tanto in tanto gli si era concessa. È sicuramente un peccato veniale ma quello con Francesca è convinto che non sarebbe tollerato. Lo tace.
A Filippo, Elena sta molto a cuore.
Ha rimandato ogni proposta seria nei suoi confronti a quando sarebbe venuto a soggiornare a Bologna per gli studi.
Qualche bugia è solo funzionale a mantenere acceso il fuoco per un paio di mesi. Un’inezia, secondo lui…
Si mette ad accarezzarle il pelo del pube senza violare la figa. Elena si addolcisce:
«Dai, vieni sotto la doccia con me?» e pur se ancora striminzito, glielo bacia.
«Mi piscerai in faccia?»
«Perbacco!»
«Che brava! Hai finalmente capito che ogni tanto è bello fare gli sporcaccioni.»
«No. Non è quello. È che adesso mi scappa proprio da pisciare.»
Un bacio conferma le disponibilità, anche se, Elena: «Puzzo che faccio schifo!»
«Così mi piaci di più», infilandole la lingua in un orecchio.
Da quella stanza l’eros si sposta nel bagno.
Il professor Alberti, dopo la Liberazione, aveva messo mano ad aggiornare l’appartamento. Aveva voluto una sala da bagno al passo coi tempi. Molti degli accessori avevano matrice straniera e tra questi la cabina-doccia che aveva rivoluzionato le abluzioni mattutine della famiglia.
Sul bidet, molto usato, avrebbe potuto sventolarci il tricolore.
Spaziosa e comoda la cabina [N.d.A.: oggi si direbbe box-doccia] accoglie la fregola dei piccioncini. Elena, sapientemente, regola i rubinetti. L’acqua presnde a scrosciare dolcemente sopra le loro carni martoriate dall’amore. [N.d.A.: parole forti ma che ci stanno per rendere l’atmosfera della situazione.]
Lei si appoggia alla parete – le porcellane che la ricoprono sono leggermente fredde. Ma che importa! – Allarga le gambe e protende un po’ in avanti il bacino. Lui è inginocchiato innanzi alla crepa da cui sarebbe stato benedetto.
Elena, in piena allegria, non smette più di ridere. Gli accarezza affettuosamente il capo.
L’acqua della doccia batte sul ventre di lei stimolandone la minzione: «Io sono pronta. Vado.» Con le dita allarga la figa… Una leggera flessione delle gambe in basso. Il getto si spiattella sul volto di Filippo che tenta di catturarlo con la bocca. «È splendido… Meraviglioso… Ti amo Tesoro!… Pensa, a quanto sono più tuo. Adesso… A quanto sei più mia!»
«Sembri un poeta decadente!»
L’eccitazione lo travolge. Accosta la bocca ben aperta alla sorgente. A lei è rimasto un ultimo rimasuglio della pisciata. Sopra pensiero molla. Un getto dorato centra la gola in attesa. Tossicchia Filippo, ma impegnandosi non ne va dispersa una goccia. Al massimo dell’eccitazione si mette a dar di lingua al meato urinario della sua bella.
Elena lo tira su e lo bacia.
L’eccitazione è decisamente contagiosa. Elena, fra le sue braccia, non riesce più a star ferma. Smania… Tenta di parlare mentre tiene la lingua di lui in bocca. Gli fa capire quanto le piacerebbe provare le stesse emozioni.
«Ti annegherò a colpi di spruzzi del cazzo!» Invertono le postazioni.
Il cazzo di Filippo non è più moscio ma non è neppure in erezione. Diciamo che l’erotismo urinario l’ha solo fatto ingrossare.
Elena branca con entusiasmo l’uccello che le avrebbe sparato piscio. Se lo punta contro la bocca aperta.
Filippo glielo aveva toglie di mano per correggere la traiettoria verso la fronte.
Lei, subito dopo il primo schizzo se ne riappropria.
Se lo mette tra le labbra e, accarezzandogli i testicoli, lo lascia svuotare. Le ultime gocce gliele succhia.
Quando lui lo estrae, il cazzo è in perfetta erezione.
«Meravigliato? – Lo guarda beffardamente – Vero, che così è tutta un’altra cosa?»
L’acqua continua a saltellare sulle epidermidi e in un certo senso suggerisce loro il copione con le successive battute.
«Non Scopiamo?»
«Qui dentro?»
«Si sta così bene, qui!»
«Ma non c’è niente qui… Un letto… Anche solo una seggiola…»
«Posso sempre sdraiarmi sul tappetino di cordami annodati. – Lui è perplesso… Lei, ironica, ha una voglia matta di provocarlo. Filippo sbava. Sempre con l’uccello duro, proteso innanzi: la trova bellissima. Irrinunciabile. – Se no… mi appoggio ai rubinetti e te la do da dietro… Tu, sei così bravo a mettermelo da lì!»
Tra i rubinetti. Le dita di lui già lavorava tra le sue chiappe.
Così in piedi il cazzo arriva ancora più in fondo.
La doccia compie egregiamente il suo ruolo. Il cazzo, pure: con ritmo misurato, scivola dentro-fuori da quella bollente prugna villosa.
«Più in fondo vai e stai, più vuol dire che mi ami.» E tra sé: “Oltre che porca, sto cinno, [N.d.A.: nella lingua bolognese = fanciullo, monello] mi ha fatto diventare anche ninfomane… Non vorrei mai che smettesse!”
Lei gli si è attaccata al collo e gli si stringe contro. Tiene le gambe aperte e sta sentendo la sborrata fuoriuscire e scendere lungo le cosce in compagnia delle gocce della doccia.
Contro l’ombelico si gode il riposo del cazzo che non ha perso del tutto l’erezione.
«Sei sicura di aver fatto bene i conti sulle tabelle di Ogino? [N.d.A.: si parla del metodo Ogino Knaus. Inutile che incominci a spiegarvelo è più comoda Wikipedia. Comunque, oggi, si usa ben altro.]»
«Pur di non usare il goldone [N.d.A.: nel gergo di Bologna =preservativo] mi sono fatta una cultura sul genere da far invidia a un ginecologo.»
«Questa mattina ho detto a papy che saresti passato. Ci aspetta a pranzo alla Cervetta… Tu quanto ti trattieni?»
«Anche fino a venerdì… Fino a sabato non debbo andare a morosa.»
«Tre al giorno… le reggi? Mattino, pomeriggio e notte.»
«È il mio standard.»
«Oggi però, due nel pomeriggio, tre per la notte… Dovrò pur mettermi a regime… Dimenticavo: la pisciata assieme, domattina, quando hai ancora tutta quella della notte.»
Il cavalier Bonomelli
Ogni volta che prendeva all’improvviso un giorno di ferie, diceva sempre a quella svampita della segretaria del Direttore: «Per motivi sessuali». Questa volta era proprio vero.
Gemma, un momento prima aveva ricevuto un’accorata telefonata da Giangi:
«Non resistevo più. Debbo vederti a tutti i costi. Sono già a Castelfranco Emilia. Tra un’ora sarò a Bologna. Dimmi dove ti posso trovare – e in aggiunta – è da Milano che ce l’ho dritto.»
“Adesso come si fa? – Si era detta – Gli ho dato anche il mio indirizzo di casa.”
Firmato il giorno di ferie, era volata a casa: una sciacquata nella vasca. [N.d.A.: allora la chiamavano la tina] Subito aveva tirata fuori dai cassetti la più sensuale lingerie. Andava bene il completo fumo di Londra con la guêpière che le snelliva i fianchi. Il reggiseno che dava grazia alle poppe. Gli slip striminziti, da cui spuntava il pelo a destra e manca. I gancetti che tenevano su le calze, maliziosamente rossi.
Sfidando il caldo, aveva indossato calze di seta fumate, con il bordo sulla coscia più scuro.
Si era guardata allo specchio e a suo parere: un vero figone. Giangi però era un uomo di classe e non gliela si poteva sbattere in faccia senza un minimo di teatrale ritrosia. Si era allora messa un abitino a pieghe e una camiciola di seta pura. I cappelli se li era fatti tagliare due giorni prima. Il bel caschetto da maschietta aveva già sortito qualche galante successo. Profumo francese distillato a Casalecchio di Reno e la bella Gemma poteva affrontare qualsiasi tenzone d’amore. Alla finestra aveva tenuto d’occhio la Piazza sottostante.
Non erano passati che dieci minuti quando un’auto imponente aveva parcheggiato sotto la sua finestra.
Un attimo… il campanello aveva trillato.
«Cavaliere, sono al terzo piano.» Aveva gridato dal pianerottolo.
Tutto il palazzo aveva sentito che Gemma aveva frequentazioni importanti: addirittura un Cavaliere.
Gemma, era un’abile seduttrice sia di femmine che di maschi. Questi ultimi, sapeva benissimo come tenerli sulla corda. Un percorso che era toccato anche al Cavaliere, pur se, agile come un cerbiatto aveva fatto i tre piani a due scalini per volta. Arrivando con il fiatone.
Pronto per un passionale bacio, si era dovuto accontentare dei bacetti di rito sulle gote. A Giangi non era piaciuta come entrée. L’aveva brancata per i fianchi e tirata a sé, voleva abbracciarla perché rilevasse la consistenza di quanto aveva tra le gambe.
Gemma, ridendo e scherzando, si era divincolata pur captando il messaggio che lui voleva farle arrivare, e glielo aveva fatto sapere: «Ti ho sentito in splendida forma… Però, così subito… – e aveva fatto un po’ la cocotte – Togliti bene la giacca, che ti faccio un buon caffè – e anche – Sarai stanchissimo: se vuoi farti un riposino…»
Giangi non se lo era fatto ripetere. Un momento dopo si era tolto cravatta, camicia e aveva preso possesso del letto. I calzoni, solo slacciati.
Per Gemma era venuto il momento di andare incontro all’imponderabile: «Vuoi che ti faccia un po’ di compagnia? – Si era seduta sul letto – Devi essere stanco… A che ora sei partito? » Aveva sentito un leggero rumore: si era addormentato.
QuQuesto l’aveva innervosita. In cucina si era bevuta il caffè che aveva preparato per lui.
Che l’amante – venuto da lontano – le si fosse addormentato innanzi non appena l’aveva veduta, non le era per niente piaciuta.
Si era riempita un’altra tazza dalla napoletana e, in piedi, innanzi al secchiaio, stava sorbendola: “Chissà cosa gli passerà per la mente al risveglio?”
Qualcosa gli aveva impigliato il vestito… Glielo stava sollevando. Qualcosa di caldo e consistente stava rovistando fra cosce e natiche. Braccia, la stringevano: «Oh Giangi, stavo per urlare. Mi hai spaventata!» Giangi aveva gongolato per la soddisfazione. Lei aveva offerto il collo alle di lui labbra. Le mani dell’abbraccio erano sul suo ventre, sotto al vestito. Annaspavano confuse alla ricerca dell’elastico dello slip.
«Un momento!» Si era staccata dall’abbraccio. Un passo a lato per sfilarsi l’abito. Era rimasta proprio come aveva maliziosamente pensato di presentarsi al Cavaliere: cocottescamente allestita da amante.
Giangi, aveva già pensato di saltare alcuni passaggi: era completamente nudo, con un bell’uccello sguainato.
Lei, si era chinata per scappellarglielo e per un paio di baci. Il bocchino, le era sembrato prematuro.
Per mano lo aveva riaccompagnato alla stanza da letto.
«Hai fatto il furbetto, prima, eh…? Nel fingerti addormentato.»
Con orgoglio Giangi: «Tu hai abbassato la guardia. Io, ho alzato l’asta.» che si stava gingillando, accarezzandosi le palle.
Erano in piedi di fianco al letto. Si erano guardati dritto negli occhi, come volessero confrontarsi:
«Spogliami, Giangi! » Lui le aveva messo a nudo le tette, baciandogliele e succhiandole i capezzoli. Più problematici i gancetti del reggicalze, lì, proprio sull’inguine. Dove i peli, disordinatamente, tendono a mostrarsi tra i ricami del tessuto:
«Malefici marchingegni che non si aprono mai – impreca spazientito mentre apre, uno dopo l’altro i brigosi gancetti – Roba da far svanire l’erezione!»
Gemma, preoccupata, aveva controllato con mano: «Ma se è più rigoglioso di prima!» Le calze erano disordinatamente a terra. Le cosce si erano espresse in tutta la loro generosità accogliendo tra di esse la fava del Cavaliere.
Giangi aveva assaporato la fragranza delle giovani carni dell’amante. La bramosia in lui si era fatta impellente. Aveva portato l’uccello a contatto con il ricamo dello slip. Oltretutto impregnato dagli umori: la voglia di lei!
Aveva infilato le dita sotto quell’ultima barriera, quando era arrivato, perentorio, il monito: «Guardare e non toccare!»
«Ma… ho fatto 200 chilometri per te…»
«Ricordi?… Solo dopo il matrimonio – aggiungendo – Se potrà mai esserci.»
Aveva bestemmiato una dozzina di santi, il Cavaliere. Se ne sarebbe andato: “Maledetta bizzarra troia!”
Gemma, allora: «Posso solo concederti di leccarmela – e per invogliarlo – Poco prima che arrivasti, pensando a te, me la sono massaggiata con una spalmata di saba. Quella che fa mia nonna.»
Giangi non aveva perso l’occasione, aveva sdraiato la ragazza ed era già tra la sua figa a gustarsi quel pasticcio di uve bianche con stille degli umori di lei. Una vera leccornia!
Gemma, non sazia, aveva aperto la seconda via e prima dell’ora di pranzo aveva già incassato la sborrata del Cavaliere nel profondo dello sfintere.
Una delizia!
Lucia Boeri
«… Non ti preoccupare se ti sei incagliata. Succede spesso e a tutti. Giovedì sera sarò a Bologna. Vedrai che già lunedì potrai licenziare il numero… Qualche buona notizia te l’anticipo. Ho convinto il Segretario a precettare tutti i componenti dell’Assemblea Nazionale ad abbonarsi alla tua rivista. In Direzione sono già arrivate 47 sottoscrizioni. Oggi debbo vedere l’onorevole Buggiardelli che dovrebbe sostenere la stessa cosa nei nostri gruppi parlamentari e in quelli del PCI. Vedrai che il numero di settembre raddoppierà gli abbonamenti.»
«Sei un tesoro. Non riuscirò mai a ringraziarti.»
«Questo lo debbo dire io… Se penso che avrei potuto imbattermi in un altro tipo di figlia, sai dove me lo sarei goduto questo splendido momento d’amore che sto vivendo con il tuo papà… Ieri sera alle 8 mi è piombato in stanza con un cameriere dell’Atlantic di via Veneto che ha apparecchiato sul mio tavolo da lavoro. Dopo un attimo n è arrivato un secondo con crostacei di ogni tipo e due bottiglie di champagne. Quando i due se ne sono andati non erano più i dodici metri di stanza in affitto a diecimila lire al mese. Era il salone di un castello. Pensa che hanno portato un candeliere d’argento con candele e vasi con meravigliose calli…»
«Scommetto che avete cenato nudi, da bravi lussuriosi!»
«Non subito … ma a poco a poco ci siamo denudati. Poi… una notte tutta in crescendo. Quello, però che mi fa sentire unica su questa terra a godere di un incontro così straordinario, sono momenti come questa telefonata. Con una persona che mi potrebbe essere ostile…»
«Perché mai? Mi hai restituito un papy trentenne… Roba da scoparmelo anch’io.»
«Dio, quanto mi piaci quando fai queste affermazioni così taglienti… Come vorrei averle pronte anch’io per i miei pezzi!»
«Io, Lucia, se non ci fosse di mezzo papà, ti piacerei come amica?»
«Non solo mi piaci, ma ti voglio bene e ti… – le stava scappando qualcosa di grosso. Aveva cambiato discorso – Alla mattina sul cuscino c’era: “il treno parte alle 7. Sono le 5 e tu stai dormendo come un angelo. Ti amo“»
«Ti desidero. Volevi dir questo, no? È così anche per me.»
«- lungo silenzio – Sì lo è. Non è un casino finché fra di noi ci sarà un cavo telefonico o un bell’uomo di cui siamo tutte e due innamorate da posizioni diverse.»
«È proprio come dici tu. Ti propongo una cena al ristorante solo io e te.»
«La mettiamo già giovedì sera. Tu cerca il ristorante che abbia in menù la zuppa di serpe. Ti voglio bene!»
Lucia stava uscendo da un momento difficile. A Milano. l’onorevole Bernasconi spargeva continuamente veleno contro di lei per non aver dato seguito a un flirt reciproco. Lei gli aveva reso pariglia ed era riuscita a bloccargli la candidatura alle successive elezioni. A cui però mancava circa un anno e in un anno, un animale ferito di danni ne può fare tanti.
Il Segretario della Federazione socialista di Milano, suo buon amico, le aveva trovato la strada del suo trasferimento alla redazione romana. Lì si era subito fatta notare quale precisa cronista parlamentare. Aveva anche cementato i rapporti con i maggiorenti del Partito, tanto utili a blindare la candidatura del suo amante. Pardon… fidanzato. Dal momento che il tribunale della Sacra Rota, aveva annullato il suo matrimonio con Sarah. Per cui, dal 27 luglio del 1952, il prof. Uberto Alberti era nuovamente “celibe”.
Elena aveva pianto una notte intera fra le tette di Gemma dicendole tra un singhiozzo e l’altro: «Ma se alla sua età avesse chiesto consiglio a noi ragazze che ce la lecchiamo senza creare drammi, distruggere famiglie e fare orfani. Io, adesso… sono un’orfanella» e giù lacrime. A sua consolazione erano intervenute le dita di Gemma. Da singhiozzi, i gemiti si erano tramutati in mugugni di godimento.
Gemma aveva provveduto a cancellare con baci le tracce delle lacrime dal suo bel viso.
Il Pappagallo, un ristorante di lusso
«Dammi l’indirizzo del ristorante. Sono in stazione. Prendo un taxi e ti raggiungo, là.»
«Pappagallo. I taxi sanno dov’è.»
Elena, si era sciacquata le mani e messa qualche goccia di profumo sul collo…
I muri della Città restituivano il calore assorbito durante il giorno. Provvidenzialmente dalla collina scendeva una fresca arietta. Elena, che era stata attaccata alla Remington, appena acquistata, per tutto il pomeriggio. Aveva percorso correndo il tragitto fino al ristorante. Giusto per sgranchire i muscoli. D’altronde, con i suoi quaranta chili, non faceva fatica a correre.
Lucia andava a quell’incontro ben consapevole di quel che in realtà era: un incontro dichiaratamente d’amore. Lo sapeva e lo voleva. Fermo restando che non avrebbe permesso alcuna modifica del meraviglioso rapporto che aveva con il suo Uby.
Elena l’attendeva fuori dal ristorante. Appoggiata al muro dell’antico palazzo, mostrava tutta lo splendore della sua giovane età. Gonna corta, scarpette da atleta. I capezzoli pronunciati premevano contro la seta della camicetta. Erano più intriganti così, che se si fossero mostrati sul nudo seno. “Questa troietta non mette mai il reggiseno… e io mi bagno.”
L’abbraccio era stato lungo ma non c’erano state azioni di labbra.
«Mi hai proprio voluto portare in un tempio della vostra cucina.»
«Mi sono fatta consigliare da papà… Ha prenotato lui. Passerà lui a pagare… Ha detto anche che ci aspetterà alzato. Ovviamente non vede l’ora di abbracciarti.»
«Non t’ha chiesto il perché ci vediamo in separata sede?»
«Oh, sì. Gli ho detto che erano robe di lavoro. Lui è molto contento che si vada così d’accordo.»
«Cerchiamo di non deluderlo.»
Erano entrate in quello storico ambiente. Il maître le aveva riservato un tavolo appartato e discreto. Quasi come fossero due innamorati. Avrebbe potuto darsi che il professor Alberti, quando prenotava per sé, avesse questa esigenza.
Sarcasticamente, Lucia: «Che bello, potremo anche accarezzarci le mani!»
Un sorso di fresco bianco e Lucia si era subito introdotta nei meandri della ragione che le faceva incontrare.
«Così ti sei fatta coraggio per chiedere se sono d’accordo a farmi possedere da te… Sei una ragazza sincera e ben educata. Mi piaci. Ti voglio bene… Mi pare di avertelo già detto.»
«Sì, ricordo bene che me lo hai detto e anche dimostrato. Io però non ho mai pensato di possederti. Bensì di venir da te posseduta. Mi ero sempre aspettato un tuo plateale attacco ogni volta che eravamo sole io e te, lontane da sguardi. Poi ho capito che la stavi prendendo con tanta prudenza, da lontano.»
«Non potevo certo saltarti addosso… Sei il più gran bene dell’uomo che amo… Perché rischiare di rovinare tutto, solo perché sapevo che avevi già avuto esperienze saffiche… Me lo hai confessato tu… ricordi?»
«Te l’ho confessato sperando che anche tu confermasti la stessa cosa. Ma tu in quel momento non mi hai sentito.»
«Se te lo confermo ora, non credo cambi qualcosa per te. Sono anche contenta che ti piacerebbe essere da me posseduta – e divertendosi – Se potrò prenderti, avrò fatto una patta con la tua famiglia, visto che tuo padre mi prende quando più gli piace fronte-retro.»
Un discreto brindisi. Lucia che si era sfilata un sandalo, aveva mosse il piede nudo lungo le gambe della sua dirimpettaia: le ginocchia si erano allargate… le cosce, contratte in uno spasmo di eccitazione … L’alluce aveva toccato lo slip. Era umido. Le ragazze si erano sorriso: Lucia, maliziosa. Elena, trasognata. Finalmente si erano dette quello che volevano.
Il locale si era riempito. Il cameriere aveva porta il menù.
Lucia: «Pensi che papy te la passi una bottiglia di champagne?»
«Hai ragione. Dobbiamo festeggiare – poi – Pensi che possa succedere qualcosa tra di noi in questi giorni che resti.»
«Anche stanotte… Mi piacerebbe proprio averti, dopo che tuo padre mi ha preso.»
«Ma lui?»
«Non temere… Gliene darò tanta da sfinirlo… Lo addormenterò come so fare. E ti raggiungo. Dovrai solo tirarla in lungo con il dormire.»
«Sei tremenda!»
Le follie di una notte
Uberto, nella deserta casa, si era preparato una frugale cena: due uova fritte. Nella solitudine del pasto si era scolata una mezza bottiglia di buon barbera. Aveva atteso il rientro delle ragazze nella poltrona che era nella stanza di Elena. Sul comodino aveva notato il libro che stava leggendo in quel periodo la sua figliuola e s’era messo a sfogliarlo, leggendo qua e là passi che aveva già gustato vent’anni prima: Charles ed Emma… che storia complessa. Tragica.
Le ragazze avevano tardato. Il libro gli era scivolato dalle mani. La poltrona era dannatamente comoda. Si era addormentato.
Il risveglio si era presentato con l’allegra risata delle ragazze innanzi al suo eccessivo rilassamento. Elena aveva raccattato il libro caduto a terra. Lucia gli aveva somministrato il primo bacio: «Uby mio, lavori troppo. Devi risparmiarti. Se no, sai quante notti mancheranno al nostro amore.» Lei, senza aggiungere altro, lo aveva preso per mano e si erano avviati alla camera.
Elena con un passaggio in bagno, avrebbe voluto predisporsi per la notte. Una notte che non sapeva ancora che tinte avrebbe assunto. Non aveva assolutamente idea di come proporsi all’amica che di lì a poco le avrebbe fatto visita.
L’avrebbe attesa in poltrona o già nel letto? Si sarebbe fatta trovare già nuda o con qualche malizioso capo addosso? Avrebbe mostrato subito la sua irrefrenabile attrazione verso di lei, o avrebbe esibito una leggera ritrosia, tanto per aumentare la sensualità dell’approccio?
Stava vagliando tutte queste ipotesi, sicura che i ritrovati amanti avrebbero impiegato un certo tempo nel celebrare il rito del loro ricongiungimento, quando il lieve cigolio della porta aveva annunciato che Lucia era già lì.
«Non ha reagito a nulla. Si è sdraiato ed immediatamente ha preso a russare.» Senza aggiungere altro, aveva comincia a togliersi abiti e i sandali. Elena aveva così risolto ogni suo dubbio. Aveva fatto la stessa cosa. Il letto, accolto i loro corpi eccitati. Appena nuda, Lucia tratto a sé l’esile corpo dell’amica, l’aveva stretto al suo e sapientemente esplorato.
Bocche e lingue avevano ostentato a lungo a staccarsi l’una dall’altra. Libere più che mai le loro dita si erano dedicate a saggiare l’altrui corpo e si infilavano in ogni piega. In ogni cavità.
Quando Elena l’aveva accarezzata fra i castani peli della figa, Lucia aveva sentito il piacere inondarla «Dio… – Le era sfuggito – era quello che bramavo da quando ti ho conosciuta.» Elena, così si era sentita più sicura. Aveva preso coraggio e affondato le dita in quella figa che, l’essersela trovata, lì, innanzi, le aveva suscitato tanta soggezione. “Adesso sei mia!”
Lucia si era aperta più che aveva potuto. Provando un susseguirsi di sensazioni che non avrebbe mai immaginato: “Giovane, ma chi avrebbe sperato di trovarla così porca?”
Elena, aveva messo in campo tutto quello che aveva imparato da Ruth e Gemma, con qualcosa della sua fervida fantasia.
Il tremito che aveva accompagnato l’orgasmo di Lucia era stato lunghissimo. Elena aveva introdotto delicati accorgimenti per prolungarlo a suo piacimento.
In preda all’eccitazione, la bella Lucia Boeri, non appena aveva riguadagnato un minimo di controllo della situazione si era alzata e, nuda com’era, per spiccare il volo verso la stanza dove l’Uberto, vagava fra i sogni.
L’aveva scosso fin quando non l’aveva visto ben desto. Sfregandogliela a più non posso contro l’uccello.
Lui, comprendendo l’impellente necessità, l’aveva penetrata.
“Cos’ho mai fatto di tanto importante nella vita, per meritare un risveglio così?” Si era domandato, il chiarissimo professore. Con quel ragionamento si era impegnato a scopare la sua compagna, aggiungendo un secondo giro di cazzo nel culo. Per dimostrare che la sua precedente debacle era uno sporadico fatto passeggero, gliel’aveva leccata con entusiasmo per tornare poi al sonno ristoratore. Lucia si era trattenuta, per tutta la notte avvinta a lui, sognando tante altre penetrazioni da parte sua.
Per lei sì. Era stata una vera notte di fuoco!
La colazione delle sette
Elena, invece, non aveva ricevuto da quella notte alcun ben definito godimento. Tra loro, il pareggio dei conti di quella prima avventura era solo rinviato.
Un caldo mattino d’agosto era seguito a quella che avrebbe dovuto essere la notte più trasgressiva per Elena. Non era stata così. Al super ditalino con cui aveva gratificato l’amante di suo padre, non era potuto seguire il resto del menù saffico che si era preposto. Lucia, dopo il godimento ricevuto dalle dita dell’amica, l’aveva mollata per finir a goder di cazzo. Lasciandola eccitata e in attesa di appagamento. In balia delle ombre e dei pensieri della notte.
Aveva sentito Palazzo battere, due volte come da tradizione, ogni ora.
Ai sette tocchi si alzata pensando di preparare colazione per tutti.
Sa che quella mattina papy sarebbe stato impegnato in sala operatoria.
Papy, è già, vispo in piedi. In cucina, armeggia con la napoletana, per ottenerne un buon caffè.
«Se vuoi, preparo tutto io, papy» Si da subito da fare con vasetti di marmellata e il macinino del caffè.
«Lucia?»
«Da quando ci troviamo in questa casa le ho dato qualche brutto vizio. E penso che stamattina non posso mantenere. Ho sempre preparato la colazione io. Per poi servirgliela a letto, svegliandola dolcemente. Stamattina però non ci riuscirò. Devo essere fra un’ora in sala operatoria. Bevo questa tazza di caffè e me ne vado di corsa. Se puoi spiegarle tu…»
Ad Elena l’incombenza cade proprio a fagiolo.
Due tazze di nero liquido, la zuccheriera, un mucchietto di fette di pane imburrato con marmellata. Elena si avvia con il cabaret, verso la camera dove dorme Lucia. Prima, si toglie ogni cosa di dosso tornando così ad essere come quando lei l’ha lasciata alcune ore prima.
Lucia sta beatamente dormendo. Nulla ricopre il longilineo corpo di Elena, tanto provocante.
“Vedrai che adesso ci riesco a leccartela!” Un pensiero che le sovviene rimirando il lezioso triangolino di pelo tra le gambe dell’addormentata.
Senza il minimo rumore, appoggia il cabaret sulla scrivania del Professore e dà luce alla stanza. Un raggio di sole s’infila e punta dritto al viso della bella addormentata, abbagliandola. Di scatto, lei si gira su di un fianco mettendo in primo piano il culo. È un ulteriore stimolo alla ventata di libidine che sta avvolgendo Elena.
Lucia non ha ancora realizzato chi la sta svegliando.
Elena punta a quell’armonico culo. Vuole proprio partire da lì, fra quelle chiappe, tanto sensuali, a dardeggiare con la lingua. Lambirne con la lingua l’intrigante disegno delle piccole crespe che si mostra come una ragnatela. Vederselo aprire innanzi agli occhi… Perché lei, Elena, per quei pochi che ha potuto vedere schiudersi, ha provato una tale emozione da avvicinarla all’orgasmo.
Lucia, così girata, è già sveglia. Sentendo una presenza dietro le spalle pensa fosse Uby. Tant’è che aveva allunga una mano per carpire qualcosa di lui. Elena l’anticipata inserendole una mano tra i glutei.
Li serra con decisione gridando: «Basta! Lì no! Mi fa ancora male.» Sobbalza e si gira. Vede Elena e tutto finisce ridendo in un grande abbraccio.
Con una serie di baci le ragazze aggiornano quel risveglio, compreso il grido “Basta! Lì no!”:
«Questa notte, quando sono riuscita a svegliarlo completamente, mi sono trovata di fronte a un minotauro, non ad un galante cinquantenne. Brandiva l’uccello come un’arma. Me lo infila in bocca e per poco non m’affoga. Non l’ho mai trovato così corposo: sodo come marmo. Uno di quelli che vedi con tanti naturali arabeschi. Le vene che lo solcano lo impreziosivano. Il mio desiderio non poteva che ingigantirsi. Non l’ho lasciato neppure gingillarsi tra le mie poppe. Lo volevo dentro! Ancora sentivo lo strascico… le delicate sensazioni lasciatemi dal tuo ditalino. Poche cose!… Dirai tu. Un piacere nuovo e diverso. Avevo percepito io… Afferrato il cazzo, ne ho infilato il glande fra le grandi labbra e mi ci sono spinta contro. Ero fuori di senno. Anche lui, era talmente eccitato e ad ogni fondata lo sentivo vibrare. Divenire sempre più grosso. Mi sono avvinghiata a lui e sono venuta. Una. Due volte. Una di seguito all’altra. Uby, a quel punto s’è sfilato da me. Con decisione mi ha girata e senza troppa delicatezza si è svuotato in fondo al mio culo. Non ho fatto in tempo a goderne. Ne sento ancora il bruciore. Incazzata, ho trovato la scusa per andarmene e tornare da te. Lui, qualche scusa sincera e, ha poi preteso di aggiungere un orgasmo a colpi di lingua. È veramente un fuori classe nel genere – “Perché non hai ancora provato quel che farei io”. Rimugina Elena – Non ce l’ho più fatta ad allontanarmi!»
«Ma davvero, ti brucia ancora?»
«Come no. Guardaci anche tu. – Le apre le chiappe innanzi a gli occhi – Ho sentito pure qualche stilla di sangue scendere lungo le cosce.»
«Vado a cercarti qualcosa tra i medicinali.»
Torna con un vasetto colmo di crema che avrebbe dovuto rinfrescarle la parte. Elena gliela sparge anche un po’ dentro.
Quel culo avrebbe odorato di invitante canfora.
«Dai, che mangiamo qualcosa.»
«Adesso ho solo fame di te. Bambina.»
La bocca della famosa giornalista si fa largo tra le cosce della giovane neofita della comunicazione.
«Sei mia, finalmente! E adesso… godi!!» Come forsennata profonde tutta la sua esperienza. Quella che ha maturato in incontri con femmine di altri Paesi e popoli. Incanti d’amore che suggeriscono ad Elena di lasciarsi guidare in quel cosmo che tanto l’attrae. Clitoride, perineo, anche il prosaico, buco del culo: quella lingua riesce a farli sussultare accomunandoli. È un sali-scendi inesorabile verso un godimento infuocato.
Dalle grinfie di quella furia del piacere, la dolce Elena, ne esce esausta. Abbandonata sulle candide lenzuola, lascia dissolvere ogni piacevole sensazione.
Al contrario, Lucia…
La prolungata attività orale l’ha caricata di energie erotiche. Ora: una decisa sgurata [N.d.A.: mi sono permessa di utilizzare questa parola gergale, mediata dalla lingua bolognese (sgurèr = pulire sfregando) che rende bene quel che fosse il desiderio della protagonista.] da un maschiaccio ben in carne, sarebbe stata la ciliegina sul budino.
Vola, poi, in bagno per controllare che, quell’amplesso orale a cui ha dato, come non mai, concentrazione ed energie, non abbia lasciato segni, oltre all’abbondante sudore, sul suo, tanto curato, aspetto.
“Bella come sempre!” dice a sé stessa, ravvivando la capigliatura. Senza accorgersi che è entrata anche Elena.
«Ma che cazzo nascondi in quella lingua?»
«Appunto… un saettante cazzo.»
«Me ne sono accorta… Mi ha dato molto di più che un cazzo.» Si divertono su quel bisticcio di parole attorno al cazzo.
«Sono sudata che faccio schifo. Ti dispiace se mi prendo una doccia?… O meglio ancora… Posso avere l’onore di averti con me sotto la doccia?»
È l’acqua di quella doccia ad avere il previlegio di scrosciare sulla nuda pelle di queste belle fighe che con movimenti danzati giocherellano palpandosi a più non posso: … e con le dita… e con le labbra.
Tra di loro si ripristina la precedente eccitazione.
Lucia le solleva un avambraccio e infila il volto nell’ascella. Messasi a leccare l’odorosa conca, a ridosso della tetta, cala su questa, concludendo l’itinerario succhiando il capezzolo.
«Un brivido della Madonna!» sospira Elena. Sbizzarrendosi con le labbra sull’affusolato collo dell’amica.
«Sei maialescamente una vampira!… La mia vampira!» [N.d.A.: Che forza il chiacchiericcio strampalato dell’amore!] – spasimando in tormentate contorsioni – Non è che hai ancora un po’ di voglia nelle tue dita per la mia calda figa?»
Si appoggia con la schiena tenendo ben aperte le cosce. La destra di Elena arriva in un baleno.
Una carezza appena sfiorata… sempre più intensa. Infine la mano si apre completamente attorno alla prugna per stringerla con ardore.
Le labbra si impegnano sulla tetta di destra.
Il pollice in avanscoperta saggia l’ambiente. Lucia sente il piacere raccogliersi nel basso ventre.
Il lieve rumore dell’acqua che cade su di loro è la perfetta colonna sonora all’eccitazione che le sta conquistando.
Dal seno la bocca di Elena si sposta sul collo, tracciando dolci cerchi con la lingua. La punzecchia, la mordicchia con i denti.
Lucia ha ben gradito l’a solo dell’indice in lei, vibrando tutta: «Cazzo, bimba! Con le mani hai anche più classe di Uby che è già una magnificenza.» Elena arrossisce.
Dà più spinta all’acqua e introduce anche il medio nella figa.
Il ditalino va in crescendo. Lucia stessa collabora sfregando con gesti rotatori la parte superiore della figa.
«È troppo… è troppo… Angelo mio! – Le si attacca al collo – Ci sono… Ci sono…. Dai! Dai!» Uno… due… tre, i tremiti di quella bella donna mentre viene.
Le lussuriose dita di Elena l’accompagnano fino all’ultima vibrazione.
«Adesso possiamo mangiare qualcosa poi vedrai che oggi, con la spinta che abbiamo, riusciamo anche a chiudere il numero due.»
«Io… veramente… spererei anche in una vulcanica leccata alla tua figa.»
Le ragazze stanno asciugandosi. Elena ha parlato con malinconica franchezza.
«Abbi pazienza vedrai stanotte…»
«Ma il mio papy?»
«Non ti preoccupare… Uby, stanotte ha l’annuale cena con i colleghi dell’Ospedale… [Che per lui si sarebbe conclusa sul materasso della capo-sala] Mi ha già detto che rientrerà molto tardi. Sarà con me, qui, per le ultime ore del pomeriggio… Poi avremo tutta la notte per noi.»
«Mi sa che l’aria di Bologna ti faccia diventare sempre più porca… Saltare così d’emblèe dal cazzo alla figa!»
«Hai ragione. Quello che comincia a preoccuparmi non è, essere porca. Ma, sento che sto diventando ninfomane. Vedi… nonostante che stamani abbia ricevuto uno dei più eccitanti risvegli della mia vita, vorrei tanto avere qui il cazzo del tuo papy con cui trastullarmi. Che ne dici?»
