Le porkeriole di Flavia

diario e fantasie di una scrittrice di bella presenza

Gallura

Flavia dal 2005 pubblica con l’editore Enstooghard del dr.Hans Stortoghårdt in Borgergade 9, 1300 København

©Flavia Marchetti 2019

Molto probabilmente il mix sole–mare influisce notevolmente sul desiderio di erotismi di Sìmone. Da quando siamo qui è aumentata in lei la libido non solo verso di me ma anche nei confronti di Oscar. Che viene preso d’assalto ad ogni sua apparizione in tenuta balneare. Se aggiungiamo poi che lui, Narciso come pochi, non disdegna di gironzolare in costume adamitico, è tutto un assalto che ogni tanto produce lamentazioni del tipo: “Ma vuoi lasciarmi in pace, vecchia troia.” E Sìmone di conseguenza viene a tentare me. Lei dice che è colpa nostra che stando sempre attorno a lei seminudi stimoliamo la parte di lei più debole.

Ieri poi, si è andati a toccare il massimo livello della sua ninfomania. Voglio raccontarlo perché ne vale la pena.

Tutto è cominciato a colazione, davanti al thè e alle fette biscottate con burro e marmellata. Colpa mia che per attivare la conversazione che di primo mattino langue sempre, ho citato un banalissimo articolo apparso su un rotocalco locale. Titolo, “Il 33% delle commesse delle boutique di lusso di Roma non risulterebbe indifferente a un approccio lesbo di una client di e”.

«Chissà se è così anche qui in Gallura?»

«Non siamo mica a Roma qui? Basta guardarle, le sarde. Mi divorano con gli occhi quando mi fermo innanzi alle vetrine dei loro negozi.» Questa la vanità di Oscar.

Fatto sta che lei si alza da tavola e inizia ad agitarsi come quando vuole tirarsi per far colpo su qualcuna/o.

«Cosa t’è venuto in mente di fare?» Vedo nei suoi occhi, guizzi che si agitano.

«Con la carenza di godimento che spira da queste parti vado a caccia in paese, come fanno i maschietti.»

«Ma che cazzo dici?»

«Quando sono venuta da te ieri sera, a fare la carina, mi hai mandata a fa n culo perché il tuo moroso ti aveva già dato tre colpi uno dopo l’altro… Sono andato da lui ma si vede che la tua figa l’aveva messo in malanimo e non ha voluto neppure farmi qualche coccola… Mi sembra di vivere in una curia arcivescovile (sic). Cosa dovrei fare?»

Provo a circuirla: «Un bel 69 con me. No?»

«Col cazzo…! La mia figa di legno!» E si chiude in bagno per completare l’allestimento.

Poi se ne va.

Dal canto suo Oscar che ha assistito al piccolo match, appena siamo rimasti io e lui si è sentito in dovere di aggiungerne un’altra alle tre di ieri sera. Addirittura sul pavimento della veranda.

Poi anche lui se ne va a far le sue immersioni e io finalmente posso ridedicarmi al mio scrivere. Serena ed appagata.

Mangio anche sola e Sìmone la vedo solo attorno alle 6. Si dimostra molto preoccupata e nonostante le parole forti che sono volate fra di noi mi si getta fra le braccia quasi piangendo. «Mi sa che oggi l’ho fatta grossa… Non vorrei che dovessimo andarcene in fretta e furia da qui.»

Cos’è successo?

In breve:

Sìmone vaga per le boutique del paesello che essendo sulla Costa Smeralda viene calpestato da tante femmine danarose, quindi di boutique ce ne sono tante. Sìmone tenta approcci con tutta la giovane fauna femminile dei negozi. Non le va molto bene. In quel paese sembra che l’attenzione delle ragazze delle boutique sia, a ragion veduta, orientata soprattutto verso i facoltosi accompagnatori del sesso femminile. Sìmone è demoralizzata e sta per abbandonare l’idea ma l’ultimo negozio, dove acquista ben due bikini “sconvolgenti”, è quello che le dà speranza. La titolare, una bella quarantenne, intuisce le mire di Sìmone e dal momento che ha acquistato due capi, ancora rimanenze della passata stagione, sta al gioco di lei e finisce con un lingua-in-bocca e un intrigante consiglio: «Prendi un taxi e fatti portare dalla Ragusea. È una baracca in riva al mare in una piccola caletta. Lì c’è questa signora anziana che ininterrottamente frigge pesce che entusiasma le più raffinate bocche. Non ha nient’altro da offrire se non fresche caraffe di vermentino. Forse per te è interessante perché chi serve in tavola è una giovane nipote, molto… molto giovane, che, secondo me è affascinata dalle belle signore come siamo io e te. Io ci ho provato senza successo e ho rischiato che chiamasse i carabinieri. Tu intanto sei un bel po’ più giovane di me, e secondo me hai più qualità per riuscirci… -E le aveva accarezzato il seno -Secondo me è di una bellezza ineguagliabile. Almeno in queste terre.»