«Mi limiterei solo a dire che la nostra aria ti spinge solo ad essere più troia e io ti sono complice.» Il ragionamento diverte Lucia che le tira una palpata un po’ brutale, quando ancora la mutanda è a mezza gamba e la figa, in vista. Un urletto. Nella mano le era rimasto un ciuffetto di peli.
Si mettono di buona lena a rimescolare fra i materiali del secondo numero di Femmine e in linea di massima lo completano. Sarebbe bastata un’ultima rilettura.
Decidono di andare a pranzo assieme. Il Fagiano, la trattoria proprio sotto casa le accoglie. A loro s’aggiunge Gemma che, per la sua natura pettegola, non ha visto l’ora di conoscere l’amante meneghina di un probabile senatore. Elena le ha parlato tanto di lei: di come faceva l’amante di papà suo. Della sua vivacità intellettuale. Di come si giostra tra politici e socialisti. Di come l’ha aiutata in quel primo momento in cui ha messo il naso nel mondo della carta stampata.
Quello che non le ha detto è come Lucia ha reagito quando l’ha omaggiata per la spilla che riproduce la civetta, nella hall dell’hotel a Roma. – Il bacio sulla gota. Prolungato… con le labbra che nascondevano la lingua impegnata ad inviare precisi messaggi. – Non le ha detto che Lei, li aveva recepiti e interpretati. Iniziando a desiderarla fortemente. Costasse quel che poteva costare.
Anche a Lucia è piaciuta l’idea di avere Gemma con loro. È colei che ospita Elena, lasciandola nell’intimità più completa con il suo uomo. Aveva raccolto l’accenno di confessione di Elena, che era lei la consolatrice della lontananza del complicato Filippo: «Caldi e generosi.» Elena aveva definito gli slanci erotici di lei,.
Lucia, indugia innanzi allo specchio a lungo e aveva copre il corpo con quanto di più leggero e frivolo ha con sé.
«Come sai civettare tu!» le dice, prima di uscire, Elena, restituendole la palpata di figa.
Il locale dispone solo di cinque tavoli. Uno si sta liberando e le tre ragazze fanno tutto quanto si può fare perché questo succeda in fretta.
Gemma ha una perspicacia innata: non tarda molto a supporre che le altre due abbiano appena consumato un qualche amplesso saffico. Al terzo fresco bicchiere di trebbiano il dialogo fra di loro scivola sempre più nell’erotico, anche per la propensione di Lucia a spingerlo sul tasto dell’amore tra femmine che secondo lei deve consolidarsi, prima quale forte attrazione fisica. Il sentimento sarebbe accaduto poi. Rende più esplicito il ragionamento con un esempio molto terra a terra «Vedi, Tesoro – rivolta a Gemma – tra ieri e oggi, la tua amica, mi ha calamitato eroticamente – Elena si sente svelata e arrossisce visibilmente. – Mi ha presentato molte delle sue credenziali che ho apprezzato con entusiasmo. Anch’io ho sentito il desiderio di fare altrettanto e dal riscontro mi è parso che anche lei abbia ricevuto piacevoli sensazioni. Forse, qualcosa di ben più complesso. Tant’è che l’ho vista adombrarsi quando non ho dato seguito a una sua richiesta specifica. – Fin qui, il raccontare era distaccato con i toni e i colori del linguaggio politico. Lo sguardo di Gemma è diretto e intenso verso la narratrice e aggiunto una battutaccia che l’aveva ragionevolmente portata allo scoperto: «Scusa Luky, stai sempre parlando di figa?»
Elena sarebbe sprofondata. Sta sorseggiando un altro bicchiere di bianco. Con quell’uscita ingoia tutto d’un colpo.
«In parole povere ce la siamo data a vicenda. Abbiam fatto fatica a staccarci. Quello che volevo dire, è che ora, continuo ad essere attratta da lei e la desidero come prima che me l’elargisse, ma il sentimento che provo per lei non è cresciuto. Mentre con Uby, ogni volta che mi ha zompato, gli ho sempre voluto un po’ più di bene… A proposito di Uby: Solo a lui permetto di chiamarmi Luky. E lo fa solo nel chiavarmi… Lui, però ce l’ha di ventun centimetri.»
«Sposo subito il tuo ragionamento. È successo e succede anche a me… Quante volte lei mi ha fatto impazzire con bocca o dito – e aveva tenuto a dire, anche a Lucia, che lei, Gemma Tubertini, nata a Bologna l’8 settembre 1922, era ancora vergine – Eppure non mi è mai passato per il cervello che fra noi ci fosse amore e che tra noi dovesse esserci esclusività e gelosia. Tra femmine deve esserci soprattutto la ricerca del piacere più alto. Il resto ai maschiacci… Che mi piacciono sempre tanto.»
Prolusioni che suscitano un altro brindisi.
A quel punto le tre cocche sono parecchio in là con brindisi e fresco vinello. Dalle loro bocche avrebbe potuto sortire qualsiasi idea avventata.
La prima proposta che rimbalza tra di loro è di Elena: «Io e te, Lucia, questa sera saremo inesorabilmente sole. Potremmo avvalerci della compagnia di Gemma, tanto per non indurre tentazioni, fra noi due.» Tutte a ridere. Nessuna però obietta che sia una pessima idea. Lucia, lungimirante: «Sarebbe fantastica. Tutto sta come è organizzata la cena di Uberto. Tireranno a tardi? Si concluderà alla mezzanotte?»
Il nodo lo scioglie Elena: «Per quel che ricordo degli anni passati. Papy non è mai rientrato se non alla fine della giornata lavorativa del giorno dopo. – Elena, origliando una conversazione tra suo padre alcuni colleghi, aveva anche saputo che babbo suo, alla fine di quella cena aveva sempre accompagnato a casa la sua caposala. E da quella casa si era allontanato solo a giorno fatto. Questo naturalmente non può esternarlo. Se la cava con… – Papy ha sempre raccontato che dopo il ristorante, in un gruppetto, andavano a casa del dottor Fantuzzi per chiudere la notte con un’agguerrita partita a poker. Che immancabilmente si era conclusa nel nuovo giorno. Da lì, cuccume di caffè forte ed era più conveniente andare direttamente al lavoro. Anche mamma, sapeva già che gliel’avrebbe comunicato con una telefonata a giorno fatto.»
Gemma: «Se fosse così anche quest’anno potremmo organizzarci per un pokerello tra di noi.»
«WoW! – Lucia – Io, ho appuntamento con Uby alle cinque. Starà con me fino alla cena. Cercherò di capire se anche quest’anno è previsto il giro di poker dal dottor Fantuzzi… Voi non avete idea quanto mi prenda il gioco d’azzardo! Tu, vero, Elena, non sarai in casa quando torna tuo padre.»
«Con Gemma abbiamo già un programma. Finito questo stupendo pranzetto, io e lei ci infiliamo al cinema Medica, qui dietro – l’unico ancora aperto con questo caldo e l’unico dotato di grandi ventilatori – dove danno un bellissimo film con Clark Gable e Loretta Young. Finito quello, andremo un po’ da Zanarini e attorno alle otto rientrerei a casa… assieme a Gemma.»
È Lucia a dare l’input per la trasgressiva veglia. «Secondo me possiamo già pensare di essere noi tre a tirare mattina. Uby è difficile che smetta di fare qualcosa che gli ha dato in passato soddisfazione. Se la notte col poker ha funzionato bene negli anni scorsi, vedrete che si ripeterà anche quest’anno. Comunque, nelle due, tre ore che l’avrò fra le braccia saprò convincerlo che, dovesse mai rientrare non ci sarebbe nulla da ‘cuccare’.»
In sala c’è pochissimo pubblico. Il film è noioso ma passionale. Elena e Gemma si caricano anche loro non tanto per la trama amorosa ma fantasticando su quanto potrà succedere. Stanno molto vicine, così hanno modo di scambiarsi impressioni sulle scene del film e su ipotesi per la nottata.
Elena informa l’amica di certe caratteristiche del ménage erotico con Lucia: «È molto mascolina nel rapporto. Quando te la lecca, succhia tanto.»
«Wow! Mi piacerà sicuramente.»
«Vedrai che faremo faville. Con Lucia è tutto un crescendo.»
Ci sarebbe stato bene un bacio. Ma, sia pure se sparso per la sala, lo scarso pubblico c’è. Non è il caso di farsi notare.
Nonostante ciò Elena è scossa da un fremito: la mano di Gemma hkaveva trovato modo di risalire la coscia e gliela sta toccando. Proprio lì, dove la mutanda s’è inumidita.
Sono le 7 e sono al Caffè Zanarini. Giusto il tempo per un Campari e quattro chiacchiere con due dei soliti avventori del locale che propongono una serata di follie con escursione notturna a Riccione in Alfa Romeo. Bagno sotto la Luna e un ipotetico tour fra i piaceri più viziosi e sfrenati.
«No grazie. Abbiamo risorse più a portata di mano e meno complicate. – una risposta da brave ragazze decisamente provinciali. – Poi, siamo già fidanzate!»
«Ah, vi siete organizzate! – all’ascensore incrociano Uberto in uscita – E come passerete la serata?» Portano pacchetti e bottiglie con i cibi della loro cena:
«Magnando e con un pokerino… di soldi, naturalmente.» Elena saluta baciandolo, papà suo.
«Mi sa che finirà in poker anche per me. Cerca di non perdere troppo.»
“Filone! – Tra sé e sé la figlia, immaginando come sarebbe andata la serata di papy – Tutti uguali in famiglia!”
La casa pare vuota. Lucia non dava segno di sua presenza. Elena l’ha chiamata ripetutamente senza averne risposta. Entra in camera sua la trovata nuda e riversa nel letto. Non dà segni di essere addormentata. Pare provata ma non sfinita.
«Cosa t’è successo Cocca? |N.d.A.: Vezzeggiativo, affettuoso mediato da còca della lingua bolognese che starebbe per gallina ma che si affibbia alle bambine e anche a femmine care: Còca mȋ = “Mia cara”|»
«Non lo provocherò mai più… Mi ha sfiancata… Gli avevo detto che l’avrei lasciato andar via solo con l’uccello moscio… Per ottenerlo, ho dovuto dargli due volte il culo… Mi brucia che non ne posso più.»
«Impacco di crema?» Elena va subito a procurarselo.
«Che figura… farsi trovare in queste condizioni!»
«Ti rende un po’ meno milanese… più umana. Però… Adesso sì che vedo che gran figa sei!»
Gemma si dimostra affascinata dalla nudità di Lucia. La snellezza delle forme la leggeva quale grazia, non come scarsezza. Lei, Lucia, dalla sua posizione prona, sul cuscino, non vede la tormentata eccitazione che stava montando nell’amica: il volto tirato. Le labbra gonfie e protruse danno eloquenti messaggi su quanto le passa per la testa.
Torna Elena con la crema lenitiva. Visto lo stato libidinoso in cui versa Gemma le chiede: «Vuoi provvedere tu, Gemma? – e, rivolta alla vittima – A te sta bene, Lucia?»
«Come no… Non ci siamo ancora presentate con tanto di nome, cognome e titoli. Così finiamo di conoscerci.» l’ha quasi cantata, con la sua spiccata cadenza milanese.
Gemma, aveva appoggiato sul letto il vasetto e, quasi con reverenza, le sue dita, con grande delicatezza, scostano un gluteo dall’altro. In quel momento un brivido la scuote. In un baleno cala il volto in quel solco e si mette a leccare il coccige «Oh, Cherie… mi stai facendo rinascere!» e lei sposta la lingua proprio sul martoriato buco del culo che, per l’occasione, torna ad allargarsi: «Divina!» aveva effuso, Luci a. Attorno… Dentro e fuori con la lingua… Oltre. Che, scivolando sul perineo si sposta verso la meta più naturale: la figa.
Prendendo fiato grida ad Elena, che anche in lei, di fronte a tale scena, sta crescendo l’eccitazione: «Per favore, spogliami, Angelo mio!»
Elena obbedisce: carne, dopo carne, quella di Gemma, viene liberata. All’apparire del suo folto cespuglio pubico, anche Elena non sa resistere. Qualche carezza e anche la sua lingua entra messa in azione. Subito alla ricerca della clitoride.
Su quel letto si è composta un’intrigante catena umana.
In quella stanza, frasi forti e sensuali sospiri, rimbalzano gli uni sulle altre.
«Angelo… Angelo [N.d.A.: per quella notte ‘Angelo’ è Elena] Vieni, vieni che ce n’è anche per te, che è tanto che lo desideri.» Mutata la posizione, non più prona, Lucia le offre, ben aperte, le grandi labbra.
Gemma capisce che il motore di quella notte non può che essere la bella milanese. Così lascia le cosce per la bocca di lei.
Sulla figa di Lucia, Elena prende il posto di Gemma.
Si dà daffare con grande attenzione e riesce a mettere in campo qualche finezza che le aveva fatto provare Ruth, la sua nave-scuola.
Lecca in profondità, coinvolgendo la clitoride. Esce e la lingua spazia negli inguini. Cosa che piace tanto a Lucia. Elena capisce quanto sia prossima all’orgasmo. Tornata con la lingua tra le grandi labbra, si fa dar man forte dall’indice: tutto allegramente dentro. La bocca di Lucia smette di succhiare la figa di Gemma per incitarla: «Vengo Angelo… Sono tutta tua… Fammi volare… Così… sì!… Sei il mio angelo!»
Chissà cos’è andata a stimolare, l’Angelo? Sul suo incandescente viso, si spiattella un corposo schizzo di liquido umorale.
«Che giornata! – esclama entusiasta – Oggi non faccio che passare da un orgasmo all’altro.» Baciando le tette all’Angelo che sta asciugandosi il volto da quanto lei ha voluto donarle.
IX
Nonna Elena, tanto per dare un senso ai primi treenta
Il quarto di secolo di Elena
Se ci spostiamo in avanti di un lustro, bisogna riepilogare, sia pur sinteticamente.
Lei, dal suo quarto di secolo appena compiuto [N.d.A.: 8 giugno 1953], sviluppava energia a tutto spiano. In perfetta sincronia con il Paese, impegnato più che mai a far dimenticare al mondo le proprie responsabilità nell’aver fatto da sponda a chi aveva scatenato il più micidiale conflitto fra popoli che la storia ricordi.
Femmine, il mensile che dirigeva, era al primo posto, fra quelli che si rivolgevano al mondo femminile, per copie distribuite. Un punto di riferimento per le donne che guardavano a un futuro scevro da opprimenti retaggi. Le forze che avevano dato libertà di pensiero al Paese, avevano isolato, al momento, la nostalgia per quelle antiche oppressioni, che, però, non bisognava sottovalutare, in quanto ben radicate negli ambienti famigliari.
Le pagine di Femmine sapevano raccogliere sia quelle aspirazioni, sia il dibattito che si stava sviluppando attorno al desiderio di emancipazione.
La redazione della rivista, che inizialmente consisteva nella Remington portatile di Elena, si era allargata a tutta la stanza degli ospiti di via Ugo Bassi 9. Anche per ricevere dignitosamente fotografi e chi forniva saltuarie collaborazioni.
Gemma
Era successo anche, che in uno di questi incontri, le due amiche affinassero una strategia che aveva ben poco a che fare con i contenuti della rivista:
«Come va con Giangi?» [N.d.A.: il Cav. Bonomelli]
«Una cosa fantastica. Ogni tre giorni è fra le mie cosce.»
«Porca! E a me, oramai, dedichi solo i momenti del lavoro, solo perché retribuiti.»
«Con tutto quel che mi dici di ricevere da Filippo ogni notte. Conoscendoti, so che la mia lingua potrebbe solo infastidirti.»
«Con Filippo nel letto di notte, resto appagata tutto il giorno. Tranne qualche raro sfizio che bisogna cogliere al momento giusto – intanto aveva abbassato la voce, si era alzata e le si era avvicinata con un dondolante sculettio – Come ora che ho carpito il tuo desiderio.»
«Filippo?»
«Fino alle 2 è a lezione… Possiamo trasferirci in camera mia. Vieni!»
Gemma l’aveva seguita.
Qui abita l’amore in piena libertà
Con l’inizio dell’anno accademico Filippo era tornato a Bologna. Il professor Alberti aveva insistito perché dimorasse presso di loro. Elena aveva convinto il padre ad attrezzare la propria camera con un vasto letto matrimoniale. Visto che spesso, al mattino, il padre lo trovava sulla porta del bagno, proveniente dalla stanza della figliuola, e sempre senza alcun che addosso.
Il professore, dal momento che ospitava spesso nel proprio talamo Lucia, non aveva potuto fare il difficile. Sicché, il quinto piano di via Ugo Bassi 9, si era connotato in una sorta di casa dell’amore libero.
Tutto questo molto discretamente per non influire negativamente sul risultato elettorale a cui tenevano il professor Alberti e la sua amata Lucia.
La canzone del godimento
Fra Gemma e Elena, innanzi al letto si era svolto il piccolo rito della spoliazione:
«Mi tiri giù tutto tu o faccio io anche per te?» A Gemma eccitava molto cavare nuda l’amica.
Elena l’aveva accontentata con un semplice: «E allora… Dai!»
Gemma si era trasformata. Dalla bella pacioccona, sempre immersa in un sogno che la mostrava eroticamente appagata, in una forsennata ninfomane che cercava di uscire da un lungo periodo di astinenza.
Con due calci nel vuoto si era liberata dei propri sandali, volati contro la parete. Il volto di Elena fra le mani e la lingua in bocca.
Non era molto ma quel tanto che bastava ad Elena per liquefarsi tra le sue braccia.
Gemma voleva fare presto a raggiungere la carne su cui scatenarsi con la lingua. Nel slacciarli aveva fatto saltare due bottoni alla camicetta. Non aveva avuto problemi con il reggiseno: Elena non lo indossava mai. Appena erano apparse le noccioline dei suoi capezzoli la bocca di Gemma se n’era impossessata succhiandoli con foga.
Elena aveva sentito le prime stille del piacere ingentilirle la figa. Così, lasciando la procace amica a sbizzarrirsi sui seni, aveva aperto lei la gonna, subito scivolata a terra. Un attimo dopo le mani di Gemma la liberavano dagli slip.
«Non mi sono ancora spogliata e tu sei già tutta bagnata… Arrivo Tesoro.» In un baleno le sue tette premevano sull’efebico seno di Elena. Sul letto i pubi si erano uniti scambiandosi gli umori:
Elena, stuzzicandosi la clitoride, era andata subito al sodo: «69… io sopra?»
«Come no. Proprio questo volevo.» Si era subito messa in posa. Cosce ben aperte. Il proprio dito medio faceva da apripista.
Composta l’erotica figura, era risultata Elena quella più scatenata nel condurre il gioco. Stando sopra, aveva più possibilità di manovrare la lingua, non solo, dentro e fuori l’affascinante fessura ma anche nei dintorni: inguine e buco del culo, compresi.
Nell’immediato, il contatto bocca-figa aveva acceso in Gemma un turbamento che si esprimeva con brividi. Dal basso ventre si irradiavano a tutto il corpo. Animandoli con sussulti del bacino e incontrollati movimenti del capo. Una condizione che ostacolava il congiungimento delle tumide labbra di Gemma con la figa della partner. Mancanza che incideva assai sui successivi benefici taumaturgici di un 69 ben condotto! Tanto che Elena si era vista costretta ad interrompere momentaneamente il proprio slinguazzare per reclamare:
«Che cazzo fai?… Me la lecchi o debbo telefonare a Filippo?»
Quel breve stacco aveva fatto riprendere a Gemma il controllo del proprio corpo. La struttura del 69 si era ricomposta!
Nella stanza era riecheggiata l’antica canzone del godimento.
Quanto siamo troie!
«Sai, Helen: da quando sei direttrice responsabile, sei anche più porca… Mi hai fatto impazzire!» Belle come poche, le due ragazze si erano tenute abbracciate, chiacchierando sommessamente. Si erano raccontate il loro godimento. I loro orgasmi prendendosi a baci su baci. Fin che l’effetto di quegli intensi momenti non si era dissolto.
Non avevano però voluto abbandonare quel letto di piacere e avevano continuato la conversazione introducendo temi più attinenti al lavoro che conducevano assieme:
«… sai cosa è saltato fuori ieri con Giangi, in una situazione analoga a quella che stiamo vivendo ora?»
«Cioè dopo un 69.»
«Proprio così. Piace tanto farlo anche a noi.… Giangi mi stava parlando dei dispettucci che sta facendo a sua moglie. Ora che ha imparato a chi la dà. Mi dice che è sua intenzione portarle via la proprietà della tua rivista. Ha detto che è tecnicamente una cosa molto semplice visto che è una Srl di cui lui detiene la maggioranza. Tu come vedi questa novità?»
«Cazzo! E me lo dici solo ora… Sarebbe una cosa fantastica che lui la affidasse a Filippo. Io e te, con una notte a tre, non faremmo molta fatica a convincerlo di trasferire la sede a Bologna ed aprire una redazione come si deve, in un ufficio ad hoc. Dai, Gemma. Impegniamoci a fondo e subito, così a quella puttana [N.d.A.: Maria Pia, la moglie del cavalier Bonomelli] glielo mettiamo nel culo.»
«Affare fatto, Tesoro. Appena ci alziamo da qui telefono a Giangi. Gli dico che sono in malinconia. Che sono rimasta a casa dalla biblioteca. Mi sono rifugiata qui da te e non faccio che pensare a lui. Gli chiederò di stare un po’ al telefono con me tanto per potermi masturbare sentendo la sua voce. Concluderò la telefonata pregandolo di venire al più presto da me.»
«Quanto siamo troie, quando vogliamo!» Si erano abbracciate, ridendo a crepapelle.
La telefonata era stata un vero coup de théâtre con le due perfide ragazze sempre nude. Gemma, si destreggiava con voce sensuale e un linguaggio veramente erotico: dita sempre dentro la figa. Elena, seduta di fronte a lei, per mantenere l’atmosfera attorno a Gemma eccitante, si masturbava pur’ essa. Dalla cornetta giungeva la voce lagnosa di Gian Giacomo Bonomelli che approvava quanto gli stava chiedendo l’amante promettendole che avrebbe seguito intuizioni e consigli.
Il finale di tutto questo:
«Vedi Gemma quanto sia produttivo un 69?… Replichiamo?»
«Se non ti ammazza la voglia poi… con Filippo… Volentieri.»
«Quella? Basta che lui lo tiri fuori e si riaccende con prepotenza. Dai, che me la sento già sfrigolare.»
Un attimo dopo che erano rientrate nella stanza-ufficio dopo il loro nuovo scatenato 69, il telefono aveva trillato: «È lì da te Gemma – era Giangi – puoi passarmela?»
Era stato tutto un:
«Ma, no… Dai… Ma sei perfido.… Oh, certo. Glielo dico subito… Che bello!… Ma sei un vulcano… Che bello… Comincio già a prepararmi ora… Ti farò impazzire.»
Una telefonata consistente. Uno slancio di Gemma verso Elena. Un lungo abbraccio di gioia.
«Era entusiasta dell’idea che gli ho dato. È entrato subito in azione. Ha dato mandato al suo commercialista per un aumento di capitale nella società di Femmine. Ora le quote sono 50% di Filippo, 30% sempre quelle della moglie, poi ha deciso di regalarne un 10% a te e altrettanto a me. Appena il commercialista gli dirà che tutto è consolidato manderà una raccomandata alla moglie in cui si dirà che non avrà più nessun ruolo nella redazione. Ha pure iniziato le pratiche per l’annullamento del matrimonio. E ha telefonato al ristorante la Nerina prenotando per le otto di stasera, cena per due.… Elena, credimi, comincio ad aver paura.»
«Ma dai. Male che vada ti dovrai sposare… Vieni che te la accarezzo un po’. Vedo che sei agitata.»
Affettuosamente Gemma si era seduta sulle sue ginocchia e aveva tenuto larghe le cosce.
La mamma è una grande troia !
Attorno alle tre era rientrato Filippo dopo una mattina passata fra laboratori e lezioni.
Elena gli aveva preparato un gustoso pranzetto, più quale riconoscenza verso suo padre, che per dimostrare di essere una brava ragazza da sposare.
Filippo sembrava immerso nella malinconia. Aveva parlato al telefono con suo padre che gli aveva detto una cosa buona e una cattiva. Quella buona era che adesso aveva la maggioranza della società che gestiva la rivista Femmine. Questo gli aveva fatto molto piacere: «… poi, papà mi ha detto che mamma è una grande troia e che ha già incaricato il suo avvocato per lo scioglimento del loro matrimonio. Quello che più mi rattrista è che tutto questo me l’ha detto esprimendo tanta cattiveria verso mamma. Oh Elena, ho tanto bisogno di stare vicino a te. Domani non andrò alle lezioni. Prenderò un’auto a noleggio e andremo noi due al mare. Ti prego non dirmi di no.»
«Non è da te la tristezza. Vieni con me che ho una buona cura.»
«Con tutti questi eventi non ho la prestanza che tu ben conosci. So però che tu sei straordinaria per tirarmi su. Oggi puoi accontentarmi anche solo con una pugnetta. Come la chiamate da queste parti.»
Bastava dirlo!
L’inaugurazione della nuova Redazione
Il sindaco, il prefetto, un generale, un buon stormo fra deputati e senatori, tanti giornalisti. Questa, la piccola folla all’inaugurazione degli uffici della redazione di Femmine a Bologna. Due portoni dopo quello in cui abitava Elena.
Lei, più radiosa che mai, aveva presentato agli invitati, la dottoressa Gemma Tamburini, ufficialmente sua Vice. La dottoressa Lucia Boeri, collaboratrice free lance. Paolo, il fotografo di redazione e Gianna, la steno-dattilografa, assunti in quei giorni.
Erano presenti il cavalier Giangiacomo Bonomelli e il di lui figlio, Filippo, proprietari della testata.
Tutte le cronache davano la notizia con la foto di Elena che appariva meravigliosamente figa.
Era l’8 di giugno 1955, compleanno della bella direttrice. Che l’inaugurazione coincidesse con il compleanno di Elena l’aveva deciso il giovane neoproprietario.
Storiacce e ditalini
Lui, studente alla facoltà di Giurisprudenza di Bologna, praticamente viveva assieme a lei, pur mantenendo, a Milano, un legame pseudo affettivo con una fidanzata che gli aveva appioppato la famiglia qualche anno prima. Una delle pulzelle più ambite della città per censo e ricchezza. Una situazione imbarazzante che si trascinava da troppo tempo. Lui, pur non avendo alcun rapporto affettivo con lei, si ritrovava disarmato di fronte alla nullità di quella ragazza ma per sua bontà d’animo si rifiutava di procurarle un dispiacere. Purtroppo per lui, aveva un carattere estremamente mite ed ogni azione che intraprendeva doveva essere gradita e favorevole anche verso chi era diretta.
La sera precedente l’inaugurazione, rientrati dalla cenetta per festeggiare il 27º compleanno di lei, stavano godendosi, finestra della stanza spalancata, non solo la mite arietta del giugno, ma anche un tranquillo amplesso al trotto, con lei beata sopra e l’uccello prigioniero della figa. Lei era poi passata al galoppo ed assieme avevano tagliato il traguardo dell’orgasmo. Baci carezze e baci non potevano mancare e non potevano mancare neppure dolci ciacole. Fra queste, una un po’ irriverente: «E con la morosa come sei messo?»
«Cosa vuoi che ti dica: anche sabato sera siamo andati a cena assieme in uno di quei ristoranti del cazzo che si fa consigliare in parrocchia e a un certo punto s’è messa a piangere raccontando la situazione in famiglia dopo che è saltato fuori la storiaccia di suo padre con mia madre. Ero andato per dirle che fra di noi non poteva continuare. Non ce l’ho fatta. L’ho consolata con un paio di carezze sulle gote e stringendole la mano. Quando in auto, l’ho lasciata innanzi a casa mi ha detto: “Mi sei molto caro, possiamo lasciarci baciandoci come si vede fare nei film?”. Non sapevo cosa risponderle. È finita che l’ho baciata sulla fronte dicendole: “Non credo sia ancora il momento”. Ha sorriso con malinconia e se n’è andata. In quei pochi passi per raggiungere il portone di casa si è girata tre volte salutandomi.»
Elena: «Credo di poter dire che sei un gran maiale… trattare così una donna che ne ha voglia. Potevi almeno farle un ditalino.»
Si erano abbracciati in allegria e… «È una richiesta?»
«Perché no. E dopo spegniamo la luce.»
Era stata lei a condurgli la mano fra le cosce ma anche a stringergli il cazzo con passione.
La Siura Bonomelli e il Vicesindaco: la tresca
A Filippo, da quando suo padre aveva voluto svelare al mondo l’amorazzo tra la propria madre e il Vicesindaco di Milano, ipoteticamente, suo futuro suocero, era sparito il bel sorriso che aleggiava sempre sul suo volto.
«Lo so – aveva detto ad Elena che glielo aveva fatto notare – che a ventitré anni la mia vita non cambierà molto se mamma andrà a vivere per conto suo. In fondo, con papà non stava bene se si è cercata qualcosa di diverso. Quello che mi spaventa è con chi la sostituirà papà, che ha la figa nel cervello, come tu hai potuto vedere quella volta a Stresa.»
Elena non aveva aggiunto alcun che, mantenendo il segreto sulla relazione che costui manteneva da anni con Gemma. Ovvero dalla festa del fidanzamento di Filippo con Loredana.
Era stata Lucia Boeri a dare la notizia a Giangi Bonomelli che era un cornone e gli aveva dato pure alcune foto che Lucia aveva ottenuto da amici nelle redazioni di alcuni fogli scandalistici. Foto della Siura che in compagnia dell’amante entrava ed usciva da un albergo in provincia di Sondrio. Stampato sul bordo dell’immagine, data e ora. Così si poteva dedurre che era stata una sveltina consumata nel giorno dell’Immacolata Concezione in sole due ore.
Giangi, che di quella moglie che non gliela dava più, non aveva più voglia di avere attorno, non aveva visto l’ora di mettere in giro le foto. Facendole anche recapitare anonimamente a tutte le agenzie stampa di Milano. L’informazione, così nuda e cruda, aveva provveduto a raccontarla, lui stesso con una certa disperazione ad alcuni buoni amici, assidui frequentatori dei Rotary e Lions Club.
Alla Vigilia di Natale c’erano due famiglie che non si erano ritrovate tutti assieme allo stesso desco.
Il Vicesindaco, democristiano, fervente cattolico, aveva dovuto dimettersi.
La sua devota siura era caduta in un grave esaurimento nervoso e la figlia si dichiarava sempre più propensa a prendere i voti religiosi.
La siura Bonomelli, con una certa arroganza dichiarava a più non posso di non sentirsi per niente colpita da quelle voci denigratorie. Anzi “si sentiva più donna”, diceva lei «Non mi opporrò certo all’annullamento del matrimonio. Non mi rifugerò neppure fra le braccia di un amante che è stato solo occasionale. Voglio averne tanti altri, soprattutto migliori»e aveva aumentato la visita ai parrucchieri e agli istituti di bellezza. Si era pure acquistata una MG Spider per spostarsi in piena autonomia. Era rimasta alla Villa Bonomelli, ritagliandosi al suo interno un miniappartamento. Tanto con la vita mondana che conduceva era ben poco tra quelle mura. Dopo la sentenza della Sacra Rota si sarebbe riorganizzata «A suo tempo e a modo mio.» Al momento sapeva solo che “non doveva mollare l’osso”.
L’Isola per isolarsi
Filippo dall’ottobre di ogni anno stava a Bologna ogni settimana fino al venerdì studiando intensamente. I fine settimana li aveva passati tutti all’Isola dei Pescatori, nella locanda di cui era proprietario. Lì, alla stanza n°10, quella del terzo piano, con terrazzo, aveva installato un giradischi e tutta la sua collezione di dischi di jazz e Frank Sinatra. Proprio con la voce di lui attendeva che lo raggiungesse Francesca. Puntualmente, lei, alle 18 del venerdì sera appariva.
Pochissime parole. Solo gesti.
Precipitevolissimevolmente i loro corpi si mettevano a nudo per rotolarsi sul letto tra sospiri e brevi esclamazioni. «Sei sempre una signora figa» e prendeva a leccargliela. Primo omaggio alla di lei femminilità.
«Di settimana in settimana ti cresce sempre l’uccello.» il reciproco ritornello.
«È la voglia di te il mio ricostituente… Dai… succhiamelo!>
Aveva ganasce robuste la ragazza, in un volto longilineo con labbra sottili. L’uccello riempiva ogni angolo della bocca e in certi momenti le provocava colpi di tosse. Doveva tenerne una buona parte fuori o in punta di labbra, se voleva mai che glielo accarezzasse con la lingua. Lei percepiva quanto a lui piacesse: dai sussulti della cappella. Dal continuo mugolio che si trasformava in ruggito.
Poi una preghiera da lui: «Non mi fare venire… Fermati! Non mi fare venire!»Una capriola per infilarsi il preservativo – già a disposizione sul comodino – e via… subito nella calda figa: un forno di piacere!
Non ci voleva molto: qualche colpo in profondità. Per vibrare all’unisono e venire assieme: «Ben tornata, Tesoro!» Era la cosa più bella che lei potesse sentirsi dire.
Questo era solo l’aperitivo. Seguiva una rilassante chiacchierata condita da tante coccole con baci e carezze.
Francesca gli raccontava la propria settimana lavorativa al Cafè Milano, dove la gente correva perché fosse un suo intruglio a riaccendere in loro l’amore. C’erano lui che volevano dimostrare a delle lei, doti mai possedute. Altri lui che quelle doti non avevano mai avuto o che avevano perdute. C’erano lei che cercavano il filtro magico per incatenare loro dei lui. Poi, quelle che contavano su quel cocktail per trovare la giusta tensione per darla trasgressivamente senza rimpianti. «… c’è anche chi vorrebbe provare il brivido con una strega. Soprattutto quando questa ha la nomea di ‘strega dell’amore’… Chiedono appuntamenti. Notti fantastiche. Piaceri smodati.… Io dico sempre di no…. Dico che sono sempre impegnata da venerdì a venerdì… – e con questo gli aveva stretto con passione l’uccello – vedi che faccio bene a non accettare altri amanti.… Ce l’hai già duro!»
«Non ti sono capitate avance da femmine?»
«Come no… Solo ieri sera, quando sono smontata mi hanno aspettata in due che mi chiedevano di andare con loro a fare un trio. Avrebbero pagato anche. – e anticipando un suo bacio – Se ne vuoi fare un’altra, a te la faccio gratis.»
Come no. «Senza preservativo, con sborrata fra le tette.»
La signora Augusta, in cucina, sapeva già che i piatti di trenette al coregone dovevano essere abbondanti, il temolo, ben condito con aglio, olio, erbette e limone. Il vino, un lugana di Sirmione.
«Ti spiace se stasera mi abbuffo anche su un budino della signora Augusta e recupero qualche energia.»
«Ti seguo, così ne faccio due in più» la signora Augusta, che era lì per la comanda, era arrossita ma aveva voluto aggiungere:«Ne approfitti, Signorina!»
Era poi andata come lui aveva anticipato.
Il giorno successivo, il sabato, si recavano come sempre a Stresa. Assieme facevano piccoli acquisti e non mancava mai che lui non le facesse un piccolo regalo: un piccolo gioiello… un frivolo capo di abbigliamento. Tornavano all’Isola per il pranzo e la signora Augusta gli faceva apparecchiare in terrazza dicendo a Francesca: «Fortunata lei, Signorina, che ogni settimana ha la sua luna di miele!»e per loro cucinava veramente col cuore. Francesca, confidenzialmente, le mostrava il cadeau che lui le aveva donato e lei l’abbracciava come fosse figlia sua. La signora Augusta nulla sapeva della coppia. Le bastavano le esternazioni della loro passione perché li coccolasse.
Fatto onore a tutto il ben di Dio ch’era stato preparato per loro, si erano rinchiusi nella loro intimità per godersi vicendevolmente in quelle poche ore che ancora sarebbero stati assieme. Alle 5 lui se ne sarebbe andato.
Era sabato e alla sera c’era l’inutile cena con la fidanzata. Il giorno successivo la gravosa messa con mamma e la famiglia di Loredana, la morosa, che si sarebbe conclusa con il pranzo a casa loro, assieme allo zio di lei, monsignore. Verso le 4 quel tour de force si concludeva.
Filippo, esausto, prendeva l’auto e volava ancora a Stresa. Raggiungeva Francesca sempre nel momento in cui lei finiva il lavoro. Nuovamente assieme si rifugiavano nel loro nido d’amore sull’Isola.
Se Elena conosceva pur nei dettagli i momenti di Filippo con morosa e famiglia, Francesca non avrebbe potuto condividere una situazione come quella.
Per Francesca, Loredana e la ricca famiglia Gallera non potevano esistere nella vita del suo Filippo. Ora studente all’Università di Bologna. Forse un domani padre dei loro figli. Almeno così lui, le aveva promesso.
Francesca era sì l’amata, anche se lui la manteneva in un’aura di menzogna: “Forse un domani….”
Loredana era solo un contratto tra le loro due famiglie per garantire a Filippo un futuro di prosperità.
Elena, quella di cui lui era veramente innamorato ma che rifiutava di abbandonare quel ruolo di amante di cui si era lei stessa affibbiata. Comunque, anche Lei, nulla sapeva di Francesca.
Far chiarezza delle menzogne e mettere le cose al giusto posto era il proponimento di Filippo per l’immediato dopo-laurea.
Un’info riservata
Mentre si stringevano le mani nei locali della nuova redazione il cavalier Bonomelli aveva preso da parte Gemma ed Elena e aveva detto loro:
«Appena costoro se ne andranno, noi tre, chiamiamo un taxi e ci facciamo portare in qualche posto dove ci sia un salotto dove possa farvi vedere una roba. Filippo però non deve essere con noi.»
Elena: «Io e Filippo eravamo d’accordo di andare a cena assieme io e lui.»
Giangi:«Inventa una balla perché è importante che ci sii anche tu… Aspetta, forse sono più bravo io a raccontare balle – ed era andato a parlare con Filippo. – Tutto a posto, Filippo ti aspetta Al Pappagallo alle otto.»
Qualche minuto dopo un’auto sbarcava il trio davanti al Caffè Zanarini. Nella saletta rococò erano soli e la prima cosa che il cavalier Bonomelli aveva messo in pratica era stata la lingua in bocca a Gemma. Un po’ di effusioni tra di loro, quasi come due liceali, poi il cameriere aveva portato i Campari ordinati.
«Allora Giangi?» Elena che si sentiva di troppo tra quei due in fregola.
«Scusa, ma appena sento il suo profumo non capisco più niente e mi scordo tutto.»
«Ed ti è venuto anche duro?» Gemma, premurosa.
«Quello si vedrà.… Volevo dirvi che, quando ci siamo ritrovati a Bologna, oggi, Filippo mi ha portato questo.» Aveva tirato fuori alcuni fogli e li aveva passati ad Elena:
«Sono della curia arcivescovile di Milano. Traduco perché tutto in latino. Tribunale della Sacra Rota. Con la presente si comunica che bla-bla bla-bla e arriviamo al punto interessante che dice, il matrimonio effettuato il 15 gennaio 1932 nella chiesa bla-bla bla. È reso nullo, pertanto i contraenti sono da ritenersi allo stato attuale, liberi da ogni vincolo matrimoniale. Bla-bla, altre due pagine che credo possano interessare solo avvocati. – Gemma, entusiasta, gli aveva già rimesso la lingua in bocca e una mano sulla patta delle braghe – Era questo che volevi dirci?»
«E dici niente? Se vi dico quanto mi è costato?»
«Ma perché Filippo non deve esserne al corrente?»
«Filippo sa tutto perché la lettera l’ha aperta lui e forse ha anche già informato sua madre. E proprio perché figlio suo, non volevo assistesse ad eventuali nostre manifestazioni di giubilo. Non voglio neppure che, per adesso, sappia di Gemma e di come mi muoverò in questi giorni e che adesso dico anche a voi. – Si asciuga il sudore – Ci terrei che Gemma fosse la tua Vice a tutti gli effetti e che si licenziasse dalla Biblioteca Comunale. Ho sondato Filippo che mi ha detto che gli sta bene assumere a tempo pieno chi già lo fa. Sentito anche Lucia. Anche lei è dello stesso parere. Tu, Elena, hai perplessità?»
«Oh, eccome: non le firmerò mai i permessi per necessità sessuali, come fa ora, ogni volta che tu, Giangi, vieni a Bologna»Risata generale e conseguenti brindisi.
Gemma e Giangi erano pimpanti per le prospettive che si aprivano al loro amore: si sbaciucchiavano come adolescenti e non mancavano reciproche palpate indirizzate con passionale precisione.
Elena accusava l’assenza di un partner. Avrebbe desiderato anche lei una persona cara che le desse segno della passione che provava per lei. In parole povere le stava mancando il suo Filippo. Mancava un quarto d’ora alle otto, quando lui l’avrebbe aspettata Al Pappagallo. Era troppo! Lì, a guardare questi due che si pomiciavano di brutto innanzi a lei. In effetti, aveva cominciato a tirarle in maniera decisa. E allora: «Ragazzi, vi saluto. Vado a raggiungere il mio Filippo che so che anche lui sa dove mettere le mani.»
Ma dai… Andiamo ben a casa!
Era uscita e s’era messa a correre. Di vicolo in vicolo aveva raggiunto il ristorante con qualche minuto di anticipo sull’appuntamento. Bontà sua, l’amato era fuori a fumarsi una sigaretta. L’abbraccio era stato spasmodico. Elena, tra un bacio e l’altro, aveva scoperto le carte del proprio desiderio: «Dobbiamo proprio andare a cena adesso? Io ho tutto un altro tipo di fame…»
«E allora andiamo a cena dove si deve.» L’aveva presa per mano e s’era messo a correre verso casa di lei.
«Aspetta!» Lei si era tolta le scarpe per correre più veloce.
Complice l’ascensore lui le aveva slacciato la camicetta tentando anche di sfilargliela.
La porta sbattuta aveva spaventato Lucia, che in quel momento stava uscendo seminuda dal bagno. – Anche il professore aveva celebrato l’inaugurazione della Redazione – Lucia aveva sorriso alla foga dei due ragazzi ed era tornata a giacere accanto al suo amato.
Il tailleur di Elena era caduto a terra prima che entrassero nella loro stanza. Gli slip, ai piedi del letto, assieme a tutti gli abiti di Filippo: «Su… Su! Sto gocciolando come una fontana. – Lui aveva immediatamente tappato la falla – Ogni volta ce l’hai sempre più grosso.… Dai… Spingilo dentro tutto… Ti amo!» e si era lanciata in una danza sfrenata.
«Sto per venire, amore. Cosa faccio?»
«Sul viso… Sul viso. Sbarrami in bocca!» e l’aveva spalancata.
Due schizzi corposi. Il secondo aveva raggiunto il palato di lei.
«Che compleanno splendido. Meglio di così non poteva andare!»
«Oh, cazzo! Il mio regalo. Sei quasi riuscita a farmelo scordare.» Si era tirato su e recuperato la giacca che era a terra, aveva tirato fuori un inconfondibile astuccino. Uno di quelli che non possono contenere che anelli.
L’aveva aperto, lui, un po’ in disparte e se l’era appoggiato sulla punta dell’uccello. Lei l’aveva carpito con le labbra e se l’era infilato al dito: «Ma è bellissimo!»
«Non è costato nulla. Ho trafugato anche questo dall’eredità della nonna! Se l’impara mamma…»
«Oh, Filippo! Ladro per amore.»
Nella cameretta di Gemma
Nello stesso tempo, nella cameretta di Gemma:
Giangi se lo stringeva in pugno, inginocchiato sul letto innanzi alla figa di Gemma e con la punta gliela stuzzicava.
Gemma pareva impazzita: scuoteva convulsamente la testa a destra e manca, suggerendogli «Prendimi Giangi… prendila, è tua!»
Sorprendentemente, quel signore distinto le aveva risposto «No. Non è ancora il momento!»
«Mi rifiuti?»
«Cosa vai mai a pensare? Ti pare che possa cacciare via quanto più ho desiderato nella mia vita? Se vuoi te la Lecco. Prima lascia che ti dica cosa ho in mente Per noi.»
«Vai allora! Io però non riesco a tenerla a freno ancora per molto.» S’era messa ad accarezzarsela.
«Tu domani ti metti in ferie. Appena finito le nostre cose, telefonerò a monsieur Genus del Negresco, a Cannes e prenoto la suite al quinto piano. Domani stesso partiamo e da domani notte mi godrò la mia dolce verginella. Che ne dici?»
«Oh, Giangi. Considerami già sul treno. Così potrò spianare il travolgente bikini che ho comprato in questi giorni!»
«Non ho finito. Quando torniamo, se saremo andati d’amore e d’accordo, fisseremo la data della festa del nostro fidanzamento. Che faremo a Milano e sarà ben più imponente di quella che ci ha fatto incontrare. Io verrò ad abitare con te qui nella tua casetta per un paio di mesi e stabiliremo la data del nostro matrimonio. Fino ad allora io ci tengo a mantenere integra la tua santa verginità.»
Gemma non stava più nella pelle. Lacrima dalla gioia. È invasa dall’entusiasmo e glielo prende in bocca ma agitata come è rischia per ben due volte di morderglielo. È in imbarazzo: «Cosa posso… per farmi perdonare?»
«Il culo, Tesoro… Dammi il culo!» Lui spietatamente con il cazzo ben duro.
Lei è già in posa sulla sponda del letto.
«Sto matrimonio s’ha da fare!» Gemma, Manzonianamente, stringendo i denti per la prima bordata.
Il 1956: un anno agitato
Il 1956, anno tanto difficile per la pace mondiale, aveva raddoppiato gli abbonamenti a Femmine. La redazione che si era ancora allargata con nuove collaborazioni, aveva brindato alla millesima sottoscrizione. Anche Lucia non era più giornalista free lance ma in organico a questa testata. Si era stabilita a Bologna ed era già impegnatissima per la rielezione al Senato della Repubblica del suo Uby.
In quell’anno, Giangi, da bravo socialista, aveva percorso ogni tappa della sua programmazione sentimentale e ora Gemma mostrava con orgoglio il cerchietto d’oro al dito e faceva sapere a tutti di non essere più come mamma l’aveva fatta.
Fino al venerdì continuava ad abitare nell’appartamentino di via Marescalchi per svolgere il lavoro in Redazione. Sabato e domenica, rovente di desiderio raggiungeva l’amato marito per unirsi a lui in un quarantott’ore di passione: sopra, sotto, in piedi, in sponda, dal davanti, da dietro. In tutti i modi. In diversi letti. In diverse stanze. Tanto per cambiare panorama.
Tornava a Bologna con le parti usate protette da impacchi di creme.
Giangi, stremato, assumeva ricostituenti in dosi massicce per continuare a reggere i ritmi del lavoro.
Filippo si era laureato e aveva fatto tutta la trafila per potersi presentare all’esame di Stato. Adesso era l’avvocato Filippo Bonomelli.
Non era più lo studente che dimorava a casa Alberti. Viveva a Milano, affiancando il padre nell’amministrazione delle loro proprietà. Spesso soggiornava all’Isola dei Pescatori dove Francesca, paziente, l’attendeva in un romantico nido d’amore che avevano messo su assieme.
Loredana, la ragazza piatta e senza culo che le famiglie gli avevano imposto quale fidanzata, aveva fatto le scelte di Ofelia: in convento dalle suore.
Elena, molto, sublimava nel lavoro. Quando non era sufficiente c’era sempre il letto di Gemma che l’ospitava in uno delle quattro notti che restava a Bologna. Le buone abitudini non si devono perdere mai.
Più o meno una volta al mese passava la serata e la notte con Filippo. Sempre un uccello generoso. Fantasioso nell’uso!
Elena, nella mano destra sfoggiava il prezioso anello che lui le aveva regalato per il 27º compleanno. Ma da lì nessun passo in avanti. Un po’ di malinconia si poteva leggere nei sorrisi contenuti della ragazza.
Femmine, grazie alla rubrica di consigli al femminile gestita dalla sessuologa francese Bella d’Amour, si era imposta fra i mensili di ogni settore.Uno pseudonimo sotto il cui nome si celavano Gemma e spesso anche Elena stessa. Sempre pronte a dare consigli, una parola buona a femmine di ogni età, classe sociale, mogli o amanti ma anche chi della trasgressione ne faceva uno stile di vita. Un’intuizione editoriale arricchita da scatti in bianco e nero suggestivi e attinenti all’argomento trattato.
“Femmine” e il Premio Michel Sburziglèr
Così aveva guadagnato un prestigioso premio editoriale messo in palio da un consorzio tra dieci importanti quotidiani europei.
Era il 1° agosto del ’57 quando a Filippo, che era il proprietario della testata, era stato comunicato l’assegnazione del Premio Michel Sburziglèr e invitato assieme alla direttrice della rivista alla cerimonia della consegna dei premi, che si sarebbe tenuta a Ginevra il primo settembre. Filippo in quei giorni usufruiva dell’MG di mamma sua, in crociera con l’amante del momento. Aveva subito messo in moto la potente spider ed era volato a Bologna a portare la bella notizia ad Elena.
Non l’aveva trovata in ufficio «Ieri sera è andata a un festino di femministe. Secondo me ha tirato a mattino. In ufficio non s’è ancora vista… Mi ero detta che a mezzogiorno sarei andata a vedere. Ho le chiavi di casa sua. Quelle troie, nei loro festini bevono robe di merda con cui si sta male.» Gemma.
«Le chiavi le ho anch’io. Vado a vedere.»
«Comunque in casa potrebbe esserci Lucia. Ieri era a Bologna.»
Filippo aveva suonato e gli aveva aperto Lucia.
«Elena?»
È in camera sua. Non so se è sveglia. È un bel po’ che l’ho sentita usare il bagno. Però non s’è fatta vedere.»
La stanza era ancora buia per proteggere il sonno della dormiente che stando al disordine che regnava tutt’attorno doveva aver avuto problemi a togliersi i vestiti.
Appena Filippo aveva annusato il suo buon odore aveva dimenticato tante cose e ne aveva ricordate altre. Non aveva resistito. Si era silenziosamente spogliato e sdraiato accanto a quel corpo così ben profumato.
La ragazza dormiva profondamente e a quell’invasione del proprio letto aveva sì e no reagito con piccoli movimenti sempre dormendo. Filippo che di lei conosceva quali tasti premere per darle piccole gioie si era stretto a lei e aveva preso a farle carezze ai seni e al ventre. Sapeva bene quanto a lei piacesse essere svegliata con dolcezza.
Qualche movimento e le palpebre che cercavano di adattarsi alla luce, avevano cominciato a socchiudersi.
Un sobbalzo «Chi sei?… Non farmi del male – poi – Cosa ci fai qui?» Lentamente la realtà si era fatta strada nella sua mente.
Lui, pensando di essere la causa della sua malanotte, aveva tentato di discolparsi per la sua lunga assenza: «È stato perché Papà doveva mettere a posto tutto il suo patrimonio e gli serviva qualcuno che di giurisprudenza ne capisca. – Bugia! Tutto quel tempo l’aveva passato tra le braccia di Francesca, di cui lei non conosceva l’esistenza. – Se non ti ho chiamato per qualche nostro masturbino telefonico, era perché la testa mi era proprio andata nel pallone. Arrivavo a sera che non ricordavo più neppure chi ero.» Sempre bugie. Comunque, la disperazione di Elena non era indirizzata a lui:
«Non c’entri niente tu… È stata solo la reazione liberatoria di quanto mi è successo stanotte?» e si era aggiustata contro di lui perché potesse stringerla meglio. Lui aveva aggiunto un bacio. Ben gradito. Anche se, improvvisamente Elena si era abbandonata ad un pianto con singhiozzi. A Filippo non era rimasto che scoprire la causa di tanta disperazione: «Tesoro, non vuoi raccontarmi cosa ti è successo stanotte. Sei così profumata che posso anche pensare che tu abbia avuto una bellissima notte d’amore.»
«Notte d’amore, sto càzz! – Elena sembrava aver recuperato tutta la sua sicurezza.Si era stretta ancora più forte a lui. Come fosse interessata alla sua erezione – Te la racconto proprio, anche perché non voglio che finisca così e il parere di un uomo di legge mi è indispensabile…»
Una notte da dimenticare
Il racconto è quello di una notte violenta.
Tutto era cominciato da una telefonata di Olga, sua collega della rivista Noi Donne: «Questa sera inizia il congresso delle ‘Femministe bolsceviche’ piccolo gruppo del firmamento femminista lì a Bologna. Io vengo su. Mi hanno invitato. So che sono in poche ma tanto folcloristiche. Hai voglia di venire con me?» Olga, ad Elena era simpatica e le faceva piacere rivederla e condividere con lei qualche articolo. Si era fatta accreditare.
Luogo di quell’incontro era un punto in quelli che furono i Prati di Caprara, ancora non bonificati dai danni della guerra.
L’accoglienza, alle due giornaliste, non era stata entusiasmante: «Vedete di non scrivere poi, cazzate. È a vostro rischio. Noi veniamo a trovarvi a casa.»
Non erano in tante. Sì e no, una ventina di ragazze giovani e non solo. Non erano poche quelle che avevano superato i quaranta. Tutte con le tette, belle o flosce che fossero, libere e al vento. Smaccatamente una congrega di lesbiche inferocite.
Prima che il dibattito si aprisse c’erano stati brindisi con beveroni di ignoti succhi e alcol. Canti antimaschilisti. Durante questa fase Olga, l’aveva presa in disparte per dirle qualcosa di importante che, poi, non era riuscita a portare a termine. A lei si era appiccicata una quarantenne robusta dall’espressione agguerrita. Dopo un po’ Olga, dichiarando l’inizio di un malore relativo a una malattia di cui avrebbe dovuto soffrire, si era allontanata. Prima, aveva detto ad Elena «Vedrai che torno.»
La presidente aveva aperto i lavori con una relazione tutta contro certa stampa che metteva sul ridicolo certe esternazioni del femminismo radicale. Erano iniziati gli interventi che ben presto si erano trasformati in espliciti insulti al mensile Femmine e a quella “prostituta della sua direttrice”.
Elena si era alzata per andarsene. Dal palco era stato gridato: «L’assemblea si converte in ‘Tribunale delle Donne Oppresse’ e adesso, “Forza! Giudichiamo la maiala.”» Braccia robuste l’avevano immobilizzata, sollevata e portata in un angolo del territorio. Tenendola sdraiata sul manto erboso.
Ad Elena giungevano le urla di giubilo dall’assemblea che sollecitava ad eseguire la pena comminata. Tutta l’Assemblea – più o meno 20 persone – aveva allora circondato dove lei era tenuta sdraiata.
Primo carnefice si era proposta la Presidente: diceva di chiamarsi Leone, era sulla cinquantina e sotto le tette, sgonfie, indossava solo il pezzo inferiore di uno stinto bikini. Aveva calato questo e s’era messa a gambe aperte sul volto di Elena. Non c’era voluto molto per capire la pena che le era stata comminata. Il piscio le si era abbattuto sul volto con tutto il suo mal odore.
Alla Presidente era seguita la sua vice: una, oltre i quaranta, orrenda nel corpo e nella figa. Erano poi seguite le cinque componenti del consiglio direttivo. Con il restante di quel piccolo popolo che reclamava rumorosamente con canti e slogan di voler partecipare a quel supplizio: «Io, a una così, le cago volentieri sugli occhi – andava dicendo una trentenne panzona – Lasciatemelo fare!» e forse l’avrebbero anche messa alla prova. Senonché, attorno a quel gruppo si erano materializzati una dozzina di poliziotti. Olga era con loro. Nessuna delle bolseviche era potuta fuggire… Semi nude, come si erano dovute mettere per partecipare al Congresso.
Olga non era riuscita a trasmettere ad Elena le preoccupazioni sorte in lei, avendo ascoltato, non vista, una conversazione: «… la provochiamo e gli facciamo la cattura che abbiamo fatto a quelle della RAI, il mese scorso a Roma.» Olga, che di Roma era, conosceva l’episodio. Se n’era andata per far intervenire la polizia. Elena, sotto quella pioggia di piscio, era svenuta. Olga, l’aveva tirata su e rianimata. Era fradicia di urina. Un’ambulanza l’aveva portata al pronto soccorso. Olga era andata con lei. Al di là di puzzare maledettamente non aveva subito altri danni se non lo choc. L’avevano lasciata dimettere.
Olga l’aveva accompagnata fin in casa. «Se non riesco a togliermi sta puzza di dosso mi getto dalla finestra.»
Olga l’aveva aiutata per il bagno. Anzi, era entrata sotto la doccia con lei. L’aveva insaponata tutte le volte che lei aveva voluto. Fintanto che quel puzzo si era fatto sentire. Ad Elena ed Olga era capitato di far all’amore fra di loro. – Era finito in 69, l’anno prima, un convegno di giornaliste. in una stanza dell’Excelsior di Firenze. – Quella notte, però, non avrebbe potuto capitare.
Elena, dopo tante lacrime si era messa a battere i denti, nonostante fosse agosto. Questo aveva preoccupato Olga: «Vuoi che resti a dormire con te?»
«Non osavo chiedertelo.» Appena sotto le lenzuola, Elena le si era abbracciata tenacemente contro, addormendosi.
Ad Olga, Elena piaceva tanto. Per lei era stato un supplizio quel corpo desiderato, bello caldo, lì, tra le sue braccia, senza sentirla spasmodicamente godere come nel 69 dell’anno prima. Aveva, allora, provato a tenerle una mano sulla figa. Forse questo, rasserenandola, l’aveva fatta dormire più saporitamente. Erano le due quando anche Olga si era rassegnata al sonno.
Quando Olga se n’era andata, Elena l’aveva accompagnata alla porta dove finalmente, per Olga, le aveva messo la lingua in bocca: «Grazie, Tesoro… se non era per te… E grazie per quella mano sulla figa che mi ha dato un sonno fantastico.»
Olga se n’era andata con un certo risentimento per qualche ipotetico, mancato orgasmo.
Elena, aveva sentito ancora il bisogno di lavarsi e di cospargersi di profumi per dimenticare meglio le puzze che le erano state imposte con spregio. Ancora la doccia. Gli shampoo dal buon odore. Acqua di colonia e talco profumato.
Era ancora l’alba ed Elena si era nuovamente coricata riaddormentandosi. Era l’unica risorsa che aveva per tenere lontano il ricordo della notte.
Filippo, giacendole a fianco, era sbalordito per quanto fosse rimasta provata da quanto le era capitato. Pareva di marmo. Una statua che comunque anche dopo aver esternato tutta la sua avventura non riusciva a fermare il pianto e i singhiozzi. Aveva un bel darsi da fare, lui, con bacetti, carezze, frasi di conforto. Elena continuava a lacrimare. Ma non era proprio così del tutto…. Elena avvertiva contro la coscia la presenza del rigido membro del ragazzo: marmoreo! Lentamente questo la stava riportando in una dimensione di normalità che, stando ai suoi abituali parametri, avrebbe dovuto sfociare in un: “Scopami. Dai, Filippo!”
Il primo segnale di questa trasformazione si era avuto quando lei aveva chiesto: «Mettiamoci, ben, su di un fianco così anziché premere l’uccello contro la coscia, lo fai sentire alla figa. Che ne avrebbe tanto bisogno!» Un pallido sorriso le si era disegnato sulle labbra.
Filippo aveva provveduto a rasserenarla pienamente: aveva preso l’uccello in mano e districandosi tra coscia e coscia e gliene aveva fatto assaggiare la punta tra le labbra della figa. Il fremito di benvenuto da parte di lei e il rituale «Scopami. Dai, Filippo!» era echeggiato in quella stanza.
Una sveltina per una buona notizia
Intensa. Breve. Tanto partecipata. Una vera sveltina!
«Ma quant’è?»
«Più di un mese. Tesoro.»
«Che non succeda più, signor datore di lavoro. Altrimenti mi rivolgo ai sindacati.»
«A dire il vero questa mattina sono partito in fretta e furia per darti una bella notizia. Poi le tue disgrazie notturne…»
«Taci! Che il tuo uccello me le ha già fatte dimenticare.»
«Se è per questo…» Avendolo ancora rigido glielo aveva rinfilato, anche se la figa stava ancora rigurgitando la sborrata del primo colpo.
«Hai del culo, Bonomello! Secondo Ogino, oggi io non dovrei essere fertile. – L’aveva stretto a sé chiudendo la presa con le gambe sopra di lui, preparandosi ad un altro viaggio: «Però prima dammi la buona notizia. Così ci metto più entusiasmo nel farti godere.»
Filippo aveva già cominciato con un lento vai e vieni. Si era fermato per dirle senza fronzoli: «‘Femmine’ è la rivista vincitrice del Premio Michel Sburziglèr … Io, come proprietario della testata, tu come direttrice, siamo invitati domenica prossima alla cerimonia di consegna dei trofei a Ginevra. Fino ad allora io starò qui con te. Posso richiavarti, adesso?»
«Cazzo, F-i-l-i-p-p-o! Fammi piangere… di gioia, adesso. – aveva scandito il suo nome lettera per lettera, promettendogli poi – Dopo se vuoi ti do anche il culo. Se poi tieni ancora botta ti stendo con un bocchino alla bolognese, che sto pensando, su misura per te.»
Era esplosa la seconda! Dilungatasi poi in tutto quello che era stato previsto.
Elena era risorta!
Elena, Filippo e il loro premio
L’Hotel Four Seasons in cui alloggiavano era un antico edificio in riva al lago. Elegante e con arredi originali ‘800. Il matrimoniale nella stanza di Elena era sormontato da un affascinante baldacchino con ricchi pizzi. A Filippo era stata assegnata un’altra stanza. Gli organizzatori del Premio mica potevano sapere che loro, nelle cinque notti precedenti ne avevano consumate una dozzina senza considerare i contorni.
L’appagamento di queste notti, assieme alla gioia per il premio che stava per ricevere, si potevano leggere sul volto di Elena in quella prima sera ginevrina.
Di un’eleganza sbarazzina, aveva farfallato con leggiadria nel salotto dell’Hotel, dove era stato preparato un cocktail party per dar loro il benvenuto.
Lei, così giovane, per quel prestigioso riconoscimento, quella sera aveva stretto mani e ricevuto complimenti da autorevoli personaggi del giornalismo internazionale. Filippo, anche lui coinvolto in quel successo, si era tenuto un po’ in disparte ammirando la classe di Elena nel districarsi. Lei ragazza di provincia, tra tutte quelle illustri personalità, dialogava con loro in un perfetto francese e quando necessario, nella lingua britannica.
A Filippo, qualcuno di questi soloni aveva fatto i complimenti per la classe e l’eleganza della sua Signora. Lui, visto che occupavano stanze diverse, non aveva potuto che dire: «Il mio, con la signorina Alberti, è solo un rapporto professionale.»
«Peccato per lei. Di una così ci si innamora solo ad osservarla da lontano… Se dovesse mai imparare che è sentimentalmente libera me lo faccia sapere» e gli aveva messo tra le mani il suo biglietto da visita. Era il famoso herr Axel Spunzer, direttore di Die Welt di Amburgo.
“Decisamente, Elena colpisce in alto!”
Soggiogato dal fascino
Il ricevimento di benvenuto si era concluso. Per Elena era stata una nuova esperienza e anche un grande successo. Praticamente i grandi del giornalismo internazionale l’avevano accolta fra di loro. Lei, se n’era resa conto e gongolava di contentezza. Se ne era reso conto anche Filippo che la osservava incantato. Per un po’ aveva sentito il bisogno di abbandonare quel salotto, per dar retta a propri pensieri che stavano intasandogli la mente. Una sigaretta sul terrazzo era quello che ci voleva.
Il fascino che Elena suscitava in lui, anche e soprattutto al di fuori del letto, era realtà. Il segnale che doveva fare scelte definitive con chi condividere il seguito della propria vita.
Indubbiamente Francesca era più disponibile e sottomessa a ogni piccolo suo volere. Era amante infuocata. Sottomessa. Al tempo stesso, materna.
Ad Elena piaceva l’intrigo. Il sesso fantasioso. Fantasia, ne sprizzava a iosa anche quando lasciava le coltri. Come stava dimostrando in quell’incontro mondano.
Filippo non aveva più speranze. Doveva scegliere.
In aggiunta doveva considerare che ogni volta lui si approcciava a fare all’amore con lei – dal momento in cui lei si accingeva a spogliarsi e ad offrirsi – lui subiva la sensazione di fare all’amore con la propria madre.
Di suo, Elena aveva una certa somiglianza con la siura Maria Pia, ma in, e solo quei momenti in cui lei gli si offriva, la mente di Filippo la trasformava in mamma sua. Per lui diventava indispensabile possederla. Da quando l’aveva vista e lei l’aveva tirato a fare all’amore, quella somiglianza se era sempre fatta notare in lui ampliandone il desiderio e la virilità. Non sarebbe più riuscito a liberarsene. Dal momento che lo portava ad avere orgasmi ad altissima intensità.
Alla fine dei conti, Elena, per lui era la scelta ineluttabile.
Quattro colpetti alla porta
Anche il Presidente del Comitato se n’era andato. Restavano i camerieri che sgomberavano. Elena gli si era avvicinata. Gli occhi gli avevano scoccato dardi. Eloquente era stata una furtiva e lieve carezza alla patta dei calzoni. Anche in quell’occasione il subconscio di Filippo aveva avvicinato i connotati del volto di Elena ai lineamenti di mamma sua. Il cazzo gli si era indurito.
Lei si era appoggiata alla ringhiera della terrazza, guardando il Lago.
«Sei stata meravigliosa. Hai avuto un successo enorme… Ceniamo assieme o sei troppo stanca?»
«Sono veramente stanca… La tensione… Vado un po’ a rilassarmi nella vasca da bagno… Poi decidiamo che fare… Un paio d’ore e passi tu da me?»
«Alle otto, quattro colpetti con le nocche alla porta.»
Si era spogliata con calma e anche con grazia. L’aveva fatto innanzi al grande specchio del guardaroba. Come davanti a un amante in trepidante attesa.
Si era osservata attentamente girando i fianchi e rigirandosi, sollevando la coscia per un primo piano alla figa. L’aveva dischiusa. Aperte con le dita le labbra, aveva sentito quanto era sensibile. Un leggero brivido.
Si era immersa nell’acqua della vasca colma di schiuma. La fessura che la faceva fremere non era più in vista ma poteva sempre toccarla. Penetrarla con le dita. Accendere una scia di piacere su cui adagiare i pensieri.
Da quando aveva compiuto 29 anni, aveva cominciato a passare in rassegna i diversi ambiti del proprio vivere. Voleva arrivare ai 30 con precisi indirizzi ed obbiettivi. L’amore, il rapporto con i genitori divisi. Lucia, la fidanzata di papà che più o meno viveva in casa loro. Poi c’era Filippo. Un’incognita. Veniva… spariva. Quando tornava la ricompensava sempre abbondantemente. Tant’è che non se ne doleva mai. Aveva imparato ad aspettare. Adesso, poi, con gli impegni della Redazione riusciva benissimo a sublimare le assenze di lui. Qualche notte la passava da Gemma, che lontana dal marito non disdegnava le antiche arti saffiche…
Intanto le dita avevano incontrato la vivace clitoride che, stuzzicata si stava mettendo in mostra scagliando dardi a tutto il corpo. Vuoi mai deluderla?
Aveva messo in pratica tutte quelle mosse che le facevano crescere il piacere e l’avevano portata in cima all’orgasmo. Che, immersa nell’acqua calda è proprio la fine del mondo! Così come il successivo rilassamento.
Avvolta nell’accappatoio aveva atteso il quattro colpi di nocche alla porta per ricevere nuda e sdraiata il suo Filippo. Era tornata a pensare a lui senza toccarsi. Così, nuda e cruda!
Indubbiamente – secondo lei – con Filippo c’era amore. Ma perché lui scompariva per tornare più appassionato di prima? Perché le ultime assenze si erano prolungate sempre di più? Quella sera stessa glielo avrebbe sicuramente chiesto.
Era caldo in quella stanza. Aveva gettato l’accappatoio. Aspettava così.
Discreti. Precisi – quattro, non uno in meno, non uno in più –. Puntuali. Le nocche di Filippo avevano percosso il legno della porta.
«È aperta. »
Non gli era neppure passato per la mente di dire qualcosa. Si era spogliato, fischiettando e la sua bocca era fiondata sulla macchietta scura che risaltava tra le gambe di lei.
«Benvenuto, Tesoro! Come vedi, io e Farfallina ti aspettavamo.» Predisponendosi a ricevere tutto il bene che la lingua di lui avrebbe saputo darle.
Quando sussulti e contrazioni avevano raccontato tutto il godimento di lei, Filippo aveva puntato il glande tra le grandi labbra. Ma lei, si era sottratta alla penetrazione: «Per adesso: basta così! Ho una fame da lupo. Andiamo a cena. Il resto a far venir mattina. Se pensi di soffrire, posso sempre farti una sega.» Un discorso un po’ duro. Relativo ai pensieri che aveva fatto fino a quel momento. Lui non aveva detto né sì né no. La mano di lei aveva preso a muoversi su e giù sul prepuzio.
Quasi balbettando «Sei un’artista! » Uno degli schizzi l’aveva centrata sul volto.
Se prima in lei c’era un velo di tristezza, l’episodio aveva rigenerato l’allegria. Si erano abbracciati, baciandosi.
«Oggi ti sei sottratto alla parte di successo che ti spettava.»
«Ero incantato da te… i tuoi movimenti tra gli invitati… la tua disinvoltura… l’eleganza con cui distribuivi sorrisi… era tutta una danza. Mi hai ammaliato.»
«E allora… Dillo!»Una vampa di calore le aveva acceso il volto. Era diventata irresistibile.
«Sì, ti amo Elena… Voglio sposarti.»Le ultime parole non se le aspettava.
«Anch’io ti amo. Tu vorresti darmi un figlio?»
«Senz’altro. Quando vorrai.»
«Anche stanotte?»
«Ma non siamo ancora sposati…»
«Prima o poi lo saremo. È così importante per te?»
«No. Lo facevo solo per te. Per non farti passare da ragazza madre.»
«Allora… Stanotte?»
Era un dialogo maledettamente importante, fra di loro non era ancora successo. Elena teneva su di lui lo sguardo fisso ed era molto seria. Lui, la vedeva più che mai identica a mamma Maria Pia. Con quella visione nella mente non poteva rifiutarsi.
«Sì, stanotte… Sai già che è uno dei giorni che potresti essere fertile?»
«Questo e domani dovrebbero essere giorni buoni.»
«Quando sarai sicura di essere gravida?»
«Dal prossimo mese. No?»
«Te lo chiedo perché papà sta sistemando tutte le sue piccole e grandi proprietà così fra un mese sapremo quando nasce e vedere cosa tenere da parte per intestargli qualcosa appena nasce, tanto per farlo nascere già ricco.»
«Considera che potrebbe essere anche femmina.»
«Hai ragione: tanto per farla nascere già ricca.»
Erano tornati nella loro consueta allegria.
Un segno al cameriere per ordinare il dessert e un paio di cognac, mutati subito in una bottiglia di champagne:
«Tratterremmo il tappo per ricordo della serata».
Fin qui la cronaca di quel periodo che stava consegnando nonna ai suoi 30 anni. Di quelle notti ginevrine non vi dirò alcun che, per rispetto a nonna, che quando me l’aveva raccontata – con
tutti i particolari che inorgoglivano ancora la sua memoria e tutta la saggezza della sua veneranda età – aveva versato lacrime di commozione: «È stata la cosa più entusiasmante che ho fatto nella vita. Ho fatto Ines. Con tuo nonno, che in quelle due notti mi ha fatto sentire davvero quanto mi amasse.»
Ines è una bella moretta che si presenta al mondo il 18 giugno dell’anno successivo e che, trent’anni dopo, metterà al mondo quella bella moretta che sono io.
Non si chiude qui la storia erotica di nonna Elena e neppure degli altri personaggi che erano con lei in quegli anni. Ma questo lo leggerete nella prossima sezione.
X
Frou Frou, un figlio. Il premio in Svizzera
Le fette imburrate
In attesa di un elvetico caffè, l’Eau d’Evian svolge tutta la sua azione purificatrice.
Dalla terrazza dove con il rito della colazione stanno celebrando l’inizio della giornata, Elena e Filippo, non riescono a staccare gli occhi dalla tranquillità con cui si muovono le acque del lago. Sempre che si muovano.
Una pace tanto contagiosa che fa loro indugiare all’approccio alla colazione.
Inerti, non danno alcun segno di interessarsi alle fette biscottate, al burro salato, alle ciotole con le marmellate che quella bruttona, ma tanto svelta cameriera, ha messo a loro disposizione.
Filippo ha un sobbalzo quando «Sei ancora provato dall’impresa notturna? E dire che l’abbiamo già fatto decine di volte…»
«Mai come stanotte… Io ero nella tua figa con la testa… Non con l’uccello…»
Elena di rimbalzo: «Ecco perché ho goduto come non mai. Una vera testa di cazzo!» Ridono di gusto. Lei gli accarezza una gota.
Lui, intanto, ha deciso di imburrare le fette di pane. Ne ha già appoggiate tre sul piatto di lei.
«Direi che ci siamo. Anche per me è stata una cosa stupenda! Se è vero che dalla qualità del rapporto sessuale si determina la struttura del nascituro. Il nostro dovrebbe saltar fuori sano, robusto e intelligente. Bello… come suo padre.» Gli accarezza ancora la gota, non guardandolo, ma ammirandolo. Come succede agli adolescenti innamorati.
È un ritornare con la mente alla notte d’amore, che non voleva più finire. Il godimento provato è di nuovo in lei. Ci starebbe meravigliosamente un replay!
Con gli occhietti semichiusi la mano si muove per la terza volta verso il volto di lui. Che ne legge il messaggio.
«Quando?»
«Anche subito. La colazione la possiamo sempre riprendere.»
La brutta cameriera, discendente di Guglielmo Tell, sta mettendo in bella vista alcune mele in un piatto. Li vede sfrecciare innanzi, mano nella mano.