L’esposizione della bella bottegaia rimette legna sul fuoco di Sìmone che segue la dritta. E nel giro di 15 minuti si ritrova alla baracca della Ragusea. Dove l’accoglie una giovanissima fanciulla che veramente incarna la bellezza nel vero senso della parola, soprattutto per chi si bea di saffiche emozioni: esile e longilinea ha un seno appena abbozzato. Due gambe da cerbiatta che si allungano verso il culetto non appariscente ma ben fatto. Un volto affusolato con lineamenti scolpiti ma tutto addolcito da un sorriso sempre presente.

In quell’incantevole caletta non c’è anima viva. Quattro tavoli apparecchiati attendono ipotetici avventori. «Grazie di essere venuta da noi bella signora!» Le dice la giovanissima fanciulla. È una frase ruffiana studiata ma in Sìmone ha il suo effetto. In lei comincia a farsi strada il desiderio di togliere a quell’immaturo corpo quello straccio di due pezzi che ne ricopre alcune porzioni. Stringerne le poppette e succhiarne le scure palline. Qualche lucido pelo fa capolino dal bordo dello striminzito costume, lì sull’inguine. Sìmone sa che è sicuramente rada la flora villosa di quel fanciullesco pube. Quanto le piacerebbe vederlo! Magari accarezzarlo… o, ancor meglio scorrazzarvici in lungo e in largo con la punta della lingua! Ha bloccato lo sguardo su quel particolare estraniandosi da tutto il resto. Un brivido la percorre. Il ventre le sussulta. La mano della ragazza la sta accarezzando. Si distoglie dalle sue immaginifiche farneticazioni. La mano c’è ma non la sta accarezzando: «Signora, che tavolo volete che vi apparecchi? Aspettate qualcuno?»

«No non aspetto nessuno. Sono sola non ho fretta. Questo è un posto incantevole… Tu come ti chiami?»

«Ho un nome francese, Camille. Sono corsa. Sono qui dalla zia solo per le vacanze. Io vivo di là.» E con la mano indica la terra che si intravede fra le nebbie della calura oltre Bonifacio.

«Anch’io ho un nome francese. Sono Sìmone… Chiamami così… non signora.»

«Ci vorrà un po’ per il pranzo. Se vuole fare prima un tuffo il tempo c’è.»

«Volentieri ma avrei bisogno di un angolo fuori vista in cui mettermi il costume.»

« Ci sarebbe la cameretta mia che è nella baracca dietro la baracca dove la zia frigge. Ma può anche farlo qui. Tanto siamo solo io e voi… e io mi giro.»

“Farò così. Ma tu smetti di darmi del voi.” E si spoglia per indossare uno dei bikini appena acquistati. Poi ripensandoci finisce per tuffarsi nuda. Camille che non si è girata rimane a guardarla con un’espressione di soddisfatta curiosità. E con entusiasmo anche lei si toglie lo straccetto che indossa e si tuffa riemergendo accanto a quella bella cliente arrivata tutta sola. Sìmone la prende per mano e assieme nuotano sul dorso. Sìmone vorrebbe far assai di più. Quale immergersi e riaffiorare fra le sue cosce. Il resto, tutto da inventare. Ma sa contenersi.

«Adesso siamo amiche, vero? C’è un proverbio marinaio corso che dice spesso mio nonno, secondo cui quando si nuota assieme tenendosi per mano automaticamente si diventa amici.» Le domanda la ragazzina.

«Certo che lo siamo. Mi fai compagnia mentre mangio. È triste pranzare soli.»

«O sì. Mi faccio friggere un po’ di pesce anche per me e mangio con te. – Poi guardandosi attorno – Mi sa che ormai a quest’ora non verranno altri clienti. Se ci stai sposto il tavolo in quell’angolo così potremmo anche mangiare nude. Da lì io vedo chi scende per il viottolo e avremo tutto il tempo di metterci qualcosa addosso.»

«Ottima idea, Camille. Ti aiuto a spostare il tavolo.» Sìmone è all’apice della gioia e dell’eccitazione. Ciò nonostante si comporta da educata signora morigerata. L’eccitazione invece sta prendendo la fanciulla: «Sei una ragazza molto bella Sìmone. A quanti anni ti è venuto così bello e grosso il seno? Le mie sono ferme da quando avevo tredici anni. Sono già due anni. Mamma dice che è normale ma io vorrei sapere cosa ne pensa un medico. Non è che tu ne conosci qualcuno da queste parti?» Le aveva buttato lì mentre spostavano il tavolo.