Vista Lago
Il letto è già rifatto. La stanza è pronta all’uso – Al Four Seasons il servizio è impeccabile.
Elena è attratta dalla finestra che vede il lago.
Le si pone innanzi. Sfila la veste e si gira mostrandogli le chiappe.
Agli occhi di lei, la placida armonia delle acque lacustri.
A quelli di lui le eleganti forme dei glutei di lei, fra cui troneggia il solco della figa.
Un bacio appassionato sul collo. Le mani sui seni. L’uccello, senza esservi indirizzato prende ad introdursi nell’accogliente fregna. Elena si contorce fino a catturare con la sua, la bocca dell’amante. Così, sospiro dopo sospiro, ansito dopo ansito si avviano all’orgasmo:
«Sei grande nella pecorina! Hai raggiunto territori semi-inesplorati. Dove sei esploso… Sono piena di te.» Sente scendere lungo le cosce una rimanenza di quello che lui ha lasciato in lei. È una cosa che le rinnova l’eccitazione. La mostra a lui facendogli capire quanto sarebbe gradito una ripresa del godimento… e si lascia andare contro il parapetto della finestra, spingendo verso di lui il gocciolante pube.
Filippo nella pecorina ha dato tutto sé stesso. Lo dimostra la quantità di sborra che continua a fuoruscire dalla figa. L’uccello avrebbe bisogno di tempo per riprendersi. Ma non vuole deluderla.
Stanno baciandosi sempre con più partecipazione. Lei gli stringe l’uccello, lui le rovista il buco del culo.
Lui sposta la bocca sul collo. Sulle spalle. È già attorno alle tette. È una succhiata passeggera. Quasi di cortesia.
Il ragazzo scende veloce con la bocca. Si siede a terra ed è proprio con il naso fra i peli del pube… qualche evoluzione del corpo di lei ed Elena è a cavalcioni sulle spalle di lui… cosce e figa aperte contro la sua bocca.
«Così, sì!» sospira lei. Si attacca con le mani alla testa di lui per far fronte a quella spirale di godimenti che sente crescere in lei.
Filippo sta già dialogando con la sua clitoride. Lei sa già che si arresterà solo quando l’avrà sentita vibrare con il secondo orgasmo. Si predispone a siffatta sofferenza!
Il loro romantico amplesso “vista lago” si conclude in maniera meno poetica. Più rude.
Il crescendo del piacere può contare nuovamente sul turgore del cazzo di Filippo che la scopa senza fronzoli, sulla moquette.
Con gli ubriachi non si sa mai che fare
È ridotta a uno straccio, la bella Elena, dopo quel convulso Buongiorno. Hanno rotolato selvaggiamente sul pavimento e qualche botta qua e là si fa sentire.
Ora, che l’incontro con i giornalisti del Cantone si è concluso sarà a pranzo con alcuni di loro.
Filippo, abilmente è riuscito a sottrarsi a quest’invito e potrà riposare. Anche se ha un impegno morale che gli rode: quello di farsi vivo con Francesca. Che, vigliaccamente, ha raggiunto con un laconico telegramma, ancora da Bologna: “Sto partendo per Ginevra. Appena sistemato telefono”.
Poi la situazione si è complicata con la richiesta di Elena di divenire madre di suoi figli. La sua testa cerca, ora, di comporre il casino sentimentale che la sua sfrenata rincorsa ai piaceri della figa gli ha procurato.
A quell’ora, Francesca sta lavorando al Caffè. La chiama e risponde lei: «Dove sei? – il tono è duro – Ti avevo dato o per morto, o per fottuto mascalzone.» lui fa il carino e racconta un po’ di balle. Lei si addolcisce. Sente sfrigolare i capezzoli «Ora debbo lasciarti. Mi chiami stasera a casa? Magari facciamo anche qualche cosuccia telefonica? Ho tanta voglia di te!»
Lui: “E questa l’abbiamo tranquillizzata. Ma bisogna che la raggiunga al più presto.” È irrequieto. Oltretutto avrà un pranzo tutto in solitudine.
I redattori della Tribune de Geneve hanno portato Elena in un elegante ristorante e le fanno una corte esplicita. Sembra quasi che conoscano l’arrendevolezza della sua carne. Arrivano a proporle elegantemente se fosse interessata a un convivio a tre. Elena riesce a svicolare senza offenderli. Se non fosse impegnata nel progetto di un figlio, forse avrebbe lasciato un barlume di speranza all’idea. Negli ultimi anni l’assenza di prospettive sentimentali la lascia indifesa di fronte alle tentazioni. Ora, però, lei ha imboccato la strada del progetto-figlio che la mette in guardia dalle seduzioni occasionali. Non le interessano più. Può dedicarsi a tempo pieno a quella vampata di sentimenti che l’hanno coinvolta nell’ultima settimana e soprattutto nell’ultima notte quando lui ha accettato di essere partner del suo progetto.
Elena, smollati i colleghi che ci hanno provato, cerca di incontrare Filippo: “Chissà se gli è rimasta un po’ di quella meravigliosa energia con cui mi ha fatto saltare la colazione stamani…” Sono diventati troppo lunghi i periodi che lui le sta lontano. Quando ce l’ha dappresso diventa insaziabile: anche mattina, pomeriggio e notte.
Filippo lo rintraccia al bar dell’Hotel. Sta aiutando la digestione con l’alcol. «Si è concluso presto l’invito dei colleghi elvetici.»
«Se avessi dato retta alle loro proposte, adesso sarei in un motel con il cazzo di Marc in figa e quello di Pascal in culo. Secondo loro sarebbe il massimo per festeggiare il trofeo che mi consegneranno stasera… Ho fatto la signorina per bene. Mi sono alzata scandalizzata. Li ho piantati in asso dicendo di avere cose più fantasiose che mi attendono… Tu cosa ne dici?»
Filippo non reagisce. Regge un tumbler con burbon e tanto ghiaccio. È già al terzo. È sullo sgabello innanzi al banco bar. La guarda come si guarda una sconosciuta un po’ impicciona. Elena è in piedi innanzi a lui. Gli sorride e con un gesto d’affetto gli prende il bicchiere per un assaggio della bibita. Lui con gesto sgarbato si rimpossessa del bicchiere.
Elena avrebbe tanta voglia di rinchiudersi in stanza con lui… “la sua chioma tra le cosce!” Non demorde. Si fa più esplicita.
«Vado a prepararmi per la premiazione. Un po’ mi riposo… una doccia. Se vuoi, fin qui c’è posto anche per te. – tenta un gesto d’affetto. Lui glielo interrompe – Poi scenderò qui, dal coiffeur e dopo, si va nel salone per la premiazione.» Ha ancora lo spirito di insistere, Elena. Ma l’ultima battuta la gela.
«Cazzi tuoi, Fata! Dovevi approfittare dei colleghi della Tribune. Io resto qui. Il premio l’hai vinto tu.» Ha la lingua grossa e la voce è impastata.
Elena se ne va indispettita. L’ Atelier è la bottega del coiffeur nell’Hotel. Visto che non ci sono prospettive cambia l’organizzazione del pomeriggio e si infila lì.
FrouFrou
«Tout le monde m’appelle Frou Frou, mais je m’appelle Joséphine.» È una biondina molto carina, più o meno una decina di anni meno di Elena: un’adolescente che l’accoglie con: «Tu as des yeux qui brillent de reflets verts comme les miens». L’abbraccia e ascolta attentamente Elena che le snocciola tutti gli interventi a cui vorrebbe sottoporre il proprio corpo: «Mi devi rendere irresistibile e meravigliosa. Tanto da far star male il mio fidanzato se, stanotte, tenterà di farsi aprire la porta. Così impara a rifiutarmi quando ne ho voglia.»
Alle ragazze che non si erano mai viste prima, viene spontaneo trattarsi come grandi amiche fra cui non ci sono segreti. Joséphine arriva a proporle un gigolò per la notte… «…il est jeune … sportif et qui l’a essayé: respectueux et expert.»
«Grazie. Sei gentile. Ma non posso. Il mio fidanzato da stanotte è anche padre di miei futuri figli. Anche se non mi dispiacerebbe provare l’amore a pagamento. – ad Elena viene un sospetto – Tu l’hai provato?»
«Pas moi. C’est un genre dont je me fiche – e presa dall’entusiasmo l’abbraccia. – Si c’est juste pour te faire passer une envie passagère, je connais aussi de la magie.»
«Viva la tua magia, Frou Frou. Però debbo uscirne, entro le otto, non bella, ma di più: meravigliosa!»
Frou Frou, la rassicura. La sua magia gliela applicherà direttamente nella sua stanza. Il tempo di attaccare un cartello con: “Oggi L’Atelier è chiuso”
Appena in stanza, Elena scopre che l’elvetica parla perfettamente l’Italiano.
«Debbo far finta di massaggiarti per un po’ o facciamo subito l’amore?» Elena non le risponde. Sogghigna e si toglie la camicetta. Su quelle tette fanciullesche i capezzoli si sono ingranditi. Incassano subito alcuni colpi di lingua. «Lo fai per piacere o per mestiere?»
«Come puoi immaginare tutto è iniziato a sedici anni. Io non sono svizzera. Sono francese. Con la mia famiglia vivevo a Lione. Qui frequentavo la scuola alberghiera e avevo l’amica del cuore: Fatima. Una meravigliosa moretta del Marocco. Aveva un ombelico che pareva scolpito!… Mi faceva impazzire! Questa passava tante notti a dormire da noi. Erano sempre notti entusiasmanti. Ci siamo prese in tutte le pose possibili. È stato in queste notti che sono diventata FrouFrou… E sai perché? Il godimento che provocavo era ‘un battito d’ali’: micromovimenti leggerissimi e velocissimi. Fatima non si saziava subito. Aveva sempre preteso tre orgasmi prima di concedermi il suo ditalino standard. Io però non ero la sua amica del cuore: lei se la faceva con Rubyo. Una bella rossa, sempre della sua terra, con qualche anno più di noi. Questa arrotondava le scarse risorse della famiglia di emigrati, presentando giovani adolescenti a signore della borghesia lionese. Ben presto anch’io sono entrata nel suo campionario. Ho cominciato a guadagnare bene. Anche se, quelli che mi mancavano erano gli orgasmi pieni di affetto… Quando ti ho vista entrare nel negozio mi è bastato uno sguardo per capire che se avessi voluto tu, eri fra quelle che ci sarebbero state. Con una come te non potrà mai essere per mestiere… E credo, neppure per amore. Con te dovrà essere, anche per me, un ‘perdere la testa’ per il massimo piacere.…» Intanto era stata lei, FrouFrou, a slacciarle la gonna, a farle scendere lo slip. Innanzi, il triangolino scuro che già mostra, sul pelo, tracce della rugiada della sua eccitazione, FrouFrou non sa trattenersi: è con la bocca fra le sue cosce. Da qui inizia il suo volo da farfalla.
Senza staccarsi raggiungono il letto. Elena è beatamente riversa su questo con, fra le cosce, il volto di FrouFrou. Lei è in ginocchio accanto al letto che le sta somministrando la prima magia. In pochissimo tempo la dinamica della lingua porta anche Elena al terzo orgasmo.
«Socc’mel, – un’esclamazione nel proprio dialetto ci sta – sei più di un uragano!»
Fra le due ragazze, forse è iniziata una gara. Elena sente di doverle dimostrare che anche lei ha un notevole background saffico: «Ti va se ti faccio provare uno dei miei classici ditalini?»
FrouFrou si distende di fianco a lei. È un po’ più bassa di lei ma con un corpo proporzionato e rigoglioso. Una ghiottoneria per essere baciato e accarezzato. Con lo stupore di lei, Elena la bacia con passione. “Mi ha messo la lingua in bocca… – Rimugina con meraviglia, tra sé – Con una puttana non si fa.… E io non sono che una puttana!”
Il ditalino di Elena si sta già esprimendo. La figa di FrouFrou è un’ottima palestra che sa apprezzare il sapere e l’esperienza. Il gioco di cosce che si svolge attorno alla mano di Elena, moltiplica l’eccitazione. L’orgasmo di FrouFrou diventa una litania cantata.
È sfinita, la dolce lionese. Elena non le dà tregua. Labbra e lingua scorrazzano in ogni angolo tra quegli armonici promontori che si intersecano l’uno con l’altro: seno, ventre e culo. Adesso è Elena il croupier del gioco: «Il 69 ti emoziona?»
«Quando lo facevamo io e Tamara lo trovavo sublime: la fonte del piacere a cui abbeverarsi! Dalle ‘porche’ lionesi non ho mai avuto richieste. Nessuna vuol mai mettere la lingua in bocca o in figa a una puttana. E io, pur se lesbica, sono una puttana.» C’è tristezza nella sua esternazione.
Elena non è d’accordo con lei… Un guizzo ed è con la bocca, a rovescio, sulla figa di lei. Lingua e dita stanno ammaliando la puttanella che le va dietro. Si succhiano con entusiasmo tra fremiti e contrazioni. In un crescendo che le conduce ognuna ad annullarsi nel più profondo della figa dell’altra. «Mon Dieu, mais tu es fantastique et un peu sauvage!» Decisamente Elena è stata all’altezza della situazione.
Ne escono che sono provate dai reciproci umori. A lungo bighellonano abbracciate, magnificando i rispettivi corpi.
«Si sente che non hai rapporti con maschi cazzuti… Hai un fighino stretto e ben elastico.»
«Leccare il tuo efebico seno mi ha riportato all’erotica fantasia che di tanto in tanto mi prende mentre dormo. Che sarebbe quella di portarmi a letto un fanciullo maschio di una decina d’anni per leccarmelo tutto: dalle orecchie al buco del culo… Sì, a lui lecco anche i coglioncelli e il cazzino imberbe! Qui succede sempre che mi sveglio. Inorridisco al pensiero di un cazzo nella mia bocca.»
«Non hai mai leccato o succhiato un cazzo?… Che a me piace tanto… Sentire che s’ingrossa nel venire. La sborra che ti riempie la bocca…. È sempre un’emozione!»
«Detta così non mi dice un gran che, ma con te, sarei disposta a provare una tale emozione… – Si fa seria. Infila il volto fra un seno e l’ascella come per nascondersi – Non mi prendi in giro se ti dico che mi sento già di volerti bene. – Si solleva e la bacia con passione per poi inveire ad alta voce – … E questa notte è l’ultima che tu resti qui… Cos’è che ho mai fatto di male?!»
Elena sa che non può lasciarla sfogare e basta. Si siede appoggiandosi alla spalliera del letto. La tira a sé. Ora, sono sedute un’innanzi all’altrai. Le fighe si guardano. Gli occhi pure. Intensamente. FrouFrou allunga una mano per farle un complimento alla figa. Elena va oltre: uno sguardo fermo e la penetra con due dita. Con tanta delicatezza, prende a muoverle in lei. FrouFrou non se l’aspettava. Il piacere è ancora in lei. Freme. Si stringe ad Elena e si gode l’improvvisata masturbazione.
«Non mi capita spesso di ricevere godimenti di questa portata. Do tanto ma ricevo solo danaro… Sono ricca, sai…»
«Non hai a chi darla con affetto?»
«Ce l’avevo. Mathilde. Sei mesi fa ha sposato un buon partito. Un mese fa, lui ha scoperto il suo passato lesbico e l’ha uccisa. Quando l’ho imparato era un po’ che non ci trovavamo più. Ho comunque pianto e non ho mangiato per due giorni. Con lei è stata l’ultima volta che ho goduto con qualcuno, prima di oggi.»
«Con le clienti non ti lasci mai andare?» e la porta con sé sotto la doccia
«Qualche segnale da loro?… Pretendono solo… Non sono disposte a dare nulla. È una vita di merda… Però sono diventata ricca. Ho già tre botteghe in altrettanti hotel che mi pagano dei buoni affitti.»
L’acqua scivola sui loro corpi. Si sono insaponate a vicenda e adesso stanno asciugandosi. FrouFrou, poi, le avrebbe massaggiato tutto il corpo, sistemato i capelli e applicato un leggero trucco al viso:
«Sei già così bella di tuo. Quando uscirai dalla stanza sarai meravigliosa. Io però ti preferisco come ti vedo ora: con quel triangolino scuro tra le gambe.»
«Sai Tesoro che comincio a volerti bene anch’io. Perché non mi accompagni tu alla premiazione. Resti con me alla cena che seguirà… e… dormi con me stanotte… È dopo il successo che mi si scatena la libido. Così faccio anche capire a Filippo che ha proprio fatto lo stronzo.»
«Non è che la mia presenza ti sputtana… Io, qualche giornalista me la sono succhiata…»
«Chi se ne frega… Chi li vedrà mai più costoro.»
La salle de bain della suite è dotata di un lettuccio per il massaggio. FrouFrou si sta dando daffare, muscoletto dopo muscoletto, sul corpo di Elena per ridarle quel tono effervescente che forse le ultime escursioni erotiche le hanno fatto calare.
Qualche momento prima dell’inizio della cerimonia le due ragazze si ritrovano nella Hall dell’Hotel. Indossano eleganti abiti da sera. Ognuna di loro porta un discreto gioiello. Man mano che gli invitati arrivano, soprattutto gli uomini, scoccano sguardi concupiscenti verso di loro. È il momento in cui il Direttore dell’Hotel si avvicina ad Elena per dirle che «Monsieur le Docteur Bonomelli…» è stato accompagnato da due camerieri in stanza, completamente sbronzo. È Intervenuto pure un medico che Ha ritenuto che tutto si sarebbe risolto normalmente con una buona dormita.
«Vuoi andare a vedere come sta?» Le fa, premurosa, FrouFrou.
«Cazzi suoi!» Lapidaria Elena, ancora indispettita dagli sgarbi di qualche ora prima.
Già da venti minuti il Presidente di Suisse Press sta incensando quanto la loro associazione ha realizzato nel mondo. Elena ha perso il filo del discorso e sta pensando ai fatti propri: la sbronza di Filippo, i cinquecento chilometri che il giorno dopo compiranno assieme in auto per il ritorno. Il proposito di divenire madre: saranno bastate quelle cinque… sei inseminazioni del giorno prima a fecondarla? Pensa anche a FrouFrou che il giorno dopo chiuderà bottega per l’annuale vacanza. La trascorrerà senza un programma preciso, in giro con la sua Deux Chevaux. In quel momento si accorge che sta accarezzandole la mano. Si sorridono e si ricompongono: «Appena finisce sta rogna e possiamo parlare ti faccio una proposta.» È un bisbiglio.
Elena si aggira trionfante tra gli invitati offrendo sempre ai fotografi il meglio del suo sorriso. FrouFrou la ammira e guardando la sua disinvoltura sente crescere la cotta verso di lei.
Il buffet è stato ricco. Elena e l’amica sono al bar. Sono alla seconda tazza di caffè: «Così stiamo più sveglie stanotte… Non dovevi farmi una proposta?»
«Oh, sì…. Visto che da domani sei in vacanza, non ti andrebbe di passarle in Italia. Bologna non ha il lago ma ha tante cose da vedere. Io ho anche qualche bella amica che ti conoscerebbe volentieri… E io potrei fare il viaggio con te. Anziché farlo accanto a quello scimmione che cade ubriaco nei momenti meno opportuni.»
«Come vorrei, ora, essere un maschiaccio tanto da non suscitare troppo scandalo se ti infilassi la lingua in bocca…»
«Dopo abbiamo tempo fino a domattina. Per ora, se vuoi, puoi stringermi forte la mano.»
Il fiocco si materializzerà appena le ante dell’ascensore si richiuderanno dietro loro.
Plenilunio e ditalini
La finestra aperta propone un quadro suggestivo con il plenilunio che occupa tutto lo spazio dell’immagine. Elena lascia che siano solo quegli algidi raggi a dar luce alla stanza. Innanzi a quella finestra si denuda e chiama a sé l’amica. Si abbracciano, annusando, ognuna, la voglia dell’altra.
«Ti sento fremere… Ti eccito tanto?»
«Sì, è così… Con le clienti non mi succede mai… È che di te sono già cotta.»
Elena ha una puerile domanda da farle: «Quando ti masturbi pensi a qualcuno in particolare?»
«Finora ho sempre pensato a Fatima, anche se l’ho sempre considerata troppo sgualdrina…Mi sa che d’ora in poi penserò a te… Ti dispiace?»
«Ma no, vè! Per me è un onore essere nel ditalino di qualcuna.»
«Però mi piacerebbe vedertelo fare.»
«E mi staresti accanto mentre mi contorco e sbavo di mio piacere?»
«Come no. Andrebbe tutto in eccitazione per il dopo.»
Una di fianco all’altra, nel centro del grande letto. I loro candidi corpi colorati da quell’unico raggio lunare, clandestino nella stanza.
Elena, che darà spettacolo, è supina a cosce aperte. FrouFrou, spettatrice, è su un fianco in attesa. Elena si aggiusta i capelli ma si scompiglia il ciuffo del pube. Con FrouFrou si scambiano un tenero bacio.
L’eccitazione è a mezz’aria. Non è difficile aver voglia di provocare la clitoride.
Le mani di Elena indugiano ad accarezzare e stringere i seni. Scendono lungo i fianchi. Raggiungono l’obiettivo da sotto, scorrendo sugli inguini, aprendo la fessura umida con i pollici. Poi sono le altre dita a trastullarla.
Adesso la sensualità trabocca. Il trastullo si protrae. FrouFrou, non ha resistito. Ha preso a toccarsela. Si rinnova il bacio. Con ciò si dicono quello che c’era da dirsi. Ora, le dita dell’una ripetono le mosse dell’altra. Velocizzano i movimenti e affondano: 4… 5… 6 volte. Le ritraggono facendole assaggiare alla bocca dell’altra. Ci scappa un fiocco prolungato. Ognuna torna al proprio piacere… ai propri gemiti. Aggiungono lena ai movimenti… si contorcono… il traguardo comincia ad annunciarsi. I brividi si fanno sempre più intensi. La colonna sonora è aumentata di volume… I lingua-in-bocca si moltiplicano. Le mani non impegnate si cercano. Si trovano. Le dita si intrecciano. Così restano per accompagnarsi nel grande godimento che si prospetta loro.
È Elena a lasciarsi calare per prima nel proprio Nirvana. Sono tre le dita che la stanno facendo vibrare. FrouFrou ne ha solo due dentro. Si è messa in stand by per ammirare le convulsioni di piacere dell’amica.
In verità, Elena ha già raggiunto l’orgasmo ma ha deciso per un replay. Vuole spianarne uno, nuovo di trinca, quando sarà il momento di FrouFrou. Che si preannuncia con un vocalizzo che va da un mugugno a uno strillo, per concludersi in supplica: «Vengo, Tesoro… vengo. Baciami… Fammi venire con la tua lingua in bocca!»
Gli ultimi colpi alle loro fighe sono forsennati. Le convulsioni, spettacolari. L’abbraccio che suggella la reciproca passione, ha le qualità di un giuramento: “Sempre!”
Ipotetico padre del frutto che dovrà crescere nel ventre suo
Sulla terrazza vista Lago, il popolo della colazione guarda perplesso le esplosioni di allegria che si susseguono in Elena e FrouFrou. Arrivano correndo ed è tutta una risata… un lazzo… uno scherzo.
I piaceri della notte hanno fugato da loro ogni malinconia. In più hanno programmato due settimane assieme all’insegna dell’erotismo e della trasgressione.
Ora, Elena dovrà dirlo a Filippo – ipotetico padre del frutto che dovrà crescere nel ventre di Elena -. Convincerlo a far senza di lei per un po’. Oppure ad ottenere il suo consenso che, FrouFrou, entri a far parte del loro ménage erotico delle prossime settimane. Ad Elena non dispiacerebbe che la nuova amica sperimentasse le emozioni del bocchino sull’uccello di Filippo. In fondo è Lei, ad avergliela ventilata quale ipotesi. Così come di fargliela leccare da Gemma. Fuoriclasse tra le lingue più porche che lei abbia conosciuto.
Filippo non conosce FrouFrou.
Lui raggiunge Elena mostrando un’espressione imbambolata. Si domanda chi sia quella graziosa sua coetanea che è con lei. – FrouFrou ha da poco compiuto 21 anni. Solo quattro meno di lui –
«Lei è FrouFrou. È stata una manna per questa notte in cui te la sei battuta.»
«Già… Ho dato di matto. Ma non credere. È stata una notte difficile anche per me: vomito… mal di testa…»
In effetti, il povero Filippo si era liberato del whisky che aveva ingurgitato, vomitandolo. Era rimasto con un atroce mal di testa. Malgrado ciò gli era tornato in mente che aveva promesso a Francesca una cosuccia erotica telefonica ne cuore della notte. Era mezzanotte: più cuore della notte di così! L’aveva chiamata:
«Ti aspettavo… Sono andata a letto senza le mutandine… Finestra spalancata, niente lenzuolo, gambe aperte, cespuglio, al vento della notte… Amore, sono tutta tua!» e aveva preso a darsi piacere.
Filippo se l’era guardato e visto con orrore quanto ce l’avesse moscio: “Meno male che fra di noi ci siano, più o meno 200 chilometri di cavo telefonico!” Dando inizio al loro gioco erotico:
«Quante dita hai, adesso nella figa? Toglile e mostrami il culo.» Lei esegue.
«Ecco. Adesso ho la cornetta proprio a tiro di scoreggia.»
«Bene… Infilati lì, due dita e vai alcune volte dentro-fuori… Cosa senti?»
«È bellissimo, Amore!»
Si era guardato il cazzo e ora se l’era visto in tono.
«Appena senti i primi brividi, togli le dita che ti infilo il mio.»
«Sto già sussultando tutta… Vieni!»
«Hai il culo rovente… Ti metto anche due dita nella figa… Le senti?» Intanto si era stretto la cappella e se lo menava alacremente.
«Cazzo che bello! Me le son messe anch’io e son dietro a venire… Vengo… Vengo. Amore… Siii!» Lui si dà daffare e le va dietro. Un corposo schizzo gli copre la pulsantiera del telefono.
[N.d.A.: So che ai fini della storia erotica di nonna Elena non ha senso che vi racconti gli svariati pistolini – Come li chiamava lei – che Filippo dedicava ad altre femmine. Ma quelli con Francesca svelano la vera personalità del personaggio Filippo.]
Se Elena e FrouFrou hanno ripreso il loro allegro scherzare, Filippo consuma la propria colazione in disparte. Serio. Pensieroso. Ricercando nei meandri della propria mente che balla raccontare ad Elena che dovrà rientrare a Bologna sola e in treno.
Lui, dopo la seconda inculata telefonica a Francesca non ha saputo negargliene una terza. Ma questa volta dal vivo, entro poche ore.
L’argomento va a ravvivarlo Elena, che bene o male ha lo stesso problema:
«Sai Filippo che FrouFrou è in vacanza da questa mattina e a me non dispiacerebbe che la trascorresse con me a Bologna. Tu che progetti hai per i prossimi giorni?»
“Cazzo che culo!” «Dal momento che vedo che siete ben affiatate e che difficilmente morireste di malinconia, io potrei passare qualche giorno con mamma a Stresa. L’ho sentita al telefono prima e mi reclamava. Appena l’avrò rasserenata volo da voi.»
«Così, magari, impostiamo qualche porcata a tre.» Elena mette già le mani avanti.
«E perché non a quattro. Così facciamo felice anche Gemma.»
«Filippo… Gemma, adesso è la tua matrigna… È sposa di tuo padre!»
«Meglio! Così tutto resta in famiglia!»
L’allegria fra di loro, non ha più zone morte. Si abbracciano tutti con gioia.
Spesso le cose si aggiustano da sole.
Elena ha perdonato a Filippo le scortesie dell’ultimo giorno e se lui volesse… a lei non dispiacerebbe…
Ma il bel Filippo ha già la testa e non solo, da un’altra parte.
FrouFrou, invece sarebbe ben disponibile. Elena le offre la possibilità di lasciare Genève dopo un elettrizzante 69.
Sono le undici quando la Deux Chaveaux con il suo improbabile rumore da improbabile automobile si avvia verso Bologna.
XI
Nonna Elena, come in una favola
Il faccione benevolo del gendarme dà un’occhiata professionalmente distratta ai passaporti e, alle passeggere di quel trabiccolo ansimante:
«Dove pensate di arrivare con questa caffettiera»
«Sicuramente in Italia.»
«Com’è che non avete rimorchiato qualche cavaliere?»
«Forse perché siamo un po’ passate. Io ne ho già 29. Lei, 21.»
«Vado a vedere se ve ne trovo qualcuno io.» E il gendarme fa segno di aspettare. Entra nella casamatta della dogana.
FrouFrou toglie il piede dal freno e preme sull’acceleratore. La Deux Chaveaux è già sotto la tettoia della dogana italiana. Dallo specchietto retrovisore, le ragazze vedono che il gendarme è tornato dalla casamatta in compagnia di due giovani colleghi. Forse voleva proporli quali accompagnatori.
Le ragazze salutano da lontano e iniziano il loro tour. «Pericolo scampato… Siamo costrette a farci compagnia da sole…»
Dall’entusiasmo Elena le scopre le cosce e le accarezza la mutandina proprio sopra la figa. Una scossa deflagra in FrouFrou: è sempre un’emozione lasciarsela toccare da lei.
L’auto discende dal Sempione, senza correre troppo. Il sole d’agosto sta esprimendo tutta la sua intensità. Fa caldo anche attorno ai 2000 metri.
Le ragazze fermano il macinino a quattro ruote al bordo di un boschetto per decappottare la vettura.
La prima cosa che fanno è quella di mettersi la lingua in bocca. L’altra di pisciare nel bosco. FrouFrou, dalla sua valigia estrae due costumi due pezzi o bikini, che dir si voglia. Uno lo offre ad Elena:
«Se viaggiamo con l’auto decappottata e con questi addosso, stasera siamo rosse come due gamberi e avremo una buona scusa per assaggiarci.»
Elena è perplessa: «Sarà meglio che teniamo le vesti a portata di mano per quando dovremo fare benzina…. Qui, mia cara, siamo in Italia. Paese cattolico e benpensante, come l’ha forgiato il fascismo nei suoi vent’anni di potere… Se poi scoprissero anche che ce la succhiamo…»
Elena ha già sfilato la veste ma prima di indossare il pezzo superiore del costume offre le tette all’amica che gliele succhia libidinosamente. E ricambia.
Il viaggio, così – diciamo, in tenuta sportiva – è molto più gradevole.
È anche più comodo, di tanto in tanto, scambiarsi reciprocamente una carezza. Scoccare un dardo di piacere.
L’essenzialità dell’utilitaria è compensata dalle fantasie dei bikini e dall’allegria delle ragazze che li indossano.
«Dobbiamo far benzina. Fra due chilometri c’è l’incrocio con la via Emilia che ci porterà a Bologna. – Elena sta consultando una carta stradale – Se trovi un accostamento discreto è meglio che ci rinfiliamo le vesti.»
Discreto, lo è più o meno: i camionisti, superando la vetturetta, suonano a lungo il clacson e si sporgono dai finestrini gridando. Come in uso quando transitano nelle zone frequentate dalle prostitute.
È quasi mezzogiorno. Fanno benzina in un distributore innanzi a una trattoria. Qui si rifocillano con un pasto in fretta e furia. Trovano fastidioso essere sotto lo sguardo impudico degli altri avventori. Loro, giovani femmine, in viaggio senza accompagnatori. Hanno i capelli sciolti. Il bel colorito del sole montanaro ne fa due bei bocconcini. Se poi sapessero che Elena sente di star per entrare in uno di quei periodi che lei definisce di voglia matta in cui l’unico suo desiderio diventa: “Godere… godere e tornare a godere…”
Un’ultima occhiata alla carta stradale, tanto per non scagliare l’incrocio per Bologna:
«Niente di drammatico. Dovesse succedere tra sei ore ci ritroveremmo a Venezia… Non è proprio l’ultimo posto del mondo.»
«Io non sono mai stata a Venezia… Ho sempre pensato che sarebbe bello andarci con la persona che si ama.»
«Hai ragione. Cerchiamo di non sbagliare strada e imbocchiamo quella per Bologna.»
«Ma io voglio andare a Venezia… con te.»
«Allora mi ami.»
«Questo non lo so ancora. So solo che sono cotta di te… Se è amore te lo dirò domattina.»
«E… mi faresti stare sopra in un ipotetico 69?»
«Quando si ama…»
«Allora, Venezia arriviamo.»
L’Hotel dei Sospiri è un gradevole hotel consigliato loro dal bigliettaio del vaporetto. Vi arrivano che le ombre stanno avvolgendo la più sensuale città del mondo. FrouFrou sembra aver già assorbito questa sensualità e nel breve tratto di strada tra il vaporetto e l’albergo tenta più volte di abbracciare e baciare l’amica. Lei riesce sempre a sottrarsi a tali esibizioni. Finisce che si mette a correre, con l’altra che l’insegue.
Il signor Mario Stival, impeccabile maître di quel suggestivo ristoro, si vede piombare al bureau, con gran scompiglio, queste due scalmanate. Lì per lì vorrebbe rifugiarsi dietro al canonico «Signorine, sono desolato ma abbiamo già tutte le stanze occupate.» Sarà la cadenza francesizzante di FrouFrou e soprattutto il passaporto svizzero, a fargli cambiare opinione. Assegna loro la suite al piano più alto. Quella con terrazza a vista sul bacino di San Marco.
Dieci minuti e sono nude, una di fronte all’altra a farsi proposte porche:
«Non vengo sul letto con te… Sono sudata e ho bisogno di una doccia. Il ditalino te lo faccio lì cantandoti una canzone da gondoliera.» Per mano la rimorchia sotto lo scroscio d’acqua.
La gioia di essere tra le braccia di una coetanea che la desidera, confonde FrouFrou. Pare annichilita. Si aspetta ordini a cui non vede l’ora di sottomettersi. La percepisce come una delle sue migliori clienti. “Quasi, quasi le faccio un piccolo sconto.” pensa mentre l’altra regola il getto e la trascina contro il proprio corpo. È lei che l’insapona e l’abbraccia stretta in un mix tra carezze, baci e palpate. Un piacevole modo per farsi insaponare.
Le sembrano trascorsi anni luce – sono passati solo due giorni – dall’ultima vera cliente. Quella che sul lettino del massaggio, nella bottega, le aveva chiesto se potessero andar bene 30 franchi per una leccata con orgasmo «… Ne aggiungo cinque se mi fai venire entro mezzogiorno – Erano le undici e mezza – Per quell’ora debbo già essere rivestita. Passa a prendermi mio marito.»
Erano tutte così le sue clienti: arroganti e perverse.
Quelle più assidue, addirittura, si affacciavano alla bottega: «Sei disponibile?»
Appoggiavano il denaro sul banco nella stessa quantità della volta precedente. Entravano nella saletta dei massaggi e in un minuto erano, figa aperta, sul lettino. In poche si toglievano qualcosa oltre alla mutanda. Qualcuna, veniva già senza. Tutte: «Ce la fai a farmi in pochi minuti… Ho un impegno alle…»
FrouFrou, aggiustava l’altezza del lettino. Si abbassava con il volto sul pube della cliente. La lingua sapeva già il suo compito.
Una vita triste che, però, l’aveva arricchita. Ora possiede altre tre botteghe nei più rinomati hotel della città. Dove, le ragazze le pagavano gli affitti facendo shampoo e normali operazioni di estetica femminile.
Nel suo ramo, non ha concorrenza in città.
Dopo che si era smollata da Tamara, non aveva più voluto cose serie, durature. Qualche avventura, qua e là, sempre in altre città.
Per tenere lontano gli affetti, se si fossero mai manifestati, cercava di infilarsi in orgette di tre/quattro porche.
Con Elena, chissà cosa le era successo? Erano solo al secondo giorno. Erano fuggite assieme. Elena, poi, aveva anche esigenze con maschi. Lei quelle… proprio no.
Tutte cose da scoprire.
Ragionamenti che si affacciano in lei ora che sente dentro di sé le dita dell’amica e la sua lingua che le fa ghirigori sul collo. L’acqua le cade addosso come una benedizione: «Cosa trovi in me?» riesce a dirle.
Quelle di Elena sono parole dure ma che a FrouFrou danno tanta speranza: «Non avrei mai creduto che sarei ricorsa a una puttana… Quello poi di essermene innamorata solo dopo una notte… non riesco ancora a crederci.» Intanto ha aumentato l’intensità del ditalino. Sente FrouFrou vibrare. Stringere forte la figa sulle dita. «Non ho capito nulla di quello che hai detto… Stavo godendo tanto! Me lo ripeti sul letto?» Elena la trascina proprio lì… sul letto. È con il viso tra le cosce che prende a leccarla con tutta l’eccitazione che sta in lei.
«Non vuoi ripetermi quello che hai detto prima?» Elena non può rispondere: sta leccando.
FrouFrou si rilassa serena. Pensa solo a godere:
«Che lingua… Che lingua…!» grida mentre viene.
Elena la spinge sul terrazzino: piccolo, ma protetto da sguardi indiscreti. Il posto ideale per prendere aria e stemperare la passione.
Sotto quel plenilunio veneziano, questa si trasforma in qualcosa di ben più porco.
Elena è al massimo dell’eccitazione. La lingua ha raggiunto ogni anfratto di quel vulcano di voluttà che è la figa dell’amica. FrouFrou si è espressa generosamente irrorandole il volto con getti del più intimo nettare. Una gratitudine tanto apprezzata da Elena. Sa che il gioco è appena cominciato.
Sul terrazzino vuole baciarla romanticamente in quell’incanto che è innanzi ai loro occhi: [N.d.A.: Qui mi sovviene… e non posso esimermi dal rammentare i sublimi versi dell’antico poeta: L’amore a Venesia / divien cosa buona / solo se qualcun / ti lecca la mona]
Contro il parapetto Elena si intrattiene a lungo con la bocca sulle poppe della francesina: piene. Ancora gonfie di voluttà. Ma è Elena quella squassata da una voglia crescente. Si confida: «Non hai idea che voglia di cazzo sta montando in me… Come vorrei che fosse qui Filippo… con quel bel fungo che gli è cresciuto rigoglioso tra le gambe!»
«Ti capisco, sai! Me l’ha detto anche una delle mie più affezionate clienti. Ogni volta che si dà a me, non può fare a meno di correre a farsi trombare dal marito.»
Elena capisce che l’aver evocato Filippo ha causato un velo di malinconia nell’amica. Riafferma la propria voglia di lei: «Ma io sono qui con te ed è con te che voglio godere!» È quasi una richiesta d’aiuto che FrouFrou capta subito:
«Allarga un po’ le cosce che ti vengo dentro con due dita… Direi che unite fanno lo spessore di un buon cazzo.» Ad Elena pare una buona idea… ma:
«Fa vedere – le prende la mano, baciandogliela: «Tu, hai mani da signorina, Tesoro… Mettine ben dentro tre… Non hai mica idea di che sventola di cazzo ha il mio Filippo.» FrouFrou, da brava puttana è già all’opera: con tanto garbo è dentro di lei.
Non è proprio come essere posseduta dal cazzo di Filippo ma il piacere è immane.
Il gesto di FrouFrou è preciso, deciso e imprevedibile: in un primo momento, stuzzica le grandi labbra, un attimo dopo è sulla clitoride. Non c’è segreto della figa per le sue dita. Il piacere che sanno generare è tanto. Associato all’affetto che prova per Elena produce sensazioni inimmaginabili.
«Quanto sei brava… puttanella…» Bocca a bocca inizia ad agitarsi per l’orgasmo.
Decisamente in piedi, un orgasmo è scomodo. Soprattutto se le gambe cedono. Vorrebbe lasciarsi andare.
Sempre per la frenesia del ditalino, lei sta lasciandosi scivolare lungo quel parapetto. FrouFrou non la molla. Sa che se succedesse ora, rovinerebbe un piccolo capolavoro.
Elena ora è chinata a terra. Le dita dell’imperterrita masturbatrice sono sempre in azione.
Gli ultimi colpi… Le più convulse contorsioni. Dalla figa una vampa di calore investe anche il buco del culo. È incontrollabile!
Si sdraia completamente sulla ceramica portandosi dietro la solerte FrouFrou che ora, gliela sta accarezzando. Nella laguna echeggia il sospiro liberatorio di Elena.
«Quante ne sai… puttanona!»
«Quanto sei troia… bambina!»
Sono i complimenti a caldo che si scambiano.
Il ditalino ha rigenerato in FrouFrou la voglia di ricevere godimento. Sollecita Elena sfregandole la prugna contro la coscia.
«Ricevuto. Tesoro… Vieni con me.»
Nella stanza c’è un secondo letto, a una piazza. Le ragazze ne portano il materasso in terrazza. È Elena a tirarsi addosso l’altra.
Quello che per lei resterà sempre il più romantico 69 della vita, può cominciare.
Nel momento di più intense sensazioni del loro amplesso, un aereo a bassa quota le sorvola, preparandosi ad atterrare all’aeroporto di Tessera. Elena, che nel groviglio dei corpi è sopra, si stacca un attimo per dire: «Come vorrei che da lassù qualcuno vedesse quanto è intenso il nostro amore.» A FrouFrou, questa giunge come una richiesta di più coinvolgimento e, allora, le ficca un dito nel culo.
«Proprio come fa spesso Filippo!»
Elena viene.
Un po’ dondolando come una gondola, la Deux Chaveaux sta percorrendo il Ponte di Santa Lucia.
Elena e FrouFrou hanno ripreso la loro allegra tourné. Hanno decappottato l’utilitaria e si sono messe in abito da viaggio estivo: il bikini.
In Italia di Deux Chaveau non ne girano tante per cui, la cosa, non passa inosservata, soprattutto per l’abbigliamento delle passeggere che porta.
Succede anche che, a Padova, la vetturetta è costretta ad arrestarsi per far attraversare una comitiva di pellegrini diretta alla basilica del Santo. Qualcuno di costoro dopo aver gettato uno sguardo all’automobile, ritiene di doversi fare il segno della croce che immediatamente diventa contagioso. Tutti si segnano passando innanzi alla vettura. Solo il vigile urbano che sorveglia il traffico sorride divertito alle due turiste salutandole con gesto militare.
«Siamo proprio delle troie sataniche!» Sintetizza Elena.
A Venezia hanno trascorso una giornata piena delle solite cose, facendo tutte quelle che fanno soprattutto gli innamorati. Elena ha dovuto tenere a freno certe intemperanze dell’amica che avrebbe voluto mostrare a quel mondo, la sensualità che è in loro. Loro che sono innamorati speciali: diverse! Fortunatamente l’appagamento degli svariati orgasmi della prima notte veneziana la convince a non eccedere:
«Però stanotte dovremo ricaricarci.» FrouFrou è scatenata. Elena, per poterla gestire in maniera dignitosa, concorda e promette.
La seconda notte le vede a tarda ora in stanza. Prima hanno voluto abbuffarsi in uno dei tipici ristoranti. È già notte fonda quando, come la precedente si sdraiano sul materasso lasciato in terrazza. L’aria è sempre calda. La luna è la guardona del caso. In più è la notte di San Lorenzo con il cielo più stellato che mai. Compreso le piccole stelline che cadono.
Uno spettacolo che le ragazze si godono abbracciate. Si accarezzano… si palpano esprimendo desideri, come vuole la tradizione dell’amore. In questa tradizione, entra, per l’occasione, un orgasmo con sfrega-figa-su-figa e il rituale 69.
In casa dovrebbe esserci la signorina Lucia
Il parcheggio è libero e comodo, innanzi al portone di casa. Le due viaggiatrici, prima di entrare in Città, hanno ricoperto la loro mise da viaggio con abiti civili e non suscitano più pruriginose curiosità se non quelle della strana vetturetta da cui scendono.
Bologna è città provinciale ma in quanto a presenze forestiere è abituata da secoli.
Elena, rivolgendosi al portiere: «Ha già visto tornare, papà?»
«Suo padre no, Signorina. In casa però dovrebbe esserci la signorina Lucia.» Sinteticamente Elena, racconta a FrouFrou la travagliata conclusione del matrimonio tra i suoi.
Lucia è proprio in casa e sta lavorando. Lo si sente dal ticchettio della macchina da scrivere che proviene da quella che sarebbe la stanza di Elena. Comunque, quella dove sta la sua Remington portatile.
È in un provocante négligé, la bella donna. E non ha sentito che in casa è entrato qualcuno. Si ritrova davanti, all’improvviso le due ragazze. FrouFrou ha un fremito innanzi alla sensualità di quella femmina con addosso solo una sottoveste color carne.
«Lei è Lucia, la fidanzata di papà. Lei, FrouFrou, starà con noi fino alla fine del mese. Sento che diverrete buone amiche… Avete tante cose in comune.»
«Sarebbero?» Chiede Lucia con divertita curiosità.
Elena esce con una delle sue lapidarie risposte, se vuoi, un po’ triviali: «Le piace la figa.»
«Che c’è di male? Piace anche a me e te. No?»
Tra Lucia e FrouFrou c’è un abbraccio. Lucia va oltre. Vuole dimostrare quello che è andato a stanare Elena. Scocca sulle labbra della nuova venuta un leggero bacio dicendole: «Mi sarete sicuramente di conforto»
«Cos’è che non va, Lù?»
Sono parole che coprono uno sbotto di pianto «Sono in rotta con tuo padre.»
«È finita?»
«Non pensarlo neppure lontanamente… Se così fosse mi sarei già buttata dalla finestra.»
«E allora?»
«Allora… è che ho scoperto che, il porco, due o tre volte al mese fa qualche giro nella figa della sua caposala: un gran tronco di figa a cui mi è impossibile fare concorrenza.» Adesso cominciano a scendere lacrime dai suoi occhi.
«Non starai a credere a questa diceria. Gira da quando l’hanno nominato direttore sanitario?»
«Me l’ha confessato lui stesso. Pensa che ha avuto anche il coraggio di dirmi che conclude sempre la trombata con questa, con un giro di piacere nel culo di lei… Proprio come ogni volta fa con me…. Un vero porco!»
«Cosa pensi di fare?»
«È già tre giorni e tre notti che non gliela do. Ma chi sta male mi sembra di essere solo io. Non vorrei che lui si consolasse con quella troia là e si attaccasse sempre più a lei.… Non riesco a trovare la forza per passare sopra a questa cosa e parlargli con il cuore in mano, a figa aperta»
FrouFrou: «Scusa se intervengo. Io, come Elena sa, faccio di mestiere la puttana. Ma solo con femmine. Quello che alcune delle mie più assidue clienti mi hanno confessato è che dopo un mio servizio debbono correre a farsi scopare dai propri partner abituali. Se vuoi, io ti do volentieri una mano. |N.d.A.: per meglio dire, la bocca|»
«Che cara che sei! Approfitto senz’altro della tua magia. Anche subito. Nel giro di un’ora Uby dovrebbe essere qua. Le cose si incastrerebbero a meraviglia.» Tanto per dire che fa sul serio, sfila la sottoveste e si mette nuda a sua disposizione sul letto.
FrouFrou guarda con ammirazione il suo corpo: «Però, sei ben un tronco di figa anche tu – Con entusiasmo si spoglia – Voglio proprio darti quanto di meglio so fare… Con te non debbo sbagliare.»
Subito le prime carezze la fanno allargare più che può. Fan seguito, sfregamenti di figa su figa. Sarà la lingua a darle i brividi del godimento finale.
Lucia ne esce stordita e affascinata. Non fa in tempo a complimentarsi con quella nuova conoscenza, che la chiave già gira nella toppa.
In perfetta sincronia con il destino, Uberto è lì.
Lucia, in fretta e furia ha rindossato la sottoveste. Gli va incontro senza dirgli che è tornata Elena. Lo prende per mano e si fa condurre nella stanza di lui, nell’altra ala della casa.
Nella stanza-studio sono rimaste Elena e FrouFrou. Lei è già nuda, Elena si è toccata per tutto il lecca-lecca a Lucia. Si addossa all’amica e con erotici colpetti del bacino le fa capire che vuole essere spogliata. C’è solo da sfilarle la veste e da calarle la mutandina già inzuppata. Ognuna di loro sa perfettamente come cavalcare un 69.
«Finalmente a casa – Sospira Elena, rinvenendo dall’orgasmo – Mi è sembrato di aver goduto con maggior forza.»
«Lo abbiamo provato entrambe, Tesoro. Qui dentro si sentirebbero tracce della tua sensualità anche se tu non ci fossi. Tu non hai idea della carica di libidine che sprigioni.» FrouFrou ha quasi la bava alla bocca nel dire questo. Afferra Elena da dietro e le impone di sdraiarsi. È su di lei. Si ficca sulla figa divorandogliela. Lei le abbraccia il volto con le cosce e la lascia esprimersi golosamente. Quella lingua è un cesello di piaceri da scoprire uno dopo l’altro.
Al di là della parete Lucia, con un che da tragedia si è offerta a tutte le voglie del Senatore: il suo Uby.
Lui ha dimenticato ogni moderazione che gli impongono i suoi 52 anni. L’ha scopata gagliardamente con grande tripudio da parte di lei, pretendendo di sborrarle nel fondo del culo. Ha poi voluto, a tutti i costi, un pompino. Questo l’ha sfinito. Ora giace riverso sul letto e sta chiedendo perdono a Lucia.
È allora che lei gli farà giurare che lui non lascerà la stanza mentre le preparerà una bella sorpresa.
Lui si addormenta e lei torna alla stanza di Elena. Dove trova le due amiche che bocca a bocca stanno cinguettando.
Assieme progettano una cena che si faranno portare dal ristorante sotto casa.
Lucia si attacca a lungo alla bocca di FrouFrou. Per ringraziarla, ovviamente.
Uberto alla tavola ben imbandita ha avuto la gioia di trovarvi l’amata figlia con la bella amica. Ha avuto anche la sorpresa di sapere che Elena pensa e spera di essere avviata alla carriera di madre.
«Bisognerà pensare subito a un bel matrimonio. Prima che se ne vedano i segni.» Ma qui la risposta della ragazza è precisa e decisa:
«No, papà. Il figlio è un figlio che ho molto pensato. Voglio che sia mio. Solo mio.»
«Ma un padre è sempre necessario…»
«Papà, quello che io non voglio è un coniuge attorno…. Questa però è una festa. Se vuoi, nei prossimi giorni vengo in studio da te e ci diciamo tutto quello che dobbiamo dirci.»
«Alla fine, debbo sempre darti ragione… E che festa sia! … Comunque, vado in cantina. Stasera un po’ di champagne ci vuole proprio.»
Lui scende nella sua riserva di bottiglie importanti e Lucia racconta in dettaglio la sua riappacificazione con l’amante senatore: «… quando te ne entra uno dei tanti e ti scorre dentro, sono sempre meravigliose sensazioni: una dietro l’altra. Ma quando entra il suo… Grosso come l’ha!»
«Ti brucia?» premurosa FrouFrou.
«No. Figurati… Ormai… Lo fa ogni volta… Ci ho fatto il callo. Se non lo fa mi preoccupo.»
«Sai che, stasera, ti invidio… Non mi dispiacerebbe proprio.» Elena.
Frou Frou: «Posso dirvi, ragazze, che mi avete incuriosita… Prima o poi…»
Intanto è tornato il Senatore con un bottiglione di Veuve Cliquot.
Stanno raccontandosi un po’ di cose FrouFrou ed Elena. Adesso sono veramente amiche. FrouFrou le ha anche proposto di esserle accanto quando partorirà. Elena le ha raccontato in maniera ben dettagliata di tutti i suoi amori. FrouFrou si è molto stupita del suo superamento di ogni forma di gelosia. Lei, in fatto d’amore ha poca roba da raccontare. Dai primi prudori, il caso le ha sempre fatto trovare una femmina che glielo incanalava verso un’altra femmina e così era diventata saffica per abitudine. Non si era mai trovata con un cazzo in mano. Non era più vergine perché nella sua figa, altre femmine, si erano infilate in maniera sgarbata, anche violenta. La prima volta che l’aveva offerta per denaro aveva 16 anni.
Quelli, tra i racconti di Elena che più la eccitano, sono quelli con Filippo. Con quella, a lei, sconosciuta propaggine che tutte chiamano cazzo e che anche Elena dice di essere un qualcosa di meraviglioso. Nel sentirglielo raccontare, FrouFrou chiede all’amica di accarezzargliela. Ne esce turbata, soprattutto quando il racconto si sofferma sulle sborrature che lui le ha sempre spiattellato sul ventre… sul volto… tra le tette. Curiosamente, le chiede di raccontargliela ancora, come fosse una favola. Elena la coccola. È più giovane di lei ed è già puttana. Farebbe qualsiasi cosa per riscattarla e darle un futuro da donna normale. L’affetto sta facendo breccia in lei e quindi non può dirle di no quando le chiede di essere presente quando lei farà l’amore con Filippo. È la curiosità che la muove.
Non era mai passato per la testa a FrouFrou che avrebbe trascorso una vacanza tanto ricca di eccitanti imprevisti.
Già dalle prime ore, quella giornalista, conosciuta lì, in casa di Elena, che aveva necessità di riconquistare il fidanzato, l’aveva chiamata in campo. Lei, orgogliosamente, aveva potuto bearsi di un successo, per averle applicato la sua magia saffica, contribuendo al salvataggio di un amore. Adesso costei era tornata nella stanza di Elena… la meravigliosa Elena, per confermarle che le nuvole si erano completamente diradate e che con un secondo bocchino aveva addormentato il fedifrago Senator Chirurgo, dopo essersi fatta promettere che il giorno dopo avrebbe fatto trasferire la concorrente Caposala in un altro ospedale.
È notte fonda. Lucia, con quel secondo bocchino si è già preclusa ogni successiva risorsa, almeno per quella notte. Forse viene a cercare una diversa fonte di approvvigionamento. Proprio perché suggestionata dalle arti della puttanella elvetica.
Elena e FrouFrou si sono coricate subito dopo la cena. Una rinfrescante doccia assieme e via – ancora umide – ad abbracciarsi sul giaciglio.
Decisamente la reciproca voglia non le abbandona mai!
Appena le loro epidermidi si sono sfiorate sul letto sono scoccate scintille. Si prendono rotolando abbracciate in lungo e in largo. Sembra che fra di loro non l’avessero mai fatto. Si esplorano accuratamente, ma le grida… quelle che eccitano Lucia, nella stanza aldilà dalla parete, sono suscitate dal classico 69. Che a loro riesce sempre bene.
E Lucia arriva subito.
«Ingorda!» le grida Elena e la sdraia sul letto. FrouFrou le fa saltare quelle poche cose che le aveva lasciato addosso il suo Uby e prende a snocciolarle con la bocca i capezzoli. Grossi… Rigidi e odorosi di femmina. Elena torna a bagnarsi. Lucia, visto che lì è la più vecchia, impone la calma e suggerisce un trenino: erotica figura che avrebbe impegnato tutte e tre contemporaneamente.
Da brave sorelle tirano a sorte e la figura si compone con: FrouFrou al centro. Elena che le cala la figa dal cielo e Lucia che si prende cura, con la lingua, della sua farfalleggiante farfalla.
Gli orgasmi esplodono tutti in maniera autonoma. Quando si esaurisce una voce se ne alza un’altra, tutto per un sonoro della stanza, fatto dalle dolci armonie di femmine in calore.
Lucia, torna accanto al suo amato che il nuovo giorno sta già crescendo.
Tutte e tre, quelle belle donne hanno sul volto, espressioni di serenità e pur bramando il sonno, faticano a lasciarsi. Anche se sarà solo per poche ore.
Prima di prender sonno, FrouFrou copre di baci piangendo, Elena: «È solo gioia, Tesoro… La più bella cosa che ho finora avuto dalla vita: la puttanella a cui donano la figa per affetto e fascino anche meravigliose femmine come te e Lucia… La mia vita non può continuare nel solito squallore. Ho vent’anni e già quattro botteghe. Mi basta solo farle funzionare per l’insegna che portano in vetrina. Più tardi mi soffermerò a pensarci seriamente. Mi aiuterai, vero, Tesoro? Anche perché è a te che va il merito di quanto mi sta capitando.» Ancora qualche bacio, finché non s’accorge che sta baciando la bell’addormentata.
«Non è per niente vero che sia merito mio – e spalma la marmellata sulla fetta imburrata – sei tu che ti stai accorgendo di essere la bella persona che sei. E che hai altre risorse da sfruttare. – Elena, riprende le parole dell’amica mentre lei stava addormentandosi – Fai bene a ritagliarti una pausa di riflessione… Anzi… se vuoi… posso accompagnarti in un posto magico… fatto apposta per meditare e riflettere…»
«Io e te?»
«No. Io ti accompagno. Ti abbandono là. Tu mediti. Rifletti. Dopo due ore, torno a prenderti… Ti piace?»
«Con te, anche all’inferno.»
«Non mi hai capito: ti lascerò sola con i tuoi pensieri.»
«Se poi ti scordi di me e non mi vieni a prendere mi lascerò morire per inedia.»
«Eh, inedia? Rischieresti solo di venire trafitta dalla fava di uno dei fratoni del convento.»
«Quello poi no. Non hai un altro posto di meditazione vicino a un convento di suore?»
Si baciano a lungo. L’autista inorridisce: “Quanta roba buona persa!”
Poca strada, in collina, fuori da una delle porte di Bologna c’è |N.d.A.: ancor oggi| una quasi millenaria chiesetta con annesso un suggestivo chiostro: il Cenobio di San Vittore. È qui che Elena fa dirigere l’auto pubblica ed è qui che lascia l’amica a ripensare al proprio futuro. All’autista dirà di lasciarla in un posto meno spirituale e di recuperarla due ore dopo a L’Ustarȋ dla Jusfénna | N.d.A.: Osteria della Giuseppina|
L’Ustarȋ dla Jusfénna
«Magia e devozione – le grida appena la vede FrouFrou – Non ho neppure dovuto pensare… Le idee mi sono sgocciolate addosso… Guarda… – tira fuori dalla borsetta un taccuino che ha riempito di annotazioni – T’invito a pranzo in un buon ristorante, che sceglierai tu e ti racconto tutto quello che ho pensato. Appena rientro mi muovo… è fatta! Non farò più la puttana»
L’auto pubblica ritorna all’Ustarȋ dla Jusfénna, dove Elena si è fatta preparare un’antica specialità della tradizione.
«… così con quello che ho messo da parte in questi ultimi anni, di leccata in leccata – tutte esentasse – e l’aggiunta di un po’ dei risparmi dei miei, riuscirei a coprire il 90% dei costi per subentrare alla gestione del più elegante ‘salon de coiffeur’ di Zurigo. Un’altra città, così nessuno sa se la lecco o la do. Per quel l0% che pareggerebbe il conto, ricorrerei a un piccolo debito con le banche… Che ne dici. Ho sì o no la stoffa della capitalista?»
Hanno appena finito le abbondanti porzioni di polpettine con piselli. Piatto unico di quel giorno, e scolato una mezza di rosso toscano. Alle ragazze, tutte prese dai loro sogni finanziari, si sono arrossate le gote. FrouFrou ha finito di esporle il suo progetto, ben dettagliato con aride cifre e percentuali. Guarda Elena, dritta negli occhi e: «Quanto sei figa, Tesoro! Te la leccherei, adesso, su questo tavolo. Tra tutta questa gente… Vuoi?»
«Non ti permettere… – le dice con fermezza Elena. Che ha percepito follia e pericolo nell’eccitazione dell’amica. – Fermati! Che aggiungo qualcosa io. – Una mano sotto al tavolo. Su… oltre la gonna… oltre al ginocchio… sulla mutanda. Gliela stringe e le sorride con dolcezza – Ti voglio sempre bene anche dopo che mi hai raccontato il luridume con cui ti sei arricchita.» Le sembra di averle placato i bollenti spiriti. Sa che la situazione deve essere condotta con affetto e fermezza. Riprende il discorso di lei: «Volevo dirti che se potesse esserti utile, quel 10% potrebbe saltare fuori dai risparmi del mio papà. Così diventeremmo socie e non ci ‘lasceremo mai più’, come dice la canzone – l’accenna, canticchiandogliela in francese – A cena ne parliamo a papà. È da un po’ che mi dice di mettergli i risparmi al sicuro… Cosa c’è di più sicuro di una puttana svizzera!» Questa battuta le costa un bacio che è pur sempre il bacio di una femmina. La teatrale misoginia di Joffa, l’oste, trova qualcosa su cui discretamente borbottare.
Non è molto distante L’Ustarȋ dla Jusfénna dalla casa di Elena e il rientro avviene con una gioiosa passeggiata sotto i portici.
Un rieducativo cazzo contr’al culo
«Adesso, pausa dai progetti. Ci facciamo una bella doccia assieme. Così lì se vuoi potrai anche mordermela… Poi ci tiriamo da fighe e andiamo a prendere l’aperitivo da Zanarini. Così potrai palpare qualche patta dei miei amici mentre te lo sfregano nel culo. Fanno così con tutte le novizie.»
«A me però non va di palpare cazzi.»
«Ricordati che la tua redenzione passa non solo per qualche palpata…»
«Ho proprio fatto come hai detto tu: mi ci sono appoggiata di peso contro. Più mi appoggiavo più lui spingeva. Lo distinguevo nettamente fra le natiche: Duro!»
«Ti ha turbato?»
«No. Mi avevi detto che non sarebbe successo niente, così sono stata tranquilla. Anzi mi sono divertita. Quando mi sono girata verso di lui…. volevo solo vedere che faccia aveva… Era serio. Sembrava un filosofo impegnato ad elaborare chissà quale pensiero. Reggeva il bicchiere con la sua bibita. Mi ha sorriso con cortesia dicendomi: “Te ne vai di già? Non vieni con noi a ballare al Settimo Cielo?” |N.d.A.: Storico dancing sulla Montagnola|… Gli ho detto di no solo perché mi avevi detto che tu non accettavi i loro inviti che finivano sempre in orgette pericolose… Poi dobbiamo parlare con tuo padre… No?»
«Ma certo, Tesoro! Ma che questo te l’abbia fatto spudoratamente sentire contro al culo non ti ha fatto schifo?»
«Direi che quasi mi è piaciuto. Però, non mi ha eccitato. Oppure. Per esserti sincera: Mi ha fatto venir voglia di far l’amore con te. Lì, in quel momento. Un po’ come M.me d’Aubry, che subito dopo che gliela lecco, corre a farsi scopare dal marito… Ho guardato verso dov’eri tu. Ti ho vista ridere in tutta allegria mentre scherzavi con i tuoi amici. Anche se c’era una biondona che ti stava succhiando il collo. La scena mi ha fatta arrabbiare… Allora ho spinto il culo verso quello sconosciuto… Ma sentirmelo lì contro, duro e grosso, non mi ha eccitato. Solo una curiosa novità.»
Sono a casa innanzi ai fornelli. Stanno preparando cena anche per papà Uberto. L’amata ha lasciato un biglietto: “Debbo correre a Roma. Torno lunedì.”
La cena è già pronta nel forno. Un’ora di cottura. Il tempo c’è!
Cala la gonna e lo slip, Elena. Si issa sul robusto tavolo tedesco. Si offre palpandosi il seno. FrouFrou fa per abbassarsi con la bocca tra le sue cosce: « Dans le salon de coiffure de Zurich, cela ne doit pas se produir. |N.d.A.: Nel salon de coiffeur di Zurigo questo non deve accadere|» glielo dice in francese e la ferma. FrouFrou ci pensa un attimo e anche lei s’inerpica sul tavolo. Il 69 diventa ardimentoso.
Le ragazze si sono ricomposte e stanno apparecchiando la tavola che è stata teatro del loro recente godimento. Il piacere naviga ancora nei loro sensi e sono frequenti baci e piccoli assalti.
«Sai, Elena, cosa mi viene in mente, ora che ne ho percepito la consistenza?… che non mi dispiacerebbe vederne uno all’opera…»
«Niente di più facile… Fra qualche giorno, appena mamma sua lo lascia libero, vedrai che si presenterà Filippo. Vuoi mai che io e lui…»
«E… lo fareste mentre vi guardo?»
«Perché no. A me intriga da matti!»
«Credo che intrigherà anche me… Promesso?»
«Promesso! – L’abbraccia affettuosamente. – Certo che… una puttana che a vent’anni non ha mai visto un cazzo? Se lo racconto non ci crede nessuno.»
Uberto, senza Lucia, dà segni di inquietudine: fuori e dentro dal bagno. Si rade e si profuma come un damerino.
Mangia a spizzichi e bocconi ascoltando il progetto che le espone la figlia sull’investimento nella società con FrouFrou. Comunque, la cosa gli piace: «Io adesso debbo uscire. Mi rivedrete domani sera. Domattina, va a parlarne con la ragioniera Lelli che ci segue i risparmi. La firma in banca ce l’hai anche tu. Sei già adulta e mi hai sempre dato prove di saggezza. Fai quello che ritieni meglio. Ti voglio bene.» In fretta e furia se ne va.
«Sicuramente dalla Caposala – commenta la figlia – Dai, che stanotte possiamo farlo urlettando!» Si avvicina all’amica e le si attacca al collo, succhiandoglielo.
Quando papà è a tavola porta sempre qualche squisita bottiglia di vino. Quella sera è un sauvignon ad essere apprezzato da Elena. L’euforia la conquista eccitandola. Nella sua stanza si avvia un’oziosa discussione su come FrouFrou avrebbe dovuto darsi a lei. «Questa sera io faccio la puttana come hai fatto tu in questi ultimi anni e tu sei l’arrogante cliente che comanda come vuole che compensi tutti i vizi che le passano per la mente. Anche quelli crudeli.» FrouFrou non è d’accordo e tenta di resisterle. Il rammentare quegli episodi di solo cinque giorni indietro la rattrista. La leggera sbronza rende Elena determinata. Insiste dicendo che se vuole superare la sua condizione di meretrice deve calarsi nei panni di tutti gli attori che quella condizione presentava. Tra le due sta avvenendo uno scontro. È il trillo del telefono a generare un provvidenziale break.
«Che bello sentirti – è Filippo – Dove sei?»
«A Stresa, nella casa che con l’annullamento è rimasta a mamma. …… Sì, sì c’è anche lei. Ma è tutta presa nella sua stanza con il nuovo autista. L’ha voluto, addirittura, più giovane di me. Gli sta dando le dritte per organizzare i servizi…. Secondo me stanno chiavando. È già due ore che si sono chiusi dentro. ….. Chi, io?… Da quando sono il padre dei tuoi figli… neanche col pensiero.»
«… anch’io Filippo: La mia non è voglia. Sarebbe necessità. …… Ci spero. ….. Meglio che niente…. Adesso qui con me c’è FrouFrou. …… Sì, proprio lei. ….. Può darsi, ma bisogna che glielo spieghi. Chiamami fra mezz’ora. Io intanto le racconto qualcosa. Facciamo che se ti risponde lei, tutto puoi procedere. Incominci con lei.»
FrouFrou, intanto, si gode un refolo di aria fresca che entra dalla finestra guardando il traffico e il passeggio nella strada sottostante.
«Era il mio Filippo. Mi ha chiesto, se ti facesse piacere fare all’amore con noi telefonicamente.»
«Non capisco come si potrebbe fare. Ma forse…»
Elena le racconta molto dettagliatamente le scorse volte e anche l’esperienza a tre con Gemma. Con i racconti le trasmette anche un buon po’ dell’eccitazione che sta maturando in lei e:«Ormai, dovresti averlo capito, Tesoro, che ti seguirei anche in capo al mondo.»
Puntuale, il telefono trilla.
«Ciao, sono Josephine, ma per tutti sono FrouFrou.»
«Ti spiace se stanotte ti chiamerò solo Frou.»
«Io, se ne sentirò il bisogno, ti chiamerò anche Amore… Cosa debbo fare?»
«Dì ad Elena che la vuoi baciare e farmi sentire gli splish-splash delle bocche che si succhiano… Delle salive che si fondono.» Lui ha tenuto un timbro di voce basso, molto sensuale. La ragazza esegue e ci sta prendendo gusto. Elena, rincara la dose con delicate palpate ai seni.
«Come sei vestita Frou?» di nuovo Filippo.
«Una camicetta bianca che mi lascia scoperta le spalle e una gonna di lino, color tabacco che arriva al ginocchio. Ho sandali neri. Appena rientrata mi sono tolta il reggiseno»
«Io sono in calzoncini corti, a torso nudo e scalzo. Sono in camera mia. Appoggiato al davanzale della finestra e guardo il Lago. ….. Adesso Frou, chiedi ad Elena che, baciandoti il collo ti tolga la camicetta. ….. Quando avrai le tette al vento, tirerò fuori l’uccello.»
Le labbra di Elena compiono un lavoro meraviglioso che fa trarre a Frou sospiri eloquenti. Si trasferiscono poi alle poppe e ai capezzoli e lì, i sospiri diventano vibrati mugugni soprattutto, quando è la lingua di Elena a spingersi nell’ascella. Leccare e circumnavigare sotto l’intero seno:
«Io ce l’ho già in mano.» le dice Filippo
«Io, tutta bagnata.»
«Adesso, dimmi: “Com’è messa Elena?”»
«Io, sono seduta sul letto. Lei è innanzi a me, scalza, con un largo vestito di stoffa leggerissima. Tanto leggero che quando attraversa un raggio di sole appare la silhouette delle gambe e del culo. Ha sciolto i capelli e posso assicurarti che è meravigliosa.»
«Anche tu, sento dalla voce che sei meravigliosa, Frou. Adesso, passale il ricevitore e mettila in mutande. Tu fatti scendere la gonna. Io me lo sono ben scappellato e me lo sto accarezzando. »
«Ce l’hai già ben duro, Amore?» È la prima cosa che viene in mente ad Elena.
«Appena sente la tua voce diventa duro… Se adesso dai una bella leccata alla cappella, diventa acciaio… Concentrati.»
«Fatto. Ne ho richiamato il sapore in bocca.»
«A me è giunto un brivido. Hai sempre una lingua fantastica!»
«Posso dire a Frou che se vuole può succhiartelo per un po’.»
«Io, intanto, se ti togli lo slip, te la lecco.»
«Me la sto già toccando e sapere che sei lì pronto con la lingua, provo già fremiti.»
«Con due troie come voi in linea mi è difficile simulare. ….. ora mi sego.» e fa sentire gli sfregamenti della mano su e giù per l’asta e il respiro un po’ affannato.
«Al diavolo i tuoi giochi…. Sto qui a perder tempo con le tue simulazioni, quando ho qui nuda una strafiga di vent’anni che non aspetta che la mia lingua… Stai in linea ragazzo ….. Doppiamo la tua sega con un rosario che te lo terrà duro per due giorni. ….. Beata chi ne potrà approfittare. – E rivolta a FrouFrou – Sdraiati, che ti vengo sopra.» La linea telefonica con l’ovest della Lombardia viene a lungo intasata da genuini gemiti di 69 tra femmine.
L’uccello di Filippo ha schizzato al cielo e come previsto è ancora in erezione. Continua ad accarezzarselo in attesa che le sue partner liberino le bocche per riprendere l’uso della parola.
«Siete atterrate? ….. porche che non siete altro! Ci tengo a ringraziarvi. ….. Non avevo mai avuto per una mia sega un accompagnamento musicale di così alta qualità… Ce l’ho ancora duro.»
È FrouFrou a rispondergli:«Ce l’hai ancora in pugno? È dritto? Se vuoi te lo prendo in bocca e ti faccio venire… Però mi dici tu dove debbo passare la lingua e quando debbo pompare.»
La furbetta se ne guarda bene dal dirle che un cazzo, lei, non l’ha mai tenuto in mano e tantomeno in bocca.
L’effetto però è sorprendente. Filippo è un addestratore bravissimo e a furia di: «Disegna con la punta della lingua un bel cerchio. Qui, attorno al foro dove piscio….. Una lunga leccata a lingua distesa al cordone della cappella …… Adesso succhia!… Pompa… Pompa, per Dio!» torna a schizzare. Dal canto suo Frou ha accompagnato tutte le istruzioni con mugugni da bocca piena. Una perfetta simulazione.
«La miglior pompa telefonica dell’ultimo mese. Meriti un premio. Quando verrò a Bologna la prossima settimana, spero tu ci sia ancora. Dovremo festeggiare.»
Filippo cerca di camuffare lo schizzo finito sulle tendine di prezioso pizzo della finestra e si ripromette, al più presto, di fare visita all’amante bolognese.
Saluti e baci in cornetta e un grande abbraccio sul letto.
«Vedo che hai preso dimestichezza col cazzo.»
«Mi sono divertita da matti. Non so, però, se di fronte a un vero pezzo… Finora quando mi sono trovata in situazioni in cui qualcuno stava per tirarlo fuori, sono sempre fuggita… Chissà, adesso. Dopo una giornata in cui ho familiarizzato con lui?»
«Dai, pensiamo alle nostre fighe… T’è rimasta un po’ di voglia?»
«A me no. Dopo la pompa al tuo Filippo, sto bene così. – Ma si mette su di un fianco e subito ha le dita attorno alla crepa della signorina Alberti a cui professionalmente domanda – M.lle Alberti, si je vous donne un doigt, l’aimeriez-vous avec deux ou trois doigts?»|N.d.A.: Signorina Alberti, se vi facessi un ditalino, vi piacerebbe con due o tre dita.|
La ragioniera Lelli ascolta attentamente il progetto delle ragazze e non può che dire di procedere. Le sembra un ottimo investimento.
Elena e FrouFrou sono all’apice della gioia. Già FrouFrou propone di andare assieme a Zurigo a definire l’affare.
Elena ha anche un altro progetto: «Tu blocca telefonicamente la vendita. Manderemo da qui una caparra. Vorrei prima farti conoscere il padre dei miei figli. Vedrai che ne vale la pena.»
Al posto pubblico per la telefonia con l’estero |N.d.A.: Allora funzionava così. | Frou Frou resta a lungo in cabina a trattare con M. Maurer. Quando esce è trionfante. «Ha detto che manda subito un telegramma a te con la cifra su cui ci siamo accordati e con l’impegno che la vendita potrà essere fatta solo alla Società “La Bottega”. Ho battezzato così la società che costituiremo.» Una gioia che si esplicita in un bacio senza remore nella hall della Società delle Telecomunicazioni, con un folto pubblico. Una volta in più, Elena deve ricordarle che lei è figlia di un Senatore, molto noto in Città.