«Io, sono un medico, Camille»

«Oh, che fortuna. E cosa ne pensi?» E qui Sìmone smette di essere un’educata signora morigerata e allo stesso tempo non vuole neppure fare il medico. Le appoggia le mani su quelle acerbe tette e gliele accarezza a lungo mettendo in pratica tutte le sottili armi saffiche che utilizza nei suoi approcci con altre femmine. Le scappa pure un bacio sull’affusolato collo. Camille emette mugugni di piacere. La figa di Sìmone si allaga.

«Diventeranno belle e grosse. Non ho sentito nulla che possa impedirlo. Vedrai! – poi – Ce l’hai il moroso, Camille?»

«Perché, serve?»

«Se te le lecca e succhia, sì. » Va oltre la decenza Sìmone.

«E se me le lecca e succhia Christine, la mia amica?»

«Posso già cominciare io. Se vuoi?» E le si fa incontro con le labbra. Camille fa per buttarglisi contro.

Echeggia un gracidante suono metallico: il fritto è pronto. Camille rimette il suo due pezzi e va a prendere i piatti. Li appoggia sul tavolo e torna a denudarsi completamente. Sìmone sorride: «Ti piace proprio stare nuda?»

«Oh sì. Con te poi, che non mi dai soggezione.» E per recuperare quello che ha dovuto interrompere prima, torna ad avvicinare alla bocca di Sìmone la nocciolina di un capezzolo. E ne raccoglie tutta la dolcezza dell’eccitazione di Sìmone.

La bella silfide intanto, impudicamente si sfrega sapientemente la clitoride.

Sìmone ha già in mente le altre mosse da fare per raggiungere la meta. Ma si impone di fermarsi. Di capire bene quel che sta succedendo e con chi lo sta facendo. Si ferma. Le sorride e fa capire che prima vuole mangiare qualcosa. Camille ha un’espressione di diniego che trasforma in sorriso non appena si sente dire: «Non avere fretta, ragazza mia, posso stare con te anche fino a domattina.»

Si rimette il costume torna nella baracca dove dovrebbe operare la zia. Torna e se lo ritoglie. Una bella risata.

Cominciano a mangiare in tutt’allegria a cui collabora anche qualche sorso di fresco vermentino. E intanto provano a conoscersi meglio: «Ti viene voglia anche con altri di pranzare con loro senza niente addosso?»

«Oh no, mi è venuta con te perché ti trovo molto bella ed ero molto curiosa di vedere come eri fatta… Poi qui vengono sempre a coppie ed è anche difficile che ci sia una coppia sola. Sono riuscita a farlo solo una volta, ma è stato di notte. Quando è venuta a trovarmi Christine.»

«Ah, ma allora con lei c’è qualcosa di più dell’amicizia.»

«Non so come tu vuoi chiamarla ma ci piacciamo e ce lo dimostriamo e facciamo le nostre cose. Tu però sei molto bella. Christine non è bella. È grassoccia non molto alta ma mi vuole molto bene. E questo per me è molto importante. – Beve un lungo sorso di vino. A tirar fuori tutte quelle cose che da tempo le stanno dentro ha fatto fatica. Con Sìmone però c’è riuscita: è un medico! E adesso va fin in fondo – Sì, Sìmone, con Christine appena possiamo facciamo all’amore-…. Adesso appena vedrò che se ne va quel furgoncino celeste, che è della zia… Vedi lassù? Cercherò di farlo con te. Non per tradire Christine. Ma perché sono sicura che tu puoi insegnarmi tante dolci cose. E io potrò ripeterle con lei. – Ci pensa un attimo, poi… – L’altra settimana quando è venuta a trovarmi, abbiamo dormito qui nella mia cameretta e finché ci siamo accarezzate tutto è andato bene, poi tutto è stato un disastro e abbiamo anche rischiato di litigare, cosa che in un anno che ci vediamo non era mai successo…. E la prossima settimana, Christine tornerà a passare il sabato e la domenica qui con me.»

Un’anziana signora si arrampica per lo scosceso sentiero fino alla strada provinciale… Il furgoncino celeste se ne va. Sìmone e Camille non parlano fra di loro. Piluccano uno dopo l’altro i pescetti dello squisito fritto. Si sorridono tanto. Ancora un bicchiere di fresco vermentino e si alzano. Quelle due stupende figure, per mano, vanno verso la casamatta dove sta la cameretta di Camille.