Stanno per rientrare e il portiere consegna loro il telegramma svizzero… La banca è lì a quattro passi.
È l’una quando possono dire di essere socie.
È Elena ad inventare lo sfogo della loro gioia: «Vieni con me.»
«Dove vuoi andare?»
Non le risponde ma per mano la forza a seguirla di nuovo nel portone di casa. Quattro passi. FrouFrou, quel silenzio dell’amica la indispettisce: l’ha invitata a pranzo ma da lei non ha ancora ricevuto un beo «Se non vuoi pranzare, non me n’ho a male… Festeggeremo in un altro momento» Il portiere le vede così in sfrombola e le chiama l’ascensore che si apre loro innanzi. Appena le porte si richiudono dando loro un po’ di passeggera intimità, la bocca di Elena è su quella di FrouFrou che forse comincia ad intuire qualcosa. Si lascia penetrare dalla furia della sua lingua stringendosi forte a lei. Al quinto, la pressione del pulsante ALT, le tiene ancora avvinte, lasciando le labbra reciproche a sbizzarrirsi sui colli. «Il pranzo l’accetto.… L’aperitivo, però ce lo metto io.»
La spinge nel salottino, appena dentro casa, sulla sinistra. Qui c’è un fornito mobile bar con i suoi bei calici di Boemia. Il Punt e Mes ne colma due… Tin, rumorosamente il cristallo… Il liquore riempie le bocche: «Adesso siamo un po’ più socie.»
L’iniziativa è sempre di Elena. Si sfila la veste e le mutandine. Si adagia a terra sul bukhara sicura di non aver sbagliato mossa.
Anche FrouFrou non ha dubbi ma prima si riempie la bocca col liquore… Scende anche lei sul tappeto e lascia cadere qualche goccia dalla bocca al pube di Elena. Sarà la lingua a spargerle fra le labbra della figa che subito va a stuzzicare: «Hai la farfalla talmente dolce che toglie l’amarognolo al Punt e Mes.»
«Non è che nella tua foga capitalista, adesso vuoi aprire anche un ‘figa-bar’?»
«Sii seria: cosa vuoi che ti faccia?»
«Quello che ti ispira il momento.»
Il 69 è istintivo.
Il Professor Senator Alberti, dopo due notti nel minuscolo appartamento della sua Capo-Sala – di cui lui pagava l’affitto – stanco di quel panorama, aveva preso il treno per raggiungere Lucia a Roma. Tutta un’altra intensità!
Elena e FrouFrou passano serene giornate: visita alle bellezze artistiche della Città. Elena passa qualche ora buttando giù annotazioni di futuri pezzi per la rivista. FrouFrou s’è messa in testa di far conoscere la buona cucina della Francia – la sua terra – all’amica ed è a lungo impegnata ai fornelli. Ogni mattina si perdono a lungo nei vicoli dei mercati cittadini.
Vagano spesso con gli sguardi sognanti, mano nella mano pensando ai piaceri che si sono scambiate la notte precedente. Quasi un ménage da sposi novelli.
Una sera telefona anche Filippo, speranzoso di ripetere il telefonico gioco a tre. Elena lo tarpa e solo dopo parecchia insistenza si lascia convincere per un solitario ditalino in diretta. FrouFrou, li lascia nella loro intimità andando a farsi una lunga doccia.
Filippo non gode in quel artificioso amplesso e chiude la comunicazione con: «Ho capito, bisogna che venga di persona. Domani sarò lì.»
Filippo è partito da Stresa che è ancora notte. È nei pressi di Bologna che il mattino è ancora acerbo. È l’ora in cui Elena passa sotto la doccia per affidarsi poi alle arti di FrouFrou che la restaura dai segni del dolce dormire e da quelli dei godimenti che si sono scambiate. FrouFrou non sa che l’amica sta trepidando per l’arrivo dell’amante. Non è tanto per la consapevolezza che la sua necessità di cazzo sta per essere colmata, ma perché, in cuor suo, è convinta che Filippo abbia le doti per dare la forza a FrouFrou di provare ad uscire da quel suo mondo esclusivamente saffico e affrontare anche le altre realtà che il mondo prospetta.
FrouFrou sta sistemandole i capelli. Elena, di tanto in tanto, compie piccoli assalti libidinosi alle poppe scoperte dell’amica, dal momento che quell’attività mattutina è più comodo svolgerla senza l’intralcio di indumenti. Loro, poi sono convinte che iniziare la giornata con qualche erotismo, sia di buon auspicio.
Stanno sbaciucchiandosi le tette quando suonano alla porta. Indossano la sottoveste e vanno ad aprire tutte e due assieme.
È Filippo che si presenta portando due bouquet floreali e che all’impatto con quelle due strafighe semivestite non riesce ad esclamare che: «Però!».
Si dirige su FrouFrou e prima che possa avere l’opportunità di dire qualcosa, le prende la testa tra le mani e le infila la lingua in bocca.
A un primo atto di ripulsa segue un ragionato atteggiamento di accondiscendenza. FrouFrou scopre di trovarsi a proprio agio anche con la lingua in bocca di quel bel ragazzo.
Si rilassa. Lui la trae contro di sé facendole sentire l’erezione. Lei l’insegue nei movimenti. Elena osserva compiaciuta. A lei, per dovere di ospitalità toccherà, un attimo dopo. Con qualche cosuccia in più… Spera lei.
Quel pensiero scatena in lei il desiderio più impellente. Appena, lui stacca un attimo da FrouFrou, è lei a invadere la di lui bocca mentre le mani s’industriano a liberare l’uccello:
«Sempre un capolavoro!»sospira Elena. S’inginocchia e lo prende in bocca. Succhia e si riappropria di quel sapore che le mancava da giorni.
FrouFrou, quando l’uccello si è messo a svolazzare si è ritirata in un angolo. Tra timore e curiosità osserva la scena. Un cazzo. Da così vicino, non l’aveva mai voluto vedere.
Elena è sempre presa nella sua tempesta di libidine. Non vuole spegnere il suo sole con quel bocchino. La fellatio è solo il benvenuto. Lei ora necessita di un orgasmo con tutti i crismi del godimento.
Nota FrouFrou appoggiata saldamente al muro e le si getta fra le braccia, ponendo il capo tra la spalla e il collo. Spinge il bacino indietro, offrendo al cazzo dell’amante la figa gocciolante. Filippo inserisce la cappella tra le labbra ben aperte della fregna e lascia che sia questa a deglutirlo. Elena gli getta contro il bacino con determinazione. Se lo pappa tutto fino in fondo… Finché non sente i testicoli sbatterle contro la calda prugna. Incitandolo lo invita a farla godere spasmodicamente. Intanto, bacia… mordicchia e succhia il collo dell’amica.
Filippo la scopa con senno. Senza farsi coinvolgere troppo dalla frenesia di lei.
Le sue fondate sono misurate, precise e sempre scandite da un ritmo crescente. La figa di Elena le insegue cercando di stringersi attorno al cazzo, con forza, quando questo è sul fondo. Sono proprio alcune sue palpitazioni a scatenargli l’eiaculazione che si libera all’acme dell’orgasmo di lei. FrouFrou, nello stesso momento, riesce a supportare l’amica con la lingua in bocca.
Il gruppo si scioglie che, tra le cosce di Elena, sta colando il nettare di Filippo. FrouFrou, convulsamente, l’afferra per un braccio e la porta in stanza, sul letto. Sarà la sua lingua a dare all’amica un secondo orgasmo.
Già al primo impatto sembra che Filippo si sia inserito senza particolari drammi tra Elena e FrouFrou. Questa non è fuggita di fronte al gagliardo cazzo. Gli sta a debita distanza ma si potrebbe dire che, i due soggetti, coesistano. Sta sullo stesso letto, nuda come gli altri, ma un po’ in disparte. Pensierosa.
Elena, bisbigliando, è riuscita ad informare Filippo della cazzo-fobia di cui è prigioniera la francesina. La perspicacia e la grande umanità del giovane avvocato, gli fa promettere che non cercherà di concupire la bella FrouFrou e che sarà ben lieto di partecipare ad azioni per la sua redenzione.
FrouFrou, anche se le costa un grande sacrificio, vuole redimersi e non fatica a capire che quella redenzione non può che passare per l’uccello di Filippo
Quando c’è di mezzo l’amore!
Per FrouFrou, non è più la cottarella per la dolce Elena che aveva confessato a Venezia, ma qualcosa di ben più importante.
Una sostanziosa colazione è il banco di prova del progetto redentivo di Elena.
Sempre rigorosamente nudi stanno dando fondo a vasetti di miele, marmellate e cuccume di caffè. Filippo siede accanto a FrouFrou a cui di tanto in tanto stringe la mano affettuosamente.
Se la ragazza abbassa lo sguardo brilla, innanzi ai suoi occhi, l’immagine del cazzo, in spavalda erezione. Sono le pronunciate zinne di FrouFrou a mantenerlo in quel gagliardo stato. Filippo fa presente che gradirebbe baciare quel monumento palpitante. Lo dice con tale trasporto che FrouFrou, con aria serena e divertita avvicina il petto alla bocca di lui e l’invita a darsi d’affare. Lei non sa cos’è capace di suscitare quell’indiavolato rgazzo. «Cazzo, biondino, che foga. Mi stai facendo bagnare la farfalla!» sussurra, accarezzandogli i capelli. Tempestivamente interviene un disinteressato consiglio di Elena: «Prova ad accarezzarglielo e sentirai che crescendo!»
Chi l’avrebbe detto? La mano di FrouFrou si allunga e va a stringere il turgido prepuzio. Le dita sono subito a stuzzicarne la cappella. Lei non conosce il rito della pugnetta o sega, che dir si voglia, ma il calore della mano e la situazione altamente erotica, con i capezzoli in piena eccitazione nella bocca di lui, portano alla deflagrazione del cazzo e conseguente sborrata pirotecnica. FrouFrou stenta, a mollare anche dopo che lui ha lasciato le tette. La sua mano è pregna dell’intimo succo di Filippo e come usa far sempre, quando sditalina la figa di Elena, succhia le dita, lorde del godimento e subito dopo, va alla ricerca della bocca del beneficiato. In questo caso, Filippo.
È un’oziosa giornata di Ferragosto. La Città si è svuotata.
Elena, visto i buoni risultati raggiunti nel percorso per l’affrancamento di FrouFrou dalle proprie fobie, insiste per continuare. Di strada ce n’è ancora tanta da percorrere. Convince tutti a rimanere nella dimora, in quell’intimità che consente loro di difendersi dall’afa d’agosto restando allo stato adamitico.
Da un ripostiglio spuntano possenti ventilatori che vengono distribuiti per la casa.
Elena ha tracciato su di un foglietto un suo schema con le tappe del percorso che avrebbe dovuto intraprendere FrouFrou per uscire dal tunnel della paura. Ci sono già delle mete acquisite e su cui è stata tirata una riga, come: “Il cazzo c’è. Consapevolezza”. Ora. Dovendo aggiornare avrebbe tirato la riga su più mete conquistate: “Fiocco da un maschio” … “Cazzo in primo piano” …“Cazzo in mano”… “Sega a un maschio”…“Familiarizzazione con lo sperma”.
“Tutti passaggi, acquisiti senza traumi. Anzi, sempre con un certo entusiasmo. Mi sa che se stringo, stasera possiamo brindare alla guarigione. L’arrivo di Filippo è stato provvidenziale.” Ragiona Elena aggiornando il suo schemino. Torna nella saletta da pranzo dove ha lasciato l’amica e Filippo e prende atto che FrouFrou ha fatto, per conto suo un ulteriore passo verso la guarigione: Aver stretto in pugno quel virgulto uccello e averlo portato all’eiaculazione ha, indubbiamente, eccitato FrouFrou che ora sente la voglia di sfogarsi nel godimento. Si avvicina ad Elena, facendo la ruota nella speranza di ricevere da lei, coccole e, perché no, un buon ditalino. Elena ha vestito i panni della terapeuta professionalmente implacabile e: «Tu hai fatto godere lui. Ora, lui farà godere te.»
FrouFrou guarda verso Filippo che annuisce concordando.
È ancora diffidente la ragazza: «Con le dita solo… Vero?»
«Prometto!» Anche se, secondo lui, “è tutto tempo sprecato” Si mette comodo in una poltrona e l’invita a sedersi sulle ginocchia. Lei gli si siede sopra a gambe aperte, di fronte. L’uccello è ancora sfinito dalle recenti sborrate che è stato chiamato a produrre.
«Ne fai anche ad Elena di ditalini?» si preoccupa, usando un tono fanciullesco.
Elena è sulla poltrona dall’altra parte della saletta che sta leggendo. Sente e s’avvicina alla coppia:
«Fidati, è molto meglio di me.»
Già alle prime carezze alla patonza, FrouFrou è percorsa da brividi. L’abbraccia. Il volto su di una spalla. La bocca contro il collo. Un sospiro profondo: un pollice è entrato in lei e la sta stuzzicando. La figa si bagna: il pollice lascia il posto all’indice che agisce con più sapere e più in profondità. Il culo di FrouFrou prende a danzare sulle cosce di lui. Lei gli esplora con la lingua le orecchie. Freme anche lui e il cazzo gli si muove. Con grande delicatezza mette dentro anche il secondo dito. Lei gli invade la bocca con la lingua. Lui muove più svelta la mano. Lei si agita… si scuote tutta: invoca o bestemmia sconosciuti santi francesi. Muove convulsamente il capo. “Adesso ci vorrebbe il cazzo!” pensa lui. Ma sa che potrebbe rovinare tutto. È allora che aggiunge il pollice della mano libera nel culo… Un fremito più duraturo degli altri e FrouFrou è all’apogeo del godimento.
«Mi dovrai poi insegnare tutte quelle mosse.» Gli dirà appena ripresa dallo stordimento del piacere.
Questo tassello Elena non l’aveva previsto. Precisa com’è nelle sue cose, torna in studio per aggiornare il prospetto.
FrouFrou, intanto, si è lasciata andare, sfinita, contro il torace di Filippo che, pensando che stia scomoda, se la carica in spalla e la porta sul letto.
Lei è sdraiata, gambe aperte, figa al cielo. Non dice niente. Filippo interpreta ben altro. Le va tra le gambe con il volto. Lecca tra le cosce e sta per infilare la lingua nel solco. Scoppia il finimondo: grida e insulti. Elena è in bagno. Sta pisciando. Accorre.
FrouFrou è in piedi contro la scrivania. Filippo due passi da lei tenta di calmarla. Lei corre incontro ad Elena. L’abbraccia. Piange. «Ti voleva scopare?» Domanda Elena.
«No… Me la voleva leccare.» e giù con singhiozzi.
«E allora, che male c’è?» fa Elena, beffarda.
«Tu non c’eri… Lui non doveva farlo… Tu potevi non aver piacere che mettesse la lingua dove la metti sempre tu.»
«Ma dai! A te sarebbe piaciuto?»
FrouFrou smette di singhiozzare.
«A me forse sì… Era stato così bello, prima… sulla poltrona.»
«Allora cosa aspetti? Dai, sdraiati… – e rivolta a Filippo che, con l’uccello in standby in mano, la sta guardando con una punta d’affetto – Tu lo vuoi ancora?»
«Come no. Guarda quanto è bella, adesso, con tutti i segni della sua piccola tragedia. Se ci sta, comincio a leccarla, proprio da quegli occhi che ho fatto riempire di lacrime» e le si sdraia di fianco.
Elena la osserva anche lei alla stessa maniera. Nota il ventre che ha piccole contrazioni. Il bacino che si agita: “Le tira da matti!” Guarda Filippo e:
«Tu da sopra. Io da sotto?»
«Aggiudicato!»
La lingua di Elena percorre la crepa dal basso all’alto… La sente inumidirsi. Dischiudersi. È tutta in vibrazione, la ragazza. La punta della lingua va a stanare la clitoride. Per un po’ la stuzzica poi cede il posto alla lingua di Filippo che si esprime con più energia. Elena va ora con la bocca su quella della ragazza per sentirsi dire un flebile: «Quanto siete meravigliosi!»
Filippo sta portando FrouFrou su vette altissime di godimento. Lei scalcia a tutto spiano. Ubriaca dai piaceri delle due lingue: quella di Filippo, che fa la spola tra figa e culo. Quella di Elena che girovaga sui seni.
Un grande sorriso si disegna sul suo volto dopo alcune contrazioni. È venuta!
La bocca di lei va alla caccia di quelle dei suoi benefattori per un gesto di gratitudine «Sono alla frutta, ragazzi.» Chiude gli occhi e va alla ricerca di un sogno che si raccordi con quanto sta vivendo.
Ad Elena e Filippo non resta che abbracciarsi. Contenti del buon risultato ottenuto con quell’ultimo intervento per la redenzione di FrouFrou.
«Sei tutta una sorpresa.»
«Tu, un maschio straordinario. – La mano di Elena gli accarezza lo scroto – Adesso… io e te, … soli? Lontano da tutti?» La verga è perfettamente eretta. Lei la sente bollente contro il ventre. Lo prende per mano e lo conduce nel talamo del Senator-Professore: il lettone grande di mamma e papà… L’erotica palestra di lui e Lucia.
Elena si pone un cuscino sotto il bacino. Chiude gli occhi. Sa che con lui non deve fare proprio nulla… se non godere.
La cappella si fa largo tra le labbra gonfie. Pulsano. Il cazzo è in perfetta forma: grosso ma anche delicato. Forsanche educato. Lei glielo benedice con tutti i suoi umori, man mano che entra in lei.
«Sei forte oggi… Pensi di venire subito?… Io ti ho desiderato tanto… Sono già dietro a venire… Dai, coprimi!» Lui s’impegna e le sborra dentro. Come sempre le piace fare… gliela lecca, intanto che rigurgita il superfluo.
«Non mi ero neppure ricordata che l’abbiamo fatto solo un’ora fa. Appena sei arrivato. Sono proprio incontentabile!»
«Quella è stata solo una dimostrazione per la tua amica. Pensi che riuscirò a scoparla?»
«Visto l’andazzo direi di sì. Finora ha bruciato le tappe in cui avevo suddiviso ‘la rieducazione’.»
«Cos’avresti previsto adesso?»
«Se ben ricordo ci sarebbe il bocchino.»
«Quindi vado ancora in scena io?»
«Come no. Vedi altri cazzi in giro? Ti dispiace? Non è male la piccola.»
«Sì. Mi piace anche molto. Come a te… Mi pare?»
«È vero. Ho paura che sia un po’ di più che un’infatuazione.»
«Amore?»
«Non so… Le voglio bene. Questo lo so… Mi preoccupo per lei… Chissà.»
«A me piace per la sua aria da fanciulla sempre in procinto di farsi prendere in giro.»
«È stata la stessa cosa che ha conquistato anche me.»
FrouFrau continua a dormire anche dopo che Elena le si sdraia accanto. Filippo si lascia andare sulla poltrona. Tutti si addormentano. Al bocchino terapeutico ci penseranno poi.
|N.d.A.: nella storia che vi sto raccontando, questa giornata ha una parte che si svolge in maniera molto normale come in ogni famiglia tradizionale borghese. In questa parte i personaggi espletano funzioni e attività molto comuni: Dialogano del più e del meno. Si nutrono. Si informano, ascoltando la radio, leggendo. Sono del tutto assenti momenti di affetto. Che tornano in scena quando…|
Filippo rientra dopo il suo momento di attività fisica giornaliera. Quel tanto per mantenere il proprio corpo in quella forma splendida tanto apprezzata dalle femmine. Quel giorno il suo sforzo si è stemprato in quei quattro/cinque chilometri di corsa che l’hanno portato a San Michele in Bosco con ritorno. Un panoramico loco sulle prime colline bolognesi. Il rientro avviene che le ombre della sera sono già calate.
Sarà lo sforzo fisico… Sarà l’ora in cui le famiglie bene siedono al desco per la cena, Filippo comincia a sentire i reclami dell’appetito. Nei pressi della casa di Elena c’è una rinomata rosticceria, dove lui pensa di approvvigionarsi per una ghiotta serata con le amiche.
Queste, hanno trascorso un placido pomeriggio immerse nella lettura: Madame Bovary messo in valigia da FrouFrou. Gli Indifferenti, acquistato qualche giorno prima da Elena. Hanno conservato lo stato di nudità che però non ha stimolato alcun atto di libidine. Se non un reciproco apprezzamento a parole per la piacevolezza di avere innanzi una bella figa.
L’arrivo di Filippo è tutto baci e abbracci. Lascia nelle mani delle ragazze i pacchettini con la cena. Va a togliersi il sudore di dosso, sotto la doccia.
Il suo rientro in scena è acclamato quando lui dichiara: «Non vi dispiace, vero, se mi associo alla vostra impudica nudità.»
La tavola per la cena la imbandiscono Elena e Filippo. Per loro è anche un momento per fare il punto sulla Rieducazione del gusto sessuale di FrouFrou. Lei è rimasta immersa nella trama flaubertiana.
Indubbiamente il metodo di cura, predisposto da Elena, ha mostrato un successo dopo l’altro. Anche con qualche cosa in più: diverse volte FrouFrou, nel pomeriggio, ha levato gli occhi dalle pagine del libro per: «Pensi che rientrerà tardi Filippo? – e – Quando torna, sarà stremato.»
Filippo, dal canto suo, è preoccupato per le energie che dovrà mettere ancora in campo. In fondo, tutto nella stessa giornata: una sega gliel’ha improvvisata la cosiddetta paziente, ma le due sborrate dello scopare Elena, sono state di ben superiore produzione spermatica. Se, stando all’ipotesi dello schema elaborato da Elena, rimangono da superare gli ultimi due ostacoli: bocchino e cazz’in figa. |N.d.A.:Così come li aveva annotati lei.| Bisognava organizzarne i tempi tanto per permettere all’uccello di ritemprarsi tra le due prove.
La cena è frizzante non solo per il buonumore che lì aleggia: sono tre le bottiglie di buon spumante stappate. L’euforia pervade tutti. FrouFrou dimostra tutta la sua joi de vivre. Siede accanto a Filippo ed ha spesso le mani sul suo cazzo.
Lui in attesa di uno spunto per proporle di prenderlo in bocca, la tiene in calore baciandole i capezzoli e si infila pure sotto al tavolo per dare qualche colpo di lingua alla patonza mentre lei, dal ventre, fa scendere un sottile rivolo di spumante che s’incanala tra le labbra della figa
È il gioco che diverte FrouFrou da impazzire. È anche quello che dà lo spunto ad Elena per stimolare l’amica ad avvicinare la bocca al cazzo che ha di fianco.
Tutto questo avviene dopo che i loro appetiti hanno fatto man bassa di fritti di carne e di verdure. È il momento del dessert.
Cosa ci può essere di più spassoso di un cazzo in cui infilare anelli di pasta dolce, ripieni di crema, fritti e cosparsi di zucchero? Potrebbero nascerne giochi entusiasmanti.
«Bella idea! – proclama Filippo – Solo che…» e, indica con lo sguardo perplesso l’uccello ammosciato.
Elena si stringe nelle spalle e volge lo sguardo al cielo come in attesa di un miracolo.
Non la pensa allo stesso modo FrouFrou «A me così piace da matti. Mi fa tanta tenerezza!» e tra lo stupore degli altri si china tra le gambe del ragazzo e con le labbra gli trasmette tutto il suo affetto. L’uccello ha un sussulto.
«Insisti… Insisti!»
Il consiglio di Elena è preso in considerazione.
Ora FrouFrou ha tra le mani l’oca morta di Filippo e ne tenta la rianimazione.
Lo scappella. Il glande appare in tutta la sua sanguigna bellezza. Senza esitazioni la ragazza se lo infila completamente in bocca. A quel punto anche le altre componenti del cazzo prendono consistenza.
L’animale si alza e si mette sull’attenti. La bocca di FrouFrou lo molla ma contemporaneamente è il pugno che lo prende in consegna: su la pelle… giù la pelle. È la mossa che ha già visto fare dal ragazzo per ridare tono all’uccello.
Filippo ed Elena si guardano meravigliati.
Non è il caso di interferire nella volontà della cosiddetta paziente. Filippo si rilassa contro lo schienale della seggiola, lasciando ogni successiva mossa alla fantasia della ragazza.
Lei sa cosa fare. Ha le idee ben chiare. Ricorda per filo e per segno le istruzioni di Filippo quando hanno fatto il bocchino telefonico: si rimette la cappella sgusciata in bocca e con la punta della lingua compie cerchi attorno al foro dove lui piscia. Scende un po’ e va a stuzzicare la corona con cui il glande si attacca al prepuzio.
Filippo sente già di essere preda del piacere. La benedice a denti stretti. Le accarezza i capelli.
Lei adesso glielo sta succhiando. Ogni atto che compie sull’uccello e degno della miglior tradizione pompinara. L’uccello agisce di conseguenza: tre schizzi irrompono contro il palato di lei, che con la bocca piena tergiversa un po’ per poi inghiottire il tutto.
Istintivamente va alla ricerca della bocca di lui. Staranno attaccati a lungo.
Lui poi la solleva e in un angolo del tavolo libero da masserizie, la distende per restituirle il piacere leccandogliela.
Lei accompagna il conseguente orgasmo gridando «È stato il mio primo bocchino…il mio primo bocchino!!»
Anche l’entusiasmo di Elena è all’apogeo e non smette di baciare e ringraziare l’improvvisato terapeuta.
FrouFrou volge l’occhio al pendulo uccello di Filippo, commentando: «Che bello sono riuscita a farlo tornare proprio come piace a me. – Una sua mano va ad accarezzarlo dolcemente – Che caro!»
Resta adesso l’ultimo passo per poter dire che FrouFrou sia uscita dal tunnel. Elena è ottimista. Anche perché la vede sempre attorno al cazzo di casa e nota che anche Filippo guarda con una certa libidine il culetto della francesina, che non ha l’eleganza delle esili chiappe di Elena ma la grinta di un culo da vamp. Proprio Elena, che ben sa leggere le enigmatiche espressioni che appaiono sul volto del virgulto giovane, ha intuito la meta finale della sua attrazione verso la ragazza: il buco del culo.
La cosa la tranquillizza, convinta che un culo non andrà a turbare quel bel rapporto affettivo/sessuale, molto libero che regge, ormai da più di un lustro, tra lei e Filippo. È talmente serena che decide di lasciarli soli e di andare a godersi un bel film al cinematografo dietro casa: Un angelo è sceso a Brooklyn.
Il suo rientro viene accolto con entusiasmo dai due ragazzi e capisce che tra loro tutto si è fermato a quel bel primo bocchino di FrouFrou.
Tutto si è fermato perché aspettavano lei, per farglielo innanzi agli occhi. Così appena lei si accomoda nella poltrona, questi prendono a rotolarsi nel letto abbracciati.
«Non farmi male!» Lo supplica lei
«Ti darò solo del piacere» la rassicura lui.
Lei sarebbe già nella posizione giusta. Lui le sta facendo sentire il piacere della cappella su e giù tra le grandi labbra, quando lei si alza e si getta sulla poltrona tra le braccia di Elena:
«Devo farlo, vero, Tesoro?»
«Penso che sarebbe bello.»
«Sì. Ho anche tanta voglia di godere… Credo mi piacerà… Lui è così delicato e appassionato…»
«E allora?»
«È il tuo ragazzo…» Elena si commuove e le dice:
«Ti voglio talmente bene che quello che dà piacere a te, fa godere me.»
FrouFrou le slaccia la camicetta e mette a nudo le tette. Con la bocca si avventa su queste leccandogliele con grande eccitazione.
«Capiscimi! Mi dà coraggio.»
«Ti capisco, piccola.»
Filippo la sta aspettando, trastullandosi l’oca. FrouFrou gli lancia un’occhiata e si rivolge ancora ad Elena:
«Mamma mia, quanto ce l’hai grosso!»
Elena le invia un bacio. Si alza e si spoglia completamente. Sa che non potrà esimersi dal toccarsi.
FrouFrou si è allargata più che ha potuto. Lui gliel’ha appoggiato solo contro. Lei, per l’emozione è ancora secca.
Se la tocca, sfregandosela velocemente, come consueto, nella parte superiore. Lui la bacia e scende con la bocca sulle poppe. La leccata di tetta di Filippo è sempre un piccolo capolavoro che trascina fuori dalla realtà. Lo sa bene Elena che sta già accarezzando le proprie.
FrouFrou si lascia andare. La figa prende ad irrorarsi. Filippo introduce il glande e si ferma. Si ritrova innanzi un fighino, non vergine ma stretto assai. Lei sente la piacevolezza di quel caldo approccio. Stringe quel pezzetto intruso tra le proprie carni: “Benvenuto!” Un sospiro. Appena lei si rilassa, lui ne spinge dentro un altro po’.
Elena si è leccata due dita. Le immerge nella melassa della figa… fino in fondo… Stringe con forza le natiche per il piacere che la sta invadendo. Come vorrebbe avere lei, quel pezzetto di cazzo, dentro la figa!
Filippo è fermo. Immobile. Ha un terzo del cazzo in quella calda fregna. Si controlla.
Lei vive quel nuovo piacere con un compassato entusiasmo. Sente palpitare anche il buco del culo… Tutto un mondo da scoprire.
Elena, intanto, si è messa a masturbarsi con determinazione. Come che fra lei e l’amica ci sia una competizione a chi per prima raggiunge l’orgasmo.
L’eccitazione è soprattutto prodotta dai sospiri e lamenti dei reciproci piaceri che, forte, echeggiano nella stanza.
FrouFrou, implora Filippo che le faccia gustare completamente il suo ninnolo, costi quel che costa: in lei è scesa la febbre del cazzo. Da bravo cavalier servente Filippo esegue:
«Però, notevole!» FrouFrou commenta la fondata, nel suo grottesco italiano. È uno dei suoi ultimi sprazzi di lucidità, prima che il turbinio del piacere la consegni ai vai e vieni del cazzo.
L’improvvisa dichiarazione ad alta voce di Filippo: «Sto per venire!» Scuote Elena dal nirvana in cui sta crogiolandosi. Consona alla propria natura è già a fianco dei due amanti, se mai… alla bisogna… servisse il proprio corpo.
La figa di Elena è proprio quello che ci vuole a Filippo per il suo godimento finale: un salto, da figa in figa. In lei, l’uccello dell’agile amante, lascia tutto il proprio piacere senza alcuna preoccupazione.
Le ragazze si stringono forte, consce di essere, ora, un po’ più unite sentimentalmente.
La campana di Palazzo |N.d.A.: A Bologna con Palazzo si indica l’antica sede del Comune: Palazzo d’Accursio| ha appena battuto, per la seconda volta, i dodici tocchi.
Ora i festeggiamenti possono aver inizio
L’uccello di Filippo emerge dalla figa di Elena con ancora cose da dire. Lucido degli umori fra cui ha navigato, riflette i verdi bagliori che l’abat-jour accesa sul tavolo da lavoro di Elena, gli proietta contro. È l’unica fonte di luminosità della stanza e l’immagine è suggestiva.
Emozionata, FrouFrou si riappropria del cazzo per rimetterselo in bocca:
«Qui sento un po’ di me e di te.» Dice rivolta ad Elena che, impegnata nella bocca di Filippo, ha la testa da tutt’altra parte.
«Quando saprai se sarò padre?»
«Più o meno tra una settimana. Con le mestruazioni… Quando capirò che non è solo un ritardo farò l’esame dell’urina e due giorni dopo lo saprai.»
«Così dopo mi dirai se ci sposeremo.»
«È così importante per te?»
«Bèh, sì! Vorrei passare la vita con te…»
«Credo che non mi perderai mai. Se no come mi salterebbero fuori notti come questa?»
«Già, ma questa è la notte di FrouFrou. Mica la nostra.»
FrouFrou sta ancora esplorando con la lingua tutto il cazzo, testicoli compresi.
«Cazzo! – Sbotta Elena – Toglile l’uccello di bocca… Le avevo fatto una promessa che se va avanti col bocchino, non riesco più a mantenere.»
«Mi pare di capire che per esaudire la promessa sia necessaria anche la mia collaborazione.»
«Come no… Le ho promesso che avremmo fatto l’amore innanzi a lei.»
«Ma se ti ho trombata appena arrivato e me l’hai data in piedi abbracciandoti a lei?»
«Le ho detto che “avremmo fatto all’amore”. La sveltina era solo il benvenuto.»
FrouFrou ha mollato l’uccello e sta chiedendo che la promessa venga esaudita.
Quella notte surreale al 5° di via Ugo Bassi 9, continua in maniera ancora più surreale.
Adesso sulla poltrona sta FrouFrou, avida di conoscere come le due uniche persone con cui ha fatto all’amore facciano la stessa cosa tra di loro. “L’amore dell’amore” pensa tra sé, con quella sua sintesi fanciullesca.
Sul letto prospiciente, Elena e Filippo passano in rassegna a tutti i preliminari che le loro fervide fantasie suggeriscono: «Cazzo, Amore: ogni volta che me lo presenti è sempre più grosso!»
«È per sbalordire la tua e farla tirare sempre di più… Cosa dici?»
«È così…. Me la fai sempre tirare da matti.» Prende il cazzo in mano e gli fa fare i primi passi nella figa, traendo un profondo sospiro. È una scopata, lunga ma tanto discreta. Senza melodie amorose. Molto composta. Un unico exploit nel finale con un forte abbraccio.
«Tutto qui? Siamo molto più teatrali noi nei nostri 69. A proposito? …»
«Hai ragione, Tesoro! Vieni.» FrouFrou si getta tra i due. Elena le è sopra a rovescio. Filippo resta lì accanto loro. Dice di volersi inebriare dei ritornelli della passione. Non avrà molto da attendere. Non appena le lingue prendono contatto con le fighe si leva il loro cantico dell’amore. Filippo che si è molto immedesimato nel godimento delle ragazze si ritrova l’uccello erto e gagliardo. Guarda speranzoso le ragazze ma è Elena che emette la perfida sentenza: «Se è per me, con una sega chiudi in bellezza. Se poi la Piccola ha delle idee…»
FrouFrou, con entusiasmo gli menerà il cazzo fintanto che due schizzi non le si spiattelleranno sull’aggraziato volto.
Filippo il giorno dopo riede alla paterna magione: «Ho un casino di cose da sistemare a Milano prima che tutti rientrino dalle ferie.» Dice lui.
Elena e FrouFrou protrarranno la loro vacanza fino a quando saranno definitivi gli esami per la gravidanza di Elena. Nel frattempo, sarà lei a fornirle un sostegno affettivo e non solo.
Rientrano anche il Senator-Professore con Lucia: vacanze sul Tirreno.
Al 5º, di via Ugo Bassi 9 il ménage riprende il ritmo della normalità piccolo borghese. Non ci saranno più notti surreali con trasgressivi intrecci anche se, sovente, nel cuore della notte, Lucia si trasferisce per qualche ora nella stanza delle ragazze, tanto per mantenere larghi gli orizzonti. Se il Senatore, quando si corica, vorrebbe indugiare in ciacole, l’esuberante fidanzata ne sa una più del diavolo per consegnarlo a un sonno pesante e duraturo.
L’8 settembre, senza alcun dubbio, Elena risulta gravida. Telefonicamente ne dà notizia a Filippo che con apprensione le chiede l’ultima parola circa il loro matrimonio. Elena declina decisamente l’offerta: «Non me la sento, Tesoro, di legarmi ufficialmente a una persona. Vedrai che comunque resteremo sempre uniti.»
Filippo le chiede di risultare lui il padre del nascituro. Sia un pupo o una pupetta, farà a tutti gli effetti Bonomelli di cognome.
Il 18 giugno del 1958, Jnes, inizia la sua formazione per divenire mamma mia.
Attorno ad Elena si concentrerà un insieme di affetti che la sosterranno in quel delicato periodo.
Lei si dedicherà completamente al lavoro. Per Femmine, la sua rivista, sarà il momento in cui usciranno i numeri più interessanti e apprezzati. La sua diffusione toccherà vette altissime.
Per un po’ lasciamo Elena alle prese con il suo nuovo ruolo e ci dedichiamo ai personaggi che le stanno attorno. Quelli che per DNA, dell’erotismo ne sono un concentrato: Filippo, FrouFrou, Gemma, papà Uberto e Lucia.
Cominciamo da…
Il Senator-Professor Uberto Alberti
Il 1958 è un anno che gli si configura bene addosso. In marzo il tribunale della Sacra Rota annulla il precedente matrimonio con Sarah. Nel mese di aprile viene rieletto senatore della Repubblica. In giugno diventa nonno. In luglio convola a nuove nozze con Lucia. Partiranno per una di miele di 80 giorni: Il Giro del Mondo – Nella stessa tornata elettorale anche Lucia entra in Parlamento. – Onorevole alla Camera dei deputati – Uby, – come lei lo chiama nell’intimità – ha 53 anni e cavalca la nuova sposa anche tre volte per settimana. Si dice pure che non ne passi una che non vada ad assicurarsi che funzioni bene la rubinetteria dell’appartamentino in cui alloggia quella strafiga della sua Caposala, di cui lui non ha smesso, neppure dopo il secondo matrimonio, di pagare l’affitto.
Uberto è anche molto preso dal divenire nonno. È pieno di attenzioni per la figlia che fa seguire da un’equipe di ostetrici di conclamata fama.
Uberto, poi, vuole fare un importante regalo alla figlia anche se lei rifiuti ostinatamente di dare una famiglia al nascituro: gli regala un panoramico appartamento, qualche civico più avanti, nella stessa via. Due camere, una saletta da pranzo, la cucinetta, il bagno. Tutto su due piani con una bellissima terrazza che vede le Due Torri e la collina. |N.d.A.: l’appartamento dove oggi vivo io|
Finché resta FrouFrou, Lucia compie le sue erotiche scorribande notturne nel letto delle amiche, portando bizzarre novità, soprattutto nei preliminari. Elena pensa che questo sapere, abbia un nesso con i pettegolezzi che circolano tra le addette della stampa femminista: lei, nei suoi soggiorni romani, sarebbe assidua frequentatrice di un di circuito di associazioni che nel gossip viene indicato come lesbo-massoneria.
Lucia, partita FrouFrou, non riserva più i suoi attacchi saffici ad Elena. Teme che questi potrebbero creare danni al nascituro.
Gemma sta dimostrando di essere la donna ideale, la sposa radiosa.
Si è licenziata dalla Redazione di Femmine perché ora che è coniugata vuol fare a tutto campo la Signora Bonomelli. Essere lei a gestire quell’impegnativa magione che è la villa del suo Giangi.
Lui pende dalle labbra e non solo, di lei. Così una notte in bianco ha convinto lui: per, non più un matrimonio nel Duomo con 200 invitati, ma una cerimonia privata per pochi intimi in una chiesetta sulle Dolomiti. Successivamente, al rientro dal viaggio di nozze ad Amsterdam il rifiuto a praticargli il bocchino della domenica. Dopo la partita dell’Inter. Ha posto in gioco il licenziamento delle cinque cameriere francesine che s’aggiravano per la villa senza precisi compiti: «Uno spreco inutile. Bastano due arzdore delle mie parti.» Il giorno dopo le leziose servotte sono rimpatriate. Lei torna ad onorare tutti i suoi doveri coniugali con uno spumone che manda il buon Giangi in tachicardia. Con grave apprensione del figliuolo accorso subito al capezzale paterno. Fortunatamente il pronto intervento del dottor Bonaga evita il ricovero in ospedale. A Gemma, assieme allo spavento di poter essere accusata di aver provocato una grave infermità al Cavaliere, il fervorino del sanitario prontamente intervenuto: «Signora, certe performance le possono sopportare solo i giovani della sua età.» Gemma ne ha 35 ma il tanto sospirato matrimonio gliene ha abbuonati 4 o 5. E lei:
«Ma se l’altra domenica non ha fatto una piega…»
Prontamente il dottor Bonaga che è pure psicologo: «Signora, l’altra settimana l’Inter aveva vinto in trasferta. Ieri, ha pareggiato in casa.»
«Ma se avesse perso?»
«Non oso pensarci.»
Questo per dire che Gemma, meneghinizzatasi con il matrimonio, era data per persa da tutto il suo mondo bolognese. Elena compresa.
Elena rimarrà priva di ogni sostegno sia affettivo che sessuale. Filippo le fa visita sì e no una, due volte al mese. Visite molto raffreddate così come anche i momenti di sesso.
Ogni traccia di erotismo è svanita tra di loro.
Il di lei diniego di accettare il matrimonio con lui, ne è responsabile solo in minima parte. Il fatto è che Filippo ha in atto un’altra situazione sentimentale che non sa come risolvere: Francesca.
Al Caffè Milano, come ogni tardo pomeriggio, siede la signora Augusta con il suo fidanzato. È quasi un rito. Un buon Punt e Mes poi ci sarà il motoscafo che la porterà alla Casa Antica sull’Isola Dei Pescatori di cui è l’apprezzata cuoca, sorella del signor Egidio, gestore.
La signora Augusta conosce da tempo Filippo. Proprietario della locanda: i suoi gliela intestarono al momento dell’acquisto. La signora Augusta l’ha visto crescere e rifugiarsi alla Locanda con i primi amori. Ultimo dei quali, la bella Francesca, che da cameriera e divenuta direttrice del Caffè Milano. Questo grazie a una fantasiosa ricetta di una granita alla menta ideata da Filippo e da lei proposta quale afrodisiaco.
Un grande successo!
Un po’ più che quarantenne, Francesca, con le sue arti di donna vissuta, ha fatto perdere la testa al ragazzo e praticamente con lui ha costruito un nido d’amore nell’appartamentino annesso alla locanda
Filippo, come è giusto che sia per la sua età, è un turista dell’amore. Gli piace vagare qua e là senza fermarsi mai. Francesca invece, visto gli anni che ha messo sulla coppa e la modesta appartenenza sociale: con mamma anziana e due fratelli adolescenti da mantenere, cerca una solida e duratura unione.
Perché tutto questo preambolo?
Perché la signora Augusta, stando al tavolino nel dehors del Caffè, vede arrivare una due posti, decappottabile, con Francesca al fianco di un bell’uomo, più o meno della sua stessa età.
Scambio di prolungate effusioni che, alla signora Augusta, che ha una venerazione per Filippo, fa male vedere. Sicuramente le scapperà detto con Egidio, buon compagno di sollazzi con Filippo, che non mancherà di informarlo.
Più o meno succede così, senonché, Francesca pensa bene di anticipare i tempi. Al primo incontro con Filippo gliela nega, raccontandogli di questo immenso amore sbocciato tra lei e il commendator Aniasi, socio di maggioranza nella proprietà del Caffè Milano: «Saremo amanti. Lui è sposato e ha due bei bambini. È persona per bene. Posata, senza grilli per la testa … Ha già ordinato per me una MG decapottabile. Andrò ad abitare in un suo appartamento di Pallanza, nella stessa strada dove abitano i miei. Lui con la famiglia sta a Domodossola.»
Lui tace. La cosa gli risolve tanti problemi. Anche se per lui, Francesca era pur sempre una bella scopata. Sa che non deve aggiungere nulla. Nella mente gli passano le selvagge scopate fatte in quella stanza: su quel letto, così romanticamente cigolante… Sul balcone, con lei appoggiata alla ringhiera, in attesa. Con l’incertezza che il suo cazzo, prendesse la direzione del culo. Era capitato!
Tra di loro tutto era sempre accaduto in maniera selvaggia.
Forse di flash analoghi passano pure nella mente di lei tant’è che: «Se vuoi, per un’ultima volta…» e fa per far scendere lo zip della gonna.
Lui, vorrebbe accettare e magari anche ringraziarla per quel suo andarsene dalla sua vita senza rumore. La guarda solo con una punta di malinconia: «Prenditi tutte le cosucce che hai disseminato qui dentro. Chiudiamo con una stretta di mano e un sorriso».
Il rumore della porta che si richiude dietro di lei, lo fa stare meglio.
Filippo è in terrazza. Riflette: in due giorni è la seconda sgrugnata che prende. Da Elena, il no al matrimonio. «Da Francesca: “A te non la posso più dare!”»
“Vediamo ora se il comune detto ‘non c’è due senza tre’, abbia basi solide”.
Con l’agendina dei telefoni in mano scende al ristorante.
«… Ah, sei tu… – la voce è sorpresa e preoccupata – … Meno male! Cosa volevi dirmi?… Qui? … a Ginevra? …. È solo un piacere…. Ho una casa piccola ma ci stiamo… Non correre. Quando sei nei pressi chiamami. Fino alle sette sono qui.»
La tanta cortesia di FrouFrou lo rasserena. Chiama un taxi-motoscafo. A Stresa ha l’auto. Per Ginevra ci vorranno sette-otto ore. Sono solo le nove.
«Ti facevo qui fra un paio d’ore…. Hai volato»
«Sei bellissima! Vederti è già un premio.»
«Questo no?» Sono le labbra di lei a cercare le sue. Le lingue si intrecciano. Lui la stringe a sé. Stanno a lungo.
«T’è già venuto duro!»
«Sono qui per questo.»
«Ma dai! Avrai qualche approccio milionario?»
«Sì, è vero, con te?»
«Con me?… Ho solo debiti.»
«Appunto. Ma di questo ne parliamo a cena. Trova un buon ristorante e t’invito. Poi vado a prenotarmi una stanza qui, nell’hotel»
«Pensavo di tenerti a dormire da me.»
«Era quello che speravo. Hai un divano comodo?»
«Ma dai…»
Entra intanto un’elegante signora. FrouFrou le va incontro. Parlottano. Poi questa se ne va indispettita. FrouFrou Torna da lui. È più seria, lo riabbraccia. Indugia qualche momento con il volto sulla sua spalla.
«Qualcosa di storto?»
«Scusa. La moglie del Sindaco. Una delle antiche clienti. Si è inalberata perché qui c’era un uomo…»
«È fuggita…»
«Oh sì. Le ho detto che la puttana ha chiuso bottega.»
«Quanto ti manca alla chiusura di stasera.»
«Posso chiudere anche ora. Non ho più prenotazioni… Avrai una fame?»
«Sì. Ne ho tanta. Avrei anche bisogno di una doccia. Dopo tante ore in auto, sono un po’ appiccicoso.»
«Qui ho qualche box con la sauna e ognuno ha la sua doccia… Spengo le luci così risulto già chiusa e ti prendo asciugamani e accappatoio. Se ti va puoi fare anche la sauna. Fa bene dopo un lungo viaggio.»
Nell’elegante negozio le luci sono spente la porta è chiusa.
FrouFrou va ad aprire il vapore, Filippo si spoglia e respira la calda nebbia che sta invadendo il box.
Da un citofono arriva anche la voce di FrouFrou: «Ti serve qualcosa?»
«Sì. Un po’ della tua dolcezza.»
«Arrivo.»
Seduti uno di fianco all’altro non si dicono nulla. È lei che pone un quesito che ci sta proprio: Hai detto ad Elena che saresti passato da me.»
«Le ho fatto uno squillo poi sono partito.»
«Cosa ti ha detto?»
«Che quando torno debbo stare una settimana da lei…. Si è anche raccomandata di farti star bene e di dartene anche per lei.»
«Mi vuole un mare di bene» sospira asciugandosi il vapore. Filippo le accarezza una mano che poi accompagna sul cazzo. Lei glielo stringe. Lui le bacia una tetta. Ha il capezzolo in eccitazione. Lei gli sta menando il cazzo. Lui aggiusta le posizioni tanto che anche lui possa metterle due dita in figa e stare bocca a bocca. Vogliono parlarsi.
«Sarebbe bello, no? fare qualche giorno di vacanza, tutti e tre assieme. Prima che le salti fuori il pancione e prima che venga la brutta stagione. Io potrei organizzare l’appartamentino sull’Isola dei Pescatori. Elena, c’è già venuta e le era piaciuto.»
«Io, comunque, ogni due, le ho detto che farò un fine-settimana a Bologna. Se ci fossi anche tu sarebbe il massimo».
Sussulta col bacino. Le dita di lui hanno aumentato il ritmo e la stanno portando all’orgasmo.
Lei ha smollato di menarglielo e sta rincorrendo il proprio godimento.
«Non sarebbe meglio che te lo mettessi dentro?»
«Mmmh! Fa te?»
Non c’è molto da fare… in un momento lui glielo sfrega tra le labbra della figa che si aprono. Lui entra e si spinge più dentro che può
«È bello!». Sussurra lei e protende verso lui la bocca per essere baciata. Si agganciano con le labbra.
Adesso sì… Sente il godimento crescere e via via trasformarsi in potente orgasmo. Si aggrappa forte a lui che asseconda ogni momento del suo piacere. Viene gridandoglielo.
Un attimo di rilassamento di lei e lui si sfila. Sarà il suo ventre a ricevere la benedizione dell’uccello.
Lei si agita. Le serve ancora lui per ridiscendere da quella sua beatitudine e ritrovarsi nella realtà di quella disadorna cabina-sauna. Lui è già lì con la lingua che rovista tra i lucidi peli del pube. FrouFrou spinge la figa verso quella bocca e ne imprigiona il volto tra le proprie cosce. Si cucca un secondo orgasmo. Molto più consono alla propria storia.
Sarà la piacevolezza dell’acqua tiepida della doccia a far evaporare la beatitudine dei loro godimenti.
«Voglio crogiolarmi tra le tue braccia in questo splendido regalo che mi stai facendo vivere.»
«Cazzo, bambina! Siamo sul romanticismo spinto.»
«Hai ragione, cinico capitano d’industria, mi sono lasciata andare al peggior lato del mio carattere. Però adesso, tu stringimi forte. Ho ancora tanto bisogno di te.»
Premendo il ventre contro quello di lui assapora ancora la consistenza dell’uccello venuto da Oltralpe. Ancora fermo nel suo iniziale turgore.
«Elena mi dice sempre che il tuo uccello è “bello-grosso”. Io di uccelli ho visto solo il tuo. Mi confermi che è proprio così?»
«Anch’io non sono pratico di cazzi. Ma se lo dice lei… Qualche informazione in più di te lei dovrebbe averla.»
«Quando l’abbiamo fatto l’altra volta, il tuo uccello, dopo si era messo a dormire e aveva un’aria che a me è piaciuta tanto. Come mai questa volta…»
«È che questa volta, senza le tue paure, sei veramente figa. E mi stai facendo venir voglia di farne un’altra.»
«No, Caro! Sto così bene così che non vorrei che un’altra adesso, rovinasse tutto. Mi è venuta anche tanta fame… Dai, portami a cena. Voglio sentirti parlare d’affari.»
Au vieux Valais è un rinomato ristorante della tradizione del Vallese. – Piccolo cantone montanaro della Svizzera. Innanzi a una fumante Fonduta, Filippo le lanciava occhiate che le volevano far capire che la sua voglia non si era affatto placata.
«Dedica un po’ di attenzione ai piaceri della nostra cucina. Per noi c’è tutta la notte. Se vuoi, anche la mattina.… Posso sempre aprire bottega nel pomeriggio.… Adesso però raccontami degli appuntamenti d’affari che volevi fare. In cui, hai detto, che c’entravo anch’io.»
«Oh, sì! Di appuntamenti c’era solo il tuo. Così anche di affari in vista. Ti spiego subito: Elena mi ha raccontato che adesso siete socie e tu stai per prendere in gestione il più importante negozio di Coiffeur di Zurigo.»
«Proprio così. Elena ha voluto darmi un suo aiuto finanziario e io ho preteso che fosse mia socia. Quasi un matrimonio! Un’unione finanziaria per non lasciarci mai più.»
«Mi ha pure detto che per te sarà un grande impegno: dovrai lavorare molto con grande attenzione. Dovrai anche dare in pegno tutto quello che possiedi e avere un aiuto dalla famiglia. Questo, non solo secondo lei, potrebbe devastare il tuo meraviglioso sorriso.… Quando si hanno delle preoccupazioni, succede.»
«Questo lo pensate voi. Cornacchiacce! Il mio sorriso è una roccia.»
«Allora… Visto che papà mi ha messo a disposizione un’importante quota di denaro, ho pensato di diventare socio dell’affare anch’io. Di aggiungere mio capitale, in maniera che il tuo impegno sia minore e soprattutto che tu non metta in ballo le risorse della tua famiglia e il tuo sorriso. Che dici, mi vuoi come socio?»
«Cazzo! Lo dici così.… A una fanciulla che fino a ieri giocava con le bambole… Nel cuore della notte!» Si sporge sul tavolo e si baciano. – In Svizzera non è un atto che si vede abitualmente al ristorante –. Il cameriere si esprime con qualche piccolo colpetto di tosse.
«Se mi tieni, resto qualche giorno e concludiamo l’affare.»
«Non è che poi col tempo il Salon diventerà un Coiffeur Bonomelli? Scusa la diffidenza. È il sogno più grande che ho finora fatto. Sto per farlo diventare realtà. Sono determinata a portarlo fino in fondo e a difenderlo con le unghie.»
Lui le stringe affettuosamente le mani.
«Altri piccoli dettagli ti confermeranno la mia sincera volontà. Questi te li racconterò a casa tua.»
«Dai! Fai presto a finire questa merda valligiana. Non vedo l’ora di sentirmeli dire. Tra le tue braccia. Naturalmente.»
«Giuro che cercherò di raccontarli con l’uccello dormiente, come piace a te.»
Al paziente cameriere, lascia una discreta mancia e via… Quasi di corsa per il Lungolago.
Il monolocale di FrouFrou sembra una piccola casa di bambole. Guarda il lago. Vede le cime delle montagne attorno: un ambiente cucina-sala da pranzo, il bagno, la camera da letto con una terrazza proprio a picco sul Lago.
«Vuoi vedere dove ti farò dormire stanotte?» Lo porta nella camera da letto. Qui senza riguardo gli si avventa sui jeans. Non si ferma finché non ha calato sia questi che i sottostanti boxer. Al restante della nudificazione provvede lui stesso. FrouFrou si uniforma.
La stretta tra i due corpi è duratura e imponente. Si conclude con il loro ribaltamento sul letto.
Filippo, preso alla sprovvista, per tutto quel tempo ha stretto i denti. Ora può presentare il proprio uccello come l’organo che serve solo per pisciare. Proprio come intenerisce il cuore a lei.
FrouFrou, entusiasta per quella piccola attenzione, si getta con il volto su di questo per baciarlo e coccolarlo quasi fosse un animaletto da affezione.
Ancora qualche stretta tra di loro… Un po’ di lingua-in-bocca e lei lo sollecita ad esprimere i dettagli del suo progetto.
«Dove si fa l’amore – precisalui – porta male parlare d’affari…» |N.d.A.: proprio da allievo della scuola per capitani d’industria|
Aggiunge lei: «Quando l’avremmo fatto… E lo faremo, vero? Sarà la prima volta per questa stanza.»
«E allora… Facciamolo!»
In men che non si dica lui è in lei. La scopa con impeto tanto che lei si ritrova al centro dell’orgasmo quasi senza accorgersene, con lui che glielo sta sgocciolando, questa volta, tra le tette.
È lui adesso a distoglierla dai piaceri ricevuti. La sollecita a trasferirsi nell’altra stanza.
Qui c’è un divano. Lui se la prende tra le braccia. Le accarezza dolcemente la figa. Brutalmente, scandendo le parole le chiede:
«Josephine Bovy, detta anche FrouFrou, vuoi sposarmi? – Aggiungendo – Se non l’hai ancora capito, ho fatto tutti quei chilometri per proporti questo.»
«Sei un vigliacco, perché sai bene che di fronte a una proposta così, mi costerebbe troppo, ora, tirarmi indietro… La tua è sadica crudeltà.»
È uno scroscio di insulti e offese mentre con la bocca cerca le labbra di lui e una mano non smette di accarezzargli il cazzo, ora ammosciato, proprio come piace a lei.
Lui la sta guardando serio: «Non mi hai ancora data una risposta: non hai detto se mi vuoi come socio. Stai glissando sulla proposta di matrimonio. Mi viene da pensare che tu stia cercando di trovare una maniera elegante per dirmi di no.»
Si sente ferita, la ragazza. Si mette a sbraitare: «Non dire così… Non devi dire così… Potresti rovinare tutto.… Da quando ti ho conosciuto ti ho detto solo e sempre dei sì. Te l’ho detto quando me l’hai messo in mano. Quando me l’hai messo in bocca. Quando me lo hai messo dentro fino in fondo. Come pensi che possa dirti di no: Sì, sì, sì… e sì! Amore mio!» È un perfetto coup de theatre da parte di tutti e due.
Lei lo sta baciando in ogni dove. Lui le si concede, sempre tenendo a freno il non indifferente attributo che gli pencola tra le gambe. Come sembra che piaccia a lei. Forse non è del tutto così:
Lei lo stringe in pugno dicendogli: «Parla!… Dì la tua! Mi vuoi come figa di famiglia? Esprimiti!»
Non ci crederete, |N.d.A.: neppure Elena, quando in seguito glielo avevano raccontato ci aveva creduto. Sia lui che lei, comunque, giuravano che era successo proprio così.| l’uccello con una certa prosopopea e una grande signorilità, lentamente si ingrossa e comincia a dar segni di volersi erigere. FrouFrou è entusiasta. Legge in quei movimenti dell’organo segni propiziatori. Si lascia cadere sul divano. Apre le gambe. Invita il pretendente a riapprofittarne: «Come vedi, con te, non lesino i sì.»
Lui, |N.d.A.: veramente, da maschio porco| vuole metterla alla prova: «E se fosse che vengo a chiederti il culo? Il tuo particolarmente, che mi piace tanto!» FrouFrou rimane spaesata a quella domanda. Lui, che molto probabilmente ha seguito con attenzione le lezioni di psicologia al corso per Capitani di industria, capta immediatamente il disagio della ragazza: «ma quello te lo chiederò la prima notte di matrimonio. Se no con che potremmo celebrarla?» Un tempistico recupero che fa tornare sul volto di FrouFrou il suo bel sorriso.
Passato il momento cruciale, l’armonia torna tra di loro. Moralmente loro, adesso, sono fidanzati. «Ho uno champagne in frigo: ti va di festeggiare?» Va a pisciare per tornare con una Veuve Cliquot e due coppe. Nel bagno, tiene una cantinetta refrigerata ben fornita. Intanto si è ravvivata i capelli e la chioma tra le gambe. Sicuramente un rinfrescante bidet e qualche goccia di. Eau de Guerlaine. Il suo profumo preferito. Filippo stappa e versa. Un cin-cin. Il fresco liquido scende graffiante nelle loro gole. «Se ne facciamo un altro giro, metto assieme la bocca perfetta per darti la più indemoniata delle leccate di figa. Provare per credere.»
«Qui o sul letto?» È lei ad indicare la strada maestra.
Il letto accoglierà le effusioni che concluderanno quella giornata che sta segnando i loro destini.
Lei che la lingua di Filippo ben conosce, sa quanto degli insegnamenti di Elena ci sia in lei. Una lingua, che pur nella mascolinità del suo DNA, porta tutta la poesia della grande tradizione saffica.
FrouFroi l’accoglie con l’entusiasmo che dedica a tutte le cose che profumano del suo grande amore: Elena. Quell’entusiasmo con cui la propria figa l’avvolge mentre questa si fa strada tra gli umori alla ricerca della clitoride con cui giocherellare. L’occasione, comunque, presenta degli aspetti diversi: Ora, loro si sono dichiarati… si sono promessi. Questo si evince dal sussurro liberatorio che le labbra di FrouFrou emettono discendendo dall’acme del godimento: «Adesso è tutta un’altra cosa.» Ne è convinto pure Filippo che da quel caldo pertugio non vorrebbe più staccarsi. Lo fa per rispetto allo sfinimento in cui le onde emanate dalla clitoride hanno ridotto la sua fidanzata. Lui vorrebbe andare oltre… forsanche, ben oltre. Non sa trattenersi. Glielo propone:
«Una scarica di lingua al culo, pensi che ti piacerebbe?»
Come fa ad opporglisi. Dopo tutta l’animata discussione sui sì e no tra di loro? Con lui che, maiale come pochi, le sta mimando, innanzi agli occhi, i movimenti che la lingua farebbe tra le sue chiappe: attorno e dentro al buco-del-culo. Lei che pur, quelle emozioni ha provato in ambiente saffico, lì per lì, non riesce ad immaginare le varianti da una lingua di maschio:
«Come mi dovrei disporre?» chiedelumi.
«Meravigliosamente prona con gambe e natiche ben aperte. Rilassati completamente. Se ci riesci, socchiudi il buco-del-culo. – aggiungendo, sempre per tranquillizzarla – non prenderò, assolutamente, altre iniziative.»
Lei, ligia ai voleri del desiderio sessuale di lui, si compone come richiesto.
Lui la osserva estasiato, riflettendo tra sé: “Cazzo, che culo! Son proprio andato a fidanzarmi con uno stupendo pezzo di figa!” Constatazione delle armonie di quel corpo con la provocante bellezza delle carnose colline che occultano l’agognato buco-del-culo.
Così, con tutto il rispetto per quell’intrigante femmina si mette all’opera.
Raffiche di piacere ad ogni bordata di lingua scuotono FrouFrou. Che prende a sciorinare entusiastiche giaculatorie incensanti l’amore appena dichiarato. La particolare atmosfera le fa, addirittura sembrare l’amplesso, ben più coinvolgente di quanti, identici, praticati con Elena.
L’orgasmo avviene in pompa magna, quando lui decide di far entrare in azione anche il pollice destro: grida soffocate nel cuscino. Scuotimenti del corpo. Coinvolgimento della figa con una copiosa colata di umori. Filippo è orgogliosamente tronfio del risultato:
«Vedrai in viaggio di nozze con questo…» e le spiana, innanzi agli occhi, l’uccello, pervaso da una monumentale erezione. È il bel vermiglio della cappella snocciolata, a suggerirle il finale della parte erotica della serata.
«Mamma mia… Se pompi! Pompi da dio, bambina! …» Non lo deve neppure sfilare. Il ventre di lui si contrae alcune volte. Lei deglutisce tutto.
La notte si è fatta fredda, non più solo fresca! È probabile che sulle cime più alte sia caduta neve. Hanno sciacquato le sapienti bocche con un’altra coppa di champagne -. Ci stava proprio! – Abbracciati, sotto le coperte, stanno progettando il loro futuro.
«Domani, confermi ai proprietari che sei in possesso di tutti i requisiti per portare a termine l’affare. Noi li raggiungeremo nel tardo pomeriggio per le firme. Nelle carte tu dovrai risultare Amministratore Delegato. Io, ho con me il blocchetto degli assegni di una banca svizzera, per coprire la firma…»
«No caro! Domattina partiamo presto per Lione. Prima di tutto voglio presentare ai miei il mio fidanzato… Dopo sì che possiamo fare tutte le cose da fidanzati.»
M.me Bovy, è una donna giovane. Avrà sì e no una quarantina d’anni, nonostante i suoi tre parti – ha altri due figli uno di nove e una di dieci anni – mostra un corpo asciutto, impreziosito dalle dovute abbondanze: nelle tette – una soda terza – e nel culo. È la copia di sua figlia, con qualche anno in più.
Filippo fa i suoi conti: “Se tutto funzionerà bene, tra vent’anni, avrò sempre qualcosa da ben chiavare.”.
Arthur Bovy è uno dei più quotati penalisti di Lione. È ancora molto in collera con la figlia grande, per aver abbandonato gli studi e seguito in Svizzera un’amica di cui era ben nota l’omosessualità: «In Città sono una persona importante. Ho una reputazione da difendere.» Aveva detto alla bella moglie quando lei gli aveva chiesto di telefonare a FrouFrou per invitarla ad essere con loro per il Natale. Era stato solo il Natale precedente.
Tutto questo FrouFrou lo racconta a Filippo strada facendo. Sul comodo sedile dell’Alfa Romeo.
«Lui – suo padre – mi ha riservato quattro anni di maledizioni. Ho sempre solo parlato con mamma. A volte, investendola anche di problematiche legate al mondo che avevo scelto, per un qualche consiglio. Mamma non mi ha mai negato una parola. Per me papà era morto. Poi, la telefonata di questa mattina. Tu eri in bagno. Per dir loro che sarei andata a fargli conoscere ‘il mio fidanzato’. Ha risposto papà. Il tono l’ho subito percepito scostante. Ho fatto finta di niente. Gli ho detto le mie intenzioni. Lui, sgradevolmente, mi fa: “È maschio?”. Io con tutta calma: “Eccome!” – È l’occasione per allungare la mano e fare una carezza alla patta dei calzoni – Quello che più mi ha sbalordito è quello che ha detto dopo avermi chiesto da dove stavo chiamando: “Prendetevela con calma. Non correte. Io telefono in studio che oggi non andrò”. Era tutta un’altra voce.
Oh, Filippo… Tra te ed Elena state proprio aggiustandola tutta la mia vita! Per favore, appena puoi fermati un attimo… Ho necessità di una buona dose di lingua-in-bocca.»
L’approccio con i Bovy è un siparietto curioso. Loro vivono in una antica casa nella Città vecchia. Sulla terrazza che domina la piazza del teatro hanno apparecchiato un tavolino con caraffe di succhi, acqua ghiacciata e una bottiglia di Pastis per un aperitivo in onore della figliola prodiga.
FrouFrou vuole essere disinvolta. La voce però tradisce la forte emozione che sta provando. «Ecco, lui è Filippo… è italiano. Di Milano. È avvocato come te… papà. Lui però non esercita.»
L’avvocato Bovy prova a dire qualcosa in italiano ma ripiega subito sul francese «Se volesse fare un po’ di addestramento con la nostra Legge, nel nostro Studio, abbiamo sempre un posto di praticante.»
Filippo declina e ringrazia nel suo perfetto francese. FrouFrou, con orgoglio aggiunge qualche specificazione: «Papà, se Filippo ne fosse interessato, potrebbe comprare il tuo studio compreso i mobili e l’antica poltrona su cui ci hai sempre raccontato che lì si era seduto Filippo il Bello.» Tra padre e figlia riappaiono consuete schermaglie. Indice che gli affetti stanno ripristinandosi.
Madame Bovy spegne il tizzone lanciato abbracciando la figlia, scambiando con lei qualche lacrima di commozione e lisciandole i capelli, lasciati sciolti, come aveva voluto tenere nella trascorsa notte d’amore.
Eva Bovy abbraccia poi Filippo dando subito un suo parere sul pretendente della figlia: «Proprio un bel giovane… Sì…Sì… Vero Athur?»
«Direi che non sfigurerebbe seduto sulla poltrona di Filippo il Bello.»
Come previsto vanno in un buon ristorante per raccontarsi e conoscersi meglio.
La famiglia Bovy, in un certo senso si è ricompattata. FrouFrou – pardon – Josephine ha promesso a mamma che passerà la settimana del futuro Natale a casa con loro e, magari, alla tradizionale cena della vigilia ci sarà pure Filippo.
L’Alfa Romeo sta filando verso Ginevra. Josephine – tornata – FrouFrou, sonnecchia di fianco al suo fidanzato. La gastronomia lionese è sempre un po’ pesante.
Quasi tre ore di auto e sono di nuovo nel nido di FrouFrou che adesso, con la presenza di Filippo le sembra tutta un’altra casa.
Lui, dopo aver piazzato sul piatto un longplay di Duke Ellington si è messo a curiosare tra i dischi di lei. Scopre che hanno gusti assai simili. Sul divano sta godendosi Caravan e lei lo scuote: «Telefono ad Elena e l’aggiorno su di noi. Così provo di capire se è proprio contenta che ti ho soffiato a lei.»
«Credimi, non gliene importa niente se io e te ci scopiamo… ci fidanziamo… ci sposiamo. Quello che le piacerebbe è che sia io che te continuassimo ad essere innamorati di lei. – Se si può dire. – Innamoratamente uniti come quando ti abbiamo tolto dal tunnel delle tue paure.» Ellington sta per uscire da Caravan per avviarsi per Take the Train
«Quindi secondo te lei tira a che noi ci sposiamo per unirsi a noi, visto che non troverebbe mai prete o sindaco che ci sposi in tre?»
«Non è secondo me. Me lo ha proprio detto quando le ho telefonato per dirle che venivo da te perché avevo voglia di te. Per cui sono sicuro che quando ci sposeremo avremo la sua benedizione. Chiamala anche ora… Io intanto, vado a farmi una doccia.»
«La chiamo subito. Tu aspettami che vengo anch’io. Dev’essere bello fare la doccia con te da fidanzati.»
«Oggi si lavora, Amore. Prendi tutte le carte che hai sul Salone di Zurigo che andiamo là a chiudere l’affare.»
Hanno passato la notte tra progetti e far l’amore. Lei ha parlato con Elena che le ha detto pari pari quello che già sapeva da Filippo. Lui, volendo metter fine a questa oziosa discussione aveva cambiato discorso con: «Mi improvviseresti un pompino?» e si erano addormentati così.
Il 18 giugno 1958 era domenica. Alle ore 21, Elena dà alla luce Ines. Trent’anni dopo, lei metterà al mondo me. |N.d.A.:Come vedete, con Elena ero proprio imparentata|.
La storia di Nonna Elena, sia erotica che no, non si arresta, a quella domenica.
Sparito il pancione Elena ha la giornata scandita dalle poppate di Ines, molte delle quali avvengono in Redazione.
Spesso sono da lei Filippo e FrouFrou per dare ad Elena, sempre molto impegnata con il lavoro di redazione, un po’ di svago. I due hanno ampliato le loro reciproche cotte. Sono sempre, l’una verso l’altro, occhi negli occhi, mani nelle mani. Per non parlare dei repentini attacchi di libidine. Per cui bisogna avere sempre pronto un ambiente lontano da sguardi curiosi, possibilmente confortevole. In parole povere, una stanza da letto per quando in loro monta la voglia matta.
Elena, con il parto, sembra aver perso ogni propensione all’erotismo. Si sente talmente a suo agio nel ruolo di madre che non raccoglie le piccole provocazioni di Filippo e FrouFrou per lasciarsi andare a uno di quei fricandò a tre che tante notti, prima del parto, li avevano uniti ed appagati.
In compenso nelle loro serate la tavola è sempre imbandita per dispensare manicaretti approvvigionati dal Lord Brummel, sfizioso ristorante nei pressi di casa.
Elena dopo il terzo mese della sua creatura si è trasferita nell’appartamento donatole da papà. Solo qualche civico in più, sempre nella stessa strada. È un appartamento spazioso, su due piani, con una panoramica terrazza che guarda le famose Torri e la fresca collina. È qui che, quando il tempo lo permette, si ritrovano i tre amici per non dire amanti in quiescenza. Che come tutte le opzioni temporanee, prima o poi, la quiescenza si concluderà.
Il ritorno all’iniziale stato di amanti sempre alla ricerca di erotizzanti momenti, tra loro tre, si realizza che la piccola Ines ha compiuto il sesto mese…
Da Modena, Filippo ha chiamato Elena: «Tra un’ora con FrouFrou siamo lì da te – e sfrontatamente – mettiti in tiro che stasera è la volta buona che ti diamo una sonora scopata.» Elena riaggancia sorridendo. Chiama subito il ristorante per una cena a base di crostacei. Per lei, in Redazione, è stata una giornata campale: fotografi, cronisti, intervistati, si sono susseguiti uno dopo l’altro nel suo ufficio. È stanca. Lo specchio della camera da letto le ritorna un’immagine di una signora con cinque anni in più sulla groppa. “Bisogna provvedere!” Non tanto per la minaccia telefonica di Filippo – lui la butta sempre lì – ma perché la condizione di amanti che hanno scelto di vivere tra di loro deve suscitare una continua reciproca infatuazione. Anche al di fuori di momenti erotizzanti.
“La serata va preparata.” Uno squillo a nonno Uberto, che dovrebbe essere a Bologna. C’è. Risponde Lucia: «Scusa, cara. Ho gente a cena. Posso portarvi Ines?»
«Uberto è già lì da te.» Il nonno, ma anche Lucia, non vedono l’ora di avere la piccola. Elena la prepara di tutto punto: agghindata con tutti i vestitini donati da Uberto e Lucia.
Neppure un quarto d’ora e nonno Uby è già lì. Elena finalmente può pensare a sé stessa.
La stanza da bagno è tutta uno specchio. Uno che riflette l’altro. Da quando aveva partorito non si era mai guardata con l’attenzione che ci mette quella sera. Nota pure che ha i peli del pube in disordine.
L’acqua della doccia, cadendo sulla pelle le fa un massaggio che le ricorda le mani e le labbra dei suoi amanti. Quanto tempo è passato! Un fremito vigliacco le si scatena sulle tette. Non può non toccarsi la figa. È sempre e, ancora, piacevole. È bello e non fa diventare ciechi! Che maiali, mettere in giro certe scemenze!
C’è un orologio nel bagno: “Cazzo! Se quello che ha detto Filippo è corretto, tra un quarto d’ora sono qui… No per un ditalino non c’è tempo. Non ci si può masturbare in fretta e furia. Che gusto c’è?” Torna a guardare quella girandola di immagini riflesse e… “Sì, il parto non ha compiuto grandi scempi sul suo corpo. Qualche chilo… forse?”
Potrebbero essere colpa delle soventi presentazioni, con brindisi, della nuova venuta ad amici e parenti. Le tette invece, che prima non c’erano, ora deve mettere il reggiseno: “Che palle!”… Il bacino?… “Quello sì – Per far uscire quella ‘manzola’ – un po’ s’è allargato”. Le chiappe, invece, le sembrano migliorate… meno eleganti, ma “Ben più appetibili… questo però bisognerebbe chiederlo a Filippo.” Anche se non fa fatica ad immaginare quel che direbbe.
È quasi l’ora. Deve vestirsi. Un ultimo giro di specchi e: “Elena, sei sempre quel tronco di figa!” A costei dà una delicata pettinata… Via in camera a vestirsi.
C’è fretta ma lo fa con calma. Sceglie l’intimo tra quelli più erotizzanti che ha. Così anche per le giarrettiere. Scova una roba da effetto, tutta parigina, che le aveva portato Lucia da Parigi. Là, quale inviata dell’Avanti! alla Fête de l’Humanité. “Sì, stasera faccio proprio la bella figa!” Un mezzo flacone di Eau de Cologne, sgocciolata sul pube e cala una corta tunichetta sul meraviglioso corpo.