Lì dentro tutto è azzurro. Un azzurro che cerca di essere l’azzurro di quel mare. Un azzurro leggermente verde che Camille ha cercato di raccordare con quel colore che le sta d’intorno in questa vacanza che non potrà mai più dimenticare. È stata lei a dipingere pareti e soffitto, a scegliere i colori delle coperte nel letto. E questo lo dice con orgoglio a Sìmone. Si guardano intensamente: sono così nude che non possono che abbracciarsi. Si stringono con forza. Soprattutto Camille cerca di annullarsi nell’altra. In quella femmina che ha scelto come sua nave scuola nell’amore.… e si lasciano cadere sul letto. Il bacio che ne segue è un tornado. Le lingue finalmente si incontrano. Si conoscono. Si inseguono. Simone fa dei dentro/fuori per baciarle anche le palpebre, gli occhi, il collo le sensibili orecchie. Camille resta incollata a lei, mugugna, sospira, geme di piacere. Simone che si sente investita di una responsabilità didattica è attenta e precisa in ogni suo gesto… sua mossa. La mano che si appoggia sul ventre della fanciulla è leggera. Vibra di libidine ma sa contenersi: solo carezze delicate. Camille freme vuole accelerare e provare l’intensità di un orgasmo. Si spalanca. E Simone la penetra con il più sottile dito della mano. La ragazzina si avvinghia a quella mano. La stringe con tutto il vigore dei muscoli del pube e le sussurra cosa si aspetta da lei.

«Oh, povera piccola! Ti do subito quello che vuoi.» Ed è con le labbra sulla sua rosa aperta. A quel punto Sìmone perde ogni freno inibitore e immerge la propria lingua in quel laghetto di umori che è quella fighetta. «Ma ce l’hai pure dolciastra…. Divina!» esclama in un momento in cui si stacca per prendere fiato. Per rituffarsi subito a darle piacere con lingua e dita. Camille sussulta, sbava e si contorce finché libera tutto il godimento con una specie di ululato. Sìmone l’aiuta a discendere dal paradiso leccandole il buco del culo.

Quello che segue, da Sìmone è un racconto disordinato di chi sa di averla fatta grossa e che cerca in ogni modo di sminuire le sue responsabilità. Sicuramente a quell’amplesso sono seguiti momenti di scambio di coccole e coinvolgenti affettuosità, tanto che l’eccitazione della pulzella la porta con il volto fra le cosce di Sìmone: «Mi sembra un sogno!» Le dice e va a ripetere tutte le figure che questa ha eseguito nel suo vergine fighino: «Sapori che non saprò mai più scordare!» Aggiunge succhiando gli umori del suo orgasmo. Si apre una breccia nella corazza della dottoressa Sìmone Zinani e non riesce più a gestire l’impegno preso con quell’adolescente: essere la nave scuola dei suoi futuri amori. Le dice forti parole di passione e le sfuggono promesse d‘amore con precisi impegni. Soprattutto mentre cavalca come una forsennata sfregando la sua matura prugna contro l’imberbe fighetta.

Ed è quest’ultimo godimento che le fa riconsiderare la realtà. Si stacca di scatto dal suo dolce bocconcino e comincia a rivestirsi. La fanciulla tenta di impedirglielo… la supplica. Si dispera… la minaccia: «Dirò tutto a mio padre.»

Sìmone è spaventata. Fugge. Percorre un breve tratto della costiera a piedi, poi è una coppia di turisti belgi a darle un passaggio per il paese… poi, le braccia sempre misericordiose di santa Flavia fra cui rifugiarsi e le sue calde poppe su cui versare le dovute lacrime.

Óscar è di fianco a me e ha ascoltato l’intrigante vicenda. Era venuto per chiedermi se mi andava di fargli una sega. È uno sfizio che da tanto gli frulla per la testa. Gli avevo detto che appena finito di buttare giù il paragrafo l’avrei accontentato. Poi era arrivata Sìmone…

Provo a testare con la lingua fra le labbra di Sìm se per caso una buona dose di sesso della tradizione può distoglierla dalle angosce del rimorso pedofilo si. Ma con fastidio allontana la mia mano che si è permessa di infrattarsi fra le sue cosce. Allo stesso Oscar, che per la ragione che si diceva prima, è lì, nudo, già con il gingillo in tensione, dedica una feroce occhiata schifata per poi correre nella stanza chiudendosi a chiave.

Qui, Gallura 2019, a voi Studio

[©Flavia Marchetti 2019]

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