Il campanello emette il suo din-don.
Un secondo din-don… quello del cameriere del Lord Brummel con il buffet.
La presenza del solerte cameriere evita partecipate effusioni tra i ritrovati amici, ma appena questo conclude il suo prezioso lavoro e se ne va…
«Cazzo Elena, sei tornata più figa di prima. Un lingua-in-bocca speciale, con risucchio, non me lo puoi proprio negare.» FrouFrou le si attacca alla bocca.
Filippo, pensando che quello sia l’inizio di una di quelle erotiche notti che li ha già visti nudi e ognuno addosso agli altri, non sta a guardare. Si spoglia completamente. Facendosi trovare dalle ragazze unico nudo tra di loro vestite elegantemente. Loro ridono. Ma non è una mossa avventata.
Elena, dimostrando una punta di nostalgia, prende ad accarezzargli il cazzo. FrouFrou vuole partecipare. Si mette a fioccare Filippo. In fondo è il suo fidanzato. |N.d.A.: Penso sia credibile dire che l’uccello di Filippo ne esce duro e ritto. |
A questa scena spontanea, Elena non si perde d’animo: invita gli ospiti a seguirla in camera da letto: la cena può attendere.
Appena comodi Elena si impossessa con la bocca della bella verga di Filippo. Le riserva, cadenzati, uno dopo l’altro, una sequenza di «Ahh!», che denotano la sua grande soddisfazione nel ritornare ad antichi riti.
FrouFrou, intanto si è spogliata anche lei. Le porta, innanzi agli occhi tutta la sensualità delle proprie forme. Contemporaneamente al bocchino che ha intrapreso, Elena ha un gesto di apprezzamento anche per quell’offerta: distoglie una mano dal cazzo che sta succhiando per accarezzarle l’umida figa.
FrouFrou sequestra la mano stringendola tra le cosce e pianta la lingua in bocca al suo ganzo, che pare non gradire: «Cosa volete? Porche che non siete altro! Ammosciarmelo subito per aver più tempo per i vostri giochi di lingua? – con decisione sottrae il cazzo alla bocca di Elena – Se sono qui è perché voglio chiavarvi tutte e due…» e conclude lo sfogo con una pittoresca bestemmia.
Le ragazze ridono e stanno già comportandosi come il loro maschiaccio paventa.
Abbracciate, Elena si consegna all’amica per essere spogliata da lei.
Sollevata la tunichetta nera, appare tutto il sottobosco di intimo con cui lei ha voluto allestire il proprio corpo per il rientro nella voluttà più sfrenata: calze perla con bordi più scuri… ai ganci del reggicalze, minuscoli brillanti… mutandine di pizzo ben largo da cui occhieggiano i lucidi peli: «Più figa di così, non si può essere… Tu che ne dici Filippo?»
Lui non ha niente da aggiungere. La spinge sul letto e le toglie solo l’indumento che più intralcia: la mutanda.
In una posa teatraleggiante Elena accoglie in lei quel nerboruto cazzo e la sua bella cappella vermiglia.
«Stavo dimenticandomi quanto sia bello!» e non è finita. Filippo, come sua abitudine, dopo aver dato il meglio in lei, sta coccolandole la figa per riportare Elena nel suo mondo.
FrouFrou, avendo assistito al rientro dell’amica nella comunità degli erotizzati è pervasa da una forte eccitazione e desiderio di ricevere pure lei il viatico da Filippo. Non che le due necessità fossero paragonabili. Filippo, quando era andato a prenderla a Ginevra per passare quella settimana, assieme, a Bologna, l’aveva presa per tutte le volte che lei aveva voluto.
FrouFrou con Filippo, sembra voglia recuperare, con abbondanza, gli anni in cui si era strusciata dentro e contro solo a fighe, senza alcun affetto.
Ogni volta che Lui arriva a Ginevra, lei è ancora al lavoro. Lui ha le chiavi di casa e l’attende ascoltando qualcuno dei dischi di jazz che lei colleziona.
Ne approfitta anche per radersi e con una buona doccia, togliersi di dosso il sudore del viaggio. Sempre impegnativo.
Sempre si fa trovare nudo. Sempre le porta un regalino.
Sempre, appena lei rientra, si rotolano libidinosamente sul letto.
Ora, lì, innanzi al suo uomo che tromba alacremente l’altro pezzo del suo mondo affettivo, FrouFrou è in forte disagio. Non può essere gelosia perché tra loro quel problema non deve esistere. Ne hanno parlato a lungo a suo tempo e tutti e tre d’accordo, hanno rifiutato quella condizione, quale uno stato che possa interessare qualcuno di loro. Sta per esplodere in una manifestazione plateale. Se succedesse farebbe saltare tutto il loro bel progetto dell’amore concatenato fra tre persone.
Ad Elena basta un’occhiata all’amica per comprendere il vortice che le sta centrifugando la mente. Si impegna ad interrompere gli ultimi strali dell’amplesso con Filippo. Le va d’accanto. Le due ragazze sono una di fronte all’altra e si guardano con espressioni completamente diverse. Molto malinconica quella di FrouFrou. Libidinosamente dolce quella di Elena. Fortunatamente è questa che prevale. Una parolina all’orecchio della malinconica francesina e lei si stringe forte all’amica. Le tette si strusciano scambiando un grappolo di brividi. Le bocche si cercano. Elena la spinge sul letto. FrouFrou: «Ho capito, tu stai sopra». Il letto accoglie il loro 69 che avrà uno spettatore.
Scampi, astici, mazzancolle e gamberi, riportano i tre amici ai tempi dei loro pittoreschi, eccessi sessuali. Con la stessa armonia che li aveva fatti incontrare, flirtare e perché no, innamorare. Gustosi cibi si consumano nel corso di performance erotiche di grande sensualità.
Frou Frou vuole essere fecondata. Anche lei, vuole un figlio da Filippo. Lo reclama come un suo diritto.
Elena è d’accordo con lei. «Se lo fate stasera ci sarà in lui un po’ di ognuno di noi. E io sarei ben lieta di invitarvi a farlo nel mio letto.» Filippo si sente investito da un vero impegno da uomo adulto. Forse è la prima volta. Comunque, non ha dubbi. Solleva la fidanzata e, con lei in braccio sale gli undici scalini che portano alla sensuale stanza di quella casa con la finestra che inquadra le Due Torri.
Elena si riempie una coppa di champagne e, in un solitario entusiasmo, brinda alla fortuna di quella loro grande famiglia.
Facciamo che la nostra storia finisca così come fosse una favola con tutti che vissero a lungo, felici e contenti.
Il maschietto di Frou Frou e Filippo è oggi mio zio Alessandro, socio del mio papà nel loro studio di architetti. Sicuramente il più prestigioso della Città.
Com’è piccolo il mondo!
Nota dell’Autrice
Quella di mia Nonna non è una storia. È piuttosto una favola tanto bolognese. Non è ispirata da sensazioni ma dalle atmosfere in cui si sono svolti fatti realmente compiuti. Anche se, per tutelare l’anonimato dei protagonisti, ho rigorosamente mutato ogni attributo che avrebbe permesso a qualcuno di riconoscerli. Così come i periodi in cui si sono svolti e gli ambienti che ne hanno fatto cornice. Quindi, non recatevi a portare un fiore in via Ugo Bassi 9. Lì Nonna Elena non vi ha mai abitato. Posso svelare però che la sua vita si è svolta tutta nel raggio di poche centinaia di metri da quel luogo. Quindi se capitate da queste parti avrete il previlegio di essere a contatto con la stessa magia. La magia che cala addosso a tutti Såtta al pur zȋl d Bulåggna. (Quest’ultima frase, però, non ve la traduco)
©FlaviaMarchetti 2020
Tra le righe, avete appena incrociato questi luoghi, questa gente:
1932, 15 gennaio, quando il cav. Bonomelli aveva sposato Maria Pia [VIII]
1943: 25 luglio – 8 settembre, tragiche ricorrenze della II guerra mondiale in Italia. [V]
1945, 8 maggio h.12:00, La radio annuncia la resa di quanto rimane del Terzo Reih. In Europa la guerra è finita. [II]
1958 giugno 18, nasce Ines, figlia di Elena, madre di Flavia Marchetti[X]
2005, Quando nonna Elena racconta di quei lontani giorni del 1945. [II]
Aida di Giuseppe Verdi, più o meno negli anni ‘50 nella piazza Maggiore di Bologna si tennero rappresentazioni di opere liriche.[VI]
Albergo del Rosso, di fronte al ristorante La Cervetta. [III, IV]
Albergo in provincia di Sondrio, un trappolo di provincia [VIII]
Alberti Elena, Nata 8 giugno 1928. Figlia del prof. Alberti. protagonista dell’intero racconto. Nonna di chi sta scrivendo di lei. [I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X]
Alberti Sen. Prof. Uberto, (anche Dado per la moglie nell’intimità. Uby per l’amante), nato1905. Padre di Elena. Chirurgo di fama internazionale. Con l’alias Marco Balducci, durante il fascismo, si spacciava quale ragioniere. Di antica fede repubblicana. Nel 1952 aderisce al PSI. Sarà senatore per due legislature. Pare che ce l’avesse superiore ai 18 cm. Sarebbe bisnonno di chi scrive [I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X]
Alfa Romeo, marca dell’auto di famiglia dei Bonomelli. [V, VI, VII, X]
Aniasi comm., amante di Francesca[X]
Anna, moglie di Omar. [V]
Aquila Nera, ristorante nei Navigli frequentato dai dirigenti del PSI (nel 1952) [V]
Athos, fidanzato della signora Fausta. Non è più un ragazzino [IV]
Atlantic, ristorante in via Veneto a Roma [VII]
Au vieux Valais, nella nostra storia è un ristorante di Ginevra [X]
Augusta, cuoca alla Casa Antica. Sorella di Egidio [VII, VIII, X]
Autista del taxi, uno dei tanti taxi [X]
Avanti!, Gloriosa testata giornalistica socialista. [V]
Baer Dottor Ugo, forse a capo di una ramificata rete dei servizi di informazione ebraici. Con certe professioni non si può mai andare sul sicuro e sapere di che cosa si occupa. [II, IV]
Bagno Romeo, Uno stabilimento balneare come tanti
Basilica del Santo Antonio, è a Padova E’ molto visitata [X]
Begin the Beguine, 1934 di Cole Porter [VI]
Bella d’Amour, sessuologa francese, pseudonimo di Gemma e Elena nelle risposte alle lettrici di Femmine [VIII]
Bently Mark VI, l’auto del cav. Bonomelli [V, VI]
Bergamo, antica città lombarda nel cui collegio per, una volta, fu eletto l’on. Bernasconi. [V]
Bernagozzi ragionier, ragioniere capo del Gruppo Bonomelli [V]
Bernasconi on. Paolo, eletto una sola volta al parlamento italiano nella circoscrizione di Bergamo. Per un breve periodo è stato anche amante di Lucia Boeri. Al contempo aveva moglie e un’altra amante [V, VII]
Bernini, Prof., primario di dermatologia all’ospedale di Domodossola [VI]
Biblioteca dell’Archiginnasio, antica biblioteca, ci lavorava Gemma [VII, VIII]
Birreria Lamma, a Bologna affascinante birreria in stile bavarese. Oggi non c’è più [VI]
Bob, il cantante dell’Orchestra Serenata a Vallechiara [VI]
Boemia, in Europa, dove si producono calici[X]
Boeri dottoressa Lucia, giornalista free lance. n.1916:1934 maturità, 1939 laurea magistero, lettere. 1939 matrimonio. 1940 separazione. 1944 resistenza con Il Drago 1945 entra all’Avanti! Da amante di Uberto Alberti ne diviene la seconda moglie. Nel 1958 entra al Parlamento quale deputato [V, VI, VIII, X]
Bologna, via Marescalchi 8, dove abitava Gemma [VIII]
Bologna, via Ugo Bassi 9, qui la residenza della famiglia del (compagno senatore) professor Alberti [I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII]
Bonomelli Alessandro, n.1959, da FrouFrou e Filippo. È cittadino svizzero con studio a Bologna. [X]
Bonomelli avv. Filippo, figlio di Giangi. A soli 19 anni (nato 1933) diviene l’amante segreto di Elena. Con lei scopre le piacevolezze della figa e non solo. L’ha messo in culo anche a Gemma. Si iscriverà all’Alma Mater a Giurisprudenza e sarà avvocato. È padre della figlia di Elena e del figlio di FrouFrou (1959) che sposerà a fine ’58. [VI, VII, VIII, IX, X]
Bonomelli cav. Gian Giacomo, dettoGiangi, ricco magnate e editore. Noto per la smodata passione per la figa. Nel 1958, in seconde nozze, sposerà Gemma [VI, VII, VIII, IX, X]
Bonomelli Ines, di Filippo Bonomelli e Elena Alberti[VIII, X]
Bonomelli Maria Pia, siura del cav. Bonomelli, madre di Filippo. Proprietaria della testata Femmine A Milano si mormorava che la desse al Gallera, vicesindaco della Città, padre della morosa di suo figlio. Un vero casino! Nel 1958 la Sacra Rota scioglierà il matrimonio con il cav. Bonomelli [VI, VII, VIII]
Bottega, La Società, creata da Frou Frou per la gestione del Salon de Coiffeur di Zurigo[X]
Bovy avv. Arthur, papà di Frou Frou[X]
Bovy M.me , mamma di Frou Frou. Sicuramente di nome faceva Emma[X]
Brigata Ebraica, entrata in combattimento sul fronte italiano nel 1944. Ruth ne fa parte in qualità di ausiliaria. [II]
Buggiardelli onorevole. Deputato con un nome difficile da votare [VII]
Bukhara, tappeto orientale su cui non è male scopare[X]
Buon Sammaritano, ristorante molto cattolico di Milano [VII]
Cafè Milano, a Stresa vi lavorava Francesca [VII, VIII, X]
Caffè Canarini, a Bologna, elegante antico caffè [V, VI, VII, VIII, X]
Camera dei deputati, in un suo salotto era nato il flirt tra Lucia e l’on. Bernasconi [V]
Camillo Don, un prete qualsiasi [VII]
Campari, si beve ancor oggi per aperitivo [VII, VIII]
Canzoniere del festival di Sanremo 1952, lo pubblicò le Messaggerie Musicali. [V]
Caposala la, la trombava il Senator Prof. Uberto Alberti [X]
cappello sulle 23, Si dice del cappello o del berretto portato molto inclinato da una parte. È inteso spesso come segno di spavalderia. [V]
Caravan , successo di D.Ellington[X]
Casa Antica, è il nome dell’albergo di cui Filippo è proprietario. Un vecchio edificio con un ristorante nella veranda e una decina di stanze dal primo piano in su. [V, VII, VIII, X]
Casalecchio di Reno, vicino a Bologna [VII]
Castelfranco Emilia, vicino a Modena [VII]
Cazzaniga Magda, deputata del PSI. Allora eletta nella circoscrizione di Lodi [V]
Cenobio di San Vittore, suggestivo luogo sopra Bologna[X]
Cesare, un fisioterapista [I]
Citroen Deux Chevaux, l’auto di Frou Frou [VII, IX, X]
Clark Gable e Loretta Young, attori americani. Non c’entrano niente con questa storia [VII]
Clinica Klaus – Zurigo – qui il prof. Alberti ha svolto la sua attività di chirurgo come ben ricordano un paio di infermiere. [V]
Coca-Cola, bibita USA. Si beve ancor oggi [VII]
Cohen Sarah, nata 1905. Sarebbe mia bis-nonna. Aveva sposato il professor Uberto Alberti [I, II, III, IV, V, VI]
Coiffeur Marso, uno dei tanti parrucchieri di Bologna [VII]
Connie, Oliver e Sir Clifford – i personaggi principali dell’Amante di Lady Chatterly di H. Lawrence
Convento di Ranzano sui colli bolognesi, rifugio del dottor Ugo Baer negli ultimi anni del fascismo. [II]
Coregone e temolo, pesci di lago [VI]
Corriere, si ipotizza quello della Sera. Quotidiano [VII]
Corso per Capitani di Industria, frequentato da Filippo negli anni ‘50[X]
Cromwel Margaret, pare che in patria fosse la mogliettina del capitano Màtt Ferguson. La cosa fece molto arrabbiare nonna [- II -]
Curia arcivescovile di Milano, lì, sta la Sacra Rota Milanese [VIII]
Daniel, una delle prime amicizie di Ruth a Gerusalemme. L’aveva iniziata all’amore, sia davanti che di dietro. Tutto nello stesso Shabbat. [II]
Direzione, ci si riferisce a quella del PSI [VII]
Due Torri . antichi edifici bolognesi. Simbolo della Città[X]
Duke Ellington, un grande del jazz [X]
Duomo, sempre quello di Milano [VII]
Eau d’Evian, costosa acqua minerale francese[IX]
Eau de Guerlaine , profumo francese [X]
Efrem, Amica di mamma Sarah con cui, lei, si sollazza anche nei giorni della storia che vi sto raccontando [II, V, VI]
Egidio, sull’Isola dei Pescatori, con la sorella Augusta, governa la locanda di Filippo. [VI, VII, X]
Enfield, una pistola britannica [I]
Ernesto, zio di Filippo [VI]
Ester, giovane amica della madre di Mamma Sarah . Costei l’aveva concupita e presa sul divano del salotto, quando lei non aveva ancora 15 anni. [II]
Evaristo, nonno di Filippo [VI]
F.lli Stagni, avevano l’autorimessa in vicolo Carega [sono esistiti sul serio]
Fantuzzi dottor, un medico. Uno dei tanti [VII]
Farfallina, a volte così vezzeggiava la propria figa, Elena [VIII]
Fatima, era l’amica del cuore di FrouFrou [IX]
Fausta (La Signora), da 10 anni accoglie la clientela alla reception dell’albergo del Rosso [IV]
Felice, il cugino antifascista del prof. Alberti. Fuoriuscito in Francia… rientrato dall’esilio, lo venne a salutare con una bottiglia di Pastis. [VI]
Femmine, mensile tutto al femminile diretto da Elena Alberti. Il primo numero uscì nel luglio 1952 [VI, VII, VIII, X]
Femministe bolsceviche, gruppuscolo combattivo di lesbiche politicizzate [VIII]
Ferguson Màtt William Henry, n.1925, detto Màtt, tenente, poi capitano. Ufficiale dell’8° Divisione Britannica [I, II e III]
FIAT Topolino, l’auto del professor Alberti nel ‘52. [V]
Filippo il Bello, il più bel Re di Francia [X]
Forlì, Capoluogo della Romagna sulla Via Emilia
Four Seasons, storicco hotel di Genève, sul Lago. Dove aveva La Bottega che l’aveva arricchita FrouFrou[IX]
Francesca, nata 1917, cameriera al Caffè Milano di Stresa. Strega dell’amore, ci perde la testa Filippo [VI, VIII, IX, X]
Francia, è in Europa[X]
Franz, contrabbandiere svizzero ferito sul confine con l’Italia curato dal professor Alberti nel ’41 [VI]
FrouFrou, n.1934 ha la bottega da parrucchiera al Four Seasons [IX, X]
Gallera Loredana, figlia del vicesindacodi Milano, morosa di Filippo. Stando alle descrizioni, non avrebbe avuto né tette né culo da mostrare. [VI, VII, VIII]
Gallera Petronio, In questa storia, era allora Vicesindaco di Milano. Si era dimesso quando era saltata fuori la sua tresca con Maria Pia Bonomelli [VI, VIII]
Galleria, luogo sacro per i milanesi. Sbuca a lato della piazza del Duomo [V, VI, VII]
Galvani piazza Luigi. A Bologna [VII]
Gambrinus, ristorante di Stresa, proibitivo nel prezzo. [VI]
Gazzetta del Lago, quotidiano lacustre [VII]
Genesi e la vicenda di Onan. Citazione biblica di mamma Sarah. [- II -]
Genève, Ginevra, città svizzera [VIII, IX, X]
Geneviéve, una delle servette di Casa Bonomelli [VII]
Gerusalemme, vi si era rifugiata a metà degli anni ‘30 la famiglia di Ruth. Qui lei era cresciuta. [II]
Gianna, la steno-dattilografa della Redazione bolognese di Femmine [VIII]
Giardini Margherita, a Bologna vi aveva approntato l’ospedaletto da campo la Brigata Ebraica. [II]
Gigi, il garzone di un fornaio qualunque che passava in quel momento [IV]
Gioele, (ma anche Gioy) marito di Ruth. Si vogliono molto bene. E’ figlio di un rabbino. Superdotato. Fra le gambe ha una sberla di cui ne parlavano tutte le ragazze da marito della Gerusalemme bene. [II, III e IV, V]
Giulia, contessina della Frasca, ben attiva fra gli scout e conosciuta come giovane ragazza di grande impegno cattolico. [V]
Giuseppe il, signor Giuseppe, educato portinaio di via Ugo Bassi 9 [VII, X]
Gli Indifferenti, di A.Moravia, romanzo[X]
Gloria, visagista dal Coiffeur Marcio. Dice di avere un marito belloccio di nome Michele. Abitano nei Fusari all’11 [IV, VII]
goldone nel gergo di Bologna =preservativo [VII]
Goldwater John. Potente amico di Ruth. Sempre disponibile a darle una mano. [II]
Grande guerra, è citata in quanto il professor Alberti è nato nel decennio precedente che questa scoppiasse. [V]
Haganah, organizzazione paramilitare ebraica. [II]
Hana, amica d’infanzia di mamma Sarah[I]
Hotel Astoria, a Milano, dove soggiornarono alcuni dei personaggi della nostra storia. La proprietà dovrebbe essere quella della Famiglia Bonomelli. [VI]
Hotel dei Sospiri, a Venezia[X]
Hotel Excelsior di Firenze, ci avevano consumato un 69 Olga ed Elena [VIII]
Hotel Four Seasons, qui soggiornano e consumano Elena e Filippo [VIII]
Hotel Negresco, a Cannes [VIII]
Hotel Roma, nonna ci ha scopato solo in un’occasione. [IV]
Il Drago, capo partigiano con cui Lucia Boeri ha avuto una storia. Aveva moglie e figli. [V]
Imperial College, prestigiosa scuola inglese frequentata dall’età di 15 anni dal tenente Màtt Ferguson. [II]
Isola dei pescatori, Incantevole scoglio abitato, delle isole Borromee sul Lago Maggiore. Qui, Filippo ipotizza la luna di miele con Elena. [V, VI, VII, VIII, X]
Italia del Nord, mega regione d’Europa in cui si svolgono le azioni [VII]
Jóffa, oste bolognese [X]
Jolanda, nonna di Filippo scomparsa nel 1951 [VI]
Kaplan Ruth, nata1919. Sergente di Sanità nell’ospedaletto da campo della Brigata Ebraica, agli ordini dell’8° armata britannica. [II, III e IV, VII]
L’Atelier, il nome della bottega di FrouFrou [IX]
L’Ustarȋ dla Jusfénna, storica osteria bolognese [X]
La Torre dell’orologio, a Bologna. Contro di questa il tenente Màtt Ferguson, promosso a capitano, avrebbe voluto dare due colpi ad Elena. Fin che ne senti la campana battere le ore vuol dire che sei a Bologna. [II, VII]
Lago di Ginevra, un lago svizzero [VIII X]
Lago Maggiore, un lago italiano con una parte svizzera. Nella parte italica trovasi l’Isola dei Pescatori [VIII, X]
Lancia Augusta, elegante autovettura anni ’30 [III]
Les Demoiselles d’Avignon, stampa con la riproduzione del celebre dipinto di Picasso che stava nella stanza di Elena. [VI]
lesbo-massoneria, area a cui i pettegolezzi attribuiscono la frequentazione di Lucia Boeri[X]
Lione, ville française. Qui le origini di FrouFrou [IX, X]
Lions Club, club di ricchi [VIII]
lire 10.000, era il costo nel ‘52 della ‘coperta’ all’Hotel Astoria. [V]
Lord Brummel , ristorante della Bologna della nostra storia [X]
Lugana di Sirmione, un bianco di un altro lago, il Garda [VIII]
Luranz, infermiere del S. Orsola a zonzo per Bologna
Luria Deborah. Capitano Di origine ebrea, nata e cresciuta a Londra. 35 anni. Lesbica [II]
Luxardo, brend di un apprezzato liquore di marasche [VII]
M.me d’Aubry M.me, cliente di Frou Frou quando lei faceva la puttana [X]
Madame Bovary, di G.Flaubert, romanzo[X]
Madonna, Nessun accenno religioso. Il lemma è riferito al concetto: figone della *** [VII]
Marc, giornalista elvetico che l’avrebbe messo volentieri in figa ad Elena [IX]
Marchetti Flavia, io che racconto. [I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X]
Martini, bottiglia di vermouth rosso che la signora Fausta teneva sotto alla scrivania per le grandi occasioni [IV]
Mathilde, era stata l’amore di Frou Frou [IX]
Maurer, avvocato che tratta la cessione del Salon de Coiffeur di Zurigo [X]
Medica, cinematografo di Bologna, c’è ancor oggi [VII]
Mengarelli Prof, da lei nonna Elena prendeva lezioni di matematica. [- II -]
Mercato di Mezzo, zona del Centro di Bologna che ospita golose botteghe [VII]
Messaggerie Musicali, tempio della musica leggera. Ha sede proprio in Galleria. [V]
Messaggero Il, quotidiano di Roma. Esce ancor oggi [VII]
MG decapottabile , l’auto che il comm. Aniasi regala a Francesca[X]
MG Spider, autovettura inglese [VIII]
Michele, marito sporcaccione di Gloria [VII]
Mimma, vispa moretta siciliana, tutta pepe e gelosia. Fidanzata di Egidio. [VI, VII]
Miriam e Noemi, a tempo debito, ognuna l’ha data a Gioele in assenza di Ruth [IV]
Miss Stresa, si teneva anche in quel lontano 1952 [VII]
Mo socc’mel!, (vv. anche sócc’mel) Tipica interiezione bolognese. Nasce con il significato di ‘Ma succhiamelo/a!’. Oggi come oggi, ha significati molto meno incisivi e triviali. Se per caso vi scappa detta in un pubblico locale di Parigi o New York sono sicura che troverete subito qualcuno che vi chiederà: «di Bologna?» [V, VI]
Moglie del portinaio di via Ugo Bassi 9, a tutela della sua reputazione, nonna non mi volle dire neppure il nome di battesimo [IV]
Monsieur Genus del Negresco, a Cannes, dirigeva allora quell’Hotel [VIII]
My funny Valentine, Standard jazz, composto nel 1937 [VI]
N.d.A., acronimo: sta per ‘note dell’autrice’ [I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, X]
Nenni Pietro, storico leader del PSI (1891-1980) [V]
Nettuno piazza, a Bologna [VII]
Noi Donne, rivista di Sinistra per donne[VIII]
Normandia, regione europea sita nel Nord della Francia, dove si producono ostriche e sali da bagno a cui le loro alghe danno il profumo. [V]
Notte di San Lorenzo, quando cadono le stelle [X]
O’Connor, sergente. Incaricato di dare le comunicazioni ufficiali alle famiglie dei combattenti quando a questi succedeva qualcosa di grave. [- I -]
Ofelia: in convento dalle suore, citazione per far vedere che so chi era Shakespeare [VIII]
Ogino Knaus metodo, c’entra la figa ma è più semplice informarsi su Wikipedia. Oggi in disuso. [VII, VIII]
Olga, giornalista di Noi Donne [VIII]
Olio di fegato di merluzzo. Toccasana che a quel tempo veniva consigliato da ogni medico [II]
Olivetti, brend di macchine da scrivere, orgoglio del made in Italy [VII]
Omar, autista, segretario al servizio del Cavalier Bonomelli. [V]
Orchestra “Serenata a Vallechiara”, suonò alla festa del fidanzamento di Filippo. [VI]
Ospedale “A-cui-si-deve-trovare-un-nome”, Era l’Ospedale “B.Mussolini”. Divenne Ospedale Traumatologico. Ne venne affidata la direzione al professore Alberti. Oggi, a Bologna, non esiste più[I]
Ospedale Civile di Medicina (BO), [I]
Osteria del Sole, taverna a Bologna. Una delle più antiche d’Italia [VII]
OVRA, La tentacolare polizia segreta fascista. [V]
Padova, città vicina a Venezia[X]
Palazzo d’Accursio, a Bologna, l’antico Palazzo Comunale[X]
Palestina, area geografica che nel 1945 era amministrata dalla Gran Bretagna. Oggi?… Sarebbe troppo lungo raccontarvelo. Fate prima ad andarvelo a trovare su Wikipedia [II]
Pallanza, sul Lago Maggiore [VII]
Panama (il), elegante cappello estivo fatto con fibre vegetali [V, VI]
Paolo, il fotografo Redazione bolognese di Femmine [VIII]
Cocorito [Al] storico e prestigioso ristorante di Bologna. Si dice che ci abbia mangiato la Regina Elisabetta. [VII, VIII]
Pascal, giornalista elvetico che l’avrebbe messo volentieri in culo ad Elena [IX]
Pastis , aperitivo francese che si beve con l’acqua[X]
PCI, Partito Comunista Italiano. Oggi non c’è più [VII]
Picci la, all’anagrafe Piera Lallini, nata a Pistoia nel 1932 [VII]
pilota del motoscafo 07 in servizio fra Stresa e le Isole Borromee [VI, X]
Polo Nord, dove Lucia Boeri non ha mai pensato di trombare [V]
Ponte Santa Lucia collega Venezia con la terra ferma[X]
Prati di Caprara, spazio abbandonato nella periferia di Bologna [VIII]
Premio Michel Sburziglèr, internazionale per periodici [VIII]
PRI, Partito Repubblicano Italiano. Fondato nel 1895, ha mantenuto immutati il nome, il simbolo, le basi ideologiche del mazzinianesimo e del radicalismo, chiaramente riconducibili alle elaborazioni di Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Carlo Cattaneo <V<
Profazio avv. Augusto, avvocato. Esperto in annullamenti presso la Sacra Rota. [VI, VII]
PSI ASSEMBLEA NAZIONALE, massimo organo del Partito Socialista. Quella volta si tenne al Madison (a Milano, ovviamente). [V, VII]
PSI, Partito Socialista Italiano è stato un partito politico italiano di sinistra. Nato a Genova il 14 agosto 1892, si estingue nel 1984 [V]
Punt e Mes, un aperitivo piemontese[X]
quelle della RAI, si riferisce a giornaliste romane [VIII]
Questura piazza della, a Bologna. Sarebbe piazza Galileo Galilei [VII]
rabbino londinese. Amico di Ruth. Della City sa tutto di tutti [II]
RadioLondra, una radio libera in auge ai tempi del racconto [I]
ragioniera Lelli, consulente finanziaria dellaa famiglia Alberti[X]
Remington, la macchina da scrivere portatile di Elena [VIII, X]
Riccione, stazione balneare dell’Adriatico romagnolo. Molto in auge durante il fascismo. Ma non scherza neppure oggi. [III, VII]
Rio Grande, un successo di guerra e amore [VI]
Ristorante La Cervetta, allora ristorante in via de’ Fusari. Oggi non c’è più. [III, IV, V, VI, VII]
Ristorante La Nerina, a quel tempo uno dei templi della gastronomia bolognese. Al suo posto, oggi, c’è ,una banca! [VI, VIII]
Roma, città d’Europa di lingua più o meno italica[X]
Rotary, club di ricchi [VIII]
Royal Army, dove Ruth aveva il grado di sergente quale appartenente alla Brigata ebraica [II]
Rubyo, maitreuse di FrouFrou [IX]
Sala Rossa del Municipio di Bologna. Dove ci si sposava. Anche.
Salon de coiffeur di Zurigo, ne diventa proprietaria Frou Frou nel 1957 [X]
Salsini Poldo, detto “Ci rimetto” oste Ai Tre Scalini di Medicina [- I -]
San Michele in Bosco, belvedere pery Bologna [X]
San Rufillo, ridente località a sud di Bologna bagnata dal torrente Savena [VII]
Sant’Orsola, prestigioso policlinico nella città di Bologna [V]
Segretario il, della Federazione socialista di Milano [VII]
Selezione dal Reader’s Digest, pubblicazione statunitense in lingua italiana per americanizzare gli italiani [VII]
Sempione, passo del [X]
Senato della Repubblica, nulla da aggiungere è un’istituzione [VII, VIII]
Settimo Cielo, dancing degli anni ’50 a Bologna [X]
Sextynine, Qui è scritto in inglese ma è sempre la stessa cosa, fatta con le stesse modalità. [II ma ce n’è in ognuno dei racconti]
Sicilia, isola [VII]
Sinatra Franck, il racconto lo cita ma non fu mai presente nella vita di Nonna Elena [VI, VIII]
Singer, marca di macchine da cucire per famiglie. Con una di queste mamma Sarah aveva confezionato alcune mutande per la figlia – Allora si faceva così [III]
Socc’mel, (vv. anche mo sócc’mel) interazione della lingua bolognese. Originariamente stava per succhiamelo!’. Oggi, anche qualcosa di meno drammatico.
Società delle Telecomunicazioni, per telefonare all’estero negli anni ‘50 [X]
Sorella di Mimma, siciliana venuta a trovare la sorella [VII]
Spirù (lo), ballo in voga allora. [VI]
Spunzer Axel, direttore di Die Welt di Amburgo. [VIII]
Stanza n°10, terzo piano, con terrazzo. Alla Casa Antica [VIII]
Starzan Emanuelle, Autrice di un libercolo pornografico acquistato dei coniugi Alberti nel loro viaggio di nozze a Parigi[II]
Stevens Maggiore Henry. Biondo ufficiale dei servizi britannici. A lui Ruth, per servizio, aveva fatto una mezza sega con qualche colpo di lingua. Sempre per il bene del futuro Stato di Israele. Ma non tromba [II]
Stival Mario, alla reception dell’Hotel dei Sospiri [X]
Stresa, è sul Lago Maggiore [VIII, IX]
Suisse Press, associazione di giornalisti elvetici [IX]
Susanna, Ausiliaria italo-americana. Lecca la prugna alla capitano Deborah [II]
Svizzera, dove Ruth avrebbe riabbracciato il marito. Qui c’è pure Ginevra [III, X]
tagliatelle, pasta asciutta tipica di Bologna. Le troverete sempre citate nei miei racconti. Sono convinta che mi portino fortuna.
Take the Train , altro successo di D.E.[X]
Tamara, una storia seria di FrouFrou [X]
Tamburini Gemma, è la grande amicizia al femminile di Elena. È nata nel 1925 e al contrario di lei, ha prosperose zinne. Fino al 1952, per quel che si sa, ha mantenuto integra la classica verginità. È una delle bibliotecarie dell’Archiginnasio. Sarà la Vice di Elena in Femmine. È con Elena in occasione della festa per il fidanzamento di Filippo. Con Elena, tanto per non perdere antiche abitudini, appena possono, se la leccano. Questo cesserà quando questa diventerà la Signora Bonomelli[V, VI, VII, VIII, IX, X]
Tennis Club di Gerusalemme, dove Ruth e Gioele si sono conosciuti e dove hanno consumato la prima. [III]
Tesséra, aereoporto di Venezia[X]
Thompson, mitragliatore inglese con cui il marito della Cazzaniga Magda fece fuori con un’unica raffica cinque repubblichini e due SS. [V]
TIMO – [vv N.d.a. accanto alla citazione]
Tirreno, mare nel Mare Nostrum [X]
Tiziana, signora, entraineuse del Tennis Club di Stresa. [VI]
Torrente Gaiana, qui, fra Medicina e Bologna, un duro combattimento arrestò per un paio di giorni la marcia degli Alleati verso Bologna. [I]
Trattoria La Pera. Quasi sulla Piazza Maggiore. [I]
Trebbiano, vino di Romagna che si beveva anche a Bologna [IV]
Tribunale della Sacra Rota della Curia bolognese, dove sta tessendo la sua trama Uberto per dare una svolta alla propria vita. [V, VI, VII, X]
Tribunale della Sacra Rota di Milano , no comment [N.d.A: Ho sempre sostenuto le Leggi per il divorzio] [VIII, X]
Tribunale delle Donne Oppresse, invenzione giustizialista delle Femministe Bolsceviche[VIII]
Tribune de Genève, antica testata ginevrina [IX]
Tullio, fu marito di Lucia Boeri. Fuggì con un compagno di scuola. Finì a Ponza, al confino (il fascismo educava così) [V]
Università di Bologna, detta Alma Mater Studiorum, ci si sono laureata Elena e Filippo [VIII]
Venezia, città per tutti gli amori[X]
Veuve Cliquot , champagne [X]
Villa Bonomelli, qui ci vivevano sontuosamente loro: i Bonomelli [VIII, X]
Wagon-lit, qui, fra Roma e Milano si affina il rapporto fra Lucia e l’on. Bernasconi [V]
Yahwè. Per gli ebrei è Dio. [II]
Zurigo, città elvetica, dove FrouFrou aprirà i suoi Salon de Coiffeur [X